24-5-2006
L’unica teoria necessaria
si discute su come sono andati gli
ultimi interventi e come proseguire…
Intervento: nella la prima conferenza non ho capito granché, poi nelle successive
il linguaggio ha incominciato ad attrarmi dopodiché non so dire ancora molto…
Aveva già seguiti incontri precedenti e le cose risultavano più semplici, certo intendere la questione del
linguaggio non è semplice. Però è interessata al linguaggio, è già qualcosa
perché è una questione interessante il linguaggio, in effetti
è “ciò che tutto move”, lei cosa ha inteso del linguaggio fino ad oggi?
Intervento: trovarmi
pensante di me stessa…
Qualcosa del genere…
Intervento: perché
penso le cose? Perché mi sono state dette… la comunicazione
mi arriva alla gola, perché?
Queste sono belle domande che possono essere prese molto
seriamente, rispondendo a ciascuna di queste in modo
preciso; perché ciascuno pensa le cose che pensa? Appare una
cosa normale, naturale, nessuno si chiede perché pensa una cosa del
genere se non in casi sporadici e rarissimi, se no non si pone mai una domanda
del genere, eppure è importante perché a partire dalle cose che pensa poi
penserà altre cose e in base a queste altre cose si muoverà di conseguenza e
prenderà una decisione, farà tutta una serie di cose che possono avere
conseguenze notevoli su di sé e sul prossimo, le decisioni che uno prende nella
propria vita possono coinvolgere oltreché se stessi anche altre persone e in
ambito economico e politico possono coinvolgere nazioni intere, quindi non è un
fatto del tutto marginale…
Intervento: (come
un’onda che si ripercuote…
In un certo senso. Eppure nessuno sa perché pensa le
cose che pensa, le dà per acquisite, si convince che è così, e una volta stabilito questo non si fa più nessuna domanda, anche
nell’ambito delle teorie funziona allo stesso modo, si costruiscono teorie
anche molto complesse, e non soltanto psicanalitiche, in molti casi si usano
termini anche molto complicati. Ci sono alcune teorie che usano termini in
accezione molto particolare, per esempio la teoria di Lacan, di Verdiglione,
dove vengono introdotti termini che occorrerebbe
spiegare di volta in volta, ma spiegare questi termini diventa molto complicato.
Ci sono molti termini che vengono utilizzati nella
teoria di Verdiglione, visto che è l’analista con cui mi sono formato, termini
come “altro” come “sembiante” come “tempo” che sembrano contenere in sé chissà
quale altro significato, in realtà se li interroga fino in fondo si accorge che
non significano praticamente niente, che è una questione notevole. Noi non
usiamo nessun termine che non sia un termine corrente,
di uso comune, linguaggio è una parola abbastanza semplice, certo non molti
sanno che cosa sia esattamente, però è facile o abbastanza facile, spiegarlo. Comunque sia, in ogni caso occorre fare un lavoro notevole
questa estate di preparazione, per rendere semplici le cose, così semplici da
non potere non essere intese immediatamente, questo è l’obiettivo, non facile
come dicevo prima non perché utilizziamo termini complicati, assolutamente no,
ma perché pensare in questo modo è qualcosa che va contro a tutto ciò che gli
umani sono stati addestrati a pensare sin dai primi vagiti: che la realtà è ciò
che io vedo, ciò che tocco, ciò che sento, che le cose stanno così come sono, e
che non serve a niente interrogarsi oltre un certo limite. Il lavoro che
facciamo va nella direzione opposta, risulta talvolta
difficile, ostico, però, come dicevo anche ieri sera o anche in altre
circostanze, siamo stati costretti a porre le cose che abbiamo poste, costretti
dalle considerazioni che hanno condotto a inizialmente a interrogare le teorie
psicanalitiche sulle quali ci eravamo formati, cosa che generalmente non si fa,
una persona che si forma con una teoria, qualunque essa sia non ha importanza, ne
accoglie i fondamenti così come sono e tanto basta, perché generalmente non ha
né la capacità, né l’intenzione, né il vantaggio di fare un’operazione del
genere, perché mettere in discussione qualcosa se in fondo mi dà da vivere? Per
cui non lo si fa, ma quando lo si fa ci si accorge che
magari questa teoria è fondata su niente, su una sorta di atto di fede. come dire che a fondamento non c’è niente, è qualcosa che è
stato affermato ma che non può essere né provato né dimostrato. Nella stessa teoria
di Freud per esempio uno dei concetti fondamentali è l’inconscio, quale
psicanalista ha mai messo in dubbio l’esistenza dell’inconscio? Non lo fa
