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25 giugno 2025

 

Paolo di Tarso Lettere

 

Questa stasera inizieremo a leggere le lettere di San Paolo di Tarso tenendo conto di un aspetto preciso, e cioè di come Paolo, in queste lettere, abbia di fatto costruito il cristianesimo costruendo e diffondendo l’anima bella. L’anima bella, come sappiamo, è un’espressione di Hegel, ma potremmo intenderla così: l’anima bella come colui che, mosso dall’idea di un bene assoluto, che lui conosce, si sente autorizzato a intervenire sugli altri per salvarli. Questo, in fondo, è l’anima bella: io so che cos’è il bene e, quindi, te lo impongo, così tu ti salvi anche se non vuoi. Inventare l’anima bella significa soprattutto fornire ai suoi accoliti, addetti, discepoli, seguaci, quello che vi pare, una sorta di illusione, chiamiamola così provvisoriamente, l’illusione di essere i migliori, di essere quindi al di sopra di tutti. Nelle lettere ci sono dei passi dove Paolo dice: voi cristiani siete i migliori, siete coloro che conoscono la verità, che conoscono il bene, gli altri no; Dio, quindi, appoggerà voi e condannerà loro. Cioè, ha fornito anche alle persone più umili – infatti, si rivolgeva soprattutto ai poveri di spirito - l’arma per sentirsi superiori. Ora, basta questo a creare tutto ciò che Paolo ha prodotto in seguito? Forse sì, cioè, fornire un qualche cosa per cui chi lo segue diventa superiore a tutti e si sente, quindi, in diritto, in dovere di potere giudicare tutti. Cosa che prima non c’era, neanche con Platone, in fondo. Invece, Paolo è questo che dice alle persone: voi seguitemi e io vi metterò nelle condizioni di essere al di sopra di tutti, di potere giudicare tutti. E questo fa in modo che le persone si sentano importanti, si sentano partecipi di qualche cosa di grandissimo che altri non hanno, e, quindi, ecco che io sono superiore, sono migliore. Ma questa superiorità viene praticata in una modalità che era nuova. Dicevamo forse qualche volta fa, questa operazione che fa Paolo è di trasformare il Dio, quello tremendissimo degli ebrei, quello castigatore, in un Dio di pace, di amore, di conforto e di perdono. E dicevamo anche che, in effetti, nessuno, tranne uno, si è accorto dell’inganno, cioè, della mistificazione operata da questo modo di porre le cose per ottenere il dominio totale sull’altro. È Nietzsche naturalmente, che si è accorto, anche se non ha poi proseguito tanto la cosa, forse bisognerebbe rileggere La volontà di potenza, perché lì, in effetti, si rende conto del fatto che il cristianesimo utilizzi la bontà come un’arma, un’arma potente. Come funziona questa arma? Funziona così, come ha detto Nietzsche, che ha inteso bene la questione: io sono talmente superiore a te che qualunque cosa tu voglia farmi o mi faccia mi è indifferente, perché tu sei laggiù e io sono lassù. Paolo insiste molto, lo vedremo, sull’umiliazione: io vengo a voi e mi umilio di fronte a voi; cosa impensabile, per esempio, nel greco antico. Il fatto di umiliarmi significa che io posso farlo e posso farlo perché sono talmente al di sopra di voi che posso anche fare questo. Come dicevo, nessuno si è accorto, a parte Nietzsche, di questa faccenda. Per tutti era il Dio dell’amore, della compassione, del perdono. E, invece, ha escogitato un’arma straordinariamente potente perché le persone, in questo modo, riescono a pensarsi superiori a chiunque: non c’è nessuno al di sopra di me perché l’unico al di sopra di me è Dio, non ci sono intermediari. La figura emblematica dell’anima bella è quella di Cristo: sacrifica la sua vita per salvare gli altri. Ma per salvare gli altri occorre sapere che cos’è il bene, naturalmente. Quindi, si