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25-2-2009

 

La posizione di Heidegger sul fondamento (Dell’essenza del fondamento, 1949) ha determinato buona parte della filosofia contemporanea e soprattutto è stato l’ultimo tentativo di un certo spessore della filosofia teoretica di riflettere sulla questione del fondamento, dopo di lui non c’è più stato niente. Heidegger muove da una semplicissima considerazione di Leibniz sul principio di ragione, quando dice che ogni cosa ha una ragione, ha una causa, dice una cosa banalissima, che tutti sanno, ma che secondo Heidegger non è mai stata presa sul serio appunto perché banalissima e risaputa da tutti. Cita un breve passo di Leibniz tratto da Primae veritates che occorre leggere perché è interessante:

 

Pertanto il predicato o il conseguente appartiene al soggetto o antecedente e in questo consiste la natura della verità universale, come connessione tra i termini dell’enunciazione, come anche Aristotele ha osservato. Allo stesso modo e per lo stesso motivo la connessione e l’appartenenza del predicato del soggetto è esplicita, in tutti gli altri casi è implicita o da dimostrare attraverso l’analisi dei termini, cosa nella quale consiste la dimostrazione a priori. Quindi la cosa fondamentale è questa connessione, cioè il predicato appartiene al soggetto, questo è fondamentale per ciò che seguirà e questo è vero in qualunque verità affermativa, universale o singolare necessaria o contingente e nella denominazione tanto intrinseca quanto estrinseca. Questo segreto meraviglioso passa inosservato, questo segreto che rivela la natura della contingenza, o la distinzione essenziale fra le verità necessarie e contingenti e che anche rimuove la difficoltà per quanto riguarda la necessità inevitabile degli esseri liberi. Da queste cose, che adeguatamente non sono state considerate dovuto la loro grande semplicità, seguono molte altre cose di grande importanza. Effettivamente, da loro immediatamente sorge l'assioma fissato: “Niente è senza ragione”, o “non c'è effetto senza una causa”. Se l'assioma non tenesse, non potrebbe essere una verità che potrebbe essere provata a priori, cioè, in grado di essere risolta nelle relazioni d'identità; e questo è contrario alla natura della verità, che è sempre identica, se esplicitamente o implicitamente.

 

Quindi in definitiva ci dice Leibniz che la verità non procede da nient’altro che dall’identico, dall’identità e dall’appartenere qualcosa a qualcos’altro, a questa sorta di unità, ora qui dice invece Heidegger:

 

Qui Leibniz, secondo un procedimento che gli è tipi­co, connota le «verità prime» e nello stesso tempo de­termina ciò che la verità, in primo luogo e in generale, è, e precisamente con l'intento di mostrare la « genesi » del principium rationis dalla natura veritatis. Ed è pro­prio nell'intraprendere questo che Leibniz ritiene neces­sario indicare che l'apparente ovvietà di concetti come «verità» e «identità» ne ostacola una dilucidazione sufficiente a illustrare l'origine del principium rationis e degli altri assiomi. Ma ciò che nelle presenti considera­zioni è in gioco non è la derivazione del principium ra­tionis, bensì l'esposizione del problema del fondamento. Il passo citato fornisce a questo scopo un filo conduttore?

Il principium rationis sussiste, perché, se non sussi­stesse, ci sarebbero degli enti che dovrebbero essere senza fondamento. Per Leibniz ciò significa che ci sarebbe un vero che non si lascerebbe risolvere in identità, ossia che ci sarebbero verità che dovrebbero contravvenire alla  natura» della verità in generale. Ma siccome ciò è im­possibile, e siccome la verità sussiste, anche il principium rationis, in quanto scaturisce dall'essenza della verità, sussiste. Ma l'essenza della verità risiede nella connexio di soggetto e predicato. Leibniz concepisce

perciò sin dall'inizio la verità come verità dell'asserzione (della proposizione), richiamandosi esplicitamente, anche se in modo non del tutto giustificato, ad Aristotele.

