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24-9-2014

 

Avevo accennato a seguito di ciò che abbiamo detto intorno alla metafisica ultimamente o almeno un aspetto della Metafisica di Aristotele e cioè quella che riguarda il principio di non contraddizione che è una delle condizioni per potere affermare di ciò che è, che è, come vuole la metafisica. Però c’è un’altra questione che a questo punto pare interessante, dicevo l’altra volta dell’oggetto, dell’ente in definitiva, dell’ente di cui abbiamo detto a proposito della metafisica recentemente. L’oggetto della scienza, l’oggetto scientifico è un ente metafisico in quanto rappresenta qualcosa che è al di là di chi lo considera. Allora dunque proviamo a considerare la nozione di “oggetto” in questo brevissimo scritto di Carlo Sini il cui titolo è l’oggettività scientifica”, sono degli appunti che ha preso intorno al 96 quindi quasi vent’anni fa. Di “oggetto” dà una sua definizione, che poi vedrà di articolare in queste poche pagine: “tutto ciò che comparendo in una pratica può essere nominato”. Questa è la definizione che dà Carlo Sini. Fa tre esempi, il primo esempio di oggetto è un sentiero: Il sentiero - (come oggetto) dire che misura cinquecento passi significa all’incontro con la pratica del camminare mostra la sua analizzabilità in passi, ciò costituisce un parametro oggettivante controllabile e ripetibile, dunque una verità “oggettiva” cioè intersoggettiva, una verità riconosciuta da tutti, questo non significa che il sentiero sia fatto di 500 passi, il sentiero come oggetto in sé non esiste è tale solo con la pratica linguistica e ciò che esiste non ha misura in sé. C’è un vissuto, il sentiero nel bosco e c’è una pratica numerabile un passo dopo l’altro (abbiamo visto 500 passi) che si retroflette sul vissuto, (questo termine “retroflessione” lui lo userà spesso, sarebbe la retroazione, ciò che agisce a ritroso) da cui si costituisce una nuova oggettività la misurazione di passi percorribile da un mobile, l’esempio funziona e non sembra creare problemi ma è così? In che modo il sentiero “esiste”? che cosa propriamente “esiste”? (poi fa un altro esempio, quello del pianeta) Sono 5, sono 10? Qui si tratta di pratiche linguistiche osservative e numerative (gli astri si osservano, dunque dice Sini c’è un differenza, il sentiero è un individuo molto vago e sui generis però è un qualche cosa che è lì) per esempio esso stesso è stato prodotto dalla pratica del camminare più volte entro il bosco, invece il pianeta è una formazione ben più individuata, è vero che il pianeta è tale in quanto nominato ma è nominato in quanto preliminarmente osservato e osservabile, in questo senso il pianeta è scoperto, c’era in qualche modo già prima e indipendentemente dalla sua osservazione, dai suoi riconoscimenti cioè è sempre lui, prima appariva là ora appare qua, è vero che rispetto alla vastità // (poi cita Kant il moto centrifugo e la formazione dei pianeti) ora possiamo osservare (la formazione dei pianeti) ma questo è un uomo a dirlo e ciò che dice non può essere verificato nel modo dei passi del sentiero (cioè l’esistenza del sentiero, la sua numerabilità è verificabile dai passi mentre il pianeta no) può solo essere indirettamente inferito, il sentiero misura tutt’ora 500 passi mentre la formazione di un pianeta non è un fenomeno direttamente osservabile qualcosa che sta davanti agli occhi, tra l’altro una nozione di temporalità che travalica l’esistenza del tempo nuovamente vissuta, però è difficile negare che quel che diciamo concerna eventi oggettivi del tipo “prima non c’erano corpi celesti, né propriamente un cielo, poi sono comparsi, compresa la terra che ha prodotto alla lunga l’uomo che dicendo tutto ciò, certo lo stiamo dicendo se fossimo stati presenti avremmo osservato che … (Il che è paradossale dice Sini) perché non potevamo essere presenti, non di meno comunque sia andata la cosa, i pianeti dei quali parliamo sono una sussistenza autonoma posso osservarli solo se già ci sono, una sussistenza autonoma che si conserva nel tempo, e non la semplice replica di una misura, possiamo chiedere in che o quale evento di esperienza all’incontro con quale presenza si forma un pianeta (cioè questo oggetto da dove viene fuori?) l’universo