muove da questa idea di un bene che si suppone di conoscere, di sapere, ed è questo che dà la forza, l’arroganza anche che c’è nel cristianesimo come in tutte le religioni, l’arroganza che dice “io so qual è il bene e adesso ti salvo”. Ma vediamo le parole di Paolo. Lettera ai romani. Siamo a pag. 25. Non sapete che se vi presentate da servi per ubbidire a qualcuno, siete servi di colui a cui obbedite, del peccato per morire, dell’ubbidienza per essere giustificati? Grazie a Dio, perché eravate servi del peccato e obbedienti con tutto il cuore al modello dell’insegnamento a cui eravate stati consegnati; ma liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Cioè, sempre servi siete, questo è fondamentale, però, questa volta siete servi della giustizia. Parlo in termini umani per la debolezza della vostra carne. Come infatti presentaste le vostre membra al servizio dell’impurità e dell’iniquità, così, ora presentate le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Quando eravate servi del peccato, eravate liberi dalla giustizia. Ma quale frutto avete percepito allora dalle cose di cui ora vi vergognate? il loro fine e la morte. Adesso, liberati dal peccato e divenuti servi di Dio, il vostro frutto è nella santità e il fine è la vita eterna. Il salario del peccato è la morte, mentre il dono gratuito di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, signore nostro. /…/ Che diremo dunque? La Legge è peccato? Non sia mai. Però io non conobbi il peccato se non mediante la Legge. Ci vuole una legge perché esiste un peccato. Non avrei conosciuto il desiderio, se La legge non avesse detto: Non desiderare. È curioso. Uno conosce il desiderio soltanto perché glielo proibiscono. Il peccato, prendendo spunto di lì, mediante il comandamento produsse in me ogni desiderio. È interessante questa cosa, perché è proprio il comandamento che proibisce di desiderare, che scatena il desiderio. La Chiesa poi ha messo in atto questa cosa proibendo tutte le cose più desiderabili. Senza legge il peccato è morto… Non c’è. …ma io un tempo senza Legge vivevo. Sopravvenne il comandamento e il peccato si destò a vita, mentre io morii: il comandamento, che era per la vita, a me risultò per la morte. Infatti, il peccato, prendendo spunto di lì, mi ingannò col comandamento e con questo mi uccise. Come dire, finché non c’è il comandamento, non c’è il peccato. Ma qual è l’idea di Paolo? Non è che il peccato è creato dal comandamento, il comandamento lo fa affiorare, fa in modo che tu ti accorga che esiste; naturalmente aggirando la questione, che lui stesso aveva posta, e cioè che il peccato segue necessariamente il comandamento, alla legge, senza legge non c’è peccato. Sappiamo infatti che la Legge è spirito, ed io sono carne, venduto e soggetto al peccato. Ciò che compio non lo comprendo: non ciò che voglio faccio, ma ciò che detesto, questo faccio, e nel fare ciò che non voglio riconosco la bontà della Legge. È il peccato che mi travolge: io vorrei una cosa ma è il peccato che mi muove a fare quell’altra; allora non sono più io a compiere il mio atto, ma il peccato che abita in me. Questa soluzione viene adottata poi non solo per il peccato, naturalmente, ma anche per ogni agire: se io agisco mosso dal bene assoluto, qualunque cosa io faccia, anche la più nefasta, è comunque sempre giustificata dal bene assoluto, perché io mi muovo a partire dal bene, perché Dio è con noi. Come gridavano i crociati andando a liberare lo Santo Sepolcro: Dio lo vuole. Dall’altra parte dicevano Insciallah, che significa esattamente la stessa cosa; anche per loro Dio lo vuole. Questa arma della bontà ha anche questo aspetto: se io sono mosso dal bene, se è il