 

Qui c’è il punto di partenza di Leibniz che è la questione fondamentale. Dice che se non esiste un fondamento allora la verità di natura, la verità naturale non c’è più e lui ci dice che questo è impossibile, perché è impossibile? Perché è impossibile che non esista la verità di natura? Anche lui la chiama così, la verità di natura, non ci sono altre indicazioni precise per il momento, come la articola? Qual è la sua tesi? Innanzitutto pone l’essere, la ricerca dell’essere come la ricerca del fondamento, l’essere è ciò che sta a base di tutto. Questo comporta per Heidegger che gli umani hanno cercato la verità sempre negli enti delle cose mai nell’essere, da qui il fallimento appunto della ricerca dei fondamenti che invece secondo lui avrebbe compiuta, poi vedremo se è vero oppure no. In termini più precisi si tratta sempre nel discorso occidentale di una verità ontica mai ontologica, la verità ontica è quella che riguarda gli enti ed ontologica la verità che riguarda l’essere. Una verità logica o matematica per Heidegger è una verità ontica, riguarda gli enti ma non l’essere in quanto tale. Per giungere al fondamento naturalmente deve considerare gli enti perché si parte sempre da lì dice Heidegger, non si può partire dall’essere, l’essere si trova come fondamento ma si parte dalle cose che ci sono, dal mondo che in definitiva non è altro che la totalità degli enti. Dunque si parte sempre dagli enti necessariamente ma c’è un ente in particolare che è l’unico che può domandarsi il perché, l’unico che ha un’intenzione, gli altri enti dice Heidegger non hanno nessuna intenzione l’unico che ce l’ha è l’uomo e quindi è l’ente privilegiato, l’unico ente che può riflettere su se stesso, che può considerare se stesso, che può progettare direbbe Heidegger se stesso e questo riguarda la trascendenza sulla quale trascendenza si dilunga un pochino ma la faccio molto breve. La trascendenza per Heidegger non è nient’altro che l’oltrepassamento, cioè lui sostiene che l’uomo in quanto tale per giungere a individuarsi come tale cioè giungere alla sua ipseità deve compiere ciò che è peculiare all’uomo e cioè avere un’intenzione, domandare, domandare di sé e solo l’uomo può fare questa operazione, in questo domandare di sé che cosa succede? Che si proietta, si progetta verso qualche cosa e in questo progettarsi continuo, questo essere sempre verso qualcosa che di fatto è la sua natura, la natura dell’uomo che è fatto così, lì propriamente si instaura l’essere però a questo punto come articola la questione del fondamento? La questione centrale è ancora sul principio di ragione che è il più precipuo dell’uomo dice:

 

Questa comprensione dell'essere (λόγος nel suo significato più ampio), che precede, illumina e guida ogni compor­tamento in rapporto all'ente, non è un cogliere l'essere co­me tale,° né un concepire concettualmente ciò che così si è colto (λόγος nel suo significato più stretto, ossia come con­cetto «ontologico»). A questa comprensione non ancora concettuale dell'essere diamo il nome di comprensione pre-ontologica o ontologica in senso lato. Il concepire con­cettualmente l'essere presuppone che sia stata sviluppata la comprensione dell'essere e che l'essere in essa com­preso, progettato e in qualche modo svelato sia divenuto espressamente tema e problema. Fra la comprensione pre-ontologica dell'essere e l'esplicita problematica del concepimento concettuale dell'essere vi sono vari gradi.

 

Heidegger dice che c’è una sorta come una sorta di precompressione dell’essere, nel momento in cui l’uomo si progetta verso qualche cosa questo qualche cosa è come si manifestasse cioè l’essere è in questo essere progettato, lì Heidegger situa l’essere, cioè il fondamento, in questo essere sempre trascinato da un’intenzione verso qualcosa. Tenete sempre contro che per Heidegger l’uomo è determinato dall’essere intenzionale, è questo che lo distingue da qualunque altro ente dunque:

 

Ciò che viene oltrepassato è proprio e solamente l'ente stesso, e precisamente qualsiasi ente che pub essere o venire sve­lato all'esserci, e quindi anche e proprio quell'ente che  esso stesso » è in quanto esiste.

Nell'oltrepassamento, l'esserci perviene anzitutto a quell'ente che esso è, e vi perviene come a se «stesso». La trascendenza costituisce 1'ipseità (Selbstheit). Ma di nuovo, essa non costituisce mai soltanto questa, perché l'oltrepassamento concerne sempre contemporaneamente anche l'ente che l'esserci « stesso » non è; più precisa­mente: solo nell'oltrepassamento e mediante esso è pos­sibile distinguere e decidere, all'interno dell'ente, chi sia, come sia e che cosa non sia un «se stesso». Ma nella misura in cui l'esserci esiste come se stesso, e solo in que­sta misura, esso può comportar-«si» in rapporto all'ente, che, però, prima deve essere oltrepassato. Sebbene esista in mezzo all'ente e sia da esso attorniato, l'esserci, esisten­do, ha già da sempre oltrepassato la natura.

