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24 agosto 2022

 

I presocratici di Diels-Kranz

 

Eraclito, Frammenti di Miroslav Marcovich

 

Questa sera riprendiamo Eraclito, di cui abbiamo detto mercoledì scorso, e leggeremo i suoi frammenti, però letti in modo differente. Questo testo che ho davanti è stato edito da Nuova Italia nel 1978, prima e ultima edizione, ed è stato scritto da Miroslav Marcovich, un filologo americano di origine serba, che ha fatto degli studi approfonditi su Eraclito. Lui considera gli stessi frammenti che hanno considerato Diels e Kranz, però aggiungendo delle cose interessanti. A pag. 41. Il grosso della polemica di Eraclito potrebbe dunque essere interpretato come una propaganda per il λόγος. 1) Omero, Esiodo, Pitagora, Senofane, Ecateo vengono attaccati per non essere stati dotati del tipo di intuizione necessaria a raggiungere il λόγος nascosto… Vi ricordate il frammento in cui dice che la natura ama nascondersi. In greco è φύσις κρύπτεσθαι φιλε, che potrebbe tradursi anche come “ciò che sorge, sorgendo dilegua”. È una traduzione anche questa possibile, anche se non è quella ufficiale. …pur avendo soddisfatto all’esigenza dell’ίστορίη (della storicità), che di per sé non è sufficiente. Non è sufficiente la storia, perché l’autentica sapienza è quella che riguarda il λόγος. È stato questo il messaggio di Eraclito. 2) Grazie alla sua validità universale il λόγος è la sola Verità reale. Coloro i quali non lo hanno appreso acquisiranno e manterranno solo false opinioni o fantasie e insegneranno solo menzogne in luogo di verità. A pag. 49. Fram. 18 (81 in Diels-Kranz). Pitagora … comandante in capo (o guida) di ingannatori. Perché, secondo voi, Eraclito dice questo di Pitagora? Pitagora, comandante in capo di ingannatori, Pitagora, matematico. Lui diceva Pitagora, ma probabilmente intendeva la matematica, l’aritmetica, la geometria, tutto quanto. Dove sta l’inganno se non nel pre-supporre che il numero sia per se stesso ciò che mostra, che cioè sia un ente di natura, un ente fuori del linguaggio, fuori del λόγος? A pag. 53. Fram. 20. Ciò che l’uomo più reputato (fra i Greci) conosce e custodisce non è altro che fantasie (o false opinioni). Tutto ciò che le persone più sagge, più dotte, credono di sapere sono fantasie. Se non si conosce il λόγος non si può fare altro che credere di sapere. Naturalmente, noi siamo andati oltre: il credere di sapere è inevitabile. Per Eraclito il sapere è il sapere del λόγος, non ce ne sono altri; lo diceva prima: il λόγος è la sola Verità reale. A pag. 55. Fram. 21. Gli uomini si autoingannano (o errano) nella conoscenza delle cose manifeste, come Omero, quantunque egli fosse (considerato) più saggio di qualsiasi altro greco; ché fu tratto in inganno quando fanciulli che uccidevano pidocchi gli dissero: “Ci lasciamo dietro ciò che abbiamo visto e preso, portiamo con noi ciò che non abbiamo né visto né preso”. Questa, di Omero che non riuscì a risolvere il problema, è famosa. Come dire che anche la persona più intelligente cade vittima di inganni. Il λόγος per lui non è altro che opposizione fra l’uno e i molti. Ma questo lo vedremo tra poco, perché è una questione complessa. Pag. 59. Gruppo Quinto. In questo Gruppo sono trattati i vari aspetti della validità universale del λόγος. Eraclito sembra prendere in considerazione quattro livelli. 