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25-6-2014

 

La semiotica è la scienza dei segni, io ho incominciato l’altra volta a dire delle cose, e cioè che Greimas ha in animo di costruire una linguistica, una semiotica che renda conto del modo in cui parlando si produce la significazione, cioè l’effetto di senso, per cui una persona si rivolge a qualcuno e per esempio quell’altro capisce quello che gli sta dicendo, ciò che capisce è un effetto di senso. Per fare questo ha incominciato a considerare che, intanto occorre dire, prima ancora di tutto, che lui segue l’insegnamento di De Saussure, un linguista ginevrino il quale aveva distinto il segno in significato e significante, il significante è l’immagine acustica, il suono, e il significato è il concetto, faceva l’esempio dell’albero, dunque la parola che dico, il concetto di albero, e poi il referente, che sarebbe l’alberello in quanto tale. Ora la significazione è per De Saussure la connessione tra il significato e il significante, anche per Greimas funziona a questa maniera, però lui cerca di aggiungere degli elementi e cioè si accorge che il senso, il significato di un discorso procede dalla contrapposizione tra un elemento e il suo opposto, l’idea è che parlando per esempio di “maschio” l’opposto sarebbe “femmina”, ora tra questi due elementi c’è una relazione perché in questa relazione si produce un terzo elemento per esempio da uomo/donna si produce “sessualità” poi sessualità/non sessualità, da questi due elementi si produce “asessualità” e così via. Ho fatto un esempio banale ovviamente, però lui dice che il senso, cioè la significazione, si produce da elementi opposti tra loro, detto questo considera ancora che occorre dopo questa breve presentazione, occorre incominciare a considerare l’elemento. Come si produce il significato mentre si parla? Una qualunque parola è costituita intanto da un nucleo che chiama “nucleo semico” da “sema” “segno” in greco. Se prendiamo la parola “testa” qual è la minima cosa che si può dire di testa? Greimas dice “parte del corpo”, secondo lui di meno non si può dire, ecco, ciò che di meno non si può dire di una parola lui lo chiama il “nucleo semico” che non è propriamente la definizione della parola che trovate sul dizionario, perché sul dizionario non trovate “parte del corpo”, anche, ma trovate molte altre cose ovviamente, però secondo Greimas occorre partire da ciò che di meno non si può dire. Il nucleo semico è il punto di partenza, di fatto si parte da lì, poi si accorge che una parola è presa in una rete di connessioni con altre parole, tanto che giunge a dire che se una parola non fosse presa in questa rete di connessioni con altre parole, la parola isolata non esisterebbe: se voi prendete questo lessema, come lo chiama lui o termine o parola, “testa” lui la definisce appunto come parte del corpo, però se voi la isolate da tutte le altre parole allora anche “parte” “del” “corpo” anche queste tre parole non significano più niente perché per significare devono rinviare, ciascuna di queste tre, a qualche altra parola. Come vedete si tratta di una rete che è sempre più complessa, fino ad arrivare a una complessità inimmaginabile che c’è ogni volta che si apre bocca intendiamoci, comunque sia la parola da sé isolata non esiste semplicemente, esiste in quanto all’interno di un sistema di segni. Questa è una delle cose più importanti che rileva Greimas, il quale aggiunge che oltre a questo nucleo, che da solo non basta ovviamente, c’è una costellazione, ciascuna parola ha intorno come una costellazione di altri segni, di altre parole. Quindi abbiamo un nucleo semico che è il minimo che si può dire più una costellazione di altri segni, ora l’unione del nucleo semico, la base di tutto insieme con questa costellazione di altri segni, è ciò che lui chiama “semema”, questa sarebbe la parola così come si dice in quanto connessa con molte altre cose, questo è il “semema”. Ma i sememi, cioè la parola in quanto veicolo di significato, si raggruppa in altre classi di segni e li chiama “classemi” e tutte queste cose formano mano a mano, sempre per aggiunta, per espansione, il discorso: cioè dal primo elemento costitutivo per aggiunta, per implementazione potremmo dire, si crea qualunque tipo di discorso, anche straordinariamente complesso perché ogni parola ha in sé una quantità quasi infinita di connessioni, quindi come fare a isolarla? Parlando c’è una libertà che sembra illimitata, ma poi di fatto non lo è, ha dei limiti questa libertà, non è proprio assoluta, e cioè questa libertà è vincolata ai rapporti che ci sono all’interno delle varie classi di sememi, queste