bene che mi muove, qualunque cosa io faccia, non può essere male; quindi, io posso scannare, sgozzare tutti quanti per il loro bene. Qui c’è il richiamo alla materia. Mi compiaccio infatti della Legge divina nell’intimo del mio essere uomo, ma vedo nelle mie membra un’altra legge, che fa guerra alla legge del mio intelletto e mi rende prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Questo fare guerra all’intelletto è una cosa ricorrente in tutta la religione. L’intelletto è sempre un problema, è sempre comunque visto come una minaccia per la fede, perché l’intelletto interroga, mentre la fede dice no, non devi interrogare. Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, signore nostro. Dunque, allora, da un lato io servo con l’intelletto la Legge di Dio, che dall’altro con la carne la legge del peccato. Il corpo come materia, che deve essere eliminata, cancellato. È qui che sorge, in fondo, poi ripreso da Plotino abbondantemente, ma ricordiamoci che Paolo scrive queste cose un paio di secoli prima di Plotino. Però già c’era l’idea della materia come qualche cosa di potenzialmente peccaminosa, che, quindi, deve essere eliminato. Infatti, chi vive secondo la carne ha le aspirazioni della carne, mentre chi vive secondo lo spirito ha le aspirazioni dello spirito. E l’aspirazione della carne è morte, mentre l’aspirazione dello spirito è vita e pace. L’aspirazione della carne è quindi nemica di Dio. Perché si intende che l’aspirazione dell’intelletto sia l’aspirazione a rivolgersi a Dio. A pag. 29. Infatti, nella speranza siamo stati salvati, e una speranza visibile non è speranza, perché ciò che si vede come si può ancora sperare? Noi speriamo ciò che non vediamo, e attendiamo pazientemente. Questi sono gli insegnamenti di Paolo ai suoi accoliti con cui inizia a gettare le basi per edificare un pensiero che muove dall’idea che ci sia un bene, rispetto al quale siamo tutti peccatori; quindi, io mi umilio di fronte all’altro, non perché sono meno dell’altro, ma perché sono molto di più di lui. Io mi umilio di fronte a Dio perché c’è solo Dio sopra di me. A pag. 37. Dico a voi gentili: in quanto inviato per i gentili io rendo glorioso il mio ministero se in qualche modo potrò rendere gelosi coloro che sono della mia carne, e salvarne alcuni. /…/ Se, infatti, la prima porzione è santificata, lo è anche la massa; e se la radice è santa, lo sono anche i rami. Se alcuni dei rami furono amputati, e tu, un olivastro, sei stato innestato al posto loro e sei diventato compartecipe della radice e del pingue succo dell’olivo, non vantarti a dispetto dei rami. Se ti vanti, non sei però tu a portare la radice, ma la radice te. Dirai allora: i rami furono amputati affinché io fossi innestato. Bene, furono amputati per l’incredulità, e tu sei lì per la fede. Non sentirti in alto, temi piuttosto. Se infatti Dio non risparmiò i rami connaturati alla pianta, nemmeno te risparmierà. Osserva la benevolenza e la severità di Dio, sui caduti la severità e su te la benevolenza di Dio se persisterai nella sua benevolenza… L’operazione che sta facendo Paolo è di fare apparire il male dal nulla, un male terribile, un male assoluto. Lo fa apparire dal nulla, come per magia, mostrando le cose tremende che accadono se non si compie la volontà di Dio. Sembrerebbe quasi che il male esista soltanto per la gloria di Dio. E qui c’è una questione interessante, perché in effetti il male è sempre un’invenzione, non esiste in natura, ma viene inventato, perché così, se io parlo in nome del bene, gli altri che non sanno io li posso salvare dal male. Se non c’è il male da cosa mi salvo? A pag. 39. O abisso della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio, come