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24-6-2009

 

C’è qualche questione intanto intorno alle ultime cose che stiamo dicendo riguardo al metodo psicanalitico?

Intervento: riguardo al metodo psicanalitico mi rendo conto che quando affermiamo che non c’è possibile uscita dal linguaggio le persone possono intendere però ovviamente quando si tocca i punti centrali del discorso occidentale tipo la vita, la morte, le malattie, la famiglia ecco che a questo punto sorge la più grande difficoltà di elaborazione ché se si è, ciascuno di noi è disponibile a intendere che qualsiasi cosa esiste in quanto una struttura la fa esistere di fronte alle questioni più importanti ecco che occorre anche andarci cauti nel senso che possono sollevare le più grandi obiezioni queste cose tipo appunto la vita, la morte, la famiglia, i figli anche se ultimante andiamo abbastanza sparati con la questione per esempio della madre, dei figli, dei desideri della madre però questo comporta un rivolgimento in qualche modo perché se con i valori, quando parliamo di valori parliamo di questioni che turbano, quando si va nello specifico e si afferma non c’è possibile uscita da questa struttura e tutto avviene per via di questa struttura ecco che sorgono le difficoltà e quindi quello che io stavo cercando di porre nel mio discorso è proprio il modo per facilitare l’elaborazione anche di queste questioni perché se non si elaborano quelle questioni è ovvio che rimangono dei punti morti e quindi creano tutte quelle inferenze, quelle conclusioni che tutti sappiamo …