in sé accadente e semovente è un’immagine, una fantasia, una idea retroflessa dell’uomo (vede qualcosa e se la costruisce) però noi sperimentiamo corpi venuti in tempi pregressi così come possiamo trovare in cantina il libro di testo di filosofia di nostro nonno con le sue annotazioni a margine, libro e annotazioni che assegnano senza dubbio alcuno a un tempo che non ci comprendeva e non ci vedeva presenti, perché quello che vale per il singolo non dovrebbe valere per l’umanità tutta intera? (ma dice “veniamo a un altro esempio, il terzo e ultimo) stimolando un gene l’ingegneria genetica ha prodotto in questi giorni (1996) un pollo a quattro zampe … Il fine non è quello di far felici gli amanti delle cosce di pollo ma di comprendere meglio la formazione degli arti a beneficio dell’uomo, qui, un processo sinora inosservabile le cui cause si fanno risalire alla filogenesi (cioè la nascita della specie vivente) non soltanto è reso visibile ma persino manipolabile e modificabile (tenete sempre conto che stiamo parlando di oggetto) possiamo ben dire che geni, DNA, sono nozioni e parole umane tuttavia la formazione del corpo è un processo che prende coscienza e parola e non di meno possiamo rilevarne con sicurezza elementi e avvenimenti con un sapere che, come voleva Vico, è anche fare, ci sono delle premesse e a esse seguono delle conseguenze, come c’è una genesi del sistema solare, c’è una genesi dell’individuo all’embrione, con una differenza che non possiamo produrre un sistema solare ma un pollo a quattro zampe sì, (ora che non possiamo produrre un sistema solare questo dipende solo da la temporanea, momentanea incapacità degli umani a costruire corpi celesti, ma questo non impedisce che un giorno sia possibile farlo. Non so a che scopo ma non tutte le cose che gli umani inventano hanno uno scopo immediato) Ora tutto sta a comprendere di cosa parliamo quando ci riferiamo alla genesi del sistema solare (noi parliamo delle genesi del sistema solare ma di che cosa stiamo parlando? Qui c’è una sua annotazione a margine “non bisogna lasciar soli gli scienziati in questa complicatissima impresa” cioè di sapere di che cosa stanno parlando) non c’è dubbio che genesi del sistema solare eccetera sono formazioni di senso umane, è però altrettanto indubbio che esse alludono a situazioni di “realtà” indipendenti dall’ “umano” e precedenti l’“umano”. Io ripeto spesso “non ci sono oggetti che non siano interni a una pratica o intreccio di pratiche, è una costatazione che non teme smentite” (io ci andrei più cauto con queste affermazioni così lapidarie) tutto questo ha il medesimo tenore di “non possiamo riferirci oggettivamente a qualcosa senza la mediazione del linguaggio sebbene “linguaggio” sia un oggetto che si forma entro pratiche diverse e sebbene anche “pratica” sia una parola”, ora un conto è che non si può smentire che le cose cui ci riferiamo emergano entro intrecci di pratiche, un altro conto è lo statuto di realtà oggettiva di queste cose (e qui interviene la “soglia”. È una questione che lui si sta ponendo, dice “un conto è che le cose cui ci riferiamo sono cose che emergono entro intrecci di pratiche altro invece è lo statuto di realtà di queste cose che compaiono nella pratica) voglio dire che l’intersoggettività di una nozione, risalente alle pratiche come soglia trascendentale, non esaurisce la sua oggettività cioè il suo senso e la sua “intenzione” di realtà, Husserl direbbe “la sua trascendenza” (la soglia trascendentale sarebbe la soglia tra il dicibile e il non dicibile). Io dico che l’esistenza della parola è una soglia a partire dalla quale ogni altra pratica viene tradotta, (quindi l’esistenza della parola è ciò attraverso cui ogni altra cosa, ogni altra pratica viene tradotta) ma la soglia costituita dalla pratica che cosa traduce esattamente? (sembra alludere a un qualche cosa che deve essere tradotto, quindi ci deve essere un qualche cosa, un quid) come il fatto dell’invalicabilità dell’esistenza della parola non esclude la precedenza di tutti i segni non verbali e dell’intero complesso delle pratiche non linguistiche (pareva che il termine “pratica” potesse essere abbastanza simile a gioco linguistico, ma non è così, lo è in parte, però per lui esistono “pratiche linguistiche” e “pratiche non linguistiche” almeno apparentemente) l’invalicabilità della pratica per cui se mi chiedo che cosa c’è fuori dalla pratica già questo domandare è un’altra pratica (qui di fatto sta dicendo che qualunque pratica non esce dalla pratica, dall’atto linguistico potremmo dirla così) l’una e l’altra, la parola e la pratica in generale anzi la presuppongono e la pongono come quella differenza che è parte integrante e costitutiva della loro soglia, quale differenza? Il non verbale si pone come “differenza retroflessa” dall’esistenza della parola poiché la parola come ogni segno è parola solo nel darsi a vedere come differenza rispetto alla cosa che significa (il “non verbale” è la differenza rispetto alla parola, ciò che la parola costruisce dicendo qualche cosa, ciò che costruisce si retroflette sulla parola e a questo punto vedete che c’è un movimento in cui si situa la differenza. Questo è abbastanza derridiano. Vi rileggo il passo: “il non verbale si pone come differenza retroflessa dall’esistenza della parola” la parola c’è il “non verbale” è retroflesso cioè accade in una retroazione, poiché la parola è parola solo nel darsi a vedere come differenza rispetto alla cosa che significa, cioè la parola non è ciò che significa, c’è la parola e ciò che la parola significa, questa cosa che la parola significa si retro flette per cui la parola a questo è parola, ma è parola comprensiva anche di questo retroflesso, infatti dice “è parola solo nel darsi a vedere come differenza rispetto alla cosa che significa” la parola è tale in quanto non è ciò che significa, non è la stessa cosa di ciò che significa) (vale a dire solo una volta detta la parola) (sì, la parola “accendino” non è questa cosa qui – cioè ciò che indico – questo sta dicendo) (sta dicendo che è il “non verbale) (la cosa è il non verbale, però questo “non verbale” si pone come una differenza retroflessa …) Qual è però la differenza della pratica e della pratica che l’esistenza della pratica pone? Sto dicendo “parola/cosa” per differenza interna (la barra è un po’ come il segno di De Saussure, significante e significato, la barra indica che non c’è passaggio, quindi la parola / cosa per differenza interna. La parola che significa qualche cosa, questo significato retroflesso torna indietro e la parola diventa “differente da sé” tra virgolette) allo stesso modo la pratica che è un concatenamento casuale sempre per differenza interna, anche la pratica come la parola, (cioè la pratica non è la parola per Sini) quindi la pratica osservativa del cielo in sé finalizzata alla scoperta visiva e non verbale produce corpi invisibili e innominabili cioè aventi il loro senso d’essere nel non dipendere in sé dal visibile e numerabile (questo è importante) cioè la pratica osservativa produce (badate bene) produce corpi invisibili e innominabili (sta dicendo qualche cosa che può essere interessante, che la parola costruisce o meglio è il verbale che costruisce il non verbale, è il dicibile che costruisce l’indicibile) la pratica osservativa del pollo produce un corpo macchina precedente il pollo che razzola, (cioè guardare il pollo produce un corpo precedente il corpo che razzola, che costruisce l’idea di pollo, il concetto e il concetto di pollo non razzola, i concetti non razzolano mai. Infatti c’è una piccola parentesi dove dice “sto procedendo con schizzi molto generici e imperfetti facendo una fatica boia!”. Ora come dicevo prima se l’indicibile è costruito dal dicibile, allora se consideriamo il dicibile come un oggetto, perché no? È un ente al pari di qualunque altro, dice Sini “ogni oggetto a questo punto è duplice” perché?) è un oggetto interno di una pratica (cioè è il prodotto di un intreccio di pratiche) e ne ricava il senso positivo di oggettività, di ritrovabilità intersoggettiva, questo è un aspetto, il secondo aspetto (dell’oggetto) è un rimbalzo oggettivamente connotato per differenza dalla pratica come se ciò che io esperisco lo esperisco attraverso una pratica (nel primo punto dice che è interno ad una pratica) ma la sua oggettività è qualche cosa che si produce come una sorta di rimbalzo per una differenza dalla pratica attraverso la quale ho potuto esperirlo (io esperisco qualche cosa all’interno del linguaggio ma