25-8-2009
C’è qualche questione intervenuta durante le lunghe, interminabili ferie che avete fatte? Nessuno dunque ha fatto delle considerazioni?
Intervento: l’altro mercoledì parlavamo della natura, se il dissolvere la superstizione del dio è qualcosa di assolutamente difficile da porre ad un pubblico, la questione della natura come gioco linguistico avevamo detto che è ciò con il quale abbiamo a che fare ed è ancora più straordinariamente difficile, dovevamo trovare argomentazioni per rendere ridicola questa questione …
Le ha trovate?
Intervento: no ma volevo continuare a parlare di quello … già altri avevano messo in gioco la natura…
Eleonora, cosa traiamo da queste questioni? Da dove partiresti intanto?
Intervento: la natura o la percezione?
Quello che vuoi tanto sono tutti riconducibili alla stessa storia …
Intervento: sono leggi, leggi naturali di solito, ovviamente se l’unico criterio è l’osservazione si basano su qualcosa di fermo e immobile che si può descrivere, osservare e percepire …
Intervento: quella è la realtà, la natura invece è un’idea …
Si parla generalmente di leggi di natura, qualcosa che accade generalmente sempre e comunque …
Intervento: infatti è un’idea …
È un’idea che viene sostenuta e che procede dall’esperienza, uno nasce, vive e muore per esempio, non si è mai verificato che uno nascesse, vivesse e non morisse, a quanto ne sappiamo finora non si è mai verificato …
Intervento: non sappiamo se avverrà sempre così …
Certo, è un’induzione …
Intervento: questa natura è fissa immobile, qualcosa che si riproduce eternamente come la vita e la morte certo è un’induzione però le leggi naturali dicono così e uno può anche dire che è un’induzione però in fondo le persone si basano su questo ciclo immobile che interviene continuamente a riprodurre il tempo, le stagioni, la vita e la morte come se fosse … questo è il software che funziona e che produce queste cose, mettere in gioco una questione di questo genere, parlare di giochi linguistici non è semplice …
Intervento: non sono dimostrabili queste regole delle leggi naturali …
Non ce n’è bisogno, è sempre stato così, quando non si verificherà più così allora rimetteremo in discussione la cosa ma siccome sono alcuni milioni di anni che va avanti così per il momento ci atteniamo a questo, così risponderebbe un obiettore …
Intervento: non sono dimostrabili sono premesse utilizzate da tutti e allora … potrebbe essere diversamente …
Potrebbe essere diversamente? La cosa potrebbe essere irrilevante visto che gli umani esistono sul pianeta da tre milioni e mezzo di anni e grosso modo è sempre stato così: tre milioni e mezzo di anni e non è mai cambiato niente rispetto alle leggi di natura, per cui a buon diritto possiamo pensare che nei prossimi anni funzionerà così, d’altra parte nulla ci muove a pensare che potrebbe essere differentemente, sì, potrebbe, teoricamente potrebbe, certo un asteroide potrebbe colpire il pianeta e spaccarlo in due ed è anche più probabile tutto sommato anche se non è così facile, però tutto ciò che è stato esperito da quando gli umani esistono è sempre andato in un’unica direzione, non si vede perché si dovrebbe abbandonare quella direzione, perché? Perché non è dimostrabile? Molte cose non sono dimostrabili eppure gli umani le praticano continuamente, non hanno bisogno di una dimostrazione la quale dimostrazione poi di fatto può essere matematica, fisica, però l’esperienza ha sempre la priorità, uno potrebbe anche dire: non è dimostrabile e allora? Non sarà dimostrabile ma sono tre milioni e mezzo di anni che funzione sempre così, magari un giorno sarà dimostrabile, che dire? Io sto facendo faccio la contro parte, ma al di là di queste amenità c’è una questione più semplice da affrontare “più semplice” fra virgolette, e cioè come funziona nel discorso di ciascuno la questione della realtà, della natura e cioè di qualunque cosa che non sia controllabile dalla persona. Molte cose che la persona pensa, considera, immagina vengono considerate come eventi naturali nei confronti dei quali nulla può, e questa è la questione più importante o quanto meno si può incominciare ad approcciarla da lì, è la questione della responsabilità, tutto ciò che riguarda e concerne la natura conduce alla questione