Questa estate ci dedicheremo proprio a questo, a trovare dei modi perché le persone possano acquisire un metodo. La questione riguarda un aspetto che potrebbe essere curioso e cioè il fatto che di fronte a ciò che affermiamo talvolta anche con affermazioni abbastanza impegnative, nessuno ci chiede di fatto perché affermiamo quello che affermiamo, viene soltanto opposto un diniego oppure altre cose come “non è così” “la realtà comunque esiste” etc. ma nessuno chiede perché affermiamo quello che affermiamo, ché se ci pensate bene è curioso ma è emblematico del modo in cui la gente pensa comunemente, e cioè non viene in mente a nessuno di interrogare non soltanto perché affermiamo le cose che affermiamo ma perché lui stesso afferma le cose che afferma, non lo sa, semplicemente si attiene alle cose che ha sentite dire o che ha orecchiate ma non c’è nessuna interrogazione intorno a questo, esattamente come quando qualcuno legge un testo per lo più, c’è scritto così quindi è così, nessuno viene addestrato a mettere in discussione le affermazioni che ascolta e di conseguenza la stessa operazione la fa rispetto alle cose che pensa lui, qualunque cosa pensi basta che non contraddica grosso modo cosa gli sembra di sapere ed è vero, è automaticamente vero e si muove di conseguenza. Interrogare le cose e cioè interrogare i fondamenti che costituiscono la condizione per cui sia possibile affermare una certa cosa questo non avviene, non avviene da nessuna parte, neppure in ambito così detto scientifico, tranne rarissime eccezioni, molto marginali, se no ciò che si sa costituisce la premessa generale da cui partire e così avviene anche per ciascuno, vale a dire che le cose che crede, che pensa, che suppone, non sono mai messe in discussione per due motivi fondamentalmente, il primo è che le ha pensate e quindi sono vere, il secondo è perché non ha né i mezzi né gli strumenti per farlo, anche volendolo fare non saprebbe da che parte incominciare. La psicanalisi di fatto non è altro che il metodo della psicanalisi, quello che stiamo descrivendo ultimamente e cioè un metodo che serve a spingere la propria intelligenza fino alle estreme conseguenze. Vi faccio un esempio molto banale, spesso qualcuno ci obietta che il linguaggio è uno strumento ma a fronte di questa affermazione la persona di fatto non sa assolutamente perché sta dicendo questo, ha un’idea molto vaga di cosa sia il linguaggio e afferma che il linguaggio è uno strumento, perché? Perché lo ha sentito dire, perché lo ha letto da qualche parte, ma in realtà non ha mai pensato a una cosa del genere cioè non ha mai interrogato un’affermazione del genere, quindi afferma qualcosa senza sapere assolutamente nulla di ciò che sta affermando ed è con questo generalmente ciò con cui abbiamo a che fare, il problema è che un’affermazione del genere pur essendo assolutamente arbitraria ovviamente e anche squinternata e insostenibile viene sostenuta invece con forza perché avallata dal luogo comune e tutto ciò che è avallato dal luogo comune dà forza: tutti pensano così quindi è così, e il luogo comune è potente, è potente perché rende la verità partecipe “se tutti pensano così” vuole dire che è così, se tutti considerano che la realtà è questa allora la realtà è questa. Non soltanto le persone in generale pensano una cosa del genere anche molti che lavorano nel campo della scienza in fondo pensano in questo modo secondo l’antico adagio che dice vox populi vox dei, se lo pensano tutti è come se lo dicesse dio. Perché è così potente il luogo comune oltre il fatto di essere condiviso naturalmente? Perché apre immediatamente la possibilità di sostenere qualche verità, se io ho sentito dire che il linguaggio è uno strumento, anche se non so assolutamente perché, perché affermo una cosa del genere? Perché se appartiene al luogo comune mi offre una verità che posso utilizzare o per obiettare qualcosa o per affermare una verità o comunque per dire qualcosa e questo è uno dei motivi per cui è così difficile affrontare il luogo comune, perché ha la struttura della superstizione e la superstizione è ardua a togliersi, e c’è un motivo per cui è così arduo: se qualche cosa si offre a qualcuno come una verità offre immediatamente una premessa da cui partire per costruire proposizioni e quindi proposizioni vere o meglio ritenute tali, e di conseguenza dà l’impressione di sapere, sapere quindi potere affermare delle verità. Mettere in gioco, in discussione una di queste premesse comporta la possibilità che questo sapere che io credo mi appartenga cessi di essere e questo crea dei problemi, gli