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24 settembre 1998

 

Di cosa avete parlato nell’incontro del lunedì?

Intervento: A partire da una lettura di un testo di Benveniste laddove c’è una analisi grammaticale di operatori deittici quali io, tu, egli ci siamo trovati a parlare del come sia difficile considerare questi operatori essi stessi costruzione del linguaggio e quindi produzione continua di linguaggio quasi che il linguaggio sì, lui reinventasse le regole del gioco ma a partire da un io che dice io so che il linguaggio inventa le regole del gioco, e dicendo so il sapere determina l’io, il sapere non può inventare, se potesse inventare per definizione non sarebbe più sapere... come dire il linguaggio costruisce proposizioni.

Vi faccio un tranello retorico, se ciò che è necessario è il linguaggio, ciò che è arbitrario non è linguaggio...

Intervento: Sul persuadere... c’era un signore che distribuiva volantini per i Testimoni di Jehovah e mi trovavo a considerare…

Che per giocare in molti occorre che molti accettino le regole del gioco...

Intervento: Allora penso che al momento in cui il nostro gioco fosse più... troverebbe molto meno difficoltà a giocarsi...

Sì e no, dal momento che per la natura stessa del gioco che stiamo facendo, in effetti, talvolta il consenso, così come è avvenuto anche in molti casi, è un consenso che poggia su una struttura religiosa. Come si diceva tempo fa, anche le cose che man mano stiamo elaborando possono indurre a una struttura religiosa, cioè viene preso come un credo fatto e finito, viene creduto e allora in quel caso sì è un consenso, in alcuni casi anche incondizionato, però, come dicevo, per la struttura stessa del discorso che stiamo facendo questo comporterebbe un ulteriore problema, anche se effettivamente avremmo maggiore consenso. Però è una questione che fa quasi sempre da sfondo o ha fatto quasi sempre da sfondo a questo... cioè, paradossalmente apprendere questa struttura come un discorso religioso, tenendo conto che ha tra i suoi fini, diciamo così, la dissoluzione del discorso religioso, comporta un paradosso. La difficoltà sta nel trovare questo consenso di cui dici senza questo aspetto collaterale che è sempre presente… (Mi interessava porre l’accento su come sia il consenso che crea la forza…) Sì, in questo caso però sarebbe un consenso a qualche cosa che non ci appartiene (Non riuscivo a dare una risposta alla domanda cosa rende il gioco così forte…) E invece era questa la domanda a cui tu avresti dovuto dare la risposta... In questa circostanza la risposta era un po’ più complessa e invece è proprio questo che ci sta interrogando, come ottenere cioè il consenso rispetto non a un discorso religioso ma al percorso che andiamo facendo e quindi alle proposizioni che andiamo mano a mano inventando... (Quando riteniamo che qualcosa è necessario...qui noi poniamo in un certo modo un atto di fede ... non abbiamo scandagliato…) Perché dice che non abbiamo scandagliato? (...) Ci fa un grande torto se afferma questo... (Si dice che è necessario che sia così perché se no non potremmo proseguire; ecco, accettare queste proposizioni...) Inteso il problema. Ciò che indichiamo come necessario è unicamente ciò che non può non essere, perché se non fosse tutte queste considerazioni non potrebbero farsi in nessun modo, quindi in definitiva è la struttura del linguaggio che intendiamo come necessario. Ora, per esempio, affermare che questa è la mia mano, in questa accezione di necessità, non è necessario. Spesso mi rendo conto che c’è stata una sorta di ambiguità che ha generato l’equivoco. Dicendo che è necessario che io affermi che questa è la mia mano per poter considerare tutta una serie di cose, questo induce in effetti a un malinteso rispetto alla nozione di necessità. Potremmo utilizzare un altro significante per distinguerli e per evitare questa ambiguità… (Forse basta considerare che è una affermazione…) Qualunque cosa è una affermazione (...) Preferivo qualcosa di più pulito, di più semplice, senza stare ad aggiungere cose..., per cui se noi escludiamo che l’affermare che questa sia la mia mano sia cosa necessaria, come la potremmo indicare? Perché non è necessario in quanto non è uno degli elementi che consenta al linguaggio di esistere (...) Certo, potremmo utilizzare tanti modi ma una delle direttrici in questa ricerca è l’estrema semplicità; potremmo fare delle costruzioni complicatissime, però è qualcosa di molto più semplice. Affermare che questa è la mia mano è necessario per l’esistenza del linguaggio? No, certamente è “necessaria” per proseguire il discorso e costruire cose e quindi che cosa potremmo dire? (Che è funzionale.) Sì, funzionale al gioco, certo. Affermare che questa è la mia mano non è necessario ma funzionale al gioco, è un gioco che si sta giocando, certo. Ecco che allora necessario non risulta più nulla tranne ciò che costituisce la struttura del linguaggio, solo questo risulta necessario, ciò che non può non essere, perché senza di questo non si può procedere mentre se io nego che questa sia la mia mano posso continuare a fare qualunque cosa, ma senza il linguaggio no. Ecco che la definizione di necessità che abbiamo fornito può essere più potente, come ciò che non può non essere, e l’unica cosa che non può non essere assolutamente è che ci sia una struttura che chiamiamo generalmente linguaggio. Questa struttura è fatta di due aspetti, abbiamo individuato le procedure, la logica e la retorica... (Sì, questo semplifica molto…) Sì, in un certo senso, ma le implicazioni possono non essere così semplici. Vedete il nostro unico punto di forza, per intendere la questione di Roberto della persuasione e del consenso universale, l’unico punto di forza in tutta la nostra argomentazione è la non negabilità e a questo punto è su questo elemento che occorre che convergano i nostri sforzi e anche la persuasione, su questo aspetto che è l’unico punto di forza veramente potente su cui si regge tutto quanto. (Se fosse attaccabile...) Si dissolverebbe tutto in quattro e quattr’otto, così come qualunque altra teoria... come quella che afferma che i bambini diventano nevrotici perché hanno la carenza affettiva o perché la mamma ha proibito di mangiare la marmellata e da qui... Quindi, occorre puntare su questo aspetto, la non negabilità, e vedere come possiamo combinarla e costruire in modo tale che risulti fortemente non convincente, perché lo è necessariamente, ma persuasiva, che è tutt’altro discorso. Giustamente Perelman distingue “è convinto” ma lei chieda a un credente di provare l’esistenza di dio, probabilmente non lo sa fare ma non per questo smette di credere... Come utilizzare questo aspetto della non negabilità nel migliore dei modi? Facendo leva su che cosa? Come rendere la non negabilità un potente argomento persuasivo? (Io penso che la presentazione e la confutazione delle auctoritates sia la via) Certo, però si potrebbe porre la logica come auctoritas. Taluni, sì, potrebbero non essere persuasi... (...) Anche di fronte ad argomentazioni come questa del linguaggio secondo te è possibile affermare una cosa del genere, che afferma che è necessario il linguaggio per potere affermare o negare qualunque cosa? (...) No, certo, comunque le persone che vengono a sentirci hanno già qualche curiosità, non è che prendiamo la gente per il bavero e la trasciniamo, c’è già comunque almeno una curiosità...(...) Tu concordi che l’unico punto di forza è la non negabilità o ne intravedi altri? (...) Tu dici che potrebbe essere di qualche utilità per esempio intervenire con, faccio un esempio, Heidegger, Wittgenstein o altri per confutare ciò che dicono? (...) Che ne dite? Io stavo pensando che la seconda parte di interventi potrebbe essere indirizzata in una cosa del genere, nella prima l’arte retorica e fornire gli strumenti per confutare, discutere, nella seconda parte poi porre in atto una cosa del genere prendendo dei testi e muovendo delle formidabili obiezioni. Pensate che possa avere qualche interesse una cosa del genere? (...) Quali sono gli autori che diverte che siano confutati? (Heidegger, Wittgenstein, Aristotele…) Pensavo più ai contemporanei (Derrida) Anche Derrida... Questo aspetto della non negabilità va rafforzato retoricamente perché è questo l’unico elemento su cui facciamo leva in definitiva, fanno leva tutte le nostre argomentazioni in quanto non son negabili. Perché questo è importante? Perché se dice: no è negabile, e allora, chi se ne...? Dimostrare che qualunque argomentazione che si faccia, che lo si voglia o no, ha di mira questo criterio o punta a questo senza raggiungerlo minimamente. Cosa pensa Cesare così assorto? (Il potere affermare che ciò che si ritiene vero è una cosa arbitraria mi sembra importante…) (Mi sembrava che il pubblico più disponibile ad un discorso di questo genere fosse quel pubblico che mirava alla politica o non siamo riusciti a trovare interlocutori validi...) (…) Perché la non negabilità ha così poco potere persuasivo? (Non ha consenso.) Non ha consenso… è a posteriori perché non è persuasiva... Eppure il discorso più rozzo ha questo obiettivo, quello di giungere a una conclusione che non sia negabile (...) (La non negabilità di un discorso infastidisce e quindi si evita quell’argomento.) Sì, ciascuno a modo suo è come se volesse essere lui il detentore di una proposizione non negabile; infatti, trovarsi di fronte a qualche cosa che effettivamente è tale evidentemente lo allontana (...) Proviamo a prendere la cosa al contrario, vi do un compito per giovedì prossimo: dovete assolutamente provare che una affermazione non negabile è assolutamente inutile. (Inutile?) Esattamente questo è il gioco che deve fare, inutile, non utilizzabile, quindi marginale... Dovete provare questo, che una affermazione non negabile è assolutamente inutile e non utilizzabile, così se ne può fare benissimo a meno. Provate, se ci riuscirete riusciremo a risolvere anche il problema di prima.