della responsabilità, cioè sono tutte cose nei confronti delle quali non c’è nessuna responsabilità, la natura è quello che è che è, come dire esattamente “io sono così” o “questo è il mio carattere” etc. e questa è una questione che forse può permetterci di affrontare la prima in modo più semplice, intendendo qual è la difficoltà per la persona di intendere che le cose che i suoi pensieri producono appartengono alla sua responsabilità e cioè che la questione riguarda ciò che la persona pensa e che non vuole o che fa e che non vuole fare, ma che cionondimeno fa, continua a fare, e anche qui se notate la questione è molto simile “è sempre stato così” “ho sempre fatto così” continuerò a fare così, non c’è salvezza, come se fosse una maledizione divina. In questo caso ci è più facile riconoscere ciò di cui è fatto questo pensiero, tutto ciò che la persona pensa, che gli piaccia oppure no pensarlo, è qualcosa che i suoi pensieri costruiscono cioè qualcosa che vuole costruire, non c’è nulla nei pensieri di una persona che non sia costruito, per il semplice motivo che gli piace pensare in quel modo; la difficoltà sta nell’accogliere che ciò che pensa è esattamente ciò che gli piace pensare o gli piace fare. Perché è così difficile per una persona ammettere, accogliere il fatto che ciò che pensa, i suoi pensieri sono la rappresentazione di ciò che vuole, né più né meno, perché è così difficile? C’è naturalmente la questione della responsabilità di cui dicevamo prima e cioè se accogliesse una cosa del genere tutto ciò che questi pensieri possono produrre cesserebbero in buona parte di essere prodotti, eppure apparentemente è così semplice: penso una certa cosa perché mi piace pensarla, poi posso anche considerare perché mi piace pensarla eventualmente, però se lo faccio è perché mi piace e non ci sono santi e quindi la accolgo come qualcosa che mi piace anziché fare di tutto per cacciarla via e naturalmente più cerca di cacciarla via e più la conferma. L’accesso a tutto questo non è nient’altro che accogliere che ciò che si sta pensando o facendo è esattamente ciò che si vuole pensare, molto semplicemente, e se sono io che voglio pensare questo va bene, che problema c’è? Una persona dice “io non voglio pensare questo” se non lo volesse pensare non lo penserebbe, infatti tra tutti i miliardi di cose che può pensare proprio quella, e sempre quella, come mai? Eppure è così difficile accogliere una cosa del genere, cioè è semplicissima e difficilissima a un tempo …
Intervento: è anche la questione della verità che gioca in questo caso perché se io accolgo il mio desiderio, ciò che voglio, ciò che sto pensando io non sono sicuro perché il linguaggio obbliga a costruire proposizione vere ovviamente se il mio pensare è prodotto dalla natura o qualcosa che esiste di per sé …
La cosa che non controllo …
Intervento: è vero è anche una necessità dell’individuo di non cogliere il proprio desiderio ma dire delle cose in funzione di …
Può anche farlo, volendo accogliere invece il proprio desiderio e considerare che la verità di cui si tratta sta da un’altra parte magari, perché se fosse esattamente così come dice lei non ci sarebbe salvezza, però occorre questo passo, passo che le persone tendenzialmente non fanno, non fanno allo scopo di mantenere una certa situazione nella quale situazione non possono ammettere la propria volontà perché tutto si smantellerebbe, cesserebbe di funzionare e si troverebbe a dovere fare i conti con il proprio pensiero finalmente, anziché con qualcosa che continua a considerare esterno a sé, qualcosa che appunto come dicevamo prima non controlla ma che accade contro la sua volontà, questo è il punto centrale: le cose accadono senza la mia volontà oppure può anche arrivare a dire “ma sarà anche che sono io che lo voglio fare ma non so perché” come se comunque ci fosse un’altra volontà che ignora, invece è sempre la stessa, non è che ci sono tante volontà. La responsabilità è la questione centrale di cui abbiamo detto mille volte ma anche per quanto riguarda questi altri aspetti come la natura, la realtà, è fondamentale perché la persona si inalbera quando alle conferenze diciamo che la realtà è un atto linguistico? Non è che debba abbandonare chissà quali concetti fisici, filosofici che ignora per altro e per lo più, semplicemente deve abbandonare qualcosa che la sbarazza della responsabilità e questo la irrita, non tanto il fatto di essere responsabile quindi padrone della situazione, ma il fatto di essere colpevole: quindi è colpa mia se succedono delle cose e questo è assolutamente inaccettabile per cui continua a pensare alla natura e tutte le storie possibili e immaginabili …
