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24-7-2003

 

Dalla potenza all’atto linguistico

 

La volta scorsa parlavamo del potere, ciò cui abbiamo cominciato ad accennare la volta scorsa effettivamente potrebbe rendere conto se questo discorso, appoggiato su un teoria solida quale la nostra, potrebbe rendere conto della condotta in generale delle umane genti, sì poiché se come andavamo dicendo giovedì scorso, questo potere non è nient’altro che la possibilità, la capacità di un discorso di mostrare la propria verità contro o comunque in relazione a un altro discorso che riconosce non essere il proprio, allora questa operazione di imporre la propria verità sull’altro a qualunque costo procede dalla struttura stessa del linguaggio, procede dalla struttura del linguaggio nella misura in cui questo linguaggio non ha gli strumenti per intendere il proprio funzionamento e allora ecco che la ricerca di proposizioni vere è una ricerca che si impone non tanto sulle proprie credenze, superstizioni, opinioni ecc. ma su quelle altrui, muovendo ciascuno dalla convinzione incrollabile e risoluta che ciò che pensa, siccome lo pensa, per il solo fatto che lo pensa allora è vero, e quindi sono i pensieri altrui che devono essere piegati al mio pensiero, alla mia verità e questo fa in vario modo, con vari mezzi. Che passano dalla reclame del tortellino fino ai missili balistici intercontinentali, però l’obiettivo è lo stesso: imporre la verità, cioè le cose reputate vere sul discorso dell’altro che invece, in modo assolutamente bizzarro e arrogante, sostiene qualcosa che si oppone alla verità…