stessi problemi che crea trovarsi per esempio ad avere torto rispetto a qualche cosa, sappiamo che gli umani non tollerano di avere torto e sappiamo anche perché, ma come inserire questo metodo? Il modo più rapido per togliere una superstizione è offrirne un’altra più potente generalmente, cosa si intende con superstizione? È un’affermazione che dice di sé di essere vera o meglio non dice neanche di sé di essere vera, si pone quasi naturalmente come vera in base a tradizioni, in base a credenze, come un proverbio, in fondo la struttura è questa, l’entimema come dicevamo tante volte, che è una delle strutture più difficili da smantellare perché non essendoci la premessa maggiore con la quale confrontarsi non offre nessun appiglio in realtà, nessun appiglio all’argomentazione, si è come disarmati, il proverbio esclude per definizione ogni possibile argomentazione e non essendo possibile argomentare non potete fare niente e in più, a rincarare la dose, c’è il fatto che questa superstizione, questa affermazione superstiziosa non viene riconosciuta come tale, come superstizione, ma come una verità universale. Vi rendete conto della difficoltà di affrontare una cosa del genere, è quasi peggio che persuadere un fondamentalista islamico che Maometto è un grullo qualunque, cosa che è anche pericolosissima perché vi taglia la gola subito, quindi si chiude il discorso in ogni caso, invece chi ci ascolta non ci taglia la gola fortunatamente però agisce in modo molto simile, taglia la gola al discorso cioè non c’è più la possibilità di proseguire. Come spesso abbiamo detto la via regia sarebbe quella di offrire togliendo una superstizione qualche cos’altro di altrettanto potente ma che sia riconosciuto come altrettanto potente, se non è riconosciuto non serve a niente e se a qualcuno gli si leva la perlina di plastica e gli si da un lingotto d’oro e non sa cosa sia il lingotto d’oro non sa cosa farsene, gli piace di più la perlina perché è più colorata, funziona così, e ciò che dovremmo riuscire a offrire è appunto un metodo, un metodo di pensiero che renda il pensiero molto più potente, più veloce, più agile e soprattutto meno ingenuo. Affermare che il linguaggio è uno strumento in realtà è un’ingenuità, nessuno fra i filosofi, i linguisti, i logici, i filosofi del linguaggio afferma più una cosa del genere, ma direi già dai tempi di De Saussure, dai primi del ‘900 eppure rimane fortemente legato al luogo comune e chi afferma una cosa del genere l’afferma con la certezza di affermare una verità della quale tuttavia non sa assolutamente niente, come offrire dunque un metodo? E prima ancora come fare in modo che questo sia riconosciuto? Ciò che noi diciamo la più parte delle volte non viene riconosciuto dal discorso di chi ci ascolta come qualcosa che appartiene al luogo comune e quindi viene respinto, viene respinto e nessuno come abbiamo detto all’inizio ci domanda perché affermiamo le cose che affermiamo, perché a nessuno viene in mente di fare una cosa del genere, nessuno glielo ha mai insegnato, nessuno gli ha mai fornito gli strumenti, nessuno gli ha mai nemmeno posta la possibilità di fare una cosa del genere e questa potrebbe essere retoricamente una mossa che può farsi, per esempio in una conferenza domandare al pubblico a fronte delle solite obiezioni banalissime domandare perché nessuno ci chiede perché affermiamo quello che affermiamo? Perché? Eppure di sicuro non è così evidente come si evince dalle domande che ci vengono poste, cioè retoricamente questo può funzionare, può fare accorgere qualcuno della pochezza delle sue obiezioni, della ingenuità del suo pensiero, perché se non sa perché affermiamo le cose che affermiamo non può nemmeno obiettare niente, le sue obiezioni sono delle petizioni di principio, come i bambini che dicono sempre di no. Vox populi, vox dei, se lo pensano tutti allora vuole dire che è così, molti a tutt’oggi nonostante tutto continuano a pensare una cosa del genere, cioè se lo dice il giornale qualcosa di vero ci sarà, è una possibilità remota ma è una possibilità certo, oppure se tutti quanti pensano che è bene così sarà bene così, se tutti quanti credono in un dio ci sarà un dio da qualche parte, questo è generalmente quanto di meglio gli umani riescano a produrre per quanto riguarda il loro pensiero, che è molto poco certo però torno a ripetervi è ciò con cui dobbiamo fare i conti, e uno dei modi è utilizzare le obiezioni che ci vengono opposte per mostrare a chi lo fa che di fatto questa obiezione viene da niente, da una totale assenza di pensiero, questo si può anche fare …