sono imperscrutabili i suoi giudizi e indecifrabili le sue vie. Questo bisogna ripeterlo sempre, che la volontà di Dio è imperscrutabile, indecifrabile. Chi infatti conobbe l’intelletto del Signore? o chi fu suo consigliere? o chi lo prevenne nel dono e verrà ricambiato per questo? Poiché da Lui e per Lui vengono e a Lui vanno tutte le cose. C’è sempre la necessità, ma questo accade in tutte le religioni, di instillare un pensiero - è poi stato su questo che Plotino eccelleva - il pensiero dell’ineffabile, dell’imperscrutabile, dell’Uno. Qui ancora non c’è Plotino ma già si vede la necessità dell’ineffabile per persuadere. Nella retorica ancora oggi, per esempio nello scritto di Perelman, il suggerimento è quello di fornire il minor numero di spiegazioni, di argomentazioni. Più spiegazioni, più argomentazioni si offrono più si dà all’altro, all’interlocutore, strumenti per controbattere, per controargomentare. Quindi l’ineffabile è anche la condizione fondamentale della retorica, e cioè che ci sia qualcosa che non si può dire, che non si può spiegare, che non si può argomentare: è così perché è sempre stato così. A pag. 41. Il vostro amore, sia sincero; aborrite il male, aderite al bene. Amatevi l’un l’altro d’amore fraterno, prevenitevi l’un l’altro nel rendervi onore a vicenda, non esitanti nella solitudine, ferventi di spirito, pronti al servizio divino, gioiosi nella speranza, pazienti nell’afflizione, tenaci nella preghiera, associati ai bisogni dei santi, solerti nell’ospitalità. Benedite i vostri persecutori... Questo è il massimo, direbbe Nietzsche, della volontà di potenza. …benedite e non esecrate. Gioire con chi gioisce, piangere con chi piange, avendo le stesse aspirazioni e non aspirando alle cose poste in alto, ma attratti dalle umili. Non consideratevi troppo, non rendete a nessuno male per male, mirando a ciò che è bello davanti a tutti gli uomini, se possibile, per quanto dipende da voi, stanno in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, o miei amati, ma fate posto alla sua ira, perché sta scritto: A me far giustizia, io retribuirò, dice il Signore. Piuttosto, se ha fame il tuo nemico dagli del cibo, se ha sete dagli da bere; così facendo, accumulerai carbone ardenti sul tuo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene.  Bisogna vincere il male con il bene. Quindi, il bene come un’arma. Ma il male che cos’è? Il male sono tutti coloro che non credono in Dio, che non si sottomettono. Il male sono i molti. Ogni persona si sottometta al potere dei superiori. Non vi è potere se non da Dio, e quanti esistono sono disposti da Dio. Così chi si oppone al potere contesta l’ordine divino… Perché l’ordine sulla terra è un ordine che viene da Dio. I governanti, infatti, non sono temibili per chi opera il bene, ma il male. Desideri non provar timore del potere? fa il bene e ne riceverai elogi: infatti, il potere e al servizio di Dio per il tuo bene. Se invece fai il male, abbi timore, poiché non porta la spada invano: è al servizio di Dio per rendere giustizia alla sua ira verso chi fa il male. Di qui l’obbligo di sottomettersi, non solo per l’ira divina ma anche per coscienza. Quindi pagate anche i tributi, perché costoro sono ministri di Dio, addetti a quell’ufficio. Rendete a tutti il dovuto, il tributo a chi si deve il dovuto il tributo, l’imposta a chi si deve l’imposta, il timore a chi si deve timore, l’onore a chi si deve l’onore. È l’anima bella, timorata da Dio e dalle leggi. A pag. 43. Io vivo, dice il Signore, poiché per me si piegherà ogni ginocchio, e ogni lingua professerà Dio. Cioè, lui vive perché gli altri si inginocchino davanti a lui. Questi sono i fondamenti.