questo qualche cosa che esperisco, qui naturalmente lui sta facendo una critica alla nozione dell’oggetto scientifico, badate bene questa non è la tesi che lui sostiene, è una “problematicità” dell’oggetto che sta ponendo) vediamo di esemplificare: Pianeta è ciò che plana attraverso il cielo, un oggetto siffatto raccoglie in sé innumerevoli stratificazioni di pratiche, (cioè per sapere che cos’è un pianeta devo sapere uno sterminio di cose) ogni stratificazione comporta un rimbalzo negativo estraniante dalla pratica che l’ha posto in essere, tutte queste pratiche che sono necessarie per la “conoscenza” del pianeta (lui ha questa immagine di una stratificazione di pratiche, prima si impara a fare le aste, poi a scrivere la A,  e ogni stratificazione è come se dovesse istituirsi negando la stratificazione precedente, comunque negando qualcosa della stratificazione precedente perché un sapere viene aumentato, viene corretto, viene modificato) ecco, per esempio, si diceva della visibilità il cui senso “intenzionale” assumente si potrebbe esprimere così: la vista rivela ciò che potendo essere visto è un sé altra cosa dalla visione” e perciò ha un suo essere non definito dalla visibilità sussistente anche se non visto anche quando non è visto (la visione è altro da ciò che io vedo, sono sempre due cose diverse, c’è la visione e ciò che vedo) inoltre come corpo in movimento il pianeta eredita tutti i significati connessi alla percezione identificante il movimento empirico dei corpi, (cioè ciò che sai del pianeta, tutto ciò che sai Simona del pianeta, tutto ciò che sai è ereditato da ciò che sapevi prima) qualcosa compare e riappare un po’ più in là dove vi era riconosciuto come il medesimo (i pianeti si spostano, si muovono) (la visione è ciò che sappiamo prima di vedere?) (sta dicendo che il pianeta si “muove” perché tu sai che cos’è il movimento, questo significato di “movimento” lo erediti da qualcosa del tuo passato e quindi lo applichi in quel momento all’aggeggio in questione in questo caso al pianeta) la cosa è sottile perché è rispetto a un osservatore dotato di certe caratteristiche che un corpo assume una identità spazio temporale, cosa diremo del corpo in sé? Non che esso abbia una identità in sé, osservazione priva di senso proprio ma certo una disponibilità all’identificazione (cioè all’essere identificato, non dovete pensare all’ “identificazione” in senso psicanalitico. Infatti fa il caso dell’errare) all’apparire di un corpo viene scambiato come il riapparire di un altro “è ancora Venere” e invece non è così, il riferimento all’osservatore è necessario ma non sufficiente quindi l’identificabilità di Venere (tenete sempre conto che stiamo parlando di oggetti) “l’identificabilità di un oggetto” ha la sua condizione nell’identità umana, specificantesi nelle sue pratiche (cioè questa nozione di “identità” viene dalle sue pratiche, dalle cose che ha apprese, da quello che ha imparato a scuola, a partire dalle aste) ma l’identità di Venere in qualche modo precede (questo dice la metafisica, l’identità di Venere c’è già) come qualcosa da identificare e proprio come quella cosa (questa è metafisica) donde la possibilità dell’errore (cioè identifica una certa cosa ma invece è un’altra, perché soltanto se quella è identificata posso commettere un errore, se non è identificata questa può essere qualunque cosa e il suo contrario) ma posso dire quella cosa è fatta così come il pianeta Venere eccetera assegnandole i caratteri che emergono dall’essere osservati da me, in base a certe pratiche, in sé Venere non ha identità ma l’assume per assimilazione differenza con l’identità umana, questa sarebbe la formazione oggettivante che ogni pratica nel suo esistere di soglia: retroflette il suo carattere o figura per esempio la riconoscibilità visiva, ci sono cose riconoscibili con la vista quindi la sua riconoscibilità visiva e il suo negativo qualcosa che non ha nel suo esser visto la condizione ma che è condizione dell’esser visto, Venere ha pertanto un’identità, noi pensiamo infatti a una identità materiale (cioè per “esser visto” deve avere una identità materiale in sostanza, se non ché) punto primo: ciò che è materiale non può avere un’ identità (perché? E qui si rifà ad Aristotele) è solo