Intervento: è una struttura paranoica tutto sommato

In questo caso sì, si avvicina al discorso paranoico, quello ossessivo non è che faccia una cosa diversa, utilizza metodi diversi, utilizza la seduzione mentre il discorso paranoico utilizza la forza, si impone, il discorso ossessivo deve sedurre per raggirare e quindi ottenere altrimenti il suo obiettivo che comunque è sempre lo stesso: dimostrare che ha ragione e l’altro ha torto, questo è l’obiettivo di qualunque discorso, questo dicevo è l’obiettivo, poi c’è l’ossessivo, l’isterico, sono diversi, però l’obiettivo è questo: quello che io penso è vero, quello che lui pensa, se differisce da quello che penso, io è falso. O perché non sa o perché è in mala fede: il potere consiste in questo, potremmo dire addirittura che è la sopraffazione di un discorso nei confronti di un altro, l’imposizione della propria verità su un altro discorso, con vari mezzi, mezzi diversi, lo stesso obiettivo. Allora a questo punto la ricerca del potere, del controllo sull’altro, assume un aspetto più chiaro perché non è altro che il discorso che, ignaro del proprio funzionamento, cerca di imporre la verità e siccome le proposizioni che ha costruito lui sono vere, allora sono quelle altrui che devono essere modificate, per le proprie come dicevo prima non c’è nessun bisogno se le penso è perché sono vere. Ecco quindi tutta la questione della condotta degli umani, che si muovono pilotati da una cosa del genere, e cioè trovare i modi per imporre la propria verità, il proprio discorso su quello altrui, in qualunque ambito, in qualunque situazione cercano sempre comunque questo, in una relazione sentimentale, in una relazione d’affari, in una relazione politica, economica di qualunque tipo, l’obiettivo è questo, l’obiettivo è quello del discorso, il quale ha un unico obiettivo cioè quello di potere affermare la verità, cioè di costruire una proposizione che può affermare vera, può riconoscere come vera. Come sappiamo non ha altri obiettivi, poi certo c’è tutto un sistema per potere porre in atto una cosa del genere però l’obiettivo è questo, perché è ciò che gli consente di proseguire e proseguire è ciò che non può non fare, necessariamente. Tutto ciò serve al linguaggio a nient’altro che proseguire. Sappiamo che per farlo deve costruire proposizioni vere e dicevamo la volta scorsa che non basta che uno si sia costruito le sue personali verità alle quali credere, il fatto che esista anche una sola persona che non pensa quello che penso io già è un fastidio: perché non pensa quello che penso io? Perché osa pensare altrimenti? Come dire che le cose che io dico sono assolutamente vere ma non per tutti, c’è almeno una persona per cui non lo sono, questo crea un problema. Per esempio in alcune fanciulle la questione della verità si configura in un modo diverso, alla fanciulla la verità importa poco se non salvo particolari occasioni, ma è il fatto di essere amata da tutti, basta che ci sia uno solo che non la ama già questo la infastidisce. La infastidisce perché c’è una persona che non controlla che in questo caso non subisce il suo fascino cioè non subisce la sua verità, ora perché è così drammatica una situazione del genere, cioè l’idea che ci sia anche una sola persona che non pensa come me oppure non pensa quello che io voglio che pensi? Teoricamente potrei pensare: io conosco la verità che me ne cale che altri la ignorino? E invece no, per un motivo che potremmo dire logico in un certo senso, perché la verità per essere tale occorre che sia necessaria, che sia cioè nella forma di un quantificatore universale, che cos’è un quantificatore universale? Un modo di formalizzare una affermazione, cioè questa: “per tutte le x (qualsiasi cosa sia la x) allora si manifesta questa cosa” potrei dire, per fare un esempio: “per tutti gli umani, una caratterista che li accomuna tutti necessariamente è l’essere mortali” per esempio, per riprendere un vecchio sillogismo di Aristotele. Questa verità dunque per essere tale deve essere universale, deve essere sottoponibile a un quantificatore universale “(x) φ x” per esempio, per tutte le x, x ha tale proprietà φ, e cioè deve essere necessaria. In questo caso, cioè nel caso della verità, cosa vuol dire necessaria? Che non può essere altrimenti, se c’è un solo elemento che nega questo e cioè vi è almeno una x tale per cui non per tutte le x vale la proprietà φ, allora questa verità non è più universale, ma diventa una verità particolare “per qualche x funziona così, ma non per tutte” e invece occorre che sia per tutte. Quindi se vi è un solo elemento che nega ciò che io affermo allora questa affermazione non è più universale, non è più necessaria, non è più vera così come io pensavo che fosse e quindi questo elemento che nega ciò che io affermo deve essere o ricondotto alla mia affermazione o, nel caso questo sia complicato, si ricorre a un sistema più semplice cioè lo si elimina. Adesso non dico proprio fisicamente, in alcuni casi sì, ma non necessariamente. Ecco perché, a questo punto lo possiamo dire, per gli umani è così fastidioso il fatto che ci sia qualcuno che non pensa le cose che dovrebbe pensare, da qui l’intolleranza, il razzismo, le guerre sante e tutte quelle belle cose che gli umani fanno da quando esistono praticamente. Potrebbero non farlo? Sì, tecnicamente sì, ma non conoscendo il funzionamento del linguaggio allora non possono non farlo, è inevitabile: o si conosce il funzionamento del linguaggio e si pratica questo funzionamento, si ha perfettamente la consapevolezza di ciò che accade parlando, oppure c’è quest’altra posizione che in assenza della prima è inevitabile, se non c’è la possibilità, di apprendere, di conoscere il funzionamento del linguaggio si continuerà a cercare il nemico, a ucciderlo, e a fare tutte queste belle cose di cui gli umani vanno fieri, perché non possono non farlo, perché il linguaggio li costringe a farlo, il linguaggio impone loro di imporre il discorso su un altro discorso che afferma altre cose e quindi non possono non farlo o si accorgono di questo oppure, oppure lo fanno e bell’è fatto. Non possono non farlo perché il linguaggio li costringe a farlo e il linguaggio è ciò stesso che li fa vivere, di cui e per cui vivono, ecco perché non hanno alcuna chance, a meno che interveniamo noi e spieghiamo come funziona, non c’è altra possibilità…

Intervento: sì però abbiamo detto tante volte che il linguaggio o lo pratichi perché non basta sapere che qualsiasi cosa è un atto linguistico

Con “praticare il discorso che facciamo” intendo tutta una serie di cose ovviamente, non è il comunicare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, lo abbiamo già comunicato in varie occasioni…