Intervento: la colpa e la responsabilità, la colpa immagina che esista un ordine morale … funziona il bene e il male …
Certo, se non ci fosse un ordine morale non ci sarebbe nessuna colpa. Perché dunque una persona non accoglie ciò che gli piace pensare? Rispondi tu a questa domanda semplice, uno pensa delle cosacce, va bene, e se gli piace pensarle che problema c’è? Occorre andare almeno aldilà del bene e del male, almeno questo e abbandonare ogni morale, una cosa è buona, una cosa è cattiva, ho fatto bene, ho fatto male, sono cattivo, sono buono. Dunque secondo te Eleonora una persona non abbandona questo pensiero cioè non abbandona il fatto di non essere lui responsabile cioè non essere lui a pensare certe cose perché gli piace pensarle semplicemente, una volta che ha ammesso che gli piace pensarle farà i conti con questo: perché mi piace? Trova delle connessioni, degli agganci, ma finché fa di tutto per eliminare la questione, per sbarazzarsene non se ne libererà mai, continuerà a girare a vuoto …
Intervento: questo implica dover rinunciare al travolgimento …
Questo è uno dei motivi …
Intervento: creato dalla paura, dall’innamoramento è al di fuori crea scombussolamento … e anche la sofferenza essere responsabile della propria sofferenza, del proprio star male …
L’abbiamo detto tante volte, se uno vuole soffrire può farlo …
Intervento: non interessa più …
Ci sono buone probabilità che cessi di farlo certo, però non arriva ancora a quel punto nel senso che non ammette questa possibilità, certo anche per i motivi di cui diceva Daniela, ma c’è anche qualcosa di più antico, di più infantile nel senso che riguarda i primi pensieri, le prime paure, spesso una cosa del genere nasconde qualcosa che si teme come se accogliendo la responsabilità di qualche cosa cioè dei propri pensieri si andasse incontro a qualcosa di terribile e cioè il fatto che per esempio qualcuno può chiedere di rendere conto di quello che sto facendo o dicendo …
Intervento: entra in gioco la connotazione morale, è come se dovesse succedere qualche cosa che non è controllabile è qualcosa che ha a che fare con la potenza quindi l’idea che esista qualcosa più potente ...
Intervento: lei prima parlava di incontrare qualcosa di mostruoso … la paura delle persone di andare in analisi perché hanno paura di scoprire chissà che cosa … il discorso ossessivo mette in mostra in modo palese come se rispondere del proprio desiderio significa trovarsi di fronte alla propria onnipotenza …
Onnipotenza che però è sempre impotenza …
Intervento: sì per la paura di questa sua onnipotenza le cose incontrollabili rispondono a questa fantasia, io non sono responsabile quindi io non sono potente … anche il discorso occidentale si para davanti in questa maniera, anche il discorso filosofico, il discorso scientifico … quello che dico, quello che penso non viene da me è stato governato altrove esistono le leggi di natura che prevedono che per esempio il cane abbai … è sempre comunque di fronte a qualcosa che funziona come norma …
Parte dall’odio nei confronti di qualcosa, di qualcuno che avverte come ingestibile, direi che se lasciasse libero corso al proprio desiderio compirebbe un massacro da qui il controllo estremo di ogni gesto, di ogni pensiero …
Intervento: ma con chi ce l’hai veramente?
Molte volte non è neanche difficile sapere da dove viene, cioè qual è la fantasia che supporta un odio generalizzato, però rimane il fatto che il discorso ossessivo questa “cattiveria” fra virgolette che avverte dentro di sé la rivolge su di sé punendosi, martoriandosi, facendosi di tutto fino al punto di crearsi dei malanni pur di dare una soddisfazione al senso di colpa, d’altra parte se uno è colpevole deve subire una pena, perché da che mondo è mondo funziona così e l’ossessivo se la infligge da sé …
Intervento: perché teme la potenza?
