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26-2-2004

 

Dobbiamo prendere una nuova strada, quella che ci distinguerà dalla psicanalisi. Si tratta di porre, di insegnare le basi teoriche che ovviamente abbiamo già, ma porle in termini precisi, l’altra volta dicevo di scrivere un testo perché ciò che manca è questo: noi abbiamo sempre illustrato ciò che facciamo però in effetti non abbiamo mai spiegato in che cosa consiste ciò che facciamo, è un po’ come qualcuno che vi illustri la teoria della relatività e vi mostra tutti i passaggi che ha fatto il signore Einstein per arrivarci, altro è invece qualcuno che vi spieghi di che cosa si tratta, cambia tutto, e l’esempio è piuttosto calzante nel senso che le persone che ci ascoltano non capiscono assolutamente nulla di ciò che diciamo, esattamente così come la più parte delle persone di fronte alla sequenza di formule scritta da Einstein non riuscirebbe a cavarne un granché…

Intervento: penseranno che gli analizzanti siano dei marziani

Sì, qualcosa del genere, e quindi dobbiamo spiegare che cosa facciamo. Per esempio la successiva serie di conferenze potrebbe vertere su una cosa del genere, intanto che cosa fa l’analista della parola, su cosa si basa? Chiunque si trovi a muovere il proprio pensiero lo muove da una serie di principi, di assiomi, di verità, tutto ciò che comunemente è noto come una teoria e anche noi muoviamo da una teoria, la nostra, quindi da dove muove l’analista della parola e che cosa fa, in cosa consiste esattamente il suo lavoro? Perché nessuno lo sa, per questo che occorre scrivere un testo teorico, però occorre volgerlo in modo retorico, su cosa si basa uno psicanalista? Sulla sua teoria, può essere Freud, può essere Lacan può essere la Klein, può essere Jung e chi più ne ha più ne metta, ma perché si basa su questa teoria? Per avere un riferimento ovviamente, per sapere che cosa dire, che cosa fare per questo esistono scuole di psicanalisi, per insegnare alle persone che cosa dire e che cosa fare di fronte a certe situazioni, ora come sappiamo tutte queste teorie muovono nella migliore delle ipotesi dall’esperienza oppure da un testo considerato sacro per un verso nel senso che ciò che dice è verità e quindi allora si tratta di compiere una sorta di esegesi, moltissimi si rifanno a Freud nonostante questo sono in costante e perenne lotta tra loro. Ad esempio Lacan era assolutamente convinto che la sua lettura di Freud fosse la migliore, la più corretta, la più fedele al testo, sapete benissimo che nel Medio Evo questo andava alla grande, chi è più fedele al testo del Vangelo? Ecco ora ciascuno di questi testi a cui si rifanno le varie scuole di psicanalisi, che si rifaccia a Freud, a Jung o a qualunque altro si rifà comunque a una serie di elementi di una teoria che non ha alcun fondamento, se non l’esperienza. La teoria di Freud è fondata prevalentemente sull’esperienza, sull’osservazione, tant’è che come sapete ha osservato un paio di isteriche e ha stabilito che l’isteria era quella, dopodiché quelli che gli hanno fatto seguito hanno pensato che le cose che ha dette dell’isteria dovessero essere intese a partire dalla linguistica, dal momento che Freud della linguistica non ne sapeva assolutamente nulla, anche perché la stava inventando De Saussure in quegli anni e non si sono mai incontrati né conosciuti, né uno dei due ha mai saputo dell’esistenza l’uno dell’altro, e quindi è assolutamente arbitraria questa operazione di ricondurre il testo di Freud alla linguistica, potrebbe accadere che non significhi assolutamente niente cioè è un modo di piegare un testo a qualcosa che io voglio fargli dire, un sistema piuttosto diffuso: voi prendete qualunque autore e potete fargli dire quello che volete, basta che interpretiate in un certo modo quello che afferma, è un gioco da ragazzi, ciò che invece è capitato a noi è di poterci fondare su una teoria più solida, ma non soltanto più solida, una teoria che consente anche di riflettere su ciò che avviene in una persona quando parla, quando pensa, perché se sappiamo come funziona il linguaggio, come necessariamente funziona il linguaggio, allora sappiamo anche come pensa una persona, perché pensa attraverso il linguaggio e se sappiamo come funziona il linguaggio lui penserà a quella maniera, poi con tutte le varianti che può metterci ma la struttura non potrà che essere quella, inesorabilmente. Se il linguaggio funziona in un certo modo allora per ciascuno alcune cose saranno necessarie, per esempio come sappiamo il reperire, parlando, pensando, una proposizione vera, perché se non reperisce quella non può proseguire e quindi dovrà fare questo, né ci siamo attardati su fantasie piuttosto bislacche così come ha fatto e sta facendo la psicanalisi, andando a cercare la rimozione, per esempio, la resistenza. Voi sapete che da Jakobson in poi la linguistica ha sempre sostenuto che esistono due assi del