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24-6-2004

 

Avete qualche riflessione sulle ultime conferenze?

Intervento: continuare sulla questione del disagio…

Questo argomento ha funzionato, tra l’altro c’è il progetto di fare un calendario per tutto l’anno prossimo…

Intervento: io trovo che dobbiamo insistere sul collegamento tra la teoria del linguaggio e la psicanalisi… la teoria del linguaggio è uno strumento che a noi serve per condurre le analisi, ma occorre l’aggancio per cui una persona possa dire questa è una cosa che mi può servire

Intervento: mi sembra che nelle ultime conferenze l’aggancio ci sia stato sempre di più

È vero, ma non basta, non basta per un motivo, il fatto che il discorso che noi facciamo nelle conferenze presuppone un passo che nessuno fa, ciò che noi diamo per acquisito in realtà è il fatto che ciascuno abbia l’opportunità, l’occasione di interrogare le cose che sa e questo non avviene mai, per nessun motivo…

Intervento: questo avviene solo in un’analisi

Questo avviene qualche volta in una analisi sì, perché in effetti la questione da cui siamo partiti è stata proprio l’incominciare a interrogare il nostro stesso sapere, ma altri non l’hanno fatto né lo faranno, le danno per acquisite, anche per questo motivo per esempio gli psicanalisti non sono interessati a venire alle conferenze, non tanto perché non capiscono quello che diciamo, magari anche, ma perché non hanno nessun motivo per mettere in discussione le cose che sanno e così le persone che ci ascoltano. Noi proponiamo di mettere in gioco le cose che sanno ma non lo fanno né lo possono fare, perché è la cosa più ardua e più difficile e più improbabile che avvenga, nessuno lo fa, e questo è l’ostacolo, noi diamo invece per acquisito che la persona possa compiere questa operazione ma non lo farà a meno che troviamo il modo per “costringerla” tra virgolette a farlo, ma è molto complicato, alcuni che arrivano per esempio da altre scuole o comunque sono, fanno parte di scuole psicanalitiche, non possono accogliere un discorso del genere perché comporta il trovarsi di fronte all’eventualità di porsi delle domande circa le cose che ha apprese, che ha imparate, che per lui sono diventate la realtà delle cose e non lo fa, a meno che, torno a dirvi, troviamo il modo per costringerlo a farlo e occorrerà trovarlo questo modo perché noi ci siamo sempre soffermati sul rendere più semplici i passaggi del discorso che andiamo facendo, e abbiamo anche ottenuti dei buoni risultati, ma se non c’è questo passo iniziale si arena tutto…

Intervento: …il tornaconto…

Anche, ma soprattutto il fatto di non essere stati mai addestrati né invogliati a compiere un’operazione del genere, che risulta per i più assolutamente impensabile: quando noi poniamo queste questioni in linea di massima le persone non sanno nemmeno di che cosa stiamo parlando, eppure diciamo soltanto di cominciare a interrogare le cose che si sanno, che sia un’opinione personale, il proprio modo di vivere o una teoria non ha nessuna importanza, la questione è sempre la stessa, è su questo che dobbiamo lavorare parecchio…

Intervento: in effetti se le cose che si sanno costituiscono la realtà, non appartengono più neanche al sapere in quanto tale è qualcosa che c’è indipendentemente da me e quindi non è qualche cosa che so ma quanto meno io subisco