Perché pensa di potere uccidere tutti se solo il desiderio si liberasse, naturalmente non lo mette mai in atto …
Intervento: lei dice proprio perché non lo mette mai in atto che mantiene la voglia di uccidere …
Esatto, se lo mettesse in atto si accorgerebbe che non è niente e che non può fare tutto quello che immagina di potere fare …
Intervento: ed è di quello che gode cioè di questi pensieri che produce …
Certo, producono delle emozioni molto forti …
Intervento: coglie tutti i minimi particolari perché il pensiero ossessivo gioca con i particolari …
Intervento: questa è anche una fantasia di Freud che l’uomo sostanzialmente è cattivo come sua indole …
Non è solo di Freud, è molto più antica. La responsabilità per esempio dei propri pensieri il discorso ossessivo la tramuta in colpa, tramutandola in colpa è come se aggirasse la questione della responsabilità come dire “io sono colpevole” il fatto di dirsi colpevole chiude la questione, sono colpevole. Però a questo punto non c’è interrogazione, c’è semplicemente l’assunzione della colpa e quindi l’attesa della punizione o la messa in scena della punizione a seconda dei casi …
Intervento: in quel caso allora accoglie la responsabilità il discorso ossessivo?
Sotto forma di colpa, ma mettendola sotto forma di colpa toglie la responsabilità di fatto, la responsabilità è del discorso, in questo caso invece la colpa è della persona, è colpa di fronte a una norma che ha infranto, la responsabilità non ha nulla a che fare con le norme infrante ma è semplicemente l’accogliere i propri pensieri e interrogarli. Eleonora tu facesti una bella conferenza sul discorso ossessivo, te la ricordi? Cosa aggiungeresti alle cose dette allora, per quanto riguarda il discorso ossessivo che si incolpa sempre di tutto, di ogni cosa, perché secondo te si incolpa di ogni cosa?
Intervento: per espiare, perché si sente dio è lui il responsabile di tutto!
C’è anche questo aspetto, se una persona è colpevole di tutto vuole dire che tutto dipende da lei …
Intervento: è importante, ma è un dio che è morto … anche se lo stereotipo dell’ossessivo …
No, anzi cerca di nascondersi …
Intervento: è dimesso ma dentro di sé è un altro discorso …
Intervento: ma stiamo parlando dei suoi pensieri … poi il discorso per esempio paranoico anche lui ha a che fare con il dio, la fantasia di onnipotenza del paranoico funziona in un altro modo in quel discorso …
Nel discorso paranoico l’arroganza è manifesta, nel discorso ossessivo no, non la manifesta, non è che non ci sia ma non la manifesta, non la manifesta mai però dentro di sé ha molta arroganza. Poi che altro cosa ti verrebbe da dire a questo riguardo? Come intervenire nei confronti del discorso ossessivo per esempio in una analisi, Eleonora? Di fronte a tutta l’enunciazione delle sofferenze, delle colpe delle tragedie immani? Che ripete all’infinito ovviamente, cosa si prefigge l’ossessivo ripetendole sempre negli anni, cosa si prefigge?
Intervento: di esercitare la sua verità sull’altro anche l’ossessivo compie quell’operazione …
In un certo senso sì, come quello che vuole esibire la natura delle cose o la realtà delle cose, l’ossessivo è in una struttura molto religiosa, molto moralista, vive di bene e di male e di verità assolute, le cose sono così e non ci si può fare niente. Naturalmente non è così per sua fortuna, però è come se in alcuni casi facesse di tutto perché effettivamente le cose rimanessero così come sono cioè controllabili, è un modo per esercitare il controllo di fronte a qualche cosa. Freud parlava del discorso dell’ossessivo come di un dialetto dell’isteria; l’isteria la realtà la espone immediatamente, la dice subito, il discorso ossessivo non la enuncia ma parte dall’idea che ci sia comunque, e di conoscerla anche se non la espone mai, però le cose stanno così comunque e rimane fortemente e saldamente aggrappato a quello che pensa. Vedete che la questione della realtà in effetti la si incontra in una analisi continuamente sotto varie forme, ma principalmente sotto l’aspetto di ciò che la persona ritiene di subire cioè di qualche cosa nei cui confronti non può fare niente, come quando dice “io sono così”, che non vuole dire niente ovviamente però è come dire “sono così e non si può fare niente” per dirla ancora in altri termini la realtà è questa, come se fosse una legge di natura. Intervento: d’altra parte l’incapacità nel discorso ossessivo pare che la persona la enunci come una legge della sua natura …
È qualcosa in cui crede fortemente, finché è incapace non mette mai alla prova la sua abilità, anche questa è sempre in potenza ma non si esibisce mai, come se qualcuno dicesse “io sono il più forte di tutti” però non si mette mai alla prova con nessuno e così può continuare a pensarlo, ma magari non è così …
Intervento: una rappresentazione …
Sì, cioè non sono capace, non posso fare …
Intervento: come si diceva prima come fare a far prendere in considerazione all’ossessivo …
Lei cosa direbbe? Come si può intervenire perché una struttura del genere incomincia a interrogarsi sulle proprie affermazioni?