linguaggio, l’asse sintagmatico e l’asse paradigmatico, l’ascisse e l’ordinata sì, certo è una possibilità, però affermare che esiste la rimozione e che la rimozione appartiene all’asse sintagmatico è piuttosto problematico perché lo posso constatare questo soltanto dall’osservazione, non lo posso dedurre da niente e la mia osservazione è pilotata dalla necessità di reperire qualcosa che giustifichi alcune altre affermazioni. Pensate a Freud e al fatto che si trovava di fronte a persone che dicevano delle cose, si è trovato a pensare che queste cose rinviassero ad altre, queste altre cose non erano presenti ma in loro absentia tutto ciò che veniva detto era pilotato da queste altre, è un’idea, ma Freud non ha mai considerato l’eventualità che potesse non essere così, l’ha dato per acquisito che se io dimentico un qualche cosa questo qualcosa che io dimentico sarà presente in qualche modo e piloterà tutto ciò che io dirò in seguito, naturalmente non ha mai potuto né si è mai peritato di provare alcunché di ciò che andava affermando anche perché non posso provare una cosa del genere, con che cosa? È un’ipotesi, ma un’ipotesi almeno generalmente si considera non abbia nessun utilizzo finché non viene provata essere vera o falsa, o quanto meno abbia questa possibilità, ché se non ha nessuna possibilità di essere provata né vera né falsa l’ipotesi diventa niente, una bizzarria qualunque. Dunque tutta la psicanalisi è fondata su una serie di fantasie, voi sapete cosa dice l’ipotesi “supponiamo che sia così” ma se non fosse così? Certo come in tutte le formulazioni di questo tipo è difficile provare che non è così, noi potremmo farlo? Provare che non esiste nessuna rimozione così come la intende la psicanalisi? può darsi, però adesso non è questo che ci interessa, ma questo che fa la psicanalisi: costruisce delle ipotesi, le spaccia per buone, e va in giro a predicarle come vere dicendo che questa è la via per la salvezza o per intendere come stanno le cose, oppure prendete la teoria di Verdiglione per dire di una delle più recenti, che cosa dice? Su che cosa si basa l’aspetto terapeutico? Dice che è l’effetto di uno spostamento, una persona viene da voi e racconta delle cose, continuando a raccontare queste cose ad un certo punto si modificano perché continuando a ripetere la stessa cosa degli elementi dovrebbero insinuarsi ad un certo punto, modificandosi la storia il racconto prosegue ma diverso, ecco che allora il sintomo che era fissato al precedente modo di raccontare le cose, scompare. Grosso modo dovrebbe funzionare così. Semplicemente proseguendo a dire, proseguendo a dire ma con dei tagli, dei tagli che l’analista impone al discorso tali per cui un significante viene fermato al momento in cui si dice e fermandosi dovrebbe, l’analizzante, compiere un’operazione che è assolutamente discutibile, e cioè fare in modo che questo significante funzioni come nome e cioè come qualche cosa che annoda differentemente altri significanti. Ora vi rendete assolutamente conto dell’assoluta arbitrarietà di una cosa del genere, perché dovrebbe avvenire questo? E infatti non avviene se la persona non crede a quello che l’analista gli dice, questo è sempre stato in effetti il limite per così dire della psicanalisi, e cioè la necessità che la persona attraverso una domanda esplicita acconsenta ad accogliere ciò che l’analista gli dice, perché se non lo accoglie allora non succede niente cioè se una persona non vuole fare analisi cioè non vuole accogliere le cose che l’analista gli dice non c’è nessuna possibilità che l’analisi possa proseguire, e deve accoglierle perché non c’è nessuna costrizione logica. Se una persona invece afferma che se A allora B e se B allora C allora se A allora C, una persona non è tenuta a crederci, non può fare altrimenti che concludere allo stesso modo perché è una costrizione logica, nel caso della psicanalisi no, non c’è nessuna costrizione logica, è tutto lasciato alla buona volontà dell’analizzante di accogliere quindi credere che le cose stiano così come l’analista gli dice. E quindi qual è l’effetto che si produce? Sì certo il racconto prosegue, la persona impara a chiamare delle cose in un altro modo se si dimentica qualcosa questa dimenticanza la chiama lapsus per esempio, comincerà a pensare che c’è dell’altro in ciò che dice, perché è questo che ha imparato e questo altro non è altro che l’inconscio e cioè propriamente la logica del discorso, ma quale logica esattamente? Sicuramente non quella di cui stiamo parlando noi, è la logica per cui se io dico una cosa e dopo questa cosa ne dico un’altra allora questo vorrebbe dire che c’è una logica in ciò che dico, nessuno ha mai detto quale esattamente però si è supposto che ce ne sia una, perché se dovessimo incominciare a supporre che non ce ne sia nessuna allora tutta la costruzione teorica della psicanalisi crolla nel puro caos, nell’assoluta casualità e la psicanalisi