attraverso la forma che la materia si identifica quindi ciò che è materiale non può avere un’identità (se ha bisogno prima della forma) punto secondo: già dire “materiale” è dire una forma che si qualifica per differenza (il famoso rimbalzo di prima) da spirituale e simili (qui fa un richiamo a un suo corso. Quindi parlare di identità materiale per Sini è un paradosso, non c’è nessuna identità materiale, se qualcosa è materiale allora comporta che se è materia questa materia si identifica attraverso la forma, non attraverso la materia, la materia finché non ha forma non c’è) sembra di poter indicare due punti essenziali la soglia che in ogni caso è in gioco e la soglia del corpo percipiente, animato (cioè del corpo della persona che vede per esempio) Ogni soglia è un origine che presuppone delle condizioni, la condizione viene prima dell’origine, pensiero in cui si compendia l’essenza paradossale duplice della verità (cioè ogni soglia è un’origine che presuppone delle condizioni e la condizione viene prima dell’origine perché la soglia, diceva prima, in ogni caso qualunque soglia sia, in ogni caso è in gioco, ciò che è in gioco è la soglia del corpo percipiente quindi prima della soglia dovrebbe esserci il corpo percipiente ma, dice, ogni soglia è un origine che presuppone delle condizioni, quindi la soglia non può essere originaria ha delle condizioni prima di sé. Qui cerca di chiarire) dire la condizione è assegnarsi una origine (una condizione è come un’origine, assegnarsi un’origine trae origine da questo assegnarsi stesso) Ora quale sia di volta in volta la figura del corpo percettivo non può dirsi teoreticamente come osservando la cosa dall’esterno (cioè qualunque sia la figura del corpo percettivo questa non può dirsi osservando la cosa dall’esterno, ciò viene mostrato eticamente, cioè non c’è una presa diretta con l’oggetto per farla breve) l’oggetto non si manifesta da sé, ma ciò viene mostrato “eticamente” cioè dall’abito di risposta infatti un’analisi del corpo percettivo mostra solo elementi materiali non percepenti // (ma dice l’“abito di risposta” la pratica) assume il mondo come contesto alla sua visione, trascrive il mondo nel suo “foglio mondo” (che è una nozione di Peirce, cioè il mondo non è altro che un foglio all’interno del quale vengono iscritte tutte le pratiche possibili. Quindi questa visione della cosa è possibile perché, tornando a ciò che diceva prima, questa visione è all’interno di una pratica, non c’è la visione diretta l’oggetto non si mostra per sé) così facendo configura il mondo che (ma la “pratica” non è il linguaggio ancora?) (lui arriva a dire che la pratica non può essere fuori dal linguaggio probabilmente lui parla di “pratiche non linguistiche” proprio per alludere a qualcosa di impossibile, infatti una pratica non è nient’altro che l’agire di qualcuno per qualche motivo, ora l’agire di qualcuno per qualche motivo non può essere fuori da un linguaggio, non può essere fuori da un sistema che consenta di pensare una cosa del genere. Qualcuno potrebbe dire che per esempio il movimento degli elettroni intorno al nucleo dell’atomo non è una pratica, non è intenzionale, non è mosso da qualche cosa, non c’è un progetto in tutto ciò. Comunemente si pensa così) si potrebbe osservare che la figura, l’immagine deve essere fatta come una materia diversa dalla cosa immaginata (questo lo cita dal Cratilo) ma la materia non preesiste come “realtà in sé” bensì si determina per differenza interna in base all’immagine (ciò che noi chiamiamo “materia” è ciò che desumiamo da qualche cosa che funziona come una differenza interna dell’immagine cioè dal fatto di considerare che l’immagine è all’interno di un sistema che la rende possibile e che non è comunque l’oggetto dell’immagine. Adesso ho detto in un modo molto rozzo) supponi la soglia del corpo percettivo caratterizzato dalla visione (lui considera questo aspetto della soglia del corpo percettivo come visione, avrebbe potuto considerare il tatto, considera la visione e va bene) essa (visione) si innesta sulla soglia dei paraggi corporei della superficie del corpo, che già determinano una spazializzazione e il potenziale rimbalzo esterno interno, accadono dapprima eventi la cui localizzazione tattile è incerta e non