 

Il principio di ragione vale per l’ente quindi non per l’essere naturalmente perché l’essere non è progettato, è il progetto stesso, è il trovarsi continuamente gettato in avanti, il principio di ragione vale per l’ente perché il fondamento è un carattere trascendentale, ma il fondamento appartiene all’essenza dell’essere perché c’è essere non ente solo nella trascendenza e qui il fondare è il progettare continuamente, progettare il mondo è farlo esistere in definitiva, e se esiste vuole dire che è. “La libertà è l’origine del principio di ragione perché in essa, nell’unità di slancio in avanti e sottrazione si fonda quel dare fondazione che si configura come verità ontologica, in questo slancio sempre in avanti c’è sì un guadagnare perché si produce dell’essere in quel momento”, ma forse anche sottrazione in quanto l’ente per essere se stesso deve anche sottrarsi, è una sorta di movimento continuo in cui l’ente si progetta per esistere, perché se no non esiste, perché se l’uomo non avesse intenzione, non fosse continuamente progettato verso qualche cosa non esisterebbe in quanto tale, però in questo movimento anche qualcosa si sottrae e cioè il punto da cui è partito per esempio perché non c’è più, perché è sempre progettato in avanti e ora la questione centrale in tutto ciò qual è? Questa:

 

In quanto c’è questo fondamento la libertà è il fondo abissale dell’esserci non nel senso che il singolo comportamento libero sia senza fondamento cioè sia fatto a caso ma nel senso che la libertà che la sua essenza è trascendenza che è sempre oltrepassamento, trascendenza che per Heidegger significa oltrepassamento, ma nell’esserci come poter essere, impossibilità che si spalanca davanti alla sua scelta cioè al suo destino e quindi conclude l’essenza della finitezza dell’esserci si svela nella trascendenza nella libertà di fondamento.

 

Qui «dare fondazione» non deve essere inteso nel sen­so ristretto e derivato della dimostrazione di tesi ontico­teoriche, ma nel suo significato fondamentalmente ori­ginario. In base ad esso, dare fondazione significa render possibile il problema del perché in generale. Far vedere il carattere proprio, originariamente fondativo, del dare fondazione vuol dire dunque chiarire l'origine trascen­dentale del «perché» in quanto tale. Ciò non significa quindi cercare ad esempio le motivazioni per cui di fatto sorge nell'esserci il problema del «perché», ma significa domandare della possibilità trascendentale del «perché» in generale. Si tratta quindi di interrogare la trascenden­za stessa nei termini in cui è stata determinata dai due modi di fondare finora discussi. Il fondare che istituisce prospetta, in quanto progetto di un mondo, possibilità dell'esistenza. Esistere significa sempre: comportarsi in rapporto all'ente (all'ente difforme dall'esserci, a se stesso e ai propri simili) sentendosi situato in mezzo a esso, in modo tale che in questo comportarsi che si sente situato ne vada sempre del poter essere dell'esserci stesso. Nel progetto di un mondo è dato uno slancio in avanti di qualcosa di possibile, in relazione al quale, nell'essere do­minati dall'ente (dal reale) che nel sentirci situati ci at­tornia, insorge il «perché». Ma poiché i due modi di fondare sopra elencati nella trascendenza fanno tutt'uno, l'insorgere del «perché» è una necessità trascendentale. Già nella sua erigine, il « perché » Si articola in forme diverse; quelle fondamen­tali sono: Perché così e non diversamente? Perché questo e non quello? Perché, in generale, qualcosa e non niente? Ma in qualunque modo si esprima, nel «perché» e già sempre implicita una precomprensione, sia pure pre-concettuale, del «che cos'è» (Was-sein), del «com'è» (Wie-sein) e dell'essere (niente) in generale. Solo questa comprensione dell'essere rende possibile il «perché». Ma ciò significa che essa già contiene la risposta originaria prima e ultima a ogni domandare. La comprensione del­l'essere, come risposta più preventiva in assoluto, rappre­senta la prima e l'ultima fondazione, dove a dare fonda­zione è la trascendenza in quanto tale. Poiché l'essere e la costituzione d'essere vengono qui svelati, la fondazio­ne trascendentale significa la verità ontologica.