perché tutto il suo lavoro è fondato su questo e quindi se ne guarda bene, tuttavia
l’onestà intellettuale costringe a domandare, a chiedere a questo concetto di
“inconscio” di rendere conto di sé, e allora ci si accorge che di fatto l’esistenza dell’inconscio non solo non è
provabile in nessun modo ma forse nemmeno l’invenzione di questo concetto ha
qualche utilità, per cui si incomincia a chiedere perché si è dovuto ricorrere
alla nozione di inconscio, a che scopo? Su che cosa si basa? Certo su alcune cose
che Freud ha considerate e esperite, ma altri nella
loro esperienza possono esperire altre cose che possono non condurli affatto a
quella conclusione, come accade. Quindi interrogare questi concetti può portare
a trovarsi di fronte a una questione che è complicata,
e cioè su che cosa si reggono le teorie e soprattutto perché vengono accolte,
in base a che cosa? Certo gli umani tendono a credere
a qualunque cosa in linea di massima ma anche questo non va da sé, però il
fatto stesso che esistano le religioni potrebbe indurre taluni a pensare che
gli umani sono disposti a credere a qualunque cosa e quindi credono anche a
delle teorie che non possono essere provate, e se non può essere provata una
teoria che cos’è di fatto?
Intervento: una fede
Brava, esattamente, una fede, però la scommessa che facemmo tanti anni fa fu proprio questa, costruire un
pensiero che non avesse bisogno di essere sostenuto da un atto di fede, apparve
allora un’impresa titanica, forse impossibile. Abbiamo considerato intanto come
si costruisce una teoria, molto semplicemente: si muove da qualcosa che si da per certo e seguendo dei passi, delle inferenze
coerenti con la premessa si giunge a una conclusione e abbiamo considerato che
questo non è altro che il modo di pensare, comunque, chiunque in fondo quando
pensa fa una cosa del genere, muove da qualcosa che sa, e attraverso una serie
di passaggi giunge alla conclusione, escludendo altre cose che non sono
pertinenti con la premessa. Quindi costruire una teoria non significa
nient’altro che applicare il pensiero, ma questo
pensiero come funziona? E stabilito come funziona,
perché funziona proprio così? Perché se io voglio
pensare devo pensare in questo modo? Perché devo
partire da una premessa e perché devo supporre che questa premessa sia vera? E
devo concludere con una conclusione che sia vera? Perché? Perché non posso concludere
con una conclusione falsa? In fondo nessuno apparentemente me lo proibisce, e
allora abbiamo iniziato a considerare che forse il modo in cui ciascuno pensa è
il modo in cui funziona quella cosa che comunemente si chiama linguaggio, cioè una sequenza di istruzioni; di fatto mentre parlo,
mentre penso, mentre faccio qualunque cosa mi attengo a delle istruzioni, per
esempio, una di queste è quella che mi impedisce di accogliere una conclusione
che rilevo essere falsa, mi impedisce di prendere come premessa qualcosa che so
essere falso, chi mi dà queste istruzioni? Da dove arrivano? Chi le ha
stabilite? Nessuno, apparentemente nessuno, tutti pensano così e bell’è fatto, però siccome abbiamo escluso l’eventualità che
fosse un dio a decidere tutto questo, abbiamo considerato che forse era proprio
quella cosa che chiamiamo linguaggio a funzionare così e quindi a costringere
gli umani a pensare così. Da qui una riflessione intorno al linguaggio e al
modo in cui funziona, ma che cos’è il linguaggio? Non era facilissimo rispondere però abbiamo incominciato dalle cose più
semplici, abbiamo incominciato a considerare intanto il suo funzionamento,
funziona muovendo da un elemento che deve essere accolto dallo stesso
linguaggio come vero e poi, attraverso delle premesse coerenti, deve giungere a
una conclusione, fa questo, e poi deve potere distinguere un elemento da un
altro, questo è fondamentale. Tutte cose sono state tratte dal funzionamento, lo si coglieva proprio mentre lo si praticava, costruendo
una teoria ci si accorge di come necessariamente si fa a costruire una teoria:
escludendo tutto ciò che si rileva essere falso. Cosa vuole dire
che è falso? Vuole dire che nega le premesse da cui è
partito e quindi da lì non si può andare e abbiamo pensato che se di fatto
avviene così allora è il linguaggio che funziona così, che ci impedisce di
accogliere una conclusione che è stata essere rilevata essere falsa, e quindi
abbiamo considerato che intanto per funzionare occorre 1) potere distinguere un
elemento da un altro, questo è fondamentale, provi a immaginare una parola che
significhi simultaneamente tutte le altre, il linguaggio cessa di funzionare.