Intervento: quindi si tratta visto che il nostro è un gioco fra altri giochi…

È un gioco anche lui, un gioco linguistico che però differisce da ciascun altro per una caratteristica, che è consapevole di sé, cioè di essere un gioco, con tutto ciò che questo comporta ovviamente…

Intervento: abbiamo detto molte volte che, come avviene in una analisi, togliere il giochino a colui che non vuole sapere di essere un discorso e che immagina di esprimere quello che sente, è la cosa più difficile che possa avvenire… è come se fosse costretto dal pensiero che continuamente deve cambiare le cose, dovrebbe continuamente mettersi in gioco e questo non lo può fare perché è sprovvisto di proposizioni che non può giocare, non può continuare a parlare tutto sommato, conosce solo quella direzione praticamente

Sì è una vecchia questione, ci chiedevamo tempo fa perché gli umani si comportano nel modo in cui si comportano, adesso incominciamo ad avere le idee più chiare a questo riguardo, tenuto conto del fatto che sono fatti di linguaggio, l’andamento della loro condotta non può che essere che quella del linguaggio…

Intervento: non hanno la possibilità di accorgersi che si comportano come il linguaggio si comporta cioè partono da un’idea che credono vera cioè che piace loro e la mantengono arrivando con tutti gli scansamenti che può fare il linguaggio, la sua grammatica, a un’altra proposizione vera, non hanno la possibilità di accorgersi di essere discorsi… è la cosa più importante da tenere presente quando si gioca e quindi l’altra volta dicevamo della potenza e della necessità del linguaggio di avere un’unica verità da esprimere… ed è il corpo che esprime la verità quindi è fuori dal discorso, il corpo… la via è trovare quelle argomentazioni per includere il corpo cioè questo aggeggio che è capace di sentire, di ascoltare, di provare dolore a questo punto male, di soffrire… non è più sofferenza psichica, fino a questo punto abbiamo mantenuto tutte le categorie: fisiche e psichiche. Il fisico occorre che cominci a entrare a far parte del discorso, perché diventi discorso perché fintanto che il corpo ha questo grande potere è chiaro che quando ci troviamo a parlare, le cose contro le quali il nostro discorso si ferma per quanto riguarda l’ascolto è quello del corpo: ma io sento male, la pietra in testa e cose di questo genere. Di fronte alla potenza Freud aveva trovata l’escamotage di risolvere questa potenza in un’altra metafora quella dell’atto sessuale… arrivando all’erotismo. Giocando con le metafore aveva ricondotto la potenza all’agire e al ricongiungersi… a tutte le varie figure di cui sappiamo… quando mi trovo a riflettere su queste questioni e mi ritrovo a cercare di porre in un certo modo certe proposizioni che riguardano appunto il corpo, per esempio il sintomo, la psicanalisi ci ha abituati a pensare a un discorso che prosegue in base ai suoi sintomi con tutto ciò che di volta in volta viene attribuito al sintomo. Come possiamo proseguire in questa direzione? Come porre delle questioni per riflettere su come il corpo non sia fuori da una struttura linguistica e di come prende parte vivamente al discorso come corpo e quindi è il corpo che in molti casi ha la potenza sulla parola al momento in cui esprime delle cose e quindi si estromette dall’atto linguistico immediatamente, senza contare tutte le questioni folcloristiche che riguardano i modi che il corpo essendo avulso dalla parola è riuscito a costruire e quante parole si possono spendere a favore di questo corpo bistrattato, felice, che gode o che prova dolore

Quindi?

Intervento: vorrei continuare

Lo faccia, se questa è la premessa vuole dire che occorre affrontare la questione del corpo in termini più semplici…