l’ha sempre rigettato, non è casuale che una persona faccia una certa cosa, può darsi, ma per poterlo affermare con assoluta certezza devo poterlo provare che non è casuale, e come faccio? Non ho nessun modo, certo se una persona dice una cosa ne segue un’altra, ma questo è inevitabile perché è il linguaggio che funziona a questa maniera, ma quale segue? Possiamo anche eventualmente stabilire un certo ambito entro il quale potrà sorgere quell’altra parola, sappiamo che deve essere coerente con la precedente cioè non contraddirla, perché se la contraddice viene scartata, se la contraddice logicamente, non retoricamente, ma logicamente no, se viene contraddetta viene scartata, nessuno si è mai chiesto perché tranne noi, in definitiva un impianto teorico assolutamente ridicolo, molto religioso, molto religioso perché evita accuratamente di porre domande sui propri fondamenti, accuratamente e assolutamente come qualunque religione non può mettere in discussione l’esistenza di dio, anzi può solo trovare delle prove che confermano la sua esistenza, queste prove da dove vengono? Dal creato: vedete il cielo azzurro, gli uccellini che cantano, i mari profondi, se c’è tutto questo allora c’è dio. Dunque l’analista della parola, più propriamente noi, compiamo un’operazione differente e cioè anziché persuadere, ingannare le persone dicendo che le cose stanno in quel modo mostriamo come necessariamente occorre che siano, come necessariamente sono, e che funzionando il linguaggio nel modo che sappiamo è inevitabile che, ché se per esempio suppone che una certa persona l’ami e invece questa non lo fa, questa aspettativa in cui si trova è stata prodotta per un motivo ben preciso così come avviene sempre, e cioè per creare un problema, creare un aspettativa perché ci sia poi la soluzione e che la soluzione che va cercando in realtà non la cerca per nulla perché se la trovasse il gioco si fermerebbe. Noi in realtà insegniamo come funziona il linguaggio e mostrando come funziona il linguaggio, come ciascuna persona pensa, e perché pensa le cose che pensa, e perché non può pensare altrimenti, perché non può per esempio cessare di cercare di costruire proposizioni vere, perché non può cessare di giocare, non può cessare di crearsi problemi da risolvere perché continuerà a farlo inesorabilmente e se dimentica qualcosa per esempio, magari non si tratta di un lapsus ma di altro. Avevamo tempo fa accennato alla questione della dimenticanza e dei giochi linguistici, come cioè ciascun atto linguistico abbia come obiettivo la costruzione di altre proposizioni e quindi proseguire se stesso, e che pertanto qualunque atto linguistico non può avere altra forma, se è un atto linguistico, e cioè se dimentico qualcosa allora questa dimenticanza è quel gioco che in quel momento, date quelle circostanze, mi consente di costruire altri giochi linguistici, mi fornisce quell’occasione e allora dimentico quell’elemento, tant’è che le cose che si dimenticano e che creano problemi sono quelle che in effetti risultano più importanti, a nessuno importa niente di dimenticarsi una cosa di cui importa assolutamente nulla. Costruire continuamente giochi linguistici perché è il linguaggio che lo esige per così dire, la struttura di cui ciascuno è fatto. È ovvio che dobbiamo avere tutti gli strumenti per dimostrare in modo ineccepibile che il linguaggio è prioritario rispetto a qualunque cosa, abbiamo questi elementi, si tratta di affinarli ancora o comunque di riprenderli, e poi la tecnica, perché ad un certo punto si arriva alla questione della tecnica analitica, conosciamo quella psicanalitica, dobbiamo costruire o più propriamente affinare e illustrare in modo semplice qual è la tecnica dell’analista della parola. Supponiamo che qualcuno venga da noi e ci dica “io voglio formarmi come analista della parola” cosa fa un analista della parola esattamente? Due cose fondamentali sulle quali intendiamo lavorare: l’una è giungere alla responsabilità di ciò che si dice, vedremo in quale modo fare intendere che questa responsabilità di ciò che va dicendo e perché gli appartiene il discorso che sta facendo, l’altra che questo discorso che sta facendo è qualche cosa che lui stesso sta costruendo, che sono poi in effetti due facce della stessa questione, e che il discorso che sta facendo in realtà è tutto ciò che possiede, non c’è nient’altro, certo per il momento appare piuttosto arduo il funzionamento del linguaggio così d’acchito, però insegnargli a pensare, è a questo che dobbiamo giungere trovando il modo per farlo e l’analista della parola farà questo, mostrerà che il problema che la persona racconta in realtà è esattamente ciò di cui vive, che si è costruito per vivere, che il linguaggio di cui è fatto sta costruendo per proseguire, dobbiamo trovare il modo perché questo possa essere detto e praticato in modo efficace, ne va della nostra stessa teoria in qualche modo, della sