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24-4-2013

 

Quando non c’è più il bisogno di credere? Quando non si ha più la necessità di affermare delle verità, e cioè si sa che ciascuna cosa che si afferma è all’interno di un sistema, di un discorso, e che trae la sua verità unicamente dal sistema in cui è inserita, a questo punto non si può più credere. È come se qualcuno chiedesse, mentre sta giocando a poker con qualcuno: “ma tu ci credi che quattro assi sono un poker?”, l’altro giocatore risponderebbe: “abbiamo stabilito così solo per potere giocare”, quindi affermiamo questo per potere giocare. Il discorso procede per affermazioni, sono affermazioni che si susseguono, e ogni volta un’affermazione si produce da una serie di inferenze, e quando questa sequenza si ferma, si ferma su qualcosa che attesta. Affermare è l’attestarsi su una posizione che è riconosciuta dal sistema come vera. Questa sequenza di affermazioni, se è intesa come una sequenza all’interno di un sistema, porta unicamente alla considerazione che questa posizione serve, è utilizzata dal sistema, per potere proseguire a costruire altre sequenze, e cioè per continuare a parlare. Questo se si conosce il funzionamento del linguaggio ovviamente, allora si sa che ciascuna volta per potere proseguire occorre affermare qualche cosa, e questa affermazione deve essere accolta e riconosciuta come vera dal sistema e da lì proseguire. Se invece tutto ciò è ignorato allora che succede Eleonora? Sorgono le passioni, e cioè sorgono quelle affermazioni che si immagina che siano garantite da un qualche cosa che è fuori dal sistema, cioè dal discorso, e che essendo fuori dal discorso siano quello che sono, anziché costruite in un certo modo e in base a certe regole. Immaginando una realtà extralinguistica è possibile costruire quella che Greimas chiama l’assiologia, e cioè dare dei valori a delle cose, quindi a delle proposizioni, valori che sono al di fuori del sistema che ha prodotto le proposizioni, e questo è possibile, come dicevo, solo se ci si attiene all’idea che un’affermazione affermi qualche cosa che è garantito dalla realtà, potrebbe costruirsi una passione senza la verità? Cosa direbbe Greimas? Perché ci sia la passione è necessario che un elemento, cioè un’affermazione, sia considerata essere vera. Se per esempio tu Eleonora dovessi prendertela perché il tuo fidanzato è uscito con un’altra, allora tu riusciresti a prendertela a male perché è reale quella cosa, non è una costruzione linguistica, cioè può accadere solo perché viene considerata reale una certa cosa, cosa vuole dire che è reale? Vuole dire che è quella che è, ma non “che è quella che è” perché stabilita da sequenze, da regole di formazione eccetera ma perché è così, è un quid fuori dalla parola che è quello che è, che si mostra per quello che è, e rispetto al quale non c’è nulla da fare. È questa la condizione perché tu possa scatenare una scenata di gelosia, se no non significherebbe niente una cosa del genere. Le relazioni, anche quelle sono un gioco, proprio come il poker, e se si vuole giocare a poker occorre accogliere quelle regole, che vietano per esempio, che possano essere cambiate nel corso del gioco. Le regole vengono accolte implicitamente, anche quando si gioca a poker si accolgono implicitamente, non c’è una dichiarazione ufficiale prima di giocare a carte: “allora siete tutti d’accordo a utilizzare le regole stabilite che sono queste, queste, queste e quest’altre?”, si accolgono implicitamente e in una relazione si accoglie implicitamente che una delle regole sia quella della “fedeltà”, se si viola questa regola allora non ci si attiene più alla relazione. Se si accolgono quelle regole allora non bisogna tradire, ma è sempre un gioco come qualunque altro, solo che mentre nel gioco del poker si sa che è un gioco, ma il gioco delle relazioni non viene preso come il poker, cioè un gioco, ma come un evento assolutamente reale: due persone si mettono insieme, stanno insieme e questa è la realtà delle cose a cui attenersi. Dunque perché una passione possa darsi, possa accadere, occorre che una persona immagini che ciò che accade sia reale, nel senso che sia fuori da un sistema linguistico, ché anche il sistema linguistico ha delle regole ovviamente che devono essere rispettate se si vuole giocare un certo gioco, sono reali queste regole? No, non sono né reali né irreali, sono soltanto stabilite, una volta che sono stabilite possono essere accolte oppure no, però per fare quel gioco occorre accoglierle. Questo è un elemento che spesso confonde le persone perché anche facendo un gioco appare che certe cose siano reali, per esempio l’esistenza di queste regole è reale, ci sono, anche giocando a poker queste regole ci sono, e se uno non si attiene a quelle regole comunque crea un problema se è all’interno di un consesso di persone che invece si attengono tutte a queste