di meno disponibile c’è del riconoscimento “kìnesis” passivo e attivo poiché il corpo percipiente è essenzialmente un essere in movimento (re – azione) // (quindi l’oggetto, l’oggetto scientifico più propriamente, questo è il titolo l’ “oggettività scientifica” in che cosa consiste per Sini?) per il sottrarsi dell’esser qua, passivo attivo del corpo (cioè il corpo che può dire “io sono qua”, passivo e anche attivo perché posso fare anche delle cose volendo) per il sottrarsi dell’esser qua passivo attivo del corpo che si determina un esser là che assume il senso di materialità esterna preesistente come condizione della sua stessa origine iscritta sulla soglia del corpo percipiente e semovente (è per il sottrarsi della sensazione “dell’esser qui” del mio corpo, che si determina un “esser là”, come dire, per cogliere che qualche cosa è là è come se io dovessi sottrarmi al mio “esser qua”, è come se mi portassi al di fuori in un certo senso, è questo che determina il senso di materialità esterna preesistente, cioè che posso immaginare che qualche cosa preesiste al fatto che io la stia considerando, cioè qualche cosa posso pensare che esista indipendentemente dal fatto che io pensi perché io mi pongo al di fuori di me) che questa cosa assume una materialità (e quindi l’idea che possa preesistere alla mia conoscenza) perché la condizione di pensare questo è inscritta nella soglia del corpo percipiente e semovente (sta dicendo molto semplicemente che io posso conoscere questa cosa e conoscendo immaginarla al di fuori come materia a sé stante per via del fatto che il mio corpo, che percepisce le cose, è fatto nel modo in cui è fatto, “la soglia del corpo percipiente e semovente”) l’origine è insita nella soglia del corpo percipiente e semovente (cioè il fatto che io sono in grado di percepire, è questo mio essere in grado di percepire che fa esistere le cose. È questo che sta dicendo, io posso percepire, perché il mio corpo è fatto a questa maniera ed è in condizioni di percepire che io percepisco le cose, percependole a questo punto la mia percezione è come se mi portasse fuori in un certo senso dal mio corpo per raggiungere questa cosa e da quel momento questa cosa diventa una materia che esisteva anche prima di me. Cosa che per Sini “apparentemente” appare impossibile) ma tu dici preesiste perché infatti è già là, oh, ma questo non puoi dirlo stando a quel livello, si tratta di un’idea che può essere costruita solo con il concorso di altre soglie, per esempio con la visione che identifica a un più alto livello la ripetibilità degli incontri e poi con il linguaggio che nomina e universalizza (qui c’è un’altra questione interessante, perché dice in base a queste cose a tutto ciò dire “che è già là” non è possibile dirlo, stando a questo livello di percezione, dove io se ammetto che la mia percezione è ciò che mi consente di “vedere” questa cosa e “vedendola” immaginare che sia al di fuori di me, ma soltanto perché percepisco questa cosa c’è, perché io posso percepirla, allora dice non posso dire che è già là, perché si tratta di un’idea che può essere costruita solo con il concorso di altre soglie quindi di altri pensieri, ecco per esempio “la visione e poi il linguaggio” senza queste cose, io come faccio a dire che l’oggetto è già là se non c’è un linguaggio? se non c’è la visione in questo caso? ma direi più propriamente con il linguaggio, con che cosa posso sapere una cosa del genere? Con che cosa posso nominarla? Perché dice il linguaggio “nomina e universalizza”. Qui si pone una questione interessante perché sembra quasi che perché ci sia la conoscenza, e qui sarebbe da riprendere tutto ciò che abbiamo detto di Severino, perché ci sia conoscenza occorre che il linguaggio compia delle operazioni, certo queste operazioni sono operazioni determinate da pratiche, cioè a questo punto possiamo dire dal linguaggio, ma per potere quasi letteralmente “materializzare” qualche cosa appare necessario che questo oggetto sia universalizzato e cioè sia reso metafisicamente quello che è. Poi aggiunge una cosa che è discutibile, dice che) in questo processo qualcosa viene sempre precluso proprio perché ritrascritto in una soglia ulteriore (questo è molto alla Derrida) sicché “materia” è l’unità dell’intero