Abbiamo incominciato a considerare tutti quegli elementi che se non ci fossero
non consentirebbero al linguaggio di funzionare, questo è uno di quelli e poi
2) un sistema inferenziale, un’istruzione che ci dice
che se c’è un elemento allora ce ne è un altro, se A allora B, da dove viene
questa cosa? Se A allora B? Viene dal linguaggio.
Tutti i logici si sono adoperati nel corso dei secoli per cercare di sapere da
dove venisse una cosa del genere, senza accorgersi che è il linguaggio di cui
sono fatti che è fatto così, di per sé non è niente se non fosse
che consente al linguaggio di funzionare, dicendo che è ciò che consente al
linguaggio di funzionare, io in questo istante, ho compiuta un’inferenza, sono
partito da una premessa, ho fatto dei passaggi e ho concluso così e continuo
incessantemente a fare questo, senza tregua, e allora abbiamo considerato che
tutto ciò che è necessario perché il linguaggio funzioni, beh, allora questo è
ciò che definisce il linguaggio. Se una teoria viene dimostrata
essere falsa viene abbandonata, per esempio nell’ambito della fisica quando si
è considerato che non è il sole che gira intorno alla terra ma è il contrario,
la teoria precedente si è abbandonata perché si è considerato che fosse falsa e
quindi si è abbandonata ma per fare questo, per stabilire che cosa è vero e che
cosa no, occorrerà pure un criterio? Se no, con cosa
lo stabilisco? Per stabilire che la proposizione che afferma che questo è un
posacenere è vera devo sapere che quello è un posacenere, cioè
devo avere delle informazioni e allora il criterio è “un contenitore adatto a
spegnerci dentro le sigarette” se risponde a questi requisiti è un posacenere
se no, no, se è fatto a punta per esempio non risponde ai requisiti, non è un
posacenere e quindi se affermo che è un posacenere costruisco un’affermazione
falsa, ma quale criterio utilizzare? E come sapremo
che il criterio che utilizzeremo sarà vero oppure no? Ci vorrà un altro
criterio e così via all’infinito, a meno che non si
prenda come criterio quella stessa cosa che consente di costruire qualunque
criterio, e cioè appunto quella struttura che chiamiamo linguaggio, ché
qualunque criterio costruiremo lo costruiremo con il linguaggio. Prendiamo il
linguaggio come criterio per costruire la verità, anche perché qualunque cosa avremo deciso sia la verità comunque lo avremo deciso grazie
al linguaggio, a questo punto ecco che abbiamo in mano qualcosa di
straordinariamente potente e cioè una teoria che è fondata su ciò stesso che
consente la fondabilità di qualunque cosa e che non può essere negata. A questo
punto questo fondamento, il linguaggio, è qualcosa di più che assolutamente
vero, è necessario, cioè non può non essere, perché se
non fosse allora non sarebbe più niente perché non avrei più nulla per
considerare niente, né l’esistenza, né la non esistenza, nulla, tutto svanirebbe
nel nulla. È importante per una teoria avere a fondamento qualcosa che non sia negabile e cioè che sia necessariamente vero perché su
di questo è possibile costruire una teoria che, al pari delle premesse,
risulterà altrettanto necessaria e altrettanto potente. Nessuna teoria può
vantare una cosa del genere, nemmeno la fisica che è fondata su concetti che
non sono necessari perché sostenuti o dall’esperienza, e l’esperienza in sé non
può essere dimostrabile come criterio, oppure dal calcolo numerico il quale non
è altro che un gioco e quindi non fondabile, può essere utile, questo sì, ma
non è fondabile in modo necessario: qualunque criterio utilizzerò
per stabilire la verità della scienza sarà sempre arbitrario, mai necessario,