Intervento: si può fare ma si offendono …

C’è modo e modo, però ci si può provare anche se si offendono, tanto non è che perdiamo chissà cosa anzi, forse se si “offende”, offende tra virgolette, non offendiamo le persone, se ritiene di essere offeso in qualche modo magari torna per combattere, è possibile …

Intervento: lo uso io tutti i giorni …

Lo usa lei? Per fare che? Si in fondo è sempre una tecnica seduttiva certo, però gli interventi che faremo nelle conferenze da fine settembre a metà dicembre potrebbero vertere in buona parte su questo, e cioè operare perché questo metodo sia riconosciuto come un metodo di pensiero. Il problema sta che se non si intende la questione del linguaggio, intendere questo metodo risulta arduo perché naturalmente fa leva sul funzionamento del linguaggio, il metodo psicanalitico, cioè ciò di cui stiamo parlando in cosa consiste? Primo, la persona deve parlare, se non parla in analisi si va poco lontani, e quindi racconta delle cose che gli appartengono. La persona che parla non sa che appartengono al suo discorso, sono create dal suo discorso, però mano a mano che parla c’è la possibilità che si accorga di questo e cioè che a un certo punto ciò che sta dicendo incominci a interrogare, nel senso che forse tutto ciò che accade non dipende dal mondo che è cattivo, perverso e feroce ma dal modo in cui io lo vedo per esempio. A questo punto accade un fenomeno che è fondamentale lungo l’analisi e cioè incomincia a fare attenzione a quello che dice, come se le cose da quel momento in poi non fossero più considerate come dei corpi estranei, appunto degli strumenti per descrivere il mondo, ma qualche cosa che appartenendo alla persona fa parte della sua esistenza anzi, della sua ricchezza potremmo dire, e quindi diventa più attenta a quello che dice, che afferma. Lungo questa via il passo successivo è assumersi la responsabilità di quello che dice: se lo dico vuole dire che il mio discorso l’ha prodotto, se l’ha prodotto c’è un motivo che appartiene ai miei pensieri. Da questo momento qualunque cosa accada non è più effetto di qualche cosa di esterno ma viene riconosciuto come qualche cosa che il proprio discorso ha prodotto e se lo ha prodotto ha avuto dei buoni motivi per farlo e quindi la domanda verte, incomincia a vertere sui motivi perché ha fatto una cosa del genere: perché un discorso costruisce una certa cosa? È qui che si instaura la svolta fondamentale, vale a dire perché il discorso produce cose anziché produrre niente? E che cosa produce esattamente? Qui naturalmente si avvia una elaborazione intorno al funzionamento del linguaggio, a questo punto la persona o meglio il suo discorso esige qualcosa di più, cioè esige di sapere come funzionano i suoi pensieri, come funziona ciò che produce i suoi pensieri, non tanto perché vanno in una direzione anziché in un’altra, anche ma non solo, ma soprattutto cosa li produce, quale struttura, e tenendo conto del modo in cui funziona questa struttura che è il linguaggio intendere perché si pensa in un certo modo, perché, per esempio, deve sentirsi importante? Perché vuole reperire la verità? Perché vuole avere ragione? A questo punto tutte queste domande hanno immediatamente la risposta, avendo immediatamente la risposta cessano di essere così misteriose ed è il momento esatto in cui la persona cessa di subire il linguaggio e incomincia ad agirlo. È detto sì in modo molto rapido, ma è esattamente ciò in cui consiste il metodo psicanalitico. Chi si trova nella posizione di analista occorre che sappia molto bene come funziona il linguaggio per potere indicare al discorso che sta ascoltando qual è la via più rapida, più efficace per accorgersi di sé, naturalmente non è possibile prevedere una durata per cui può accadere di girare in tondo a lungo prima di accorgersi di ciò che si sta facendo ma in ogni caso non è mai tempo perso perché senza questo girare a lungo non ci sarebbe mai stato il passo successivo e non è affatto detto che chi gira a lungo su una questione poi risulti più rapido nel prosieguo. Le persone sono saldamente, fortemente attaccate alle loro verità, alle cose che credono vere a ciò che in definitiva le fa sentire importanti, quindi non è semplicissimo sganciarle da una cosa del genere, anche se è necessario. Per una fanciullina cessare di volere essere importante non è facile, anche per il fanciullino, sarebbe come abbandonare il gioco più importante, come togliere la caramella a un bambino. Naturalmente in una conferenza il gioco è differente è ovvio, però per molti aspetti è simile, è simile per il fatto che ciascuno obietta generalmente al solo scopo di potere affermare una sua verità, il fatto che stia obiettando qualcosa contro di noi è puramente contingente, di fatto sta dicendo qualcosa che lui crede essere vera, di fronte a questo il passo da fare è utilizzare le cose che dice, in quel caso la sua obiezione, e fare in modo che si accorga che la sua obiezione è costruita su niente. Anche in un’analisi la persona giunge a un certo punto ad accorgersi che per esempio le sue paure, i suoi timori, i suoi desideri sono fondati su niente, se ne accorge in altro modo certo, in una conferenza una cosa del genere è possibile farla in un modo estremamente superficiale, è inevitabile, però è importante che ciascuno tenga conto di questo: quando fa una conferenza un’obiezione che gli viene rivolta non è un fatto personale, semplicemente la persona fa quello che non può non fare e cioè affermare una sua verità, molto semplicemente. Esattamente come una persona che inizia l’analisi: incomincia a raccontare le sue cose e cioè quelle cose che crede essere vere, i fatti cosiddetti, è altrettanto ovvio che in una conferenza essendo il tempo molto limitato le mosse retoriche che possono farsi sono poche e per questo devono essere molto efficaci ed è preferibile non lasciare spazio al dubbio, alla perplessità in chi obietta, il modo di replicare deve essere straordinariamente deciso e determinato, non si deve rispondere come se si ponesse un’ipotesi a fianco alla sua, assolutamente no, ma come qualcosa di assolutamente necessario, inevitabile. La cosa fondamentale di cui tenere sempre conto è il motivo per cui le persone parlano, indipendentemente da quello che dicono e a chi si rivolgono, il motivo per cui parlano è sempre e comunque affermare qualcosa che ritengono essere vero, non c’è nessun altro motivo, se non avessero questo motivo non parlerebbero mai, ma se non ci fosse questo motivo allora sarebbero fuori dal linguaggio e il problema non si porrebbe. Essendo fatti di linguaggio parlano unicamente per questo motivo: per affermare una loro verità e di questo ciascuno deve sempre e comunque tenere conto, sia che ascolti qualcuno sia che legga un testo, allo stesso modo, non è così diverso, d’altra parte abbiamo sempre detto che occorre giungere a una posizione tale per cui ciascuno ascolta il proprio discorso esattamente così come legge un testo, con la stessa distanza e la stessa lucidità, ammesso che abbia lucidità naturalmente, però a quel punto si suppone che ce l’abbia e cioè per dirla tutta non è coinvolto dal proprio discorso, che può apparire strano ma è questo che intendo quando dico agire il linguaggio: non essere coinvolti dal proprio discorso, e non si può essere coinvolti se si sa esattamente che cosa si sta dicendo e perché lo si sta dicendo, cioè non si può non tenere conto che si tratta di sequenze, nient’altro che sequenze di proposizioni, e per niente naturalmente. Questo può creare dei problemi in chi ci ascolta perché già le persone sono spesso preoccupate di perdere le loro emozioni, e noi aggiungiamo che si tratta di non essere più coinvolti dal proprio discorso, né a fortiori da quello altrui. Eppure è questo che dobbiamo dire, bisogna solo dirlo con garbo. La posta in gioco è alta, si tratta di costruire letteralmente degli interlocutori, ché non esistono in natura, ciascuno che prosegue lungo questo cammino si accorge che le persone con cui riesce a parlare sono sempre di meno perché i discorsi che le persone fanno comunemente cessano di avere qualche interesse, per lo stesso motivo e per la stessa via per cui si cessa di giocare con le bamboline per esempio, e si cessa di farlo perché non è più un gioco interessante e questa sorte la subiscono la quasi totalità dei giochi che fanno gli umani, giochi per bambini, e torno a ripetervi è questo ciò con cui abbiamo a che fare in ciascuna conferenza, sempre e comunque …

