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24-3-2010

 

La volta scorsa parlavamo del linguaggio e delle istruzioni, il linguaggio come sequenza di istruzioni, ora c’è effettivamente un aggancio tra il tentativo messo in atto dalle logiche paraconsistenti o dialetiche, cioè che ammettono due verità opposte tra loro e la logica intuizionista. Le logiche paraconsistenti sono quelle che hanno tentato di eliminare lo scoglio tradizionale della logica, il terzo escluso, e cioè che non è possibile simultaneamente A e non A. Wittgenstein disse una volta: "potessimo liberarci del principio di non contraddizione", che costituisce nella logica, nel parlare comune un vincolo notevole: una persona può dire una cosa e il suo contrario. La cosa ci interessa perché ponendo come abbiamo posto noi questi, chiamiamoli ancora principi, come istruzioni in effetti siamo giunti a considerare che non è in nessun modo possibile togliere il terzo escluso. Prendete proprio queste logiche paraconsistenti o anche logiche della discussione, facevamo un esempio la volta scorsa preso da un tale Jaskowski, un logico polacco il quale sosteneva questo: supponiamo che ci sia fra noi cinque una discussione e supponiamo ancora che non tutti si sia d’accordo sulle stesse cose, su qualche cosa siamo in disaccordo, per esempio Elisa di sicuro è in disaccordo, ora questo comporta che il sistema, che possiamo accogliere come questa discussione che avviene fra noi, possiamo prenderla come un sistema logico, perché no? Nessuno ce lo vieta, di fatto non viene invalidato dicono loro anche se c’è una contrapposizione fra Elisa e me, l’importante è che Elisa fra sé e sé non si contraddica e io fra me e me non mi contraddica, cosa che in nessun modo può avvenire. Si può smontare molto rapidamente questa posizione della logica paraconsistente che in realtà è una logica molto debole, in questo modo: la logica paraconsistente sì, permette di affermare p e non p insieme, tuttavia non può in nessun modo non distinguere tra asserzione e diniego, tra l’asserire qualcosa e il ricusarlo, non lo può fare perché se lo facesse allora appunto ciascuno dei membri potrebbe tranquillamente autocontraddirsi, non solo, la logica paraconsistente non potrebbe nemmeno costruire la sua posizione se ciascun elemento fosse autocontraddittorio quindi non potrebbe in nessun modo, per sostenere che p e non p, affermare p e non p, e quindi è autocontraddittoria, è chiaro fino a qui? Le logiche paraconsistenti devono escludere il principio del terzo escluso, cioè devono immettere questo terzo per cui non è o l’uno o l’altro ma entrambi: p e non p, entrambi possono coesistere. Ma per potere affermare una cosa del genere occorre che questo principio di non contraddizione funzioni, per potere giungere ad affermare che p e non p, altrimenti non potrebbero costruire la loro teoria. Abbastanza simile è la logica intuizionista che per altro alcuni hanno asservita ad alcune teorie psicanalitiche, e adesso vi dirò perché. La logica intuizionista, il cui capostipite è un tale Brower, afferma che non sempre è valido il terzo escluso, cioè ci sono casi in cui A e non A è accettabile, per esempio se io affermo che la millesima cifra della radice quadrata di due è cinque, posso verificare questa affermazione, controllo tutti i numeri prodotti dalla radice quadrata di due e vedo se al numero mille corrisponde il cinque, in questo caso è verificato, quindi questa affermazione in questo caso sarebbe vera. Se affermassi invece che il sette compare all’interno della sequenza prodotta dalla radice quadrata di due allora se ad un certo punto trovo che il sette compare, questa proposizione è verificata, ma se non lo trovo, non posso dire che l'affermazione sia falsa perché la sequenza numerica è infinita, quindi non posso, pur non trovando il sette, affermare che l’affermazione precedente è falsa. Ora se non posso affermare che, chiamiamo A questa affermazione, se non posso affermare che è vera, allora non posso affermare che la sua contraria è falsa, quindi non si escludono A e non A ma coesistono. Allora dicono gli intuizionisti che non sempre il principio del terzo escluso è valido, ci sono dei casi come questo in cui c’è una terza possibilità, cioè in questo caso indecidibile …

Intervento: ...