quando una cosa è necessaria? Quando se la tolgo scompare quella cosa e insieme
con lei tutto il resto, allora è necessaria se no, no, per esempio, l’esistenza
di dio non è necessaria, io posso levarla e non cambia niente, continuo a
vivere la mia vita e a pensare e fare tutto quello che devo fare ma se io
togliessi il linguaggio, cioè la possibilità stessa di
pensare, le cose cambierebbero, o se cambiassi i criteri di valutazione della
fisica, io continuerei comunque a pensare e quindi a esistere, ma se tolgo il
linguaggio no, ecco perché è necessario ed è anche l’unico criterio che ci
consenta di costruire la verità, qualunque cosa io deciderò che sia sarà sempre
costruita dal linguaggio, e di questo magari occorre tenere conto. La realtà
che ciascuno percepisce vede, tocca etc. è tale perché c’è qualcosa che mi
consente di pensare tutto questo, ecco perché ieri dicevo
che il linguaggio è la vita, perché se non ci fosse il linguaggio la vita non
sarebbe mai esistita, né potrebbe esistere perché non ci sarebbe la nozione
stessa di esistenza. Vede, la difficoltà sta nel fatto che pensare in questo
modo è molto differente dal luogo comune, che invece suppone che le cose
esistano di per sé, che il linguaggio sia soltanto un mezzo per descriverle
eventualmente: le cose ci sono, il linguaggio serve a raccontarle, descriverle,
è importante ma la cosa c’è comunque, senza accorgersi
che queste affermazioni di fatto fuori dal linguaggio non significano niente, non
è niente affermare che le cose esisterebbero comunque, è un non senso come
affermare che dio esiste comunque, certo lo si può pensare, lo si può credere,
molti lo fanno. Tutto questo ha dei risvolti notevoli
in ambito pratico, anche se sembra essere solo una questione prettamente
teorica, mentre non è affatto così, è soltanto grazie a questo sistema che è
possibile praticare la psicanalisi in modo efficace, la tecnica psicanalitica
in realtà consiste nel fare in modo che la persona si accorga di che cosa gli
impedisce di andare oltre a un certo limite nei suoi pensieri, nelle sue
considerazioni, come se dei pensieri non potessero andare oltre, per il momento
non ci interessa perché, ma soltanto il fatto che c’è un limite oltre il quale
non si può andare, e non si può pensare oltre perché c’è l’assoluta convinzione
che le cose stiano così Reperiti questi limiti, cosa già di per sé non semplice
perché la persona non si accorge che questi limiti sono tali perché per lui
sono la realtà delle cose, si tratta di eliminare questi limiti e cioè
consentire al pensiero di andare oltre ciò che invece la persona immaginava
essere il limite ultimo mentre non lo è. Ciò che comunemente si chiamano
nevrosi è fatta di questo: dei limiti che il linguaggio si impone
e che mantiene con tutti gli effetti che questo comporta. Per esempio se io
immagino che qui fuori dalla porta ci sia un grande
pericolo e se sono fermamente e fortemente convinto di questo io non esco più
di casa, questo mi impone un limite, se qualcuno invece mi fa notare che non
c’è nessun pericolo, ecco che magari posso uscire. La psicanalisi fa questo, fa
in modo che la persona si accorga che non c’è nessun pericolo,
che non c’è mai stato e consente anche di sapere perché si è costruito questo
pensiero che per anni ha costretto. Per fare questo occorre che l’analista sia
in condizioni di sapere come funziona il linguaggio, sapere
perché una persona pensa le cose che pensa, e che le cose che pensa sono state
costruite, e che di per sé non significano niente, significano soltanto
all’interno del gioco in cui sono inserite. Trova molto difficile tutto questo?