1) A livello logico, il λόγος è valido universalmente e opera in tutte le cose. 2) A livello ontologico, il λόγος è un sostrato al di sotto della pluralità sensoriale delle cose;… Qui Marcovich ha inteso abbastanza bene la questione: il λόγος come il sostrato, come ciò che sta alla base di tutto. …è una unità sottostante a questo ordinamento del mondo. Il mondo, il κόσμος, è ordine, e ciò che sta sotto, che lo rende possibile, è il λόγος. 3) A livello epistemologico, riconoscere il λόγος è condizione necessaria per una reale e corretta conoscenza dell’ordinamento del mondo. 4) Infine, a livello etico di comportamento, il λόγος è una regola di corretta condotta di vita. A pag. 61. Fram. 23. Quelli che vogliono parlare (cioè agire) sensatamente debbono fare assegnamento su ciò che è comune a tutti,… Cosa è comune a tutti? È il λόγος. Come diceva giustamente Marcovich, il λόγος è la condizione per ogni cosa …come una città fa assegnamento sulla sua legge, anzi, molto più saldamente: giacché tutte le leggi umane si nutrono di un’unica legge, la legge divina; giacché essa estende il suo potere quanto il suo volere, ed è sufficiente a tutte (le leggi umane), e tuttavia le sopravanza. Questa legge divina è la legge che sta alla base di tutto. Possiamo intenderla benissimo come il linguaggio: il linguaggio come legge universale, come ciò che “regolamenta” tutto quanto. Ma quantunque il λόγος sia comune, vivono i molti come se avessero una sapienza loro propria. Non tengono, cioè, conto di questo λόγος, di questa legge universale e pensano, invece, di avere capito loro qual è la legge. Questa è una constatazione che si può fare in tutti i secoli, da che mondo è mondo. A pag. 67. Fram. 24 (89 in Diels-Kranz). Il lavoro che hanno fatto Hermann Diels e Walther Kranz è straordinario; sono loro che hanno consentito di recuperare tutti questi frammenti che altrimenti sarebbero sparsi ovunque. Heidegger, in una conversazione con Eugen Fink, allievo di Husserl, diceva che forse ci sono ancora dei frammenti di Eraclito da trovare. Da trovare dove? Da trovare in testi antichi, in mezzo a infinite altre cose, come per esempio è stato fatto rispetto a Clemente Alessandrino, che parlava di infinite cose e poi, qua e là, citava dei passi di Eraclito: da lì li hanno recuperati. Si tratterebbe di andare a scrutare tutte le vecchie biblioteche, cercare tutti i testi antichi, come hanno fatto Diels e Kranz, il cui lavoro è in buona parte questo, hanno messo tutto ciò che hanno trovato. Ma non è detto che ciò che hanno trovato sia tutto; magari in qualche vecchia biblioteca, in qualche chiesa, c’è un testo antico di un qualche padre della Chiesa che fra le mille cose cita un brano di Eraclito ancora a noi sconosciuto, è possibile. A pag. 67. Fram. 24. Gli svegli partecipano di un unico mondo comune… Partecipano del linguaggio, sanno di essere nel linguaggio. …mentre i dormienti si rivolgono ciascuno verso un mondo suo proprio. Il mondo è mio e solo io lo conosco, solo io so come stanno le cose. A pag. 69. Gruppo Sesto. I frammenti di questo Gruppo sono di grande importanza teoretica per la dottrina eraclitea del λόγος; tutti e tre sono presentati come affermazioni di validità universale. Vi si accenna al contenuto del λόγος (che però in realtà Eraclito non definisce in alcuno dei detti conservati). 1) Di ciascuna coppia di opposti si può fare una unità. In queste due parole c’è tutto Hegel. 2) La validità universale di tale legge è la ragione della sottostante unità (metafisica) di quest’ordinamento del mondo. Il linguaggio è ciò che sta al di sotto e ordina tutto quanto, in base alle sue regole, alle sue procedure. 