Sì, non procede dal fatto che un’affermazione sia vera se la contraria è falsa, come dire che c’è questa terza possibilità, se non sappiamo che A è vera, se non possiamo stabilirlo con certezza, come invece pretende la logica formale, allora non possiamo stabilire con certezza neanche che sia vera la sua negazione. La logica intuizionista è stata utilizzata da alcuni psicanalisti di formazione lacaniana per affermare che per esempio, così come l’oggetto della matematica secondo loro cioè l’infinito non è racchiudibile da qualche parte, così l’oggetto della psicanalisi che lacanianamente è il desiderio, non è finito, e quindi non si può dare scienza del desiderio, così come non si può dare scienza dell’infinito ma c’è ignoranza sia dell’una cosa sia dell’altra, viene posto l’inconscio come una sorta di ignoranza rispetto al proprio desiderio, il che comporta che questo desiderio sia anche lui infinito e cioè proceda per aggiunte interminabili. Alcuni sostengono che la mente è finita ma ciò che pensa no, e allora si domandano come ciò che non è finito può essere racchiuso da qualcosa che è finito? Affermare che la mente sia qualcosa di finito non significa assolutamente nulla, è una petizione di principio, nel migliore dei casi è un’ipotesi, così come affermare che si da l’infinito che è raffigurato generalmente dalla sequenza numerica, ma come faccio a sapere che qualcosa è infinito? Parrebbe una contraddizione in termini, occorre che sia misurabile per poterlo affermare se no è un’ipotesi, come l’ipotesi del continuo, a meno che si intenda la questione come già la intese Peano, come un assioma. Che zero sia un numero e ciascun numero abbia un successore, lui li pone come assiomi, delle decisioni, quindi l’infinito non è qualcosa che esista in natura e sia soltanto da scoprire, è un concetto formato attraverso delle decisioni: io stabilisco che se questo è un numero, allora questo numero ha un successore. Lo ho stabilito io, ma non c’è nessun infinito ontologico o naturale anche perché come abbiamo appena detto l’infinito presuppone per essere tale la misurabilità, se no come faccio a sapere che è infinito? E la misurabilità deve la sua esistenza alla sequenza numerica, la sequenza numerica è tale per le regole che sono state inserite. Questo per dirvi come è facile talvolta costruire teorie che possono suggestionare taluni ma che in realtà sono costruite su niente e come invece sia potente tutto ciò che abbiamo detto riguardo alle istruzioni, se non si intende che qualunque costruzione, qualunque concetto è possibile costruirlo grazie a delle istruzioni che poi di fatto non è null’altro che il linguaggio, allora non c’è nessuna possibilità di venire fuori da continui paradossi, infatti la madre di tutti i paradossi lo abbiamo sempre detto è l’affermazione che dice che qualche cosa è fuori del linguaggio, da lì paradossi a cascata, ponendo invece queste non come assiomi ma istruzioni, che è ancora diverso, un assioma è una sequenza che è sempre vera in base a certi criteri, ma questi criteri da dove arrivano? Sono istruzioni e un’istruzione di per sé non è né vera né falsa, è un comando …

Intervento: sono le istruzioni che creano l’assioma ...

Si, sono questi comandi, queste istruzioni che consentono di costruire, per esempio, un criterio di verità, per questo non possono essere né vere né false perché sono la condizione per costruire un criterio di verità. Sono comandi, e un comando non è né vero né falso. Intendere le istruzioni come la condizione per la costruzione di qualche cosa sbarazza della possibilità stessa di incappare in paradossi, anche perché i paradossi sono costruiti sempre in base a delle istruzioni ovviamente, e queste istruzioni possono essere costruite in modo tale per cui se queste istruzioni si applicano come dei principi primi allora possono comportare delle contraddizioni ...

Intervento: come diceva prima A e non A è un’istruzione o un assioma?

È stata sempre considerata come un principio, un principio aristotelico il terzo escluso, la logica non sempre ma talvolta distingue tra principi o postulati e assiomi, l’assioma è una sequenza che se sottoposto a un criterio verofunzionale risulta sempre vero, in effetti gli assiomi di Peano in questa accezione non sarebbero assiomi ma dei postulati, come quelli della geometria “fra due punti passa una retta e una soltanto” questo è un postulato, non è verificabile, come si fa a costruire un punto astratto? Non può, è un postulato, invece un assioma nella logica è una sequenza che risulta sempre vera qualunque sia il valore di verità attribuito alla sue variabili, il primo assioma della logica è questo “se A allora (se B allora A)”, questa sequenza qualunque sia il valore di verità che lei attribuisce ad A o a B risulta sempre comunque vera, e questo è un assioma. Spesso c’è confusione anche nella logica tra assiomi, principi e postulati, quindi la sua confusione è più che legittima. Ma lei poneva una domanda interessante: il principio del terzo escluso che viene posto da alcuni logici, almeno quei pochi che si sono interrogati, come un principio naturale come se fosse la natura del pensare, cosa che di per sé non dice assolutamente niente, se posta invece come un’istruzione e cioè come il linguaggio, vale a dire come una di quelle istruzioni tali per cui il linguaggio esiste allora non è più un principio, meno che mai un assioma, è soltanto un’istruzione per fare funzionare quella cosa che chiamiamo linguaggio …

Intervento: in questo caso A e non A ...

No, non è arbitrario, e le spiego anche perché, magari lei lo vuole sapere: se lei toglie questa istruzione che dice che non è possibile A e non A simultaneamente, allora si trova nella posizione dei logici paraconsistenti i quali affermano A e non A, come dire, che afferma che una certa cosa è quella cosa ma anche non lo è …

Intervento: quindi non affermano niente …

Esatto, e questa non è un’istruzione. Le faccio un esempio molto semplice, supponiamo che lei mi chieda “per andare da Cesare da che parte vado?” e io le rispondessi di là (aprendo le braccia e indicando le due direzioni opposte) questo non le fornisce nessuna istruzione, è una risposta inutilizzabile esattamente come affermare “A e non A”, è inutilizzabile, per questo non è arbitraria, arbitraria è qualunque cosa che all’interno del linguaggio può essere modificata o tolta senza che la struttura del linguaggio cessi di funzionare, è arbitrario per esempio credere in un dio, che lei ci creda oppure no il linguaggio continua a funzionare, ma se io modifico una delle istruzioni che fanno funzionare il linguaggio e cioè per esempio affermo che una parola significa quello che significa ma anche qualunque altra parola del vocabolario, ecco che questa modifica che io faccio toglie la possibilità di continuare a parlare, cioè cancella la funzione del linguaggio, non esiste più il linguaggio …

Intervento: questa istruzione che condiziona il funzionamento del sistema se applicata rende inutilizzabile tutto il sistema e quindi va eliminata perché altrimenti è inutilizzabile cioè è dannosa anzi … qualcuno deve decidere che quella è un’istruzione, chi lo decide?

Non è propriamente una decisione, abbiamo tratte queste istruzioni dal funzionamento del linguaggio incominciando a domandarci quali sono gli elementi che non possono togliersi, perché togliendo questi elementi si cessa di parlare; una delle prime considerazioni è stata proprio questa e cioè che se una parola significasse simultaneamente tutte le altre sarebbe impossibile parlare, ora questa affermazione che dice che un elemento deve essere identico a sé, riconoscibile come identico a sé e quindi differente dagli altri non può essere tolta e non posso di fatto neanche immetterla in un certo senso …