Intervento: una domanda sul fatto che lui chiuda il discorso dandosi la colpa di quello che avviene come se non ci fosse il suo intervento …
Sì, la cosa più difficile con il discorso ossessivo è fare in modo che la persona parli, ma non che parli semplicemente ma dica quelle cose che generalmente tace perché deve proteggersi e le protegge dall’eventualità di metterle in mostra e quindi di dovercisi confrontare, e quindi è questo che occorre fare, fare in modo che invece con queste fantasie si confronti. Delle questioni emergono spesso inavvertitamente, il compito dell’analista è fare in modo che la persona se ne accorga, che si accorga di quello che sta dicendo anche là dove l’ossessivo fa di tutto per nascondere qualche cosa cioè per non esporre il pensiero, lo nasconde nel ripetere all’infinito sempre le stesse magagne, in buona parte serve proprio a proteggersi dall’eventualità che intervenga qualcosa di nuovo. È anche sufficiente fare soffermare la persona su qualche cosa che è stato detto inavvertitamente, che passa così come un dettaglio intervenuto quasi suo malgrado che però mette in evidenza una responsabilità, non la colpa in questo caso ma la responsabilità, cioè è come una breccia in questa struttura blindata del discorso ossessivo, che ripetendo sempre le stesse cose è come se impedisse a qualunque elemento nuovo di intervenire. Il compito dell’analista è fare in modo che quell’elemento nuovo intervenga e questo elemento lo reperisce naturalmente dalle cose che dice la persona è ovvio, cioè qualcosa sfugge al suo controllo nonostante sia serrato e ferreo ma ogni tanto qualcosa sfugge, l’analista deve essere pronto a coglierlo …
Intervento: anche se la persona fa in modo di isolare quell’elemento sempre, la difficoltà dell’analisi è questa …
Non è sempre facile la psicanalisi, e il compito dell’analista non è sempre semplice, ogni discorso è “difficile” a modo suo per così dire sia quello paranoico come quello isterico. Per esempio l’isteria non offre punti di aggancio perché è un getto continuo, ininterrotto, dove ogni cosa lascia immediatamente il posto ad un’altra e quella detta prima non c’è già più …
Intervento: in questo caso?
Fare in modo in prima istanza che si renda conto di questo fiume ininterrotto nel quale in realtà non si dice niente, infinite cose che si susseguono l’una all’altra ma non c’è nessun pensiero, nessuna considerazione, nessun prendere atto di quello che sta avvenendo. Diverso ancora il discorso paranoico, sono tutte modalità con cui i vari discorsi proteggono le proprie verità, nient’altro che questo. Vuole sapere tutto questa sera …
Intervento: come la protegge la sua verità il paranoico?
Imponendola, nel senso che le cose stanno così e io lo so perché lo vedo, lo esperisco continuamente, io so come stanno le cose, e farà di tutto per ridurre l’analista a qualcuno che lui possa gestire e da quel momento generalmente interrompe l’analisi …
Intervento: nasconde la sua verità?
No, non la nasconde, fa di tutto per sedurre l’analista mostrandosi umile, mite e remissivo in modo da fare cadere l’analista nella sua trappola e cioè raggiungere una certa familiarità, talmente gli dà ragione, talmente lo accondiscende, talmente si mostra disponibile che talvolta l’analista può accadere che sia ingannato da una cosa del genere e lo consideri come una persona che ha capito tutto, ma da quel momento invece inizia la tragedia …
Intervento: l’ossessivo è quello che si mette meno in gioco rispetto agli altri …
È difficile dire e valutare se più o meno, sono solo modalità differenti, in realtà nessuno vuole mettere in gioco le cose su cui si fonda che lo sappia o no. Va bene, rifletteteci su queste cose …
Intervento: però riflettendo e costruendo la teoria del linguaggio c’è la possibilità solo in questo caso di poter arrivare ad accogliere qualsiasi stringa appartenga al nostro discorso, perché se no non c’è modo di uscirne fuori …
Va bene, ci vedremo mercoledì prossimo.