Intervento: sì quando parliamo di sofferenza le questioni restano più semplici e credibili laddove si parla di disagio psichico, se noi parlando ci interroghiamo sulla questione… il male per esempio tumori o cose di questo genere è chiaro che anche qui occorre trovarsi a compiere un’analisi per riuscire a praticare i giochi linguistici… mi pareva che al punto in cui siamo laddove le persone intendono le implicazioni del gioco che qualsiasi cosa è un gioco linguistico e che al momento in cui nego questa proposizione non posso fare assolutamente nulla, al momento in cui, dicevo, le persone, almeno la più parte, possono trarre tutte le implicazioni, si scontrano con la questione del corpo, con la questione della sostanza e siccome tutto il lavoro che abbiamo fatto, che ho fatto e che continuo a fare e che mi attrae in modo smisurato… non mi garba che le persone arrivino lì e affermino “lei dice una stupidaggine” e allora per gioco e per scommessa occorre che non siamo più presi per dei matti che continuano a dire delle cose e che vengono liquidati come fa il discorso occidentale con un ben servito perché non sa proseguire, non sa cosa farsene dell’unica verità, a questo punto mi pare che il gioco valga la candela, e quindi affrontare in modo deciso la questione

Come? Cominci a porre in modo preciso la questione…

Intervento: il corpo è una metafora possiamo dirlo che è una metafora? E pare che sia la madre di tutte le metafore nel senso che qualsiasi simbolismo è fondato sul corpo umano. Freud stesso ha inventato la psicanalisi a partire per esempio dai simboli che funzionano e sono simboli del corpo umano, portando la disseminazione, portando il discorso a ricrearsi e a fondare certi modi di pensare che comunque funzionano… però non ha risolto questa questione dicendo che la potenza è erotismo… riscontava per esempio il patire del corpo nei confronti di un male psichico per cui il godere interveniva in altro modo piuttosto che normalmente perché si sa che il corpo come beve o mangia deve espletare altre funzioni e se non espleta tali funzioni è fermo… detta questa storiella che tutti sappiamo non ha detto molto ma in alcuni casi è funzionante, ci si può credere ci sono moltissime persone che si attengono ai sintomi creati dal corpo cioè da quella costruzione che è fondante per moltissime cose dal corpo fisico al corpo celeste

Intervento: si può ampliare questo discorso parlando del linguaggio del corpo ad esempio… dato che le persone che mi ritrovo davanti dicono che sì va tutto bene ma i vostri sono dei pensieri, sono delle cose che non hanno un senso pratico, non hanno concretezza nella mia vita… parliamo del linguaggio del corpo e poi lo riportiamo al linguaggio

Intervento: perché parli del linguaggio del corpo tutto ciò che possiamo trarre del linguaggio del corpo è il linguaggio che lo pone

Intervento: perché così diamo il contentino nel senso che partiamo dalla loro parte per poi portarli…

Intervento: non so quanto ci convenga parlare dei vari linguaggi dei fiori, delle piante, degli animali, della api per esempio, ciò cui dobbiamo portare le persone a dire ed ad intendere è che il linguaggio delle api o del corpo, sono io che lo costruisco e questa costruzione ha un unico obiettivo continuare a dire cose che non hanno nessuna necessità e che sviano la questione del linguaggio da ciò che chiamiamo linguaggio cioè senza potere sapere che sta parlando cioè sta compiendo questa operazione e cioè sta inferendo da un elemento un altro elemento, se non potesse compiere questa operazione non ci sarebbe nessun linguaggio né quello delle api né del suo corpo

Intervento: occorre portare all’inferenza e a quel percorso intellettuale che la persona occorre giunga.