3) Paradossale come sembra, la più importante ragione della unità degli opposti (quantunque non la sola) consiste in una costante tensione, o conflitto, fra di loro. Questo fa anche intendere, molto meglio, la questione del πόλεμος, della discordia, della guerra, della contesa. Il linguaggio è contesa, è contesa fra gli opposti; Hegel direbbe fra l’in sé e il per sé. Questa contesa è il fondamento dell’Aufhebung, cioè, dell’integrazione fra i due, ed ecco che sorge il linguaggio: il linguaggio è questo, è fatto di questo. A pag. 71. Fram. 25. Rapporti: cose intere e cose non intere, qualcosa che viene messo assieme, e qualcosa che viene diviso, qualcosa che è intonato e qualcosa che è stonato; di ogni cosa può farsi una unità, e di tale unità sono fatte tutte le cose. È notevole che Eraclito, con poche parole, riesca a dire tutto ciò che c’è da dire. Ecco il punto della questione: prima pensavano bene e dopo scrivevano ciò che avevano pensato a lungo; esattamente il contrario di ciò che accade perlopiù. Qui c’è una parola che è importante: συλλάψιες. A pag. 72. Συλλάψιες sembra lezione preferibile a συνάψιες, accettata da Diels-Kranz. Lo scambio dell’originale συλλάψιες in συνάψιες può spiegarsi sia 1) come lapsus calami, o, più probabilmente, 2) come la correzione di qualche peripatetico tardo-antico il quale sapeva che in Aristotele συλληψις significa solo “concetto” e si basava sulla parola συνψεν del precedente contesto. /…/ Minima la differenza di significato tra e due parole: “collegamenti, cioè legami interni di coppie di opposti”, “coppie”, “tensioni vitali … molteplici relazioni che dividono e insieme uniscono ogni cosa vivente” (Snell); “come cose prese insieme”; συλλάψις è dunque nomen actae rei e non nomen actionis rem come lo interpreta Guthrie. Quindi, συλλάψιες è il nome della cosa in atto, potremmo tradurlo in modo più appropriato, e non il nome dell’azione. Συλλάψιες è un titolo, o intestazione, eraclitea… Vi leggo queste cose perché la traduzione di Eraclito non è così semplice. Ciascuna delle sue parole ha molti significati. Quale preferire, quale scegliere? Se si vanno a leggere le cose che, per esempio, dice Aristotele di Eraclito, si vede che la sua interpretazione delle parole di Eraclito è totalmente differente da quelle che, per esempio, tentano di dare Diels-Kranz o Marcovich. Vedremo tra poco una differenza che è notevole. A pag. 76. Fram. 26. Se hai udito (e compreso) non me ma il λόγος è saggio concordare che tutte le cose sono uno. Diels come traduce ἒν πάντα εἰναι? Lo traduce così: “Non dando ascolto a me ma alla ragione è saggio ammettere che tutto è uno”. C’è una differenza che Heidegger ha notata in una conversazione con Fink, cui accennavo prima. Le parole per così dire incriminate sono ἒν πάντα εἰναι. Diels traduce con “tutto è uno”, mentre qui la traduzione è “uno è tutte le cose”. Ora, Eraclito utilizza πάντα, che è il plurale di τό πάν, il tutto; τά πάντα, invece, è “tutte le cose”. È una differenza che può apparire minima, ma in questo ambito non è irrilevante. Confondere il “tutto” con “tutte le cose”. Ora, il dire che tutto è uno è una tesi che si può anche sostenere, certo, ma non è quello che Eraclito sta dicendo, è diverso. Eraclito non si sta riferendo a τό πάν, al tutto, ma a τά πάντα, a tutte le cose. In che cosa cambia? Cambia nel fatto che Eraclito ci sta dicendo che tutte le cose, ciascuna cosa è uno e tutto; mentre l’altra traduzione semplicemente l’uno è il tutto. Qui no, qui c’è una precisazione: è tutte le cose, ciascuna cosa, ogni significante è uno, perché è quello che è, ed è tutto. Questo ventisei secoli prima che de Saussure dicesse che il significante