Intervento: …

No, perché a quel punto dovrei anche affermare il contrario indifferentemente, ho illustrato bene perché il linguaggio non può contraddirsi cioè non può affermare che un elemento è un elemento linguistico e simultaneamente non lo è, nella logica del linguaggio mi sono dilungato a sufficienza sul perché il linguaggio non può affermare che un elemento gli appartiene e simultaneamente che un elemento non gli appartiene, se affermasse che un elemento non gli appartiene si troverebbe ad affermare una cosa e anche il suo contrario simultaneamente, ora questo comporta all’interno della struttura del linguaggio l’arresto del sistema perché per potere funzionare deve costruire affermazioni vere in base alle quali poi costruirà altre affermazioni, una sequenza del genere che afferma che qualcosa è linguaggio ma anche non lo è, essendo autocontraddittoria arresta il sistema. Per affermare che un elemento, adesso mettiamola così in modo un po’ animistico, supponiamo che il linguaggio affermi che quell’elemento non gli appartiene, se afferma che quell’elemento è un elemento, già gli appartiene perché lo sta affermando e quindi non può negare ciò che sta facendo, lo afferma e lo nega simultaneamente, a questo punto non può andare in nessuna direzione perché per procedere necessita di costruire, di concludere con una affermazione vera cioè riconosciuta come vera all’interno di un sistema, dopodiché può procedere, ed è questo il motivo per cui gli umani si trovano in questa bizzarra condizione tale per cui se si accorgono che quello che affermano è falso non procedono in quella direzione, potrebbero anche procedere in teoria, chi glielo impedisce? E invece se sanno che la direzione è falsa l’abbandonano, come dire in altri termini ancora, che non possono credere vero ciò che sanno essere falso, per una questione grammaticale cioè per una questione di struttura di linguaggio, in retorica si fa naturalmente ma questo è un altro discorso. La retorica, o più propriamente le figure retoriche sono delle varianti rispetto a un modo di affermare le cose che sarebbe considerato, così un po’ alla Barthes, il “grado zero”, per esempio dire una neve nera o un calore raggelante poeticamente si può anche dire, ma perché si può dire? Perché esiste una definizione di calore e di freddo stabilite, in base alle quali è possibile costruire una variante, ma è possibile costruire una variante cioè una figura retorica perché qualcosa non varia, se no non si potrebbe costruire una variante né si potrebbe costruire una metafora in nessun modo e neanche una sineddoche o una metonimia o una catacresi o un’enallage o un poliptoto o un’iperbole. Nella retorica è possibile la presenza di termini antonimi e cioè contrari fra loro ma è possibile perché ciascun termine è individuabile per quello che è stabilito che sia …

Intervento: quindi se non funzionasse il terzo escluso non sarebbe possibile costruire queste figure retoriche …

In un certo senso sì, alcuni lacaniani hanno ripreso la logica intuizionista la quale muove dall’esempio, quello che le era piaciuto tanto, quello della radice di due …

Intervento: …

Sì e cioè il lavoro che fa la psicanalisi sarebbe quello di restituire all’oggetto la sua dignità …

Intervento: se il cervello è finito gli oggetti possono essere infiniti …

Sì, è quello che sostengono …

Intervento: sì ma questi oggetti infiniti che il cervello produce finché non si affermano ciascuna volta non hanno nessuna dignità cioè non ci sono …

La questione diventa bizzarra quando queste persone traggono delle conclusioni, perché finché si afferma che il desiderio è infinito si dice ben poco, si dice che non si ferma mai, cioè qualunque cosa il desiderio trovi comunque può desiderare altro …

Intervento: …

Beh, se lo dice Schopenhauer allora siamo a cavallo. Il problema è che giungono ad affermare che il disagio cioè il malessere è dato dal fatto che gli umani sono costretti nella logica formale, e quindi in qualche cosa che deve essere verificato, certificato e quindi questo mortifica il bisogno, per così dire, di infinito del desiderio e da qui il malessere …

Intervento: …

Sì, o A o non A, lei è Elisa o non lo è, uno dei due, non c’è una terza possibilità …

Intervento: il discorso psicanalitico …

Potrebbe essere corretto ma non valido, mentre se è valido è necessariamente corretto …

Intervento: si può desiderare una cosa e nello stesso tempo non si può desiderarla …

Si può rispondere alla sua domanda almeno in due modi, uno riproponendo queste tesi che recuperano la logica intuizionista e un’altra invece nel modo in cui risponderei io che non ho nessun interesse per la logica intuizionista, quindi risponderò come risponderei io: lei dice che una persona può desiderare una certa cosa ma anche non desiderarla, come accade per esempio nel bimbetto …

Intervento: …

Sì perché è considerata sconveniente per esempio, perché questo si possa verificare occorrono delle condizioni e cioè che una certa cosa sia stata considerata male, quella per cui questo desiderio non viene accolto, e allo stesso tempo un’altra cosa deve essere stata considerata bene per cui la si aggira, come dire che c’è un conflitto di valori che si sono dati in precedenza …

Intervento: …

Non si tratta tanto come farebbe questa psicanalisi, chiamiamola intuizionista, di recuperare entrambe le cose e mostrare alla persona che entrambe possono coesistere, anche, ma non solo, si tratta di intendere più propriamente come è possibile, qual è la struttura che consente la costruzione che conduce a valori che si oppongono fra loro e perché una certa cosa diventa un valore per esempio, a quali condizioni, perché dovrebbe diventare un valore? Non è necessario, è chiaro che più ci sono valori per una persona più è probabile, è possibile, che dei valori entrino in conflitto tra di loro, se lei non avesse nessun valore, potrebbero entrare in conflitto dei valori?

Intervento: no.

No, se come lei ha affermato prima la nevrosi si costruisce proprio perché c’è un desiderio e quindi qualcosa che ha un certo valore, ma anche il desiderio del non desiderio e quindi un altro valore che si contrappone, allora in base a ciò che lei stessa ha affermato, in assenza di valori non c’è nessuna possibilità di una nevrosi, ora questi valori possono anche permanere in un certo senso ma permanere sapendo di che cosa sono fatti, qual è la loro funzione, e non come entità ontologiche, metafisiche, poste lì come criterio universale di verifica della propria esistenza, per me questo accendino è un valore, se lo perdo mi secca però non ne va della mia esistenza …

Intervento: …

La logica formale è stata costruita proprio per evitare ambiguità semantiche che sono continuamente all’opera nel linguaggio cosiddetto normale, sostituendo a un’affermazione la sua astrazione, per esempio l’affermazione A cosa dice? Non ha nessuna importanza che cosa dice, si interessa solo a stabilire se A è vera o è falsa all’interno di un certo sistema, nient’altro che questo, quindi sì “ti amo e ti odio” diciamo che la logica formale non si occupa di una cosa del genere in nessun modo ma se chiama A (ti amo) e non A (ti odio) allora effettivamente giunge a un problema: delle due una. Nel linguaggio normale non avviene così perché il ti amo non esclude totalmente il ti odio, per esempio può contenere, data l’enorme infinita ambiguità dei termini, il ti amo non è riducibile effettivamente a un’unica formalizzazione, a un unico significato, per esempio “mi hai detto ti amo, cosa significa esattamente?” e allora deve stilare tutta una serie di definizioni che può essere infinita ovviamente e quindi contenere anche la sua contraria, e qui si torna appunto alla questione del linguaggio formale e del linguaggio naturale: se io affermo che sono le dieci meno dieci, compio un’affermazione che in questo momento è vera, poi a parte tutte le difficoltà, al momento in cui lo dico sarebbe passato etc., però qui c’è un riferimento semantico che va aldilà, consentito dalla logica formale e cioè comporta per esempio una verifica di questa cosa, la verifica che avviene attraverso l’osservazione “sono le dieci meno … adesso sono già le dieci meno nove” per esempio nella logica formale questa verifica non è data mai dall’osservazione ma unicamente e semplicemente dalla forma sintattica delle sue sequenze, per questo si è inventata la logica formale, proprio per togliere queste ambiguità che rendevano assolutamente impossibile qualunque tentativo di verifica del discorso naturale. Ciò che non ha inteso la logica dai tempi di Aristotele a oggi, è che questi principi come li chiama la logica o come diremmo noi queste istruzioni, sono quelle che fanno funzionare il linguaggio, e anche per potere affermare ti amo e ti odio simultaneamente, ciascuna di queste due affermazioni per potere affermarsi ha dovuto essere costruita, è dovuta essere costruita attraverso una serie di passaggi, i quali passaggi prevedono necessariamente queste regole, queste istruzioni, se no non possono essere costruite, affermare ti amo comporta una serie di argomentazioni, ti amo è solo la conclusione di una serie di argomentazioni …