È semplice, è straordinariamente semplice, la difficoltà talvolta sta nel
praticare una cosa del genere, cioè porla in essere,
nel quotidiano, nel constatare che ciascuna cosa che interviene di fatto è un
elemento linguistico che segue ad altri, secondo una sequenza che è anche
ricostruibile volendo, che senza il linguaggio non c’è la vita e quindi non c’è
neanche la morte, non c’è niente, e che sia la vita che la morte di fatto sono
costruzioni del linguaggio e come tali andrebbero prese, anche se non è sempre
facile. Questo dicevamo ieri sera, questo modo di pensare
conduce a una libertà assoluta perché non soltanto toglie qualunque tipo di
paura ma toglie la possibilità stessa di avere paura, che è ancora più
radicale, non è più possibile per una questione grammaticale, così come non è
possibile che una persona creda vera una cosa che sa essere falsa. Cosa glielo impedisce? È sempre il linguaggio che impedisce
di accogliere all’interno della propria sequenza delle conclusioni che il
linguaggio stesso ha stabilito che sono false, stabilito in
base a dei criteri ovviamente, delle regole, per questo parliamo di
giochi linguistici: un gioco non è altro che una sequenza di mosse vincolato da
regole, nient’altro che questo, e il linguaggio funziona così, per questo già
Wittgenstein parlava di giochi linguistici, perché il linguaggio è vincolato da
regole, ciascuna volta in cui lei fa un gioco linguistico questo esclude delle
mosse, esclude delle proposizioni in questo caso…
Intervento: allora che
cosa c’è di diverso tra lo psicanalista che mi smonta tutto il mio bel puzzle e
mi toglie tutte le mie paure inconsce perché non c’è più il drago, per cui non ho più paura del drago e questa nuova teoria di
cui mi stava parlando? cosa fa? Non mi smonta questo
puzzle, perché non c’è drago
Certo che non c’è, però fa qualcosa di più…
Intervento: ma siccome
io penso che c’è, cominciamo a…
Ecco, questa è già una questione da considerare “perché
ha dovuto costruirsi il drago?” a che scopo? Se l’ha
fatto le è servito a qualche cosa…
Intervento: io l’ho
fatto perché mi serviva a qualcosa di…
Sì certo però il fatto che l’abbia costruito comporta
che abbia avuta e abbia un’utilità, e cioè ciò che le
fa paura l’abbia costruito perché le serve a qualche cosa, perché il linguaggio
non costruisce nulla se non ha un motivo per farlo, e il motivo che cos’è? Che cos’è ciò che attrae? Come si chiama generalmente una
cosa che attrae? Perché se l’ha costruita ne è stata
attratta se no non l’avrebbe mai costruita, è ciò che comunemente si chiama
desiderio, qualcosa che attrae fortemente in una certa direzione, e allora può
incominciare ad accorgersi che il drago l’ha costruito lei perché desiderava
averne uno per qualche motivo, e già inserisce un elemento che è fondamentale:
la sua responsabilità. Non c’è il male, da nessuna parte, è qualcosa che lei ha
costruito per un suo scopo, per un suo motivo e il
motivo non è altro che il fatto che in qualche modo, per qualche via una cosa
del genere era utile o se vogliamo dirla tutta, le faceva piacere. Ora, perché
le fa piacere il drago? A questo punto non è più qualcosa che viene dall’altro
o dagli altri o dall’esterno, ma è qualcosa che appartiene al suo discorso e
può incominciare a chiedersi perché il suo discorso l’ha costruito, perché fa
piacere una cosa del genere? La questione riguarda il linguaggio, e cioè il linguaggio deve costruire proposizioni che alla fine
del percorso risultino vere e allora il drago, adesso facciamo questo esempio,
è inserito all’interno di una sequenza, di una serie di proposizioni tali che, per
esempio, hanno costruita una storia vera, importante, significativa e che cosa
fa questa storia vera, importante? Le consente di costruire altre proposizioni,
nient’altro che questo, perché gli umani si danno un gran da fare, si agitano,
si ammazzano anche qualche volta e si dannano la vita a che scopo? Per un unico
motivo: per costruire proposizioni, nient’altro che questo. Questo è ciò di cui
una persona potrebbe anche essere consapevole e
essendo consapevole di questo e potendo praticare una cosa del genere, tutto
ciò che comunemente ha a che fare con gli affanni degli umani si dissolve e il
più delle volte rimane un unico interesse che è quello poi fondamentale, e cioè:
perché le cose funzionano in quel modo? Se una persona
non ha più da occuparsi a crearsi dei problemi per poterli risolvere, cosa fa?