è tale per una relazione differenziale con tutti gli altri significanti. Capite che sta dicendo la stessa cosa di Eraclito: tutte le cose sono uno e, di conseguenza, l’uno è tutte le cose. Tutte le cose, quindi, sono e sono tutte le cose, simultaneamente. È questo che sta dicendo e Heidegger lo aveva colto: è differente dire che uno è tutto. Come dicevo, è una tesi sostenibilissima, certo, ma non è quello che dice Eraclito. Eraclito ha in mente τά πάντα, cioè tutte le cose, non il tutto; mentre il Diels traduce con tutto. Questo dà un’idea ancora di quanto sia difficile tradurre gli antichi. A pag. 77. È chiaro dall’opposizione contenuta nell’espressione ούχ ἐμοὒ άλλά τοῦ λόγου che il Λόγος ha una esistenza obiettiva, che non dipende da Eraclito… Se avete ascoltato non me ma il λόγος, diceva. …cioè che è una legge universale che opera in tutte le cose attorno a noi. Giustamente dunque, ad es., U. Hölscher: “Qui il λόγος non è lo scritto, perché è in contrapposizione all’Io che parla allo scritto”. Improbabile Schuster “non ascoltano me, ma il discorso in quanto tale, il contenuto del discorso, le sue motivazioni”… È una traduzione debole, non è questo che Eraclito voleva dire. …adottato come “attendibile” in Zeller; Burnet “non ascoltate me, ma ciò che io dico”, accettato da Diels; Reinhardt “non me, ma il λόγος in voi stessi”. Capite come variano le traduzioni, cambia tutto. Sono tutti filologi che hanno passato la loro vita sul greco antico. Aristotele, che probabilmente aveva a disposizione i libri di Eraclito, anche lui traduce a seconda di ciò che lui vuole che sia. Che è poi il problema della traduzione in generale: la traduzione pura, innocente, non esiste; non puoi non metterci dentro quello che sai, quello che pensi, quello che credi di avere intuito, di avere saputo, qualunque cosa influisce. A pag. 79. ἒν πάντα εἰναι: naturalmente qui πάντα è soggetto. Frasi che cominciano con ‘oggetto sono abbastanza comuni in Eraclito… Fa alcuni esempi che tralasciamo. L’affermazione esprime la conseguenza obiettiva, ovvero il resultato dell’apprendimento del λόγος e non il suo contenuto obiettivo. Correttamente Kirk: “che “tutte e cose sono uno” non è il λόγος, ma piuttosto la conclusione cui si tenderebbe come resultato dell’apprendimento del λόγος”;… Come dire che se si intende il λόγος allora si coglie che tutte le cose sono uno e sono tutto: perché una cosa sia occorre che sia nel linguaggio, e se è nel linguaggio è quella che è dicendola, ma è quella che è perché ci sono tutte le altre. Esattamente come il numero: non potrebbe esistere il numero tre se non ci fossero tutti gli altri numeri, non significherebbe assolutamente niente. A pag. 81. 2) La necessaria conseguenza logica della comprensione del λόγος è l’arrivare a percepire unità del molteplice mondo fenomenico. Percepire l’unità è quello che dice quella parola, di cui vi parlavo prima, συλλάψιες: questo significa. 3) Tutte le cose sono connesse l’una con l’altra a causa della componente comune, o λόγος. Il λόγος è la componente comune, è la condizione di ogni cosa. A pag. 85. Fram. 27. Sono frammenti che arrivano da chi? Quando? Come? Chi lo ha tradotto? In quale periodo storico? Sono tutti elementi che intervengono e che modificano la traduzione. Quasi tutte le traduzioni dei frammenti di Eraclito ci vengono dai Padri della Chiesa, e anche questo non è un dettaglio irrilevante: come lo hanno letto loro e, quindi, tradotto? (Gli uomini) non comprendono in che modo ciò che diverge non di meno converge con se stesso; c’è un rapporto di tensione