classi sono connesse tra loro per esempio da un’altra classe di sememi oppure anche da un solo semema che può costituire la connessione tra le varie classi. Poi studia i tipi di queste varie connessioni, connessioni iponimiche, iperonimiche, ipotattiche, paratattiche a seconda dalla struttura. Questo vi dà un’idea così per cominciare di come funziona il linguaggio mentre si parla, perché quello che a lui interessa è studiare il linguaggio così detto naturale, il linguaggio che si parla continuamente non un linguaggio formalizzato, ma il linguaggio naturale, l’italiano per esempio, nel suo caso il francese. Dunque funziona in questo modo si raggruppano delle classi di elementi connesse tra di loro a costituire conglomerati sempre più complessi però queste classi mantengono fra loro, una classe con un’altra, almeno un elemento che li connette. Questi gruppi di sememi o classi di sememi quando permangono all’interno di un sistema sempre gli stessi costituiscono per Greimas una “isotopia” dal greco “iso – topos” “stesso luogo”, cioè come se degli elementi rimanessero sempre nello stesso luogo a formare un’isotopia. Questo è importante per il discorso che faremo tra poco, perché Greimas conosceva la psicanalisi, conosceva Freud e conosceva anche Lacan, interessante per una sorta di parallelo che incomincia a fare tra delle isotopie, che possono essere più di una ovviamente, e ciò che dice Freud a proposito di un contenuto manifesto e un contenuto latente; per Freud il contenuto manifesto è ciò che la persona sa, il contenuto latente è ciò che la persona non sa, ciò che è inconscio, ciò che è rimosso. Questi due piani li mette in evidenza anche Greimas però preferisce, anziché di piano manifesto e piano latente, parlare di isotopie, una isotopia è manifesta l’altra no, l’altra dice lui è negativa. Questo può essere di qualche interesse però a questo punto vediamo quello che dice lui ché può essere interessante leggere le sue parole, qui aggiunge qualche cosa alla sua nozione di semema, il significato di una parola dice se è vero che un semema qualunque si definisce come un gruppo semico suscettibile di addizioni semiologiche che ne variano l’espressione, - ciascun sema può connettersi con altri continuamente questo è il modo in cui funziona il linguaggio – esso è anche caratterizzato dalla totalità delle sue determinazioni possibili – dice non soltanto quelle in atto ma anche quelle possibili – cioè dall’insieme di qualificazioni che gli si possono attribuire o dall’insieme di predicazioni che esso ammette – cioè tutte le possibili connessioni che un elemento può contrarre con altre parole sterminate –in questo secondo caso le affermazioni degli oggetti simbolici del mondo sono in numero infinito – lui dice pensate alla definizione che potere trovare nelle parole crociate dove trovate scritto lo era Nerone, rimanda se si vuole a “tiranno” in genere però può corrispondere a molti altri epiteti, quante cose poteva essere Nerone? Infinite praticamente – poi qui fa una cosa che a noi potrebbe interessare perché riprende una storiella che racconta Freud, Freud ne parla nel Motto di Spirito: un mercante di cavalli offre a un cliente un cavallo da sella, con questo cavallo, dice, lei parte alle quattro del mattino e alle sei e mezza è a Presburgo e l’altro dice: che cosa ci faccio a Presburgo alle sei e mezza del mattino? - sono storielle ebraiche che piacevano a Freud che ne racconta a bizzeffe – in questa storia la seconda isotopia – cioè c’è una isotopia manifesta che è quella che si legge nel testo, poi ce ne è una che è nascosta perché se no non si intende la battuta di spirito che fa il secondo personaggio “cosa ci faccio a Presburgo alle sei e mezzo del mattino?” è chiaro che il mercante di cavalli voleva semplicemente fare un esempio di quanto fosse veloce, non stava suggerendo di andare alla mattina a Presburgo, a fare cosa? Giustamente chiede l’altro, qui vedete che ci sono due isotopie, una manifesta e una nascosta, quella nascosta è quella che una volta svelata rivela il motto di spirito – la seconda isotopia quasi letterale presuppone evidentemente ed è la condizione essenziale dell’umorismo l’esistenza di una prima isotopia non letterale, effettivamente ogni ascoltatore medio e colto cercherà di cogliere e coglierà spontaneamente, in quanto accetti le regole formali del gioco questa prima isotopia, essa tuttavia comporta determinanti elementi fattuali che sono sconosciuti, per esempio può non sapere che Presburgo è l’antica denominazione di Bratislava, come può non conoscere né l’una né l’altra, parimenti gli è del tutto ignoto dove si trovino al