Già, e poi per quanto riguarda invece l’aggancio alla psicanalisi a questo punto, al punto in cui siamo, bisogna fare un passo poiché noi siamo giunti a considerare e a sapere che ciascuno non è altro che linguaggio di cui è fatto, allora qualunque questione incontri è riconducibile necessariamente al funzionamento del linguaggio, e cioè i malanni vari, depressione, fobia, angoscia, qualunque cosa deve potere essere riconducibile al funzionamento del linguaggio e cioè al fatto che ciascuno, come sappiamo, in tutta la sua vita non fa nient’altro che costruire ed esporre le cose che ritiene vere, in qualunque dialogo, in qualunque conversazione sia che, come dicevamo anche durante la conferenza, sia che riguardi una dichiarazione d’amore, una dichiarazione di guerra o una semplice affermazione di sensazioni che si provano o qualunque altra cosa, in ogni caso tutte queste cose non sono altro che un’affermazione di qualche cosa che si ritiene essere vera. Cosa che può apparire bizzarra in effetti, non si pensa così generalmente perché il linguaggio funziona così, e cioè costruisce proposizioni che deve riconoscere come vere all’interno del gioco che sta facendo. Questa è una questione piuttosto ardua, però dobbiamo essere in grado di ricondurre qualunque cosa una persona si trovi ad incontrare, bella o brutta che sia, al fatto che il discorso di cui è fatto non sta facendo nient’altro che ciò che non può non fare: costruire delle proposizioni che devono risultare vere all’interno del gioco che sta facendo. Pensate a una qualunque conversazione fra due persone, mettiamone due, è più semplice, perché queste persone conversano tra loro? I motivi possono essere molteplici, però sono riconducibili in generale o a una trasmissione di informazioni: “che ore sono?” “le nove e mezza!”; oppure una conversazione può non avere apparentemente nessun fine, nessun obiettivo, due persone chiacchierano amabilmente, ma noi possiamo porci due quesiti perché lo fanno? E qual è l’obiettivo? L’obiettivo può anche essere semplicemente il divertirsi ma a questo punto ci domanderemo perché si divertono a farlo, ciascuno dice la sua, generalmente avviene così, ma “la sua” cosa? La sua opinione, ciò che sa o che ritiene di sapere, perché lo fa? Perché vuole informare l’altro di ciò che lui ritiene essere vero? A che scopo? Sono tutte domande che dobbiamo porci se vogliamo proseguire e sappiamo che essendo ciascuno fatto di linguaggio funziona così come funziona il linguaggio, e cioè costruisce, i discorsi, sappiamo che muovono da una premessa qualunque che però deve essere riconosciuta come vera dal parlante, se no non l’accoglie, e poi attraverso una serie di passaggi coerenti giungere alla conclusione, in genere avviene così, conclusione che deve ovviamente essere riconosciuta come vera e risulterà tale se i passaggi saranno stati coerenti. Ecco dunque queste due persone chiacchierano tra loro e ciascuno dice la sua, la sua verità potremmo dire, anche se viene spacciata come opinione, ma in realtà è quello che la persona ritiene essere vero perché se lo ritenesse falso non lo direbbe, né lo affermerebbe, può formularlo come un’ipotesi ma sappiamo bene che un’ipotesi non è altro che la formulazione di una eventualità che attende, nel prosieguo, di essere confermata vera oppure falsa, se no non è niente. Dunque queste due persone si scambiano delle cose, ciascuna delle due suppone che sia vera quella che dice e chiaramente se incontra un’opinione differente ecco che allora inizia quello che gli antichi chiamavano l’agone dialettico, come dire che si mettono alla prova le due argomentazioni per stabilire quale delle due è vera, ma perché si fa una cosa del genere? E perché invece entrambe non accolgono con grande entusiasmo quella che risulta essere falsa? Tecnicamente sarebbe possibile, ma non lo si fa, e allora accade che in questa conversazione ciò che si verifica di fatto non è altro che l’esposizione di ciò che ciascuno dei due ritiene essere vero. Nient’altro che questo? Parrebbe. Certo, ci sono casi anche molto complessi naturalmente, però appare che ricondotti alla struttura originale, ciascuna conversazione, come si suole dire oggi ciascun rapporto interpersonale, abbia questa struttura, cioè si configuri in questo modo, come l’affermazione di qualcosa che è ritenuto essere vero. D’altra parte se, come andiamo dicendo, ciascuno non è altro che il linguaggio di cui è fatto perché dovrebbe fare altro, visto che è il linguaggio che lo costringe a fare questo? E soprattutto perché dovrebbe fare altro? Allora ecco che arriviamo finalmente alla questione della psicanalisi: l’intoppo, il disagio, il malessere, il malumore, qualunque accidente sia, a questo punto può e probabilmente deve essere ricondotto a ciò che è di fatto, e cioè un modo che quella persona reperisce o ha reperito per affermare ciò che ritiene essere vero. Prendete una depressione, visto che ne abbiamo parlato per lungo e per largo anche l’altra sera, la depressione afferma che le cose vanno malissimo, che tutto ormai è a catafascio, che non c’è più niente da fare, come dicevamo, e che cos’è questo se non l’affermazione di qualcosa che si ritiene essere assolutamente vero…