retrograda, come quello dell’arco o della lira. Una tensione retrogada, come una sorta di aprés coup. È un altro modo per dire, modo poetico, ciò che dirà Hegel venticinque secoli dopo: il per sé che ritorna indietro sull’in sé e lo fa diventare ciò che è. Questa è la tensione retrogada, è ciò con cui funziona il linguaggio: il significante lo dico ma è il significato che lo fa esistere; il significato ritorna e a quel punto esiste il significante in quanto significante, cioè, come elemento provvisto di significato, ché se non è provvisto di significato non è niente. A pag. 91. Gruppo Settimo. Questo gruppo, che rappresenta lo sviluppo logico del concetto di Tensione introdotto nel fr. 27, tratta della più importante fra le condizioni dell’unità degli opposti, che è descritta come Guerra, Lotta (e turbine o tumulto di guerra). Ci sono due parole greche che indicano la Tensione: πόλεμος e ριν, discordia e contesa. Guerra, come λόγος, è universale, opera in tutte le cose e in ogni accadimento e, allo stesso tempo, è personificata. È una necessità, diritto, giustizia nello stesso tempo. Qui c’è un riferimento da cui parte probabilmente Severino nel suo scritto Δίχη, che magari leggeremo: qual è questo diritto? Ricordate, lo dicevamo tempo fa, per i greci ci sono due dee della giustizia, Δίχη e Nέμεσις: Δίχη è la giustizia punitiva, quella che colpisce chi offende la dea; Nέμεσις è la giustizia distributiva, quella che rimette ordine nelle cose, a chi ha di più si toglie, a chi ha di meno si dà e così si riequilibra tutto quanto, torna a essere κόσμος, cioè, ordine. La necessità della guerra è dimostrata con due esempi. Il primo è preso dalla sfera sociale: senza la guerra non esisterebbe la distinzione fra liberi e schiavi, fra eroi e mortali, ecc.; e senza una simile differenziazione non potrebbe esistere alcuna polis. Il secondo chiarimento viene dalla vita di ogni giorno: “Il decotto d’orzo si decompone nei due elementi che lo costituiscono se non viene ben mischiato”. Πόλεμος non è λόγος (come erroneamente interpreta Gigon): pur condizione necessaria per il λόγος, Guerra-Lotta ha, nella dottrina eraclitea del λόγος, una parte secondaria. Certo, questa opposizione è una condizione necessaria per il λόγος, ma non è il λόγος, il λόγος è l’Aufhebung per questi due momenti, potremmo dire con Hegel. A pag. 92. Per l’etica eraclitea della guerra, che è di stampo aristocratico, cfr. il Gruppo XXII. Πόλεμος potrebbe allora significare nello stesso tempo άρετή (lett. virtù) o anche valore personale”. In ogni modo Guerra-Lotta non sembra essere una ragione di unità degli opposti tanto stringente quanto lo sono Tensione ai fr. 27 (51), o alcuni fra i motivi elencati ai Gruppi VIII-XII. Niente autorizza ad identificare in Eraclito Guerra e Cambiamento: contra ad es. Kirk 241; 244; Kirk-Raven 195 “Lotta, o guerra, è metafora eraclitea per esprimere il dominio del cambiamento nel mondo”… Invece, Eraclito non dice mai una cosa del genere. …Vlastos: “che la lotta sia universale consegue dalla supposizione che tutto ciò che esiste cambia, e dal corollario che ogni cambiamento è lotta”. L’idea di cambiamento è chiaramente assente dai fr. 27 (51); 29 (53); 31 (125); e d’altra parte, dove “cambiamento” opera in quanto ragione dell’unità degli opposti (Gruppo X), è assente la guerra. Ciascuno di questi filologi ha il suo modo di leggere. Poi, chiaramente, tutte queste varie letture, che sono tante, comportano certe traduzioni, che poi compaiono nei manuali di filosofia, dopodiché Eraclito appare essere quella cosa lì.