momento dell’immaginario scambio di messaggi il mercante e il suo cliente, - potrebbero anche essere a New York che ne sa lui? – perciò a maggior ragione la distanza che separa i due luoghi è sconosciuta, tuttavia tutte queste conoscenze “spontanee” non sono affatto implicite nei fatti contenuti nella sequenza in questione e non possono derivargli, e insistiamo su questo punto, dalla conoscenza degli avvenimenti, ma unicamente dal contesto globale anche se questo gli è fornito da una breve presentazione “un mercante di cavalli offre a un cliente un cavallo da sella” questa è la presentazione, il contesto annuncia infatti per mezzo delle informazioni che contiene (con l’utilizzazione di un grafema sintattico, nel caso specifico i due punti) dice- che cosa contiene questa prima presentazione? Contiene un messaggio successivo cioè c’è l’attesa di qualche cosa che sta per arrivare, il cui il parlante sarà il mercante, il cui soggetto sarà il cavallo da sella e il cui predicato conterrà l’attribuzione di una qualità positiva qualsiasi al soggetto dell’enunciato atteso cioè il cavallo – queste sono tutte le cose che secondo Greimas chi ascolta questa storiella recepisce e sono quelle che gli consentono poi di trarre l’effetto umoristico, ammesso che ce ne sia uno. Come si vede l’informazione che ci si attende è in larga misura predeterminata dall’isotopia del contesto, essa consisterà nella scelta di una variabile entro la classe delle possibili qualità positive di un cavallo da sella cioè chi ascolta questa storiella sa già che un cavallo da sella ha delle qualità, una di queste è di essere veloce, però l’essere veloce occorre che si agganci con qualche cosa di questa storiella il messaggio realmente manifestato con la presenza dei termini “presenza” e “arrivo” attribuisce al cavallo solo il predicato “spostamento” ci dice soltanto che questo cavallo si sposta, di fatto non aggiunge altro, il mercante non dice che è veloce, lo fa intuire ma come? La vera funzione di tale messaggio appare a questo punto chiara, essa consiste unicamente nel selezionare, nello specificare per mezzo del predicato “spostamento” il termine generico compatibile con esso, entro il paradigma delle qualità del cavallo cioè entro le possibili qualità di un cavallo perché il cavallo può anche essere buono a mangiarsi, se a uno piace la carne di cavallo, ma non è questo il caso tutta la sequenza fattuale - cioè la sequenza dei fatti – viene a costituire la definizione obliqua di cavallo, il cavallo è un cavallo veloce, il fatto che lui sottolinei lo spostamento, perché lo porta da un posto a un altro, comporta una possibilità di scelta fra tutte le qualità del cavallo, in questo caso se si parla di spostamento da un posto a un altro la più probabile è la velocità e infatti è quello che voleva dire il mercante dicendo che se prendeva quel cavallo alle sei e mezza era già a Presburgo. Ora comprendiamo meglio il procedere del pensiero che per essere deduttivo, perché il cavallo è veloce, allora la distanza che dovrà percorrere deve essere grande, ci dispensa dalla conoscenza reale degli avvenimenti riferiti. A questo punto dice Greimas è irrilevante sapere da dove è partito, dove si trovano, non importa perché quello che si coglie è il fatto che c’è una certa distanza in ciò che dice il mercante “questo cavallo ti porta da qui a Bratislava in poco tempo” perché tutte queste informazioni sono irrilevanti, sapere dov’è Bratislava, sapere se esiste una città con questo nome? Perché comunque questi elementi hanno dei riferimenti all’interno del contesto, badate bene, perché fuori dal contesto cambia tutto, ma dal conteso di questa storiella i riferimenti sono sufficienti a compiere una scelta di elementi per cui la scelta in questo caso è inevitabile, il cavallo si accosta con veloce e non con buono, con baio, non con alto, nient’altro che questo: cavallo veloce. È inutile sottolineare l’importanza metodologica di un fatto del genere per la descrizione semantica che in questo modo viene ad essere liberata da uno dei suoi più seri andicap, essa incomincia con il fondare una isotopia certa su cui verranno a collocarsi le figure più strane e più inattese, una cosa del genere è come se producesse, creasse una sorta di isotopia, selezionando tutti gli elementi che appaiono in questa storiella come pertinenti si crea un’isotopia tale da condurre a pensare quindi che il cavallo che vuole vendere è veloce. Io prima ho dato una definizione di isotopia generica, adesso se volete vi leggo quella precisa che dà lui di isotopia di un testo: si tratta della permanenza di una base classematica gerarchizzata che