Intervento: in definitiva non si potrebbe parlare se non ci fossero questi principi …

Assolutamente no, per questo abbiamo detto che queste istruzioni sono di fatto il linguaggio, per questo abbiamo affermato anche che sono il fondamento oltre il quale non si va perché non c’è uscita dal linguaggio …

Intervento: il necessario …

Sì, è necessario, cioè non può non essere perché se non fosse non sarebbe né quella cosa né nessun altra …

Intervento: occorre distinguere tra la produzione del sistema linguaggio e le istruzioni di funzionamento …

Infatti abbiamo parlato a scopo descrittivo, della distinzione fra linguaggio e discorso, prendetela proprio a scopo descrittivo, e cioè il linguaggio è quella sequenza di istruzioni che consente di costruire qualunque discorso e senza le quali istruzioni non può costruire niente, né avrebbe mai potuto costruire niente, e se non si intende che queste sono istruzioni, semplicemente delle istruzioni, si gira in tondo come stanno facendo molti logici ultimamente, tipo queste ultime genialate che non significano assolutamente niente, senza queste istruzioni tutte queste costruzioni più o meno bizzarre e bislacche non si potrebbero fare. Nell’esempio di prima della radice quadrata di due, per verificare se una certa affermazione è vera oppure no, oppure è indecidibile come faccio per verificarla? In che modo? Dovrò usare un sistema e in questo sistema è possibile che A e non A coesistano? No, se no, non posso verificare niente, assolutamente niente, cioè non posso giungere alla conclusione che una certa cosa è indecidibile …

Intervento: è tutto indecidibile se A e non A?

Non è niente, neanche indecidibile, per giungere ad affermare che è indecidibile occorre che sia se stesso …

Intervento: utilizzano il terzo escluso per volerlo eliminare …

Esattamente, sì in effetti il percorso che è necessario per potere giungere a concludere che una certa A non è verificabile, cioè non può dirsi né che sia vera né che sia falsa, questo percorso per potere farsi deve necessariamente escludere una terza possibilità, se no non potrebbe mai giungere a niente, non potrebbe mai giungere alla conclusione che questa certa cosa è indecidibile, non potrebbe concludere niente, né adesso né mai …

Intervento: non se ne sono accorti?

Sì, sono state poste delle obiezioni ovviamente, però queste logiche hanno avuto un utilizzo, le logiche paraconsistenti per esempio, hanno un utilizzo nei computer, nella logica che viene utilizzata per la costruzione di sistemi computerizzati dove un elemento può essere vero e falso, come dire che la macchina non si arresta se trova una direzione falsa. Certo sono forzature, però in questo caso nella programmazione dei computer anche il valore falso può essere accolto e poi utilizzato in certi modi quindi coesiste, ma coesiste in un sistema superiore, il sistema che ha consentito al programmatore di pensare una cosa del genere invece è rigidamente legato al terzo escluso, anche per decidere che il valore falso può essere accolto, per decidere, per giungere a questa decisione occorre un percorso, una serie di argomentazioni, e lungo questo percorso, questa serie di argomentazioni il terzo escluso è rigidamente funzionante se no non posso giungere a nessuna conclusione. Uno dei problemi che ha incontrato la psicanalisi è di non potere essere verificabile, i risultati della psicanalisi non sono verificabili e allora hanno detto: ma anche nell’ambito della scienza più ferrea come la logica si arriva alla stessa conclusione, e questo non significa che non sia scienza, quindi hanno reintrodotto questo aspetto di ignoranza che si contrappone alla scienza, appunto il contrario di scienza è ignoranza. Ci vedremo martedì.