Intervento: …

Ci si sottomette perché sottomettendosi si ottiene il potere di essere al di sopra di tutti. Se ti sottometti a Dio, allora potrai sottomettere tutti. A pag. 49. Vi esorto, fratelli, a osservare quanti fanno sedizioni e insidie contrarie all’insegnamento che avete appreso: scostatevi da loro. Uomini come quelli non servono al nostro Signore, Cristo, ma al proprio ventre, e con parole benevole e ben dette ingannano i cuori degli innocenti. È esattamente quello che sta facendo lui, naturalmente. La vostra obbedienza è arrivata a tutti, quindi gioisco di voi; ma vorrei che foste sapienti rispetto al bene e mondi rispetto al male. Il Dio della pace stritolerà il Satana sotto i vostri piedi, rapidamente. Il Satana sono i molti, cioè, quelli che non si sottomettono. I molti sono ciò che non si sottomette, e quindi vanno stritolati. A pag. 61. Siamo alla prima lettera ai Corinti. Farò perire la sapienza dei sapienti e abolirò l’intelligenza degli intelligenti. Abolire l’intelligenza: questo è il messaggio di Paolo. Sottomettersi a Gesù Cristo e abolire l’intelligenza. Lo dice qui: farò perire la sapienza dei sapienti. Dov’è il paziente, dov’è il dotto? Dov’è il dialettico di questo tempo? Dio non ha reso follia alla sapienza mondana? Secondo la sapienza di Dio, il mondo non conobbe Dio con la sapienza. Qui c’è tutta la questione della grazia, che poi riprenderà Agostino: non è attraverso la sapienza, attraverso la dialettica logica che puoi conoscere Dio. Da qui poi lo scontro fra dialettici e antidialettici. …il mondo non conobbe Dio con la sapienza… ma appunto con la fede, fede che è data dalla grazia di Dio. …quindi Dio si compiacque di salvare i credenti con la follia del suo messaggio. I Giudei cercano segnali, i Greci una sapienza, e il nostro messaggio è Cristo crocifisso, insidia per i Giudei, follia per i gentili, mentre per i chiamati, siano giudei o greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, poiché la follia di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio più forte degli uomini. Si gioca sempre qui sulla sapienza, sull’ignoranza, sulla forza, sulla debolezza. Sono due momenti che intervengono continuamente, perché Dio sottomette, cioè, umilia l’intelligenza, ma lui è intelligenza assoluta, e il suo messaggio appare folle perché noi non lo possiamo comprendere. A pag. 63. Anch’io quando venni da voi, fratelli, non venni ad annunciare per voi con linguaggio e sapienza elevata la testimonianza di Dio: giudicai infatti di non dover sapere d’altro fra voi che di Gesù Cristo, e di Lui crocefisso; e mi sono trovato davanti a voi grandemente debole, timoroso, trepido. Che sarebbe retoricamente una captatio benevolentiae. Cioè, lui si fa timoroso, si mostra come debole. Perché può fare questo? Perché lui sa che ha alle spalle la potenza di Dio e questa potenza di Dio lo rende totalmente, assolutamente, incontrovertibilmente superiore a tutti. …il mio discorso e il mio messaggio non furono nei linguaggi suadenti della sapienza umana, ma nel chiarimento della potenza dello spirito, affinché la nostra fede non si fondasse sulla sapienza degli uomini ma sulla potenza di Dio. Quindi, lui ha dovuto mostrare, esibire continuamente la potenza di Dio. Ma come la mostra? Facendosi, apparendo un modesto, umile, debole, in modo da esaltare la onnipotenza di Dio. L’uomo animale non riceve le cose dello Spirito in Dio, che per lui sono follie, né può conoscerle… L’uomo animale sarebbe quello che non riconosce, che non si sottomette a Dio. …che per lui sono follie, né può conoscerle, perché con lo spirito vanno giudicate. Con lo spirito e non con l’intelletto. Che, poi, con Plotino diventerà la consapevolezza interiore: devi ricevere Dio e sentirlo. Badate bene, qui riesce a carpire la connivenza del suo pubblico. L’uomo spirituale invece giudica tutto e non è giudicato da nessuno. Eccolo, il fulcro di tutto: l’uomo spirituale, cioè l’uomo sottomesso a Dio, può giudicare su tutto perché è autorizzato dalla conoscenza del bene, ma nessuno può giudicare lui perché sarebbe come giudicare Dio stesso. E chi può giudicare Dio? Chi, infatti, conobbe l’intelletto del Signore, chi lo istruì? Noi sì abbiamo l’intelletto di Cristo. Ecco, noi che sappiamo possiamo giudicare tutto senza poter essere