 

L’uomo è l’essere della lontananza perché per essere deve sempre allontanarsi da sé, cioè deve essere progettato in avanti, solo attraverso lontananze originarie

 

Il principio dice: ogni ente ha la sua ragione, il suo fondamento. In base a quanto ab­biamo detto, è chiarito anzitutto perché le cose stanno cosi. Poiché l'essere, in quanto preventivamente com­preso, dà originariamente «di per sé» fondamento, ogni ente in quanto ente annuncia a suo modo dei «fonda­menti», siano essi espressamente colti e adeguatamente determinati, oppure no. Il principio di ragione vale per l'ente, perché il «fondamento» è un carattere trascen­dentale ed essenziale dell'essere in generale. Ma il fonda­mento appartiene all'essenza dell'essere, perché c'è essere (non ente) solo nella trascendenza in quanto fondare che si sente situato nel progettare un mondo.

La libertà é l'origine del principio di ragione, perché in essa, nell'unità di slancio in avanti e sottrazione, si fonda quel dare fondazione che si configu­ra come verità ontologica.

La libertà é il fondamento del fondamento. Questo, ovviamente, non nel senso di una «iterazione» formale senza fine. /…/ Ma in quanto è questo fondamento, la libertà è il fondo abissale (Ab-grund) dell'esserci. Non nel senso che il sin­golo comportamento libero sia senza fondamento, ma nel senso che la libertà, che nella sua essenza è trascendenza, pone l'esserci, come poter-essere, in possibilità che si spa­lancano davanti alla sua scelta, cioè al suo destino."

L'essenza della finitezza dell'esserci si svela nella tra­scendenza come libertà di fondamento.

E così l'uomo, che come trascendenza esistente si slan­cia in avanti verso delle possibilità, è un essere della lontananza. Solo attraverso lontananze originarie che egli si forma nella sua trascendenza rispetto a ogni ente, cresce in lui la vera vicinanza alle cose. E solo il saper ascol­tare nella lontananza fa maturare nell'esserci, in quanto se stesso, il risveglio della risposta dell'altro esserci, nell'es­sere assieme al quale esso può rinunciare all'egoità per conquistarsi come autentico se stesso.

 

Dunque che cosa è il fondamento per Heidegger? Il fondamento sta proprio in questo abisso che si situa tra l’ente che si progetta, quindi si proietta in avanti in questo proiettarsi in avanti, perde se stesso per acquistarsi. Deve farsi attraverso un movimento di andata, quindi si getta in avanti e solo gettandosi in avanti si autentica come l’essere dell’ente. A questo punto si crea un abisso, questo abisso per Heidegger è il fondamento quindi un fondamento che non ha fondo in realtà, è, come dice lui “sfondato” letteralmente …

Intervento: sembra un’apologia del fare … è nel momento in cui fa che incomincia …

C’è una prassi in Heidegger, ma la questione essenziale è che lui considera l’uomo ente fra gli enti ma l’unico ente che è in grado di avere delle intenzioni e questo lo distingue da qualunque altra cosa. Essendo questo ente particolare è proprio lui l’uomo, l’ente che fa esistere il mondo in quanto si progetta verso altri enti e in questo progettarsi si manifesta, cioè esiste, e lì, in questo continuo essere progettato c’è l’essere in quanto esserci ma è sempre un esserci lì dove il progetto lo lancia. In questo iato ecco c’è l’abisso, come dire che non c’è in realtà fondamento, questo essere che dovrebbe costituire il fondamento manca in Heidegger …

Intervento: è sempre cercato …

Più che cercato in Heidegger è la voragine che si apre in questo essere dell’ente sempre spostato in avanti e quindi fallisce la sua ricerca, il fondamento non c’è, non trova nient’altro che un abisso senza fine. Tutto parte dall’asserzione che vi avevo detto subito dopo avere letto il testo di Leibniz e cioè lo rileggo:

 

Per Leibniz ci sarebbe un vero che non si lascerebbe risolvere in identità, ossia che ci sarebbero verità che dovrebbero contravvenire alla natura della verità in generale ma siccome ciò è impossibile…

 