Intervento: la questione della responsabilità … che il linguaggio sia uno strumento non dico che ne è la conseguenza diventa facile accogliere una conclusione di questo genere agevola in qualche modo la mancanza di responsabilità … però la questione della responsabilità se non si trova un fondamento e quindi non si elabora la questione del linguaggio e quindi del pensiero del proprio pensiero che solo conclude una certa cosa, la questione della responsabilità rimane così una sorta di … chiunque ha sempre affermato che ci vuole responsabilità ma questo non è risolutivo se non si considera come funziona il pensiero che conclude delle cose e che queste cose sono affermazioni di realtà …

Intervento: sì nel luogo comune si parla di responsabilità ma qui si parla di responsabilità di discorso che è diverso nel luogo comune quando si parla di responsabilità è un richiamo all’altro delle sue responsabilità …

Intervento: se non si arriva al linguaggio non ha nessun senso …

Intervento: anche nell’analisi quando gira tantissimo su certe questioni finché la responsabilità non è riportata là da dove viene quindi al mio discorso si gira tantissimo perché c’è una verità che funziona come fosse una verità sub specie æternitate, funziona come qualcosa di assolutamente vero e finché funziona come verità così fatta non c’è modo di andare oltre …

Elisa come definirebbe la realtà se qualcuno glielo chiedesse? In accezione più ampia possibile, la più ampia che riesca a pensare? Come ciò che è percepibile dai sensi o dalla loro possibile estensione perché ciò che gli occhi suoi non vedono può vedere con un cannocchiale, e questa è la definizione più comune di realtà “ciò che cade sotto i sensi” …

Intervento: è qualcosa di esterno …

Esterno? Perché, lei non fa parte della realtà?