Intervento: la potenza della depressione

In effetti spesso abbiamo parlato di potere, potere non nell’accezione del nostro amico Schopenhauer e neanche di Alfred Adler, e cioè come la necessità di dominare l’altro al fine ultimo e unico di… dominare l’altro punto e basta! No, in realtà di dominare l’altro in quanto tale non gliene può importare di meno, perché mai dovrebbero fare una cosa del genere? E soprattutto da dove viene questa idea? Come abbiamo incominciato a dire in realtà questa idea viene sempre da quella struttura di cui sono fatti e cioè dal linguaggio, e quindi affermare la verità perché il linguaggio funziona così: costruisce proposizioni e queste proposizioni occorre che siano vere per consentire al linguaggio di funzionare, tant’è che se incontra una propostone falsa la scarta e da lì non va avanti…

Intervento: il linguaggio deve costruire proposizioni vere… e quindi difende la direzione del suo discorso che parte da una premessa e attraverso una serie di passaggi arriva ad una conclusioneha bisogno solo di mantenere questa direzione se no deve mettere in gioco tutto quello che è il suo discorso….come se non potesse utilizzare altro

Sì e no, dicevamo che il linguaggio procede costruendo proposizioni se verifica che questo lo può fare, e che la conclusione cui è giunto non è contraddittoria con la premessa da cui è partito, allora accoglie quella conclusione come vera, in caso contrario no, e sappiamo anche perché, e quindi ecco che anche nella depressione la questione che è in gioco in realtà è questa: il potere, o il supporre di avere acquisito un sapere che è possibile imporre sull’altro…

Intervento: perché costruire proposizioni vere? Se no non funziona chiaro

Può, anziché dire vere, dire proposizioni che non contraddicono le premesse da cui muovono…

Intervento: …al momento in cui il linguaggio non riesce a reperire questa verità all’interno del discorso che lui fa oppure con gli elementi dei luoghi comuni con i quali si trova a giocare…non riesce a concludere quindi a trovare quella che è la proposizione vera che attiene a quel gioco…

Si tratta sempre, ed è la cosa che forse è più semplice da intendere, di avere ragione dell’altro, comunque, avere ragione sull’altro e dell’altro in una conversazione, in una relazione sentimentale, per esempio, dove si tratta di fare in modo che l’altro si innamori, perché no? Oppure avere ragione sull’altro militarmente, la ragione del più forte: noi abbiamo la bomba atomica e voi no, e siamo più forti. Quindi potere…

Intervento: cosa comporta a questo punto per il linguaggio non poter utilizzare una proposizione vera, non poter concludere

Non sapere ancora se è vera…

Intervento: non è così automatico utilizzare da parte delle persone ciò che noi andiamo dicendo…

dicevamo che non possono accogliere quelle che sono delle proposizioni vere ché se potessero farlo…

Abbiamo detto in varie circostanze che ciò che andiamo dicendo può, anzi, mette sicuramente in crisi le premesse da cui muove il loro discorso, a questo punto si tratterebbe di abbandonare tutta una serie di certezza, di credenze, di superstizioni e questo una persona non ama farlo, soprattutto se deve riconoscere di avere torto, di avere avuto torto, e allora ecco che si aggrappa a qualunque cosa pur di negare quello che andiamo dicendo…