orizzonte ogni volta presente in figura. (Ogni volta la figura è presa in una pratica, questa pratica si compone di varie soglie, la soglia visiva, uditiva, e non solo i cinque sensi ma ci sono anche altre cose però nel passaggio da una soglia a un’altra c’è sempre una perdita, un qualche cosa che viene tralasciato, che sia così oppure no questo non (tralasciato oppure si abbandona?) lui dice letteralmente “perduto” quindi ve lo dico come lo dice lui “perduto”, perché in ogni trascrizione qualche cosa si perde) perché si muove nella continua reinterpretazione delle soglie precedenti in cui (questa cosa secondo lui è ciò che dà l’impressione del progresso, il fatto di reinterpretarlo continuamente in altre soglie precedenti) in questo senso la totale riduzione della natura a materia e movimento, quale accade nella fisica classica, utilizza e riscrive le esperienze ancestrali del corpo e la produzione di condizioni materiali preesistenti e pregresse della quale la soglia originariamente percettiva del corpo è responsabile (qui già riecheggiano alcune cose che poi riprende sull’origine del linguaggio. La cosa che avevo trovato di qualche interesse sono le sue annotazioni riguardo a questo oggetto, che di fatto viene prodotto dalle varie pratiche, è un intreccio di pratiche. Vi ricordate cosa diceva Hjelmslev dell’oggetto? “Intersezioni di fasci di relazioni” anche in quel caso l’oggetto viene posto come un qualche cosa che si dà, anche per Hjelmslev, anche se lui non parla di pratiche ovviamente ma all’interno di “giochi linguistici”, potremmo dire più propriamente, cioè l’oggetto compare, se vogliamo utilizzare tutte queste cose, come una sorta di intersezione di giochi linguistici, allora compare questo oggetto. Ma come è potuto accadere che l’oggetto si sia considerato come qualche cosa di materiale al di fuori di me? O in altri termini, come è potuto accadere che si sia inventata la metafisica? Secondo Sini dipende dal fatto che questo oggetto nel momento in cui il mio corpo percepisce qualche cosa, questa percezione avviene sì all’interno di una serie di pratiche, ma uscendo fuori è come se cogliesse, se si mettesse quasi, forse Sini non sarebbe d’accordo, quasi al posto dell’oggetto, è solo a quel punto che l’oggetto diventa percepito, cioè attraverso il corpo e la sua percezione è possibile percepire qualche cosa, se è possibile percepire qualche cosa allora qualcosa viene percepito. Prima parlavo della visione, qualcosa è visibile se può essere vista, se può essere osservata (lui parla di qualcosa che viene perduto quindi c’è un modifica in queste soglie, ma non è proprio perché c’è questa sottrazione, questa perdita che l’oggetto acquista una sua identità a sé, come se diventasse indipendente dalle pratiche? Perché l’idea che esista un oggetto identico a sé e quindi che esista la realtà è che esista indipendentemente dalle pratiche che l’hanno costruito) (più propriamente lui dice così, rileggo il brano “in questo processo qualcosa viene sempre perduto proprio perché ritrascritto in una soglia ulteriore sicché “materia” è l’unità dell’intero orizzonte ogni volta presente in figura” ecco questo sarebbe la materia secondo lui, cioè la somma di tutte le soglie, la soglia uno “materia del puro tatto” per esempio, poi soglia due “materia del tatto più la visione: lo tocco e lo vedo, poi soglia tre “materia del tatto più visione, più linguaggio: lo tocco, lo vedo, lo dico”, questo sarebbe il circolo della materia secondo Sini. (È anche vero che al momento che si superano queste pratiche qualcosa viene perduto, si superano come se non esistessero più per quello che ad un certo punto qualcosa diventa fuori dalle pratiche, perché non abbiamo più “memoria” di ciò che ci ha consentito di poter fare tutto ciò che facciamo, di vedere tutto quello che vediamo eccetera) (sì dice “tutta la materia è nell’evento di ogni soglia e sottolinea “tutta” la materia”, però aggiunge “la figura delle soglie pregresse è oscurata e perduta” quindi tutte le cose di prima in qualche modo vengono perdute) (perché la materia esiste solo perché sono perdute, perché nessuno ha più consapevolezza di quello che è diciamo il “materiale linguistico” che consente di fare quello che fa) (beh questo lui non lo dice) (è