regole. Dicevo che può creare confusione nel senso che queste regole sono scambiate per regole universali, regole che sono la realtà delle cose, dei dati di fatto, mentre non lo sono propriamente. Ciò che può confondere è che una volta che vengono accolte, queste regole appaiono come se fossero delle realtà di fatto, appaiono così come appaiono quelle cose che inizialmente compaiono quando si incomincia a parlare, appaiono un po’ allo stesso modo, cioè delle realtà, delle cose che esistono comunque indipendentemente dal linguaggio, e questo è un problema, è un problema perché induce le persone molto facilmente a supporre che le cose che accadono siano reali, non siano un costrutto, cioè il prodotto di regole di un gioco. Tutto questo per tornare alla passioni, mostra che quando si prova una passione una delle regole del gioco, o più di una, è stata presa come se fosse un quid fuori dal gioco e che mostra esattamente come stanno le cose. Per tornare all’esempio di Eleonora e del suo fanciullo che è uscito con un’altra, cosa fa Eleonora? Fa la sua scenata che è di rigore, ma l’altra persona, cioè il traditore, potrebbe chiedere a Eleonora perché fa quella scenata. Pessima domanda da fare a Eleonora, però teoricamente potrebbe anche fare questa domanda, non lo fa se non vuole essere ucciso, ma perché Eleonora avrebbe una reazione così violenta? Il motivo è semplice: compiendo quell’operazione che è nota come “tradimento”, il fanciullo disarma totalmente Eleonora e cioè toglie a Eleonora ogni potere che lei suppone di avere su di lui, e quando si inizia una relazione, una delle regole, degli accordi impliciti, è proprio questo, cioè dare il potere all’altro, togliendolo avviene quella cosa nota come tradimento. Togliere il potere a qualcuno è una delle cose più sgradevoli che si possano fare, e infatti Eleonora reagirebbe malissimo. Ma torniamo alla questione che invece ci interessa di più e cioè le passioni, le passioni che richiedono che le regole del gioco non siano pensate come regole del gioco ma come dati di fatto. Quando una regola del gioco viene presa per necessità o come dato di fatto? Quando questa regola del gioco comporta la possibilità di avere potere, quindi di avere ragione, è solo a questo punto che una regola del gioco diventa così importante da essere presa per qualcosa di reale, e qui ci agganciamo a qualche cosa che dicevamo tempo fa, e cioè che la realtà serve soltanto a garantire della verità di ciò che dico e cioè serve soltanto a garantire il mio potere. A garantire il mio potere non può essere soltanto la mia parola o un accordo, deve esserci qualcosa di più, dio si è inventato anche per questo “dio mi è testimone” vuole dire che lui che è la verità assoluta garantisce della verità assoluta di ciò che sto dicendo. Una regola del gioco viene presa come un dato di fatto, come qualcosa di reale, quando dalla regola di quel gioco dipende il mio potere e cioè la verità di quello che dico, e quindi il potere che posso esercitare sul prossimo. Perché se il fanciullino di Eleonora tradisce ciò che ha detto perché dice che va a comprare le sigarette e anziché comperare le sigarette compera il giornale, questo generalmente non crea in Eleonora una perdita di potere sul suo fanciullo, che ciò non di meno ha tradito quello che aveva detto. Ma se invece dice che esce con gli amici a bersi una birra e contrariamente a questo si incontra con un’altra fanciulla il discorso cambia, perché in questo secondo caso è in gioco il potere di Eleonora, e quindi la regola del gioco che prevede la fiducia, cioè l’atto di fare ciò che si dice, in questo caso lede il potere di Eleonora sul fanciullo mentre nell’altro caso no, ed è questo tipo di tradimento così deleterio che scatena la rabbia di Eleonora. Tutto questo ci ha portati però a una considerazione che a questo punto possiamo rendere più esplicita, e cioè che le regole del gioco diventano importanti se e soltanto se consentono l’acquisizione o il mantenimento di un potere su qualcosa o su qualcuno, tendenzialmente è sempre un potere su qualcuno anche se è su qualche cosa, perché averlo su qualche cosa comporta averlo su qualcuno. Questa è dunque la questione delle regole di un gioco che diventano importanti quando è in gioco il mantenimento, la posizione del potere, ora perché una cosa diventi importante qual è la condizione? Che non sia una produzione del linguaggio ma sia la realtà delle cose. All’inizio di una relazione c’è il gioco, e cioè il desiderio di acquisire il potere sull’altro è all’interno del gioco, e quindi le cose funzionano perché non sono ancora stabilite. Quando a un certo punto si cessa di giocare e si fa sul serio, e allora lì è la fine della relazione in genere. Prima è un gioco, dopo invece si passa alle cose serie e cioè come dire “adesso io ho il potere su di te e quindi si fa in questo modo”, e lì incominciano i problemi naturalmente…