Intervento: pur di continuare su quella via

Certo, ma via che non è affatto riconosciuta come vera da loro, proprio per nulla, è per questo che all’inizio dicevo che questo non può avvenire, cioè non possono riconoscerle come vere perché per farlo occorre cominciare a mettere in gioco delle cose che si danno per assolutamente certe, sicure, quindi quella cosa che per ciascuno passa come realtà delle cose. Per quella persona non è altro che il modo che ha trovato, poi lungo l’analisi poi può anche reperire perché proprio quel modo eventualmente, però non è così importante, dunque il modo che ha trovato per potere garantirsi una certezza, nient’altro che questo, certezza su cui potere contare, per questo non l’abbandonano, esattamente così come il fondamentalista islamico non abbandona la sua fede in Allah. Per esempio una persona assolutamente convinta di essere la persona peggiore di questo mondo… a cosa gli serve una cosa del genere? Perché lo pensa? Che se ne fa? Non è tanto come si è convinta, perché se uno vuole convincersi di una cosa di prove ne trova fin che gli pare, a bizzeffe, non c’è che l’imbarazzo della scelta, ma perché pensa una cosa del genere? È come se lì, in questa idea, avesse trovato la sua certezza assoluta, la sua verità dalla quale non recede, che non è altro che una proposizione ritenuta assolutamente vera al di sopra di tutte le altre considerazioni…

Intervento: io sono la persona peggiore di questo mondo quindi questa è la realtà delle… cose naturalmente l’affermare questo è vero che mi garantisce una certezza ma mi garantisce anche tutta una serie di emozioni

Le emozioni seguono la certezza…

Intervento: l’obiezione è sempre quella delle emozioni… la certezza è che qualcosa è così e non può essere altrimenti che così… ma è anche la certezza delle emozioni questo pensare questa cosa produce delle emozioni che sono assolutamente irrinunciabili, riportare le emozioni alla struttura del linguaggio in questo caso…

Sì, l’emozione segue al reperimento di qualcosa che si ritiene assolutamente vero, solo a questo punto c’è un’emozione, tant’è che se si dubita non c’è nessuna emozione, la fanciulla si emoziona quando il fanciullo le dice per la prima volta “ti amo” ma deve essere sicura, se ha qualche dubbio che sia così non prova nessuna emozione. Qualunque cosa che nella vostra vita produce delle emozioni, troverete che questa emozione è sempre connessa a qualche cosa per voi assolutamente certe e inequivocabile, in modo assoluto, e ciascuna volta che viene confermata questa cosa che è assolutamente certa ecco che allora si produce quella cosa che si chiama emozione…

Intervento: che è funzione di altro che non ciò che si sta giocando ma della premessa maggiore

Intervento: vuol dire che qualsiasi discorso ha le sue emozioni

Sono sicuro che quando a Eichman venivano forniti i resoconti del numero di ebrei uccisi fosse stato molto contento e magari provava delle emozioni, questo per dire che qualunque discorso ne produce un certo numero, anche quello più bieco…

Intervento: dipende da quello che si crede quello che si crede si crede vero non è che si crede falso

Ovvio, se io sono assolutamente convinto, come nel caso di Eichman, che la razza ariana sia l’unica che abbia il diritto sacrosanto di esistere sul pianeta, allora il raggiungimento di qualche cosa che lavora in questa direzione produrrà delle emozioni, così come la soluzione, per esempio per fare un esempio molto più semplice, di un rebus, una persona che è appassionata di rebus ne ha una soddisfazione, e una soddisfazione è un’emozione. Potremmo a questo punto ripensare tutta la psicanalisi utilizzando ovviamente tutto ciò che abbiamo elaborato per vent’anni, tutta la questione della nevrosi, tutte le storie che si raccontano, dalla nosografia psicanalitica alle varie nevrosi ossessive, la paranoia, la schizofrenia, l’isteria, il discorso autistico etc. possono essere riconsiderate…

Intervento: da questa via… quando noi parliamo di attrazione, per una persona che è attratta da una storia come quella “dell’essere il peggiore del mondo” che prova “soddisfazioni nel suo discorso proprio partendo da questa conclusione… quando partiamo di attrazione per cui degli elementi si attraggono e si può intendere di più perché parliamo di soddisfazione… infatti parlavamo di attrazione per la storia… è proprio ciò che chiamiamo linguaggio che permette l’interrogazione sull’attrazione tra elementi ma elementi linguistici o meglio fra inferenze, giudizi… perché in un certo discorso un luogo comune è privilegiato rispetto ad altri? Nel discorso della depressione c’è un luogo comune specifico che permette, anche macroscopico direi, che permetta la continua produzione di depressione e quindi di questo fuori dal linguaggio, di questa soddisfazione di questo epilogo e quindi di queste proposizioni vere… trovare quelli che sono i luoghi comuni più utilizzati e cominciare a parlare di attrazione fra elementi come mai questi elementi sono attratti nel discorso? Mi chiedevo se questa fosse una via semplice, più semplice per portare… così come in un lutto e malinconia