Ecco che diventa un problema, che per molti si chiama depressione, però a
questo punto ci sono anche gli strumenti, la persona ha acquisito strumenti
molto potenti e non ha più bisogno di costruirsi problemi credendo che siano
tragedie da risolvere, ma si diverte piacevolmente in ciò che dice, in ciò che
fa, in ciò che costruisce avvantaggiandosi della consapevolezza, che a quel
punto non può più non esserci, che tutto ciò che viene
fatto appunto dal linguaggio che è quel motore di cui diceva lei all’inizio e al
solo scopo di produrre proposizioni, il linguaggio fa soltanto questo, ma non
smette mai di farlo. Vede per il linguaggio, potremmo considerarlo come una
sorta di sistema operativo, costruisce proposizioni, quali proposizioni è assolutamente indifferente, che siano proposizioni di
gioia, di tristezza, di tragedia, di affanno, di felicità non cambia niente,
sono sempre proposizioni, poi il discorso le monta e in base ad altre
proposizioni che ha acquisite le valuta e chiama alcune cose spiacevoli e altre
piacevoli al solo scopo, per esempio, quelle spiacevoli di costruire
proposizioni per eliminarle, quelle piacevoli per abbandonarle e costruire
subito altre spiacevoli perché sono quelle spiacevoli che danno da fare, danno
da brigare, danno da pensare e quindi soddisfano il requisito fondamentale del
linguaggio che è quello di costruire proposizioni, poiché nel luogo comune si
dice che la felicità sia un attimo e scompare, mentre l’infelicità può durare anche
tutta la vita. Perché la felicità è una conclusione, dopodiché
non c’è più niente da fare, mentre l’infelicità da moltissimo da fare. È lo
stesso motivo per cui gli umani si danno un gran da
fare per occupare il loro tempo libero, è come se dovessero avere sempre
qualcosa da fare, come i bambini che spesso chiedono: “e adesso che cosa
faccio?” come se fosse impossibile restare senza qualcosa da fare, perché? Per
un animale per esempio la questione non si pone. Mai visto un gatto che si
preoccupa perché non ha niente da fare? Sta, semplicemente, e invece gli umani
no, a causa del fatto che sono provvisti di linguaggio
sono costretti dal linguaggio a costruire continuamente cose e se non le hanno
immediatamente sotto mano se le procurano, mettendosi nei guai per esempio,
costruendosi storie tremende, tutto ciò che costruisce quella cosa che si
chiama sofferenza che è fatta per essere eliminata, come le parole crociate,
vengono fatte per essere riempite, si potrebbe stamparle già fatte, ché si fa
prima, e invece no, ci si mette lì e si passa il pomeriggio per avere qualcosa
da fare. Ecco, il linguaggio è tutto questo. Già, va bene, allora ci fermiamo qui, ma noi proseguiamo tutta l’estate, ogni
mercoledì ci troviamo qui e discutiamo di questioni e le proseguiamo per
renderle sempre più semplici, più efficaci e continuiamo a interrogarle
incessantemente cercando di trovare sempre il punto debole in queste
argomentazioni, per questo qualunque obiezione venga fatta generalmente non ci
dice un granché, perché quella obiezione insieme con infinite altre ce le siamo
già fatte noi e dopo tanti anni di tentativi incessanti di demolire tutto ciò
che abbiamo costruito, ciò che abbiamo costruito regge ancora. Praticamente tutto l’impegno, dopo che abbiamo stabilito una
cosa del genere, è consistito nel demolirla. Fino adesso non ci siamo riusciti,
e questo ci ha indotti pensare che sia abbastanza solida.