permette grazie all’apertura dei paradigmi costituiti dalle categorie classematiche le variazioni delle unità di manifestazione, variazioni le quali lungi da distruggere l’isotopia la confermano. “La permanenza di una base classematica” cioè permangono delle classi di sememi, rimangono lì invariati, “gerarchizzata”, perché gerarchizzata? Perché da una classe di sememi si può dedurre un’altra per induzione, per deduzione, per quello che volete, però è gerarchizzata nel senso che da una è possibile procedere a un’altra, in modo logico, coerente, questa permanenza grazie all’apertura “dei paradigmi costituiti dalle categorie classematiche” le categorie classematiche sono dei paradigmi, faceva prima l’esempio del cavallo, il fatto che sia veloce è uno degli elementi del paradigma di cavallo cioè di tutte le cose che possiamo dire di un cavallo, fra tutte queste c’è “veloce”. Certo anche qui qualcuno potrebbe obiettare: veloce rispetto a che? Veloce rispetto a un aereo? Si possono fare molte obiezioni, ma le faremo poi alla fine, dunque all’“apertura dei paradigmi” perché questi paradigmi non sono chiusi ma risultano aperti, nel senso che è possibile comunque aggiungere sempre altri paradigmi però sempre all’interno di questa isotopia cioè qualche cosa che ha a che fare con il cavallo per esempio, con la sua velocità, si possono aggiungere delle parole, dei termini perché no? Ma sempre all’interno di questo, “variazioni che lungi da distruggere l’isotopia” perché a forza di aggiungere potrebbe apparire che l’isotopia a un certo punto esploda tanti sono gli elementi che si aggiungono e invece Greimas dice di no, che non si distrugge l’isotopia anzi la confermano, cioè confermano che tutti questi elementi appartenendo allo stesso paradigma, rimangono all’interno dell’isotopia perché io continuerò sempre a dire cose che hanno a che fare con la velocità del cavallo. Ecco qui a un certo punto dice: è facile contrapporre l’organizzazione voluta di isotopia complesse “voluta” nel senso che per costruire per esempio un motto di spirito, se io voglio costruirlo il fatto che ci sia un’isotopia nascosta che l’altro deve rilevare è voluto, lo faccio apposta, perché lui possa riconoscere l’isotopia nascosta e farsi una risata. Dice: è facile contrapporre questo al funzionamento inconscio del discorso, investito di miti sociali o individuali e concepire la letteratura come gioco consapevole che ha lo scopo di procurarci piacere estetico attraverso la scoperta di isotopie nascoste. Qual è per esempio il piacere che dà il risolvere i rebus? Perché uno fa un rebus? Per il piacere di scoprire l’isotopia che è nascosta, in quel caso da alcune immagini più alcune lettere, lui dice: è vero bensì che alcuni generi letterari e persino certe scritture che riempiono ampi periodi storici, si presentano facilmente a una simile interpretazione, ci si può tuttavia chiedere anche scegliendo casi limite in cui la chiave della lettura bi isotopa sia chiaramente indicata dalla formulazione esplicita delle articolazioni complesse delle categorie classematiche /…/ la comunicazione poetica è essenzialmente una comunicazione assunta in un certo modo tanto dal destinatario quanto dal destinatore cioè entrambi conoscono sia l’isotopia manifesta che l’isotopia nascosta perché la cosa funzioni, perché se il lettore non ha nessuna possibilità di scoprire l’isotopia nascosta allora anche quella manifesta lascia il tempo che trova, cioè non serve a niente. La psicanalisi freudiana seguita dalla “psicologia del profondo” ci ha abituati a cercare di distinguere in ogni comunicazione due piani di trasmissione dei messaggi, uno dei quali sarebbe manifesto e l’altro latente, tale distinzione per quanto riguarda il discorso colto nel suo funzionamento – dice Greimas – non ci sembra valida, da un lato tutto è manifestato nel discorso purché l’ascoltatore sia contemporaneamente anche il destinatario del messaggio – cioè se chi ascolta è colui al quale il messaggio è rivolto e quindi chi fa questo messaggio, chi lo produce, sa che sta parlando con quella persona e quindi dice le cose in modo tale che l’altro lo comprenda. Dunque dice Greimas, da un lato tutto è manifestato nel discorso purché il destinatore sia contemporaneamente anche il destinatario, dall’altro lato tutto in esso è latente cioè immanente, nel senso che il discorso è sempre cifrato, e che l’operazione di decodificazione è interamente compito del ricevente, questo è importante, ci sta dicendo che il messaggio è sempre cifrato, e cioè c’è sempre qualcosa di latente in ciò che si dice, non è mai tutto manifestato, ovviamente perché quando si dice