l’eco che dà a me) (lui parla di riduzione della natura a materia e movimento, che è una questione abbastanza complicata perché ridurre la natura, a meno che non sia una critica al fisicismo, non so fino a che punto lo è) (scusi?) (dice) la riduzione della natura a materia e movimento, a seguito di questo, non di meno il circolo si muove, non di meno si muove nella continua reinterpretazione delle soglie precedenti e tutto questo assume la sembianza del progresso” cioè questa continua reinterpretazione delle soglie precedenti è ciò che comunemente chiamiamo “progresso”, in questo senso la totale riduzione della natura a materia e movimento, quale accade nella fisica classica, utilizza e riscrive le esperienze ancestrali del corpo e la produzione di condizioni materiali preesistenti e pregresse della quale la soglia originariamente percettiva del corpo è responsabile, dire che abitiamo in un mondo fatto di corpi che si muovono tendenzialmente di moto uniforme è una trascrizione efficace e perciò a suo modo veritiera delle componenti ancestrali della percezione (e questo è molto discutibile, è un modo di ricondurre comunque qualche cosa che alla fine è difficilissimo da illustrare e ancor più da spiegare a un qualche cosa di precedente e cioè la capacità del corpo di percepire qualcosa, come dire lui pone a monte di tutto il processo questa possibilità di percepire, è perché io percepisco che ci sono i corpi ma questi corpi sono preceduti dal mio corpo) (prima del linguaggio) questo è difficile a dirsi per Sini perché in realtà non è che sia molto chiaro sulla questione, però dice “dire che abitiamo un mondo fatto di corpi che si muovono è una trascrizione efficace, - quindi a suo parere veritiera – delle componenti ancestrali della percezione” quindi la percezione sarebbe l’origine di tutto, la possibilità di percepire. Direi sì e no, direi sì in un certo senso perché appare, dico appare perché non va oltre, che la percezione sia qualche cosa di meccanico così come una macchina percepisce qualche cosa, se io premo il tasto della A, la macchina percepisce la pressione sul tasto e compie tutte le operazioni che deve compiere, è in questo senso che parliamo di percezione? O il famoso termometro che percepisce la temperatura del freddo e il mercurio si contrae? Però questo corpo è un corpo al pari di un termometro per fare l’esempio, oppure è un corpo iscritto, come dice lui stesso all’interno di pratiche cioè all’interno del linguaggio, se è all’interno del linguaggio tutta la discussione che fa dei componenti ancestrali della percezione lascia il tempo che trova, perché questa percezione sarebbe nulla se non fosse all’interno di un sistema linguistico, quindi questi componenti ancestrali della percezione sono una costruzione, usando il suo termine “retroflessa” del fatto che io ho pensato queste cose, che non esistono di per sé, e lui lo dice ad un certo punto che non è che le cose esistono di per sé, esistono in questo movimento di pratiche cioè in questo movimento linguistico, quindi la questione dell’oggetto si fa interessante nel senso che è un qualche cosa che il linguaggio, adesso lasciamo perdere le pratiche, ma il linguaggio costruisce non perché il corpo percepisce qualche cosa, ma perché è il linguaggio che ha le condizioni per costruire qualche cosa. E Sini in qualche modo giunge a questo infatti la sua ricerca ultimamente verte sull’origine del linguaggio perché lui cerca il da dove viene il linguaggio per dare un senso a molte sue conclusioni. Questo lo dico per problematizzare la questione dell’oggetto, l’oggetto è qualche cosa che esiste di per sé o esiste in quanto c’è qualche cosa che lo produce, ma questo qualche cosa che lo produce a sua volta è un oggetto, il linguaggio possiamo anche indicarlo come un oggetto, un ente, un oggetto che percepisce altri oggetti, un oggetto che costruisce altri oggetti, ecco perché lui è arrivato a chiedersi “da dove viene questo oggetto?”. È un modo di considerare questa nozione, di problematizzare cioè prendere la nozione di oggetto e trasformarla in un problema da risolvere, naturalmente ci sono anche altre posizioni riguardo alla nozione di oggetto, l’altra posizione di cui ci occuperemo è quella di Meinong che è diversa da quella di Sini.