Intervento: …

Moltissimi dei frammenti di Eraclito sono stati presi da Clemente Alessandrino, che li ha presi e tradotti a modo suo. Intanto, già la cernita non è irrilevante; anche il capire la scrittura sulle pergamene, capire quali sono le lettere giuste; infatti, qualcuno vede una certa lettera e altri ne vedono un’altra, e cambia tutto. A pag. 96. Fram. 28 (80). Uno deve sapere che guerra è comune e lotta è giustizia e che tutte le cose passano per lotta e necessità. La parola χρή sembra tipica dell’illuminismo radicale di Eraclito … La sua presenza potrebbe anche essere dovuta alla ricerca di uno stile volutamente arcaico; può anche significare “istruzione pratica” (così Gigon 116: “ciò che segue è la verità, che gli uomini debbono conoscere per essere saggi”) o anche dipendere dalla necessità obiettiva espressa da χρεών (necessità). Ciò nonostante preferirei pensare che είδέναι χρή debba la sua presenza qui alla polemica eraclitea contro Omero ed Esiodo; polemica che, in ogni caso, è evidente al fr. 29 (53). είδέναι χρή può pertanto significare una sorte di attenuazione correttiva: “L’opinione tradizionale è erronea: la verità è che…”. Più che altro sono problemi che i filologi hanno incontrato nella traduzione: come lo traduciamo? Ognuno ci mette il suo, ovviamente. A pag. 102. Fram. 29 (53). Qui c’è una frase celeberrima. Guerra è padre di tutti (gli esseri) e re di tutti, pertanto rende gli uni dei, gli altri uomini, fa schiavi alcuni, gli altri liberi. Anche qui fa tutta una serie di considerazioni filologiche. Eraclito non parla sul serio di una usurpazione del trono di Zeus da parte del nuovo venuto, πόλεμος (sottolineata già da Crisippo, testimonium e); si tratta piuttosto di una parodia polemica (“Guerra potrebbe anche chiamarsi Zeus”). La nuova divinità Fuoco, dei fr. 84 (32); 79 (64); 80 (11), può aspirare più seriamente a tale usurpazione. Sapete che per Eraclito il Fuoco era la metafora del linguaggio, per dirla proprio tutta, ciò che si espande continuamente, che è ovunque, e che dà vita a tutto. Ora, l’equazione Polemos = Zeus non sembra realizzarsi mediante il principio della pars pro toto … contro Kirk: “Eraclito innanza tale funzione (cioè di controllo definitivo sul campo di battaglia troiano) a funzione suprema, fino a trascurare tutte le altre attività di Zeus”. Eraclito, piuttosto, sostituisce allo Zeus tradizionale il suo nuovo principio, Polemos. … Pertanto qui abbiamo a che fare con “l’eliminazione cosciente di Zeus a favore del principio universale riconosciuto da Eraclito” (Gigon). A pag. 111. Gruppo VIII-XII. 1) Eraclito non sempre opera con opposti logici reali, ma anche con estremi o “cose che potrebbero essere riunite per associazione”, quali, ad esempio, oro e paglia (o scorie); melma e acqua pura; orzo e vino; veccia amara (orobus) e, ad esempio, miele. 2) Analogamente, molto spesso non si intende parlare di coincidenza logica o identità degli opposti, ma della loro unità metafisica. Questo è importante. Non c’è una identità degli opposti, messa lì per caso. Questa identità degli opposti è una unità metafisica, cioè, qualcosa che sta a fondamento. Secondo Eraclito, esiste un rapporto sottostante, un unico continuum fra i due poli estremi;… Quindi, non sono separabili, in nessun modo, ma c’è un continuum fra i due poli estremi. Mentre Platone voleva separare i buoni dai cattivi, Eraclito sta dicendo che tra i buoni e i cattivi c’è un continuum. …i due opposti appartengono di necessità al medesimo intero (cfr. il termine ξυνόν, fr. 34 (103). Ξυνόν vuol dire comune, nel senso che appartiene ad entrambi. L’elasticità metafisica del concetto eracliteo di unità degli opposti era al di là delle facoltà di comprensione di Aristotele. Aristotele non ha capita questa unità degli opposti, che pure aveva i testi di Eraclito sotto mano. Non ha capito perché lui era preso dalla sua idea della logica, e la logica deve essere fondata su qualcosa di certo, di vero, e pertanto il vero e il falso non possono in nessun modo costituire un continuum. Capite la profondità di Eraclito… lo pensava anche Hegel come il più grande pensatore mai esistito, tant’è che lui stesso dice che “non c’è proposizione di Eraclito che io non abbia accolta nella mia Logica”. A pag. 136. Nome e funzione (opera) sono intesi come equivalenti, essendo ambedue costituenti essenziali ed inseparabili di ciascun oggetto;… Nome e funzione, significante e significato. Non posso separare il significante dal significato. Se io uso un certo nome di un certo oggetto è perché questo nome ha un significato per me, e lo uso per questo. …in questi termini gli uomini dovrebbero pensare agli opposti che essi stanno a significare: vita e morte. Calogero, Heinimann e Kirk hanno interpretato, correttamente, il frammento come un esempio di coincidentia oppositorum … (contra) Frankel: “Il senso del motto, intraducibile, risiede nel fatto che… l’espressione “opera” può significare anche “realtà”, in opposizione alla nuda parola o al nome”: Ramnoux: “il nome e la cosa si contraddicono”. Questa è un’altra interpretazione, un’altra traduzione. Però, è significativo il fatto che questa contrapposizione sia stata, ad opera di molti, domata, mitigata, traducendola come contrapposizione tra enti di natura. Certo, Eraclito ha fatto questi esempi, va bene, ma la cosa in lui aveva una portata ontologica e metafisica, non era l’opposizione di due elementi che sono in contrasto fra di loro. No, e qui ha colto molto bene Marcovich quando dice che tra un elemento e il suo opposto, tra il vero e il falso, tra l’ente e il non-ente, c’è un continuum. Credo che abbia inteso quello che voleva dire Eraclito, che nei suoi frammenti pone la questione dell’inseparabilità ed è il λόγος come fondamento di tutto, e questo λόγος è fatto di πόλεμος, di discordia, di contesa fra due opposti, ma questi due opposti costituiscono il λόγος, sono il λόγος; non è che si aggiungono al λόγος, sono il λόγος, senza quelli non c’è λόγος.

Intervento: Aristotele…

Lo avevamo notato nella Metafisica, quando parla di δύναμις e di ἐνέργεια, potenza e atto. Non c’è la potenza senza l’atto e l’atto non c’è senza la potenza, e i due sono l’entelechia, l’Aufhebung di questi due momenti. Però, come fondare la logica su questo? La logica può fondarsi a condizione che il vero e il falso non siano soltanto distinguibili ma determinabili precisamente, e qui interviene naturalmente l’inganno: l’analogia e il divieto di interrogarsi oltre, in pratica, la censura. Quindi, le questioni più importanti. Questo dell’ἒν πάντα εἰναι, che abbiamo visto e che Heidegger aveva rilevato: Eraclito parla di τά πάντα e non di τό πάν, di tutte le cose e non il tutto è uno. Sì, anche, ma non è quello che dice Eraclito, che dice appunto che tutte le cose sono uno e sono molti. Sono questo le cose e questo è il modo di intendere anche πόλεμος: che ciascun atto è fatto necessariamente di sé e del suo contrario, perché c’è un continuum fra i due, cioè, non c’è soluzione di continuità.