una qualunque cosa è ovvio che le parole che compongono questo messaggio io le dico, ma Simona per esempio può intenderle in un modo che non è il mio. Supponiamo che io invii un messaggio però all’interno di un contesto che è quello che io sto pensando in quel momento, i miei pensieri in questo momento, questo messaggio va a Simona la quale lo riceve ovviamente all’interno del contesto di ciò che sta pensando lei in questo momento e quindi non è così automatico che il messaggio sia tutto manifesto, ma questo non significa che sia indicibile, può essere detto perché se appartiene al linguaggio è dicibile, si tratta soltanto di estrapolare l’isotopia nascosta, esattamente come in una storiella, in una barzelletta. Se abbandonando il secolare pregiudizio del linguaggio considerato come un codice completo comune al parlante e all’ascoltatore – come se fosse un linguaggio che si svolge tra macchine, ciascuna delle macchine dice soltanto quello che dice e l’altra riceve senza nessuna ridondanza perché tutto ciò che c’è in più, possiamo chiamarlo ridondanza, che per altro è anche ciò che consente la trasmissione del messaggio, i messaggi si capiscono perché sono ridondanti perché ripetono un sacco di volte la stessa cosa all’interno del messaggio- se ci si volge invece a considerare la comunicazione orale quotidiana ci si rende conto che essa anche nelle migliori condizioni è difficile e incompleta, niente di strano quindi se chi sogna non arriva a decodificare il suo stesso discorso onirico, per spiegare questa sua incapacità non è affatto necessario il ricorso all’esistenza di un piano latente – qui sta criticando la psicanalisi ovviamente – più di un linguista riconoscerà, almeno in privato, di avere incontrato difficoltà a proseguire in modo continuato la lettura dei Prolegomena dello Hjelmslev che ben difficilmente si potrà accusare di avere voluto introdurvi una seconda dimensione anagogica della significazione – anagogica significa spirituale, una cosa che va al di là della comprensione – in un caso che nell’altro la principale difficoltà della lettura consiste nello scoprire l’isotopia del testo e nel sapersi attenere ad essa, proprio per fare questo Hjelmslev ha aggiunto 108 definizioni, perché uno abbia la possibilità di attenersi all’isotopia del testo cioè senza andarvi a cercare chissà quali difficoltà. Hjelmslev ogni volta che inserisce un termine dice in quale modo lo sta utilizzando, in questo modo cerca di evitare appunto la dispersione totale e assoluta e cioè il fatto che qualcuno leggendo ci veda chissà quale altra cosa, no “sto dicendo questo e questa è la definizione che do” se tuttavia dovesse sembrare opportuno rendere più netta, insistendo sulla terminologia, l’opposizione tra le due isotopie simultanee del discorso, noi proporremmo i termini “testo” e “metatesto” – a lui piace di più così anziché piano manifesto e piano latente – la distinzione tra testo e metatesto sarebbe esclusivamente operativa - quindi esclude tutta una serie di questioni che riguardano l’inconscio, che riguardano la rimozione, è semplicemente una questione operativa, non c’è nient’altro, se non un’esigenza operativa e metodologica - e almeno in un primo tempo potrebbe essere fondata solo su un generico buon senso e sulla valutazione media della comunicazione - certo qui ci sarebbe molto da obiettare, qual è la “valutazione media”, cosa si intende esattamente con “comunicazione”? Tutte questioni che per il momento lasciamo aperte, in effetti dice: da questo punto di vista il testo onirico appare a chi sogna insieme leggibile e insolito addirittura assurdo, mentre il metatesto (piano latente, inconscio) resta illeggibile ma apparirà sensato dopo l’analisi lettura di esso, allo stesso modo un testo come “le soleil noir de la melanconie, dice Greimas, è leggibile e assurdo, ciascuno sa cosa vogliono dire queste parole e quindi è leggibile, è assurdo perché di fatto la malinconia non è provvista di un sole nero, è un’assurdità però – dice - il suo alter ego, il metatesto, è illeggibile e chiaro, è ovvio perché a questo punto per essere chiaro, è come se dovesse essere illeggibile cioè non deve essere letto come un testo manifesto perché se no leggiamo semplicemente il “sole nero della malinconia” che non ci dice assolutamente niente, perché, come dicevo prima, la malinconia non è provvista di un sole nero, però il metatesto ci dice invece che cosa? Ci dice con chiarezza di qualcosa di tenebroso di scuro della malinconia, di triste, cioè ci aggancia a una serie di classemi, direbbe Greimas, che hanno a che fare con la malinconia e cioè appunto il nero. In questo caso “nero” è il sema che consente la connessione tra “sole” e “malinconia”, perché la malinconia è conosciuta generalmente, è qui che torna il buon senso, come qualcosa di oscuro, di tenebroso, di negativo, di nero e quindi il “nero” connette “soleil” e “melanconie”. Se invece avesse messo “il sole brillante della malinconia” ecco che la seconda isotopia sarebbe stata più difficile da accogliere, perché ci sarebbe stata una sorta di repulsione fra classi di semi, perché a questo punto “brillante” “il sole brillante della malinconia” non connette più il sole con la malinconia perché la malinconia non ha niente di brillante quindi si escludono, a questo punto le due isotopie rimangono distaccate tra loro cioè la seconda isotopia non viene più connessa con la prima, per cui rimane illeggibile e assurdo chiuso, senza nessuna possibilità di produrre quell’effetto poetico che vorrebbe produrre, che riesce a produrre perché a “sole” ci attacca “nero” che può essere attaccato a malinconia e allora lì “le soleil noir de la melancolie” ecco che funziona quasi come un’immagine visiva, qui sta una delle ragioni principali che ci impediscono di seguire Freud nella sua definizione di piano latente e piano manifesto del discorso, come criterio per giudicare della proprietà di un testo la cui esistenza in quanto linguistica è obiettiva, viene scelta la personalità del decodificare che è una variabile individuale. Sta dicendo che nel caso di Freud, a differenza del linguista che è obiettivo e si limita soltanto a catalogare semi, viene posta la personalità del decodificatore che sarebbe lo psicanalista, Freud, che è una variabile individuale, non è più obiettiva, cioè Freud può in base a quello che pensa lui accostare una isotopia a un’altra che gli fa comodo perché conferma la sua teoria per esempio, e quindi perde di obiettività, cosa che invece secondo Greimas non fa il semiotico cercando di rendere esplicite le proprietà strutturali del discorso. Abbiamo proposto di definire la sua bi isotopia tramite la manifestazione lungo tutto il suo sviluppo dei termini complessi delle categorie classematiche, perciò l’isotopia complessa è un carattere formale e distintivo di una classe di discorsi possibili, ogni discorso occorrimento considerato e analizzato in particolare renderà ragione del contenuto semico dei termini complessi che lo caratterizzano e permetterà così di definire le due isotopie che vi si manifestano. Qui cerca di rendere ragione della sua critica a Freud e dire perché la posizione della semiotica, a suo parere, è preferibile a quella della psicanalisi, una cosa l’ha già detta: perché il decodificatore, in quel caso Freud o l’analista o chi sia, è una variabile individuale non è una invariante così come possono essere gli elementi che si catalogano all’interno di un discorso come classi di classi di elementi, dunque ecco, l’isotopia complessa è un carattere formale distintivo di una classe di discorsi possibili: c’è un discorso, questo discorso è inserito all’interno di un insieme di discorsi possibili, poi vedremo magari di fare un esempio, ogni discorso occorrimento (quello che si fa, quello che accade, quello che interviene) considerato e analizzato in particolare renderà ragione del contenuto semico dei termini complessi che lo caratterizzano, perché? Perché ciascuna classe di semi si aggancia per esempio attraverso un semema a un’altra classe ed è possibile ricostruire come ho fatto nel caso de “le soleil noir de la malinconie” è possibile ricostruire l’isotopia nascosta accorgendosi che “noir” è l’elemento che può connettere le “soleil” a la “melanconie” producendo quell’effetto poetico, ammesso che sia tale, quindi renderà ragione del contenuto semico dei termini complessi che lo caratterizzano e permetterà così di definire le due isotopie che vi si manifestano. A questo punto dice che stabilendo classi di isotopie è possibile costruire l’elemento che può connettere queste due classi di isotopie: reperendo quell’elemento è possibile cogliere anche l’isotopia non manifesta, ma vi faccio un esempio, ricordate ciò che dicevo della famosissima fanciullina, quella che si crede mal considerata dal papà, l’esempio che facevo durante le conferenze. La fanciullina immagina che il papà la disprezzi e dicevamo perché freudianamente c’è stato un desiderio incestuoso nei confronti del papà, questo desiderio incestuoso è stato considerato una cosa malvagia quindi se lei desidera cose malvagie è inevitabile che il papà la consideri male, però secondo Freud, la prima parte, la prima isotopia viene rimossa perché inammissibile per la morale sessuale civile e quindi viene