Ciò che sappiamo fino ad ora è che il linguaggio distingue il proprio discorso da qualunque altro, così come distingue qualunque elemento linguistico da qualunque altro, questo per potere funzionare, ora distinguendo il discorso, cioè la sua produzione, da qualunque altra, utilizza un accorgimento e lo chiama “io”, tutto ciò che deve riconoscere appartenere al suo discorso, a quel discorso e quindi differente da qualunque altro, a questo punto tutto ciò che può attribuire a questa cosa che chiama “io”, diventa il suo corpo, quello che comunemente si chiama corpo e quindi le sensazioni, e quindi le emozioni, il dolore, la gioia, il godimento, la sofferenza, qualunque cosa, né pare possa fare altrimenti, in ogni caso deve comunque distinguere il discorso che produce da qualunque altro, così come dicevo, torno a ripetere perché è importante, così come è necessario che possa distinguere un elemento linguistico da qualunque altro allo stesso modo deve distinguere il proprio discorso da un altro, ché se no non funziona, distinguendo il discorso cioè la produzione particolare da qualunque altro discorso pone, ritaglia, usiamo termini un po’ rozzi, ritaglia uno spazio, uno spazio dove accade tutto ciò che il discorso può attribuire a se stesso. Tutto questo, questo spazio che ritaglia si chiama corpo o “io” in alcuni casi. Certo potremo anche dire che reagisce a degli stimoli, certo, come un bicchiere reagisce a degli stimoli: se lo lascio cadere si spacca, però tutto questo che abbiamo visto un sacco di volte ha un senso quindi significa qualcosa per qualcuno e quindi esiste soltanto perché c’è una struttura che lo costruisce, in caso contrario non c’è nessun bicchiere, non si spacca niente ecc. e tutto questo non solo non esiste ma non sarebbe mai esistito e quindi la questione da cui muovere è questa sorta di autoreferenzialità, il linguaggio ha questa caratteristica: può porsi e deve porsi come autoreferente, quando ritaglia il discorso che costruisce allora tutto questo si chiama “io”, corpo, che non è altro che tutto ciò che posso attribuire all’io, il corpo in accezione più ampia come pezzi vari e come quello che penso anche, diceva giustamente Beatrice che occorre trovare qualcosa di più efficace retoricamente per esporre una cosa del genere, occorre farlo. D’acchito c’è qualche questione che potrebbe porre, quanto meno una direzione lungo la quale lavorare, perché effettivamente posta in questi termini risulta piuttosto ostica?

Intervento: avendo il corpo nel discorso occidentale preminenza sulle altre questioni mi pareva che l’esistenza, delle malattie

Sì ma anche lì una persona sente dolore e cioè che cosa sente esattamente? Sente una variazione di stato, qualunque sensore fa la stessa cosa, come dicevamo nella conferenza con Gabriele: allora la macchina soffre quando va su di temperatura? Forse, sente dolore? Qualunque cosa la sente, basta che ci sia un sensore, rileva una variazione di stato, una sensazione di dolore non è altro che questo, un rilevamento di una variazione di stato…

Intervento: è chiaro che le persone non sono abituate di fronte alla malattia del corpo ritrovarsi le questioni poste in questi termini, al momento in cui diciamo che il bicchiere sente dolore al momento in cui gli dai una mazzata, dicono: questi sono matti

Che sono matti è facile a dire, il “perché” è già più complicato…

Intervento: e non vengono più la prossima volta… stavamo dicendo quali sono le questioni che possono avere un approccio presso il grande pubblico

Sì, però urtiamo contro qualcosa che va aldilà di una convinzione razionale, quando uno dice che sente qualcosa, sta dicendo qualcosa di molto simile a quello che dice che sente la presenza di dio nell’aria, e vai a confutarlo, è un’affermazione fatta di niente, è come un giudizio estetico: mi piace pensare così. Si può confutare una superstizione? Su che cosa ci si basa? È fatta di niente. Questo rende la cosa ardua perché non è una questione logica come abbiamo rilevato migliaia di volte, non sono argomentazioni logiche che effettivamente possono essere affrontate, confutate, smontate quando si vuole…

Intervento: a questo punto è una questione estetica

È chiaro che lo è, è inattaccabile, solo che per queste persone non è una questione estetica ma è la realtà delle cose, sta qui l’inghippo, però non è confutabile al pari di una questione estetica. Forse dovremmo cominciare a porre le condizioni perché da questione estetica passi a questione logica, allora possiamo intervenire, ma finché qualcuno dice: “io sento…” è complicato…

Intervento: però o ci troviamo a parlare con dei logici che sono abituati a fare un percorso, allenati…

Occorre tenere conto di questo aspetto, che è importantissimo, e cioè che non si tratta di una convinzione razionale ma di un apprezzamento estetico. È per questo che non funzionano generalmente argomentazioni logiche a meno che non ci sia qualche persona che…