giudicati da nessuno. Ecco quali sono gli argomenti che hanno fatto presa, che hanno costruito il cristianesimo: sottomettetevi e io vi offro questo potere enorme di potere giudicare tutti senza poter essere giudicati da nessuno. E io, fratelli, non potrei parlarvi come a uomini spirituali, bensì carnali; come bambini in Cristo. Aveva già capito che bisogna parlare come a dei bambini stupidi. Vi ho dato latte a bere, non cibo, perché non eravate ancora capaci. Vedete come trapela continuamente l’arroganza dell’anima bella di colui che crede di sapere che cos’è il bene, di possedere il bene. A pag. 65. Nessuno si inganni: se qualcuno fra voi ritiene di essere sapiente per questo tempo, diventi folle per diventare sapiente… Quindi, abbandoni la sapienza, abbandoni l’argomentazione, la logica, abbandoni l’intelligenza. La sapienza di questo mondo, infatti, è follia davanti a Dio. Sta scritto: Colui che piglia i sapienti con la loro astuzia... Questo sarebbe Dio che piglia i sapienti con la loro sapienza. Più astuto dei sapienti, una lenza, diceva mia nonna, cioè, uno che sa ingannare meglio degli ingannatori. Il Signore conosce i ragionamenti dei sapienti, come siano futili. Nessuno, dunque, si vanti fra gli uomini. Tutto infatti è vostro, Paolo, Apollo, Cefa, e il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto vostro, e voi di Cristo… Cioè, voi possedete tutto, ma ricordate che voi siete di Cristo. Ecco che si sta costruendo il cristianesimo, punto dopo punto. A pag. 67. Chi, infatti, ti distingue dagli altri, e cos’hai che tu non abbia ricevuto? Tutto quello che hai te l’ha dato Dio. E se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se non fosse così? Siete già sazi, già ricchi, siete diventati re senza di noi: e fosse vero, perché con voi noi pure fossimo re. Credo infatti che Dio abbia indicato come infimi noi, gli inviati, quasi dannati a morte, poiché siamo stati fatti spettacolo al mondo e agli angeli e agli uomini: noi folli a causa di Cristo, voi sensate in Cristo; noi deboli, voi forti, voi gloriosi, noi spregiati. Fino a questo momento soffriamo fame e sete, siamo ignudi e schiaffeggiati ed errabondi, e fatichiamo lavorando con le nostre mani. Insolentiti, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, confortiamo. Siamo stati fatti immondizia del mondo, la spazzatura di ogni dove fino a questo momento. Come dire: voi umani siete mondezza; però, se vi sottomettete a Dio, allora vi porrete al di sopra di questa spazzatura, sennò rimarrete spazzatura. A pag. 71. A proposito di quanto mi avete scritto, è bene per un uomo non toccare donna; tuttavia, a motivo della dissolutezza, ogni uomo abbia la propria donna e ogni donna il proprio uomo. Alla donna l’uomo renda quanto le deve, così pure la donna all’uomo. La donna non ha potere sul proprio corpo, bensì l’uomo, così pure l’uomo non ha potere sul proprio corpo, bensì la donna. Non sottraetevi l’uno all’altro se non d’accordo e temporaneamente, per attendere alla preghiera; poi ricongiungetevi, perché il Satana non vi metta alla prova per la vostra incontinenza. Questa è una concessione che faccio, non un ordine. Vorrei che tutti gli uomini fossero come me; però ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro. A pag. 77. Così anche il Signore ha disposto che chi annuncia l’Evangelo viva dell’Evangelo. Io non ho mai abusato di questi diritti, né lo scrivo perché così avvenga anche per me. Preferirei morire piuttosto. Nessuno svuoterà questo mio vanto. Se trasmetto l’Evangelo non è un motivo di vanto per me, ma una necessità che mi costringe: guai a me se non lo facessi. Ecco l’anima bella. Non è che vuole salvare qualcuno per sé, lui è costretto a salvare, per necessità, perché lui sa che cosa è il bene, l’altro non lo sa, quindi deve intervenire per forza, non può sottrarsi. Se lo faccio volentieri, mi tocca un compenso; se malvolentieri, è un’amministrazione che mi è stata affidata. Quale dunque il mio compenso? Trasmettere l’Evangelo senza dispendio nel trasmetterlo, per non abusare della facoltà che dall’Evangelo mi deriva. Sono costretto a trasmettere il Vangelo perché lì sta la verità, lì sta il bene, lì sta tutto. Io sono soltanto un servo del Vangelo, un servo di Dio e, in quanto servo, servo per il vostro bene.