cancellata, diventa inconscia, diventa quel piano latente che sta lì ma non è manifesto, mentre il piano manifesto è quello che lei dice e cioè che pensa che il papà la disprezzi, questa sarebbe il piano manifesto, il piano latente è il suo desiderio inconscio. Ma la questione è complicata perché Greimas non era uno psicanalista ovviamente, perché è possibile certo recuperare una isotopia latente, nel caso dell’esempio della fanciullina, per uno psicanalista non è difficile perché situa immediatamente tutta la storia all’interno di ciò che ha imparato da Freud riguardo al complesso edipico, quindi il complesso edipico fa da contesto entro il quale l’isotopia nascosta si può manifestare facilmente, però come vi dicevo la cosa non è così semplice perché anche ammesso che sia così, e cioè che sia vero che la fanciullina ha avuto un desiderio incestuoso nei confronti del papà, ammesso che sia così, la questione che importa è perché l’ha cancellato? L’ha cancellato perché questo desiderio non è ammissibile quindi ci sono altre isotopie che intervengono, sono manifeste? Latenti? Per esempio la morale sessuale civile può costituire essa stessa una isotopia e cioè quel permanere di classemi che sono sempre gli stessi e che dicono come stanno le cose. Sì, può essere anche quella una isotopia, è manifesta? È latente? È molto difficile a stabilirsi, apparirebbe latente, cioè non manifesta, però è una cosa che la fanciullina deve sapere per potere rimuovere il suo desiderio, se no perché lo rimuove a fare? Se non c’è la condanna della morale sessuale civile non c’è neanche bisogno di cancellare il suo desiderio nei confronti del papà, perché mai dovrebbe farlo? Quindi appare essere contemporaneamente latente perché non è presente nel suo discorso ma anche manifesto, perché deve sapere tutte queste cose per potere compiere quell’operazione che Freud chiama rimozione. A questo punto la questione che a noi può interessare è che parlando una isotopia che può essere, al posto di isotopia possiamo mettere pensiero, un pensiero può essere un’isotopia, un pensiero che non è ammissibile può venire alla luce, diciamo così, può diventare manifesto attraverso una modalità che poi è quella che prevalentemente si utilizza nel percorso analitico, che consiste nel lasciare parlare una persona. Quando la persona parla accadono in buona parte quelle cose di cui parla Greimas e cioè si costituiscono isotopie, si costituiscono classi di sememi, si costituiscono cioè una serie di reti che costituiscono il contesto entro il quale la persona sta parlando, però se è vero quello che ci dice Greimas, allora ogni volta ciascun classema, ciascuna classe di sememi ha un elemento che la connette con un’altra e per Greimas deve esserci questo elemento, anche nel caso della “paratassi” c’è comunque una connessione. Con “paratassi” e “ipotassi” si intendono due strutture di discorso, quella paratattica mantiene soltanto una connessione che non è di dipendenza tra elementi, però connettendoli crea una connessione: il famoso detto di Cesare “veni, vidi, vici” questa è una struttura paratattica, di fatto non c’è una connessione di derivazione tra il venire, il vedere, il vincere, sembrano elementi assolutamente disparati tra loro, però porli in questa connessione appunto paratattica crea un legame, un legame di simultaneità fra le tre cose per cui dice che immediatamente “sono arrivato, ho visto e ho vinto”. Oppure quell’altra forma “ho parlato, avete ascoltato, sapete, giudicate” questa è un’altra forma paratattica dove c’è l’accostamento fra elementi che apparentemente non hanno connessione fra loro però detti in questa sequenza acquisiscono una connessione, cioè in questo caso se io dovessi svolgerla, cioè trasformarla in una struttura ipotattica allora direi che “siccome io ho parlato e voi avete ascoltato, allora a questo punto sapete, e di conseguenza giudicate” questa è la struttura ipotattica cioè sono svolti quegli elementi che consentono la derivabilità da uno all’altro, nell’ipotassi gli elementi sono connessi e derivati, invece la paratassi li connette senza nessuna derivazione perché “veni, vidi, vici” non hanno nulla a che fare gli uni con gli altri né pone una dipendenza. Vi dicevo che tutto ciò che accade parlando, oltre a essere di un’enorme complessità, pare, secondo Greimas, essere riconducibile a una struttura che può essere sempre manifestata anche se non è manifesta, ma per Greimas può sempre essere manifestata, e questo è interessante perché in effetti, forse lo dicevo da qualche parte, se qualche cosa appartiene al linguaggio, cioè è all’interno di una struttura linguistica non