Siccome ciò è impossibile ci deve essere necessariamente una verità, a tutti i costi, altrimenti non c’è nessun fondamento perché la verità lui stesso la pone come fondamento e l’essere è per eccellenza la verità assoluta, la ricerca della verità o dell’essere o del fondamento nella natura delle cose come abbiamo detto infinite volte è votata sempre e necessariamente al fallimento, è inevitabile. L’obiezione che muoverebbe Heidegger a ciò che noi andiamo dicendo è che la verità di cui parliamo cioè il fondamento quindi di linguaggio in realtà è un ente, non è l’essere, e quindi è qualche cosa che è al di là dell’essere: “voi fondate la vostra teoria su un fondamento che non è l’essere cioè non è il fondamento reale, ma è un ente, qualche cosa che ha bisogno di un altro fondamento”, cioè ci direbbe in tutto ciò che il linguaggio necessita di un fondamento, non è il fondamento ma deve avere un fondamento …

Intervento: …

Lui da una definizione, è il principium rationis e questo lo pone come fondamento, la domanda del perché, perché le cose? Perché esiste qualcosa anziché niente? Per esempio, ma questa obiezione potrebbe essere mossa, qualcuno potrebbe chiederci conto di una cosa del genere. Che cosa risponderemo a questo punto? Heidegger pone come principi fondamentali da cui si parte i principi aristotelici identità, terzo escluso e non contraddizione che sono quelli che hanno posto tutti, da Aristotele in poi, però secondo lui questi principi sono enti e non sono l’essere delle cose, intende questi principi aristotelici come dei principi di ragione cioè quei principi dai quali la ragione parte per dire qualunque cosa, per costruire delle cose ma questi punti di partenza per Heidegger sono degli enti, così come secondo lui si parte sempre e necessariamente perché non si può partire dall’essere, ché l’essere affiora come in una radura, diceva lui negli scritti su Hölderlin, in un bagliore, quel momento in cui si è progettati lì interviene qualcosa che è assolutamente specifico e particolare dell’uomo e che riguarda l’essere in quanto, tale non ce ne sono altri. Pur considerando la priorità del linguaggio, cosa che fa in molti scritti, considera che il linguaggio essendo un ente possiede l’essere, non lo è …

Intervento: è un idea dell’ente … cioè va a cercare fuori …

Certo che lo cerca fuori, lui cerca l’essere non il linguaggio, il linguaggio per lui è un ente al pari di qualunque altra cosa, fondamentale certo, è quell’elemento che consente all’essere di manifestarsi ma consente all’essere di manifestarsi, anzi è l’unico per Heidegger che consente all’essere di manifestarsi, ma se consente di manifestarsi non è l’essere in quanto tale. Se voi leggete In cammino verso il linguaggio questa è la tesi che sostiene, cioè senza il linguaggio non c’è nessuna possibilità dell’essere, il linguaggio è la sua dimora ma l’essere è altro, rimane sempre comunque altro dal linguaggio il quale in quanto ente, in quanto comunque si da in qualche modo ha un essere, perché se è qualcosa allora l’essere gli appartiene, ma dov’è questo essere? Questo essere dovunque sia comunque è il fondamento del linguaggio e questa sarebbe l’obiezione che ci muoverebbe Heidegger senza dubbio alcuno …