Intervento: non è anche il gioco del desiderio? Come se anche il desiderio fosse un’espressione di questa ricerca del potere…

Certo, e in effetti per esempio una scolopendra non può desiderare qualcosa, non può farlo, solo gli umani, solo i parlanti possono desiderare qualcosa cioè possono pensare che manca un qualche cosa, perché avendo quella certa cosa allora succede quest’altro, si desidera sempre qualche cosa per un qualche cos’altro, ed è la struttura del linguaggio che li muove a pensare che se ho una certa cosa, se mi impossesso di una certa cosa, cioè desiderando una certa cosa e ottenendola allora finalmente ho un tornaconto, ho il potere per esempio…

Intervento: dice dell’indistruttibilità del desiderio, il potere non è mai assoluto…

In un certo senso, perché il potere non è mai assoluto nonostante uno abbia conquistato il mondo intero? Occorre riflettere sul modo in cui funziona il linguaggio, perché se il mio potere dipende dalla realtà delle cose e queste cose essendo la realtà sono fuori di me, fuori dalla mia portata, non ne ho il controllo totale, perché ogni volta che cerco di impossessarmene questa realtà rimane sempre e comunque fuori di me. È un po’ come dice Benveniste nei Problemi di linguistica generale, e cioè il fatto che io mi costituisco sempre in rapporto a qualche altra cosa cioè l’Io si costituisce in base a ciò che è non Io, e quindi io mi costituisco in base a qualche cosa che non ho, perché non sono Io quella cosa lì. Questa era l’idea della semiotica poi ripresa anche da Verdiglione abbondantemente, è un’idea, ma un’idea che ha sempre come base la necessità che esista una realtà, secondo che di questa realtà io debba impossessarmi, perché se non c’è nessuna realtà di cosa mi impossesso? Vi ricordate quando accennavamo a quella tesi di Severino rispetto al Tutto, il Tutto che è paradossale diceva, ché il Tutto promette di essere il Tutto ma poi di fatto è sempre parziale, che è lo stesso problema che altri hanno rilevato rispetto alla visione “io vedo questo tavolo, ma lo vedo realmente?” è il problema di Husserl, della cosa, come faccio a comprenderla tutta? Io ne vedo, ne guardo di volta in volta dei pezzi, dei frammenti, ma tutta non la vedo mai, quindi non posso mai avere la visione del tutto. Modi, per quanto differenti, di dire sempre la stessa cosa e cioè che il tutto non lo posso mai comprendere, manca sempre un pezzo. Ma questi “problemi” tra virgolette, perché non lo sono propriamente, procedono dall’idea che esista una realtà fuori dal linguaggio, se non c’è nessuna realtà fuori dal linguaggio tutti questi problemi si dissolvono immediatamente, lo stesso potere si dissolve. Torniamo a ciò che dicevo all’inizio “il discorso procede per affermazioni e un’affermazione è un’attestazione di una posizione all’interno di un sistema”, ora se so che tutto questo non è altro che l’attestazione di una posizione accolta da un sistema linguistico, il potere dove sta? E che si attesta soltanto per costruire altre sequenze che si attesteranno in un altro punto per potere costruire altre sequenze, dov’è il potere in tutto ciò?

Intervento: il potere assoluto sarebbe quello che attesterebbe la posizione…

Sì, però bisogna pensare che il discorso possa fermarsi su qualche cosa, perché dovrebbe farlo? E dopo che si è fermato che succede? Al di là del fatto che non può fermarsi per la struttura stessa del linguaggio, che costringe letteralmente a proseguire, costringe a proseguire perché ciascuna volta che un’attestazione viene stabilita questa innesca un’altra sequenza anzi, viene attestata proprio per questo, non c’è nessun altro motivo. Si può affermare una verità anche conoscendo perfettamente la struttura del linguaggio, ma unicamente per proseguire in quella o altre direzioni, a questo punto non c’è più nessun potere, di nessun tipo, il potere si dissolve, si dissolve anche il desiderio insieme con il potere? Sì e no, nel senso che permane certamente il desiderio di fumarsi una sigaretta, di fare una certa cosa ma “desiderio” qui in un’accezione molto differente da quella che lo pone come qualcosa di originario, “desiderio” qui non ha nessuna portata, nemmeno quella che voleva dargli Freud, lasciamo perdere poi Lacan. In base a tutto ciò che stiamo dicendo, anche la nozione di desiderio perde buona parte della sua portata, in realtà ciascuno desidera qualche cosa soltanto perché gli serve per ottenere del potere, cioè raggiungere la verità, per poterla imporre, perché se no il fatto di raggiungere la verità non è una cosa così determinante, si raggiunge mano a mano che un’affermazione viene accolta come vera dal discorso, e prosegue.