può essere non dicibile, deve potere dirsi, è una contraddizione in termini: se non fosse dicibile non apparterrebbe al linguaggio ma se non appartiene al linguaggio non è un elemento linguistico, è altra cosa, se appartiene al linguaggio non può essere che dicibile, questo lo dice Greimas a proposito del significato di alcune poesie, il famoso significato anagogico, cioè quello spirituale, “anagogico” è cioè che sta in alto, che punta in alto letteralmente, per esempio nella Divina Commedia di Dante sono considerati quattro piani di lettura: uno letterale, uno politico e uno morale più uno anagogico che è il significato spirituale. C’è l’idea che nella poesia ci sia qualche cosa di indicibile, qualche cosa di anagogico appunto, che è quell’elemento che fa scaturire l’emozione, la sensazione eccetera, ora per Greimas tutto ciò non ha nessun senso, tutto ciò che c’è nel testo, qualunque testo, è sempre dicibile. Questo è uno dei motivi per cui ha qualche obiezione nei confronti di Freud, per il quale invece ciò che è rimosso non ha assolutamente accesso alla coscienza, può giungere alla coscienza in parte e in questo sta per Freud l’effetto della “cura psicanalitica”, ma per esempio l’ “Es” è qualche cosa che è nell’inconscio e non può in nessun modo diventare cosciente, quindi c’è all’interno del pensiero degli umani un qualche cosa di indicibile che pure appartiene al linguaggio. Lacan se ne è accorto, “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”, cioè senza linguaggio non c’è neanche l’inconscio, questa è la questione centrale.

Intervento: l’inconscio a volte si manifesta e Freud dice questo, quindi non è vero che non si manifesta mai.

Si manifesta attraverso che cosa? Attraverso dei segni, i quali dicono e hanno indotto Freud a pensare all’esistenza dell’inconscio, per esempio gli atti mancati, i motti di spirito, i lapsus, le dimenticanze eccetera però non è che questo sia l’inconscio propriamente, questa è la manifestazione di qualche cosa che si suppone essere inconscio, è un po’ diverso. Può essere in effetti equivoca la cosa, in alcuni brani sembra che Freud dica che l’inconscio effettivamente si manifesta però si manifesta attraverso una “manifestazione” che non è l’inconscio, l’inconscio sarebbe ciò che muove tutto questo, ciò che lo produce, invece per Greimas tutto ciò che appartiene al linguaggio non può non essere dicibile, cosa che pone una questione certo, non sto dicendo che sia così o non sia così, è una questione su cui merita riflettere, in effetti come accennavo prima Lacan, dopo di Freud, giunse a considerare che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, cioè non ha detto che l’inconscio è linguaggio, ma è strutturato come un linguaggio perché senza linguaggio non c’è nessuna possibilità di inconscio, questa era la questione centrale e qui torniamo a Greimas che ci dice che se è linguaggio allora non c’è qualche cosa che non è dicibile, se è linguaggio qualunque cosa può dirsi. A questo punto si intrecciano le questioni fra la semiotica, la logica, la filosofia del linguaggio, la linguistica, dove spesso questi personaggi dicono cose molto simili solo che appaiono differenti perché usano modi di dirle totalmente differenti, per esempio ciò che Greimas indica come “nucleo semico” potrebbe essere accostato a ciò che Frege indica come “denotazione” o come “paradigma”, molte cose si ripetono, e molte le vedremo anche perché può essere interessante accostare modi differenti da parte di questi autori di considerare di fatto la stessa questione, che potremmo dire essere la complessità del linguaggio. Mi sono soffermato sulle isotopie perché è una parte importante. Vedremo di risolvere tutta la questione e vedere che cosa la semiotica può ancora, più come informazione perché è difficile che possa dirci qualche cosa che già non sappiamo, ma può rilanciare delle questioni e invitarci a riconsiderarle, ad aggiungere ancora delle cose, come direbbe Greimas, a dei classemi aggiungere altri classemi infiniti, e questa è una delle prerogative del linguaggio, si può aggiungere all’infinito senza fermarsi mai.

Intervento: chissà quale è la fantasia…

Questa è una domanda interessante, ha detto bene, per esempio la fantasia si considera generalmente, molto freudianamente come un discorso che ha un’isotopia manifesta e una latente, l’isotopia manifesta è quello che si dice, quella latente invece è ciò che la fantasia sta dicendo, sta ponendo, che può essere anche, e molto spesso lo è, la “causa” mettiamo causa tra virgolette dell’isotopia manifesta, ma questa è un’altra questione interessante, e ne parleremo mercoledì prossimo.