Intervento: …

Per Heidegger l’essere non è propriamente la condizione dell’esistenza, è ciò che affiora dall’esistenza. Ma se considerate bene la questione non potete non accorgervi che riflettendo attorno al fondamento o all’essere si pone una questione: nel momento in cui ho stabilito di avere trovato l’essere, questo essere sempre gettato in avanti, che cosa ho fatto esattamente? Ho reperito l’essere in quanto tale? Il fatto che a lui stesso sia sfuggito il fondamento è significativo nel senso che anche nella sua elaborazione comunque dare un fondamento ultimo definitivo totale e irreversibile e indiscutibile appare impossibile, tant’è che lo pone come un abisso senza fine, il modo in cui si da la verità certo, attraverso gli enti cioè si disvela in questo essere proiettato in avanti. Queste considerazioni che lui fa non soltanto ovviamente possono essere fatte soltanto dal linguaggio, ma muovono da dei principi come lui stesso dice all’inizio, di natura, cioè la verità è tale per natura, deve esserci, è impossibile che non ci sia se no l’ente non è fondato ma questa è una deduzione, ma è un processo logico o è una sua ipotesi? Lui si limita semplicemente a dire che è impossibile, e se non fosse così? E se invece il fondamento fosse tutt’altra cosa? È una possibilità, di fatto lui non lo dice perché questo non è possibile se non perché qualunque cosa deve avere un principium rationis, deve avere un suo perché e così manca totalmente la questione centrale e vale a dire da dove viene questa domanda. Perché gli umani si chiedono continuamente perché? Heidegger dice che appartiene agli umani, è naturale, ma non va al di là di questo, se avesse inteso che invece gli umani continuano a porsi domande perché non possono non farlo, e non possono non farlo perché ciò di cui sono fatti in realtà è il linguaggio che li costringe ininterrottamente sì, a essere gettati in avanti ma questo essere gettati continuamente in avanti non è un fenomeno di natura ma è la struttura stessa del linguaggio per la quale e attraverso la quale gli umani per esempio possono dirsi tali allora ogni cosa diventa chiara e intellegibile. In altri termini ancora la differenza tra la posizione di Heidegger e ciò che noi andiamo avanzando è che lui cerca il fondamento del linguaggio, dove lo cerca? In qualcosa che naturalmente è fuori dal linguaggio, nel senso che il fondamento è altro, l’essere è altro dal linguaggio e come abbiamo detto varie volte lungo questa via non si troverà mai alcun fondamento, invece noi poniamo il fondamento come la struttura stessa che consente di pensare il fondamento e insieme con il fondamento qualunque altra cosa. A questo punto non c’è più nessun mistero, nessun enigma, nessun abisso ma sequenze, stringhe di proposizioni che costruiscono altre proposizioni, per esempio quelle che affermano che l’essere è una certa cosa. Non c’è il fondamento di un’istruzione, non ha un fondamento né può averlo, domandarsi se un’istruzione ha un fondamento è un non senso in quanto l’istruzione è quella cosa che consente di costruire proposizioni che parleranno del fondamento, senza queste istruzioni non solo non c’è nessun fondamento ma non è possibile neanche pensare un fondamento e quindi l’essere di conseguenza. Questa differenza è sostanziale, è ciò che distingue ciò che diciamo da tutto il pensiero filosofico il quale pone la verità, esattamente come i logici, come qualcosa di naturale sulla quale non si può dire niente perché è così. Perché si ragiona in questo modo? Perché è così, è la natura, “deus vult” dicevano una volta. Ma non è una risposta soddisfacente e soprattutto non rende conto del modo in cui di fatto gli umani si muovono. Se invece si intende la struttura del linguaggio ecco che tutto diventa straordinariamente chiaro, come dicevo non c’è più nessun abisso, nessun enigma, nessun mistero ma costruzioni, sequenze di proposizioni che seguono una sintassi, cioè delle regole, delle istruzioni, nient’altro che questo. Certo si può pensare che esista l’essere del linguaggio ma a questo punto la domanda stessa è un non senso, è come porsi domande intorno all’esistenza di dio, non a caso Heidegger si è occupato anche di teologia perché a un certo punto l’essere diventava qualcosa di molto vicino alla nozione di dio, anche se poi ha preso le distanze dalla religione infatti la chiesa lo ha condannato più volte perché non poneva l’essere come dio semplicemente, tuttavia rimane una struttura religiosa e cioè cerca sempre in qualche cos’altro fuori di ciò che gli consente di cercare il fondamento, che come sappiamo non troverà mai e infatti non lo trova. Non lo può trovare perché questo fondamento è sempre aldilà, lui ha intuito qualche cosa, questo essere sempre gettato aldilà, però poi situa l’essere in questo essere gettato in avanti e cosa ce ne facciamo dell’essere a questo punto? È una nozione assolutamente inutile. Come diceva Wittgenstein o si pensa così o non si pensa affatto, nel senso che non abbiamo un altro linguaggio, c’è questo e questo è il modo in cui si pensa, non è possibile pensare altrimenti. Occorre incominciare a riflettere come ha fatto Wittgenstein intorno alla struttura del linguaggio e non cercare il suo fondamento perché non c’è, perché il linguaggio è il fondamento, è ciò che consente di pensare il fondamento, di fare qualunque cosa. Se non si pone al questione del linguaggio cioè non si intende la struttura del linguaggio allora diventa inevitabile la ricerca dell’essere, cioè del fondamento di qualcosa che stia a base di tutto e che da lì, da questa posizione garantisca ogni cosa. Dicevo che è una posizione religiosa: dio garantisce della verità, perché è lui che ha dettato le norme, le regole. Naturalmente anche la teologia non si è accorta del paradosso terrificante di tutto ciò perché se è lui che ha stabilito questo modo di pensare allora non può uscirne, cioè nemmeno dio può contravvenire alle leggi della logica, non può contraddirsi perché se si contraddicesse sarebbe un grullo qualunque, e siccome la chiesa non ammette questa possibilità allora deve sorvolare sulla questione. In definitiva il dio sarebbe limitato dalle leggi della logica, e non c’è scampo. Eleonora, obietta, contraddici, mostra che tutto ciò che ho detto è falso, inesorabilmente falso, riusciresti a costruire qualche argomentazione? Eppure è questo che dobbiamo fare, sempre e continuamente, lo sforzo maggiore che facciamo è confutare, costruire controargomentazioni a tutto ciò che affermiamo. Se una qualunque altra teoria lo facesse non reggerebbe più di quindici minuti, dopodiché si svuoterebbe come un palloncino. Il principium rationis: non c’è nulla senza una causa, da dove viene questo principio? O viene dalla natura o viene da dio o non viene da nessun altra parte oppure, cosa molto più semplice, è un’istruzione. In queste cose Turing è andato oltre, sì, istruzioni per il funzionamento di una macchina, macchina che potremmo indicare come il linguaggio per esempio, una volta fornite le istruzioni la macchina si avvia e come sappiamo la prima istruzione riguarda, l’abbiamo esemplificata nel “questo è questo”, un’istruzione che fornisce il concetto di identità da cui è possibile costruire qualunque cosa e fornisce anche una istruzione per il riconoscimento di altre stringhe, di altre proposizioni, cioè il sistema da quel momento è in condizione di stabilire se una certa sequenza appartiene al linguaggio oppure no e cioè deve essere accolta oppure rifiutata. Daniela cosa dire di tutto ciò?