Intervento: ma al momento in cui poniamo il sistema inferenziale e portiamo la questione sul piano del sillogismo per cui ciò che mi piace non viene dalla natura, dal destino ma da una mia credenza… a questo punto interrogando ciò che mi piace vengo ad intendere quali sono le premesse sulle quali gira tutto quanto il discorso, senza distruggere ciò che mi piace perché al momento in cui lo interrogo non necessariamente si distrugge… la persona che parlava della martellata in testa era attratta dalla martellata in testa perché se no non avrebbe continuato ad utilizzare tali proposizioni…

Sì, dobbiamo tenere conto di questo che le obiezioni sono basate prevalentemente su giudizi estetici però non sono considerate tali da chi li fa, sono considerate come espressione della realtà, a quel tizio della botta in testa è come dire che piace pensare così, in realtà non aveva nessuna argomentazione, assolutamente nessuna, gli piace pensare così o per dare contro a noi o perché è una cosa per lui fondamentale, o perché più probabilmente ritiene che sia la realtà delle cose e quindi la natura delle cose, e se è tale allora si tratta di una realtà costrittiva, la realtà naturale delle cose…

Intervento:…

Se c’è un viraggio del suo discorso verso il funzionamento di tutto il sistema allora sì certo, ma in caso contrario continuerà all’infinito a rimanere lì, al fatto che la botta in testa fa male e quindi c’è qualcosa che va al di là del linguaggio, la natura, la realtà tutte queste balle, sì effettivamente è qualcosa che piace pensare così…

Intervento: non è che gli piace è costretto

In accezione ampia del termine, se lo fa in qualche modo gli piace, nel senso che ha un tornaconto, di qualunque tipo, per esempio come si diceva prima il potere di dire la verità. Quindi in che modo utilizzare una cosa del genere, tenere conto che si tratta di una questione estetica, che gli piace che la realtà sia quella. È difficile ché se una cosa piace, rinunciarci è arduo, o fare piacere di più ciò che facciamo noi, non è semplicissimo, o fare in modo che gli piaccia di meno quell’altra, forse è ancora più difficile. Molte volte succede, la vostra presenza ne è la prova, una prova ostensiva. Resta comunque il fatto che un ottimo esercizio è reperire argomentazioni più leggere, più fluide e maneggevoli intorno al corpo, quelle che abbiamo sì sono logicamente potenti, però dette in una conferenza non sortirebbero alcun effetto…

Intervento:…

La questione del corpo è vero è fondamentale, buona parte di tutti i pregiudizi e le superstizioni ruotano intorno a questa realtà, perché consente di affermare che “lo sento”, e da quel momento diventa l’emblema della realtà delle cose, cioè se io mi faccio male questo male è la cosa più reale che c’è, il mio mal di denti è la cosa più reale che esista…

Intervento:…

Un conflitto di file sul computer è la cosa più reale che esista per lo stesso motivo…

Intervento: però dimostrare che è come un conflitto di file, il male!

Dimostri lei che il suo male è reale! Lo può fare? No, non lo può fare, può solo esprimerlo ma non lo può dimostrare. “io ho male qui” dimostralo! ma come fa? Posso solo dire che lo sento e nient’altro, non posso provare nulla. Non posso provarlo neanche a me stesso, lo do per acquisito per il solo fatto che lo sento. Lo sento, ma in realtà è indimostrabile. Questo già potrebbe essere un elemento, tutto sommato. Beatrice dice “ho mal di testa” bene ce lo provi, ce lo mostri, come fa? Con che cosa?

Intervento: con un’altra botta in testa

E siamo daccapo, io posso dire che ho male ma di nuovo io non lo posso provare e allora devo dare una botta in testa a Cesare, il quale… e andiamo avanti all’infinito. È emblematico che una cosa assolutamente indimostrabile sia la più certa, è curioso…

Intervento:…

Anche l’esistenza di dio in qualche modo però… c’è qualcosa qui che ci è sfuggito ma è importante questo aspetto: la cosa più indimostrabile passa come la più certa, se io ho mal di denti non è che sto lì a dimostrare che ce l’ho, lo sento. Dobbiamo intendere bene come funziona questa storia…

Intervento: gli indimostrabili sono a fondamento di questa realtà

Sì, può darsi che tutto venga da lì, forse. Questo è il compito per giovedì prossimo.