Non è così automatico che sia più semplice in una persona che è attratta dalla sua sofferenza…

Intervento: la soddisfazione è la soddisfazione rispetto ad un’esigenza, se l’esigenza del linguaggio è quella di costruire proposizioni vere perché sono quelle che consentono di proseguire allora la soddisfazione può anche intervenire in termini di emozione perché comunque è sempre una ricerca delle verità… la persona che dice “io sono la persona peggiore di questo mondo” non dirà mai che è soddisfatta di questo ma comunque il suo discorso è soddisfatto perché comunque trova elementi di verità… e quindi la soddisfazione è una conclusione certamente ma un punto di partenza per costruire delle cose ovviamente, altri giochi

Sì, ma se la persona avesse l’opportunità di accorgersi di una cosa del genere, che afferma questo unicamente perché ha trovato questo modo, e poteva trovarne infiniti altri, ma che di per sé questa affermazione non è né vera né falsa, ecco che non è necessario avere questa esigenza e continuare a ripetere questa sua assoluta verità, in questo caso appunto di essere la persona peggiore del mondo, comincerebbe a considerare che non è la peggiore né la migliore, ma è quella che è e si fa gli affari suoi, però questo è il modo per portare la cosa nei termini più radicali possibili, effettivamente sbarazzare la possibilità stessa di creare la nevrosi, mettiamola così, così come dicevamo porre le condizioni perché la persona cessi di avere bisogno di credere

Intervento: questa è la questione: il bisogno di credere è la necessità

Se non si giunge a potere valutare di che cosa si tratta quando si parla di verità è difficile, certo se nessuno si domanda che cos’è la verità quando ritiene di sé di essere la persona peggiore di questo mondo, lo da come acquisito, come implicito, non mette in discussione nulla di ciò che ritiene essere vero, come dicevo all’inizio, questo è l’ostacolo maggiore che dobbiamo affrontare, porre le condizioni perché una persona incominci a interrogare, che è la cosa più difficile…

Intervento: ovviamente non ritenendo la struttura logica interna al linguaggio questa verità può essere solo creduta

Se quel tizio pensa che solo gli ariani hanno diritto di esistere su tutto il pianeta, lui crede fortissimamente, per lui è la verità assoluta, ma ovviamente non può né sa mettere in discussione le premesse da cui è partito questo discorso, potendo mettere in discussione le premesse da cui è partito ha l’occasione di accorgersi che questa premessa non è necessaria ma è assolutamente gratuita e quindi questa sua affermazione vale esattamente come la contraria e, a questo punto, proprio per una questione grammaticale, cessa di crederci, cessa di credere che sia vero con tutto ciò che ne segue. Questa estate come ho già accennato dovremo lavorare su questi due aspetti per rendere più semplice il discorso, ma soprattutto tenendo conto che l’ostacolo maggiore consiste in questo: che noi parliamo di cose che le persone non afferrano non perché parliamo difficile o diciamo cose strane,ma perché muoviamo dall’idea, falsa, che le persone automaticamente pongano in discussione le premesse dei loro discorsi, ma non lo faranno mai, e invece noi dobbiamo trovare il modo per costringerle, per così dire, e allora il discorso prende un’altra piega, ma se questo non avviene non succede assolutamente nulla, ci troviamo di fronte a un muro…

Intervento: più che cercare di convincere

Questo è da valutare, e poi intendere in modo sempre più preciso il modo di condurre questa psicanalisi, tenendo conto di ciò che risulta essere strutturale: se ciascuno come ho detto dall’inizio è fatto di linguaggio e se sappiamo come funziona il linguaggio, sappiamo anche come funziona necessariamente, è questo il compito per questa estate.