Intervento (… questo poetico …

La sua notazione è assolutamente pertinente, Heidegger infatti ha sostenuto che la poesia è il luogo di elezione in cui l’essere si manifesta, dove non c’è più il principium rationis cioè quello che si fonda sulla verità ontica, cioè quella dell’ente, ma mostra attraverso frasi oscure e enigmatiche, mostra proprio lì l’essere delle cose, se arriva a concludere nell’essenza del fondamento, che il fondamento è un abisso …

Intervento:

Dovrebbe leggersi lo scritto sulla poesia di Hölderlin. Non è una lettura facilissima quella di Heidegger, tuttavia è stato l’ultimo dei grandi pensatori, quanto meno riconosciuti come tali, a occuparsi di questioni così importanti, potenti come la verità e il fondamento, e alla fine si è rivolto alla poesia. Non è casuale …

Intervento: …

No perché la ratio giunge soltanto a stabilire una verità che è dell’ente ma che non coglie l’essere, l’essere è sempre aldilà di qualunque verità ontica, non si manifesta nell’ente cioè nel mondo.

Tutto questo che abbiamo fatto è un esercizio di straordinaria utilità e lo diventa ancora di più quando si riesce a compiere questa operazione rispetto a ciò che si pensa, perché confutare Heidegger, Wittgenstein, Freud può essere facile, mentre è difficile con i propri pensieri perché per il solo fatto che si pensino si pensano anche veri, se no non si penserebbero e quindi si parte già male generalmente: se uno pensa una cosa è perché la pensa vera generalmente, perché non è possibile credere vero ciò che si sa essere falso. Per cui lei per esempio quando studia i suoi testi di psicologia nelle prime pagine di questi testi trova quegli elementi da cui parte tutta la trattazione, in genere succede così, le prime pagine del testo stabiliscono delle definizioni, se lei chiede di rendere conto di queste definizioni, di questi asserti da cui muove cosa succede? È un esercizio interessante, basterebbe domandare “e se non fosse così?”. Nessuna teoria in realtà si interroga sui propri fondamenti, non lo fa mai, stabilisce delle cose dopodiché parte ma l’interrogazione sui fondamenti cioè su perché è partito da quei fondamenti questo è dato dall’osservazione generalmente che è uno dei criteri più instabili, più evanescenti, oppure perché si pensa così oppure perché è naturale che sia così, oppure perché è la tesi più accreditata. Sono questi sono i principi da cui si parte ma non c’è effettivamente un’interrogazione sui fondamenti di ciò che si sta asserendo, non c’è mai, tuttavia l’obiettivo di un teorico dovrebbe essere anche quello, se è un teorico, se invece come dicevamo prima è un grullo qualunque allora ovviamente di questo non si cura.