Intervento:  …

A questo punto lei ha dato una definizione di realtà. Cioè cosa ha fatto esattamente?

Intervento: i concetti …

Va bene, solo questo? O c’è dell’altro? Mettiamola così: perché accoglie questa definizione? Intervento: perché mi piace di più …

QQuindi è soltanto una questione estetica, e perché utilizza i sensi per definire la realtà anziché altre cose?

Intervento: …

La prima cosa che le viene in mente insomma?

Intervento: sì …

Già, e non trova nulla di strano in tutto ciò?

Intervento: partire dai sensi anziché da altro?

Sì, anche questo è singolare, perché si parte dai sensi? Che garanzia offrono?

Intervento: …

Più diretto forse, quindi dando una definizione di realtà il problema è: che cosa si fa esattamente? Si coglie ciò che è proprio a un quid oppure semplicemente si decide una certa cosa? Io decido che una certa cosa che suppongo sia la realtà ha queste prerogative, naturalmente questo riguarda qualunque definizione di qualunque tipo naturalmente, e cioè il problema della definizione: che cosa definisce esattamente? Saprebbe dimostrare che credere fermamente nelle cose è falso?

Intervento: sì … io credo che una cosa sia così e un altro crede che una cosa sia colà quindi questo annulla la mia realtà …

Il problema è che di fatto non è che annulla la sua idea di realtà uno che dice che la sua realtà è differente, lei continuerà a mantenere la sua, e per lei ciò che è reale è proprio quello che è, non è altro …

Intervento: sì però non è più una realtà universale …

Questo è già più interessante, in effetti la realtà per definizione dovrebbe essere un universale, se la riduciamo a un particolare diventa complicato, e in effetti questa è una questione importante lungo un percorso analitico e cioè trasformare tutto ciò che per la persona interviene come universale, come una verità assoluta, in una particolare, cioè qualcosa che appartiene al suo gioco, al suo discorso che non è vero in assoluto …

Intervento: ma ogni volta che ti confronti con un’altra realtà avere dei dubbi comporta …

Ma a questo punto dove trova quella universale?

Intervento: c’è bisogno? Cioè per forza …

Tecnicamente no …

Intervento: al momento in cui ricevo … non ho bisogno di una definizione universale, non è importante …

Però a questo punto come si definisce?

Intervento: in base a quello pare vero …

Quindi è un’opinione?

Intervento: sì …

Che può essere verificata in qualche modo? Aldilà dei suoi sensi, perché i suoi sensi possono ingannarla naturalmente e in ogni caso sono sempre soggettivi, perché se questa ipotesi non può essere verificata cioè lei non può uscire dai suoi sensi allora non serve a niente …

Intervento: è legata al soggetto …

Ma se è universale non ha tante sfaccettature, deve essere uguale sempre e per tutti, se no torniamo alla questione di prima, cioè è un’ipotesi assolutamente soggettiva …

Intervento: …

Perché dice che alla fine c’è? Come fa a sapere che c’è?

Intervento: si presume …

Sì è una presunzione, è vero, la realtà in effetti è una presunzione, si presume qualche cosa che in nessun modo può essere provato, ed è il modo in cui pensano gli umani generalmente, presumendo le cose. In effetti se non si pone la questione in termini radicali cioè ponendo la condizione anche per potere presumere qualunque cosa non resta che la presunzione, anche nella scienza più esatta sono tutte presunzioni, tutti presuntuosi, è vero, non c’è via d’uscita salvo naturalmente intendere qual è la condizione di tutto ciò, allora non c’è più nulla da presumere, c’è la certezza che per potere presumere qualunque cosa occorre una struttura che lo consenta, e allora si passa dalla presunzione alla certezza, che è diverso. La nozione di realtà non può avere alcuna certezza, rimane assolutamente arbitraria, gratuita, è un’idea al pari di qualunque altra come dio, per esempio, e a quel punto come tale la si tratta e non verrebbe più in mente a nessuno di dire che comunque le cose esistono senza linguaggio perché non avrebbe nessun senso, in fondo è di questo che si tratta quando lei chiedeva della verità, i più suppongono che la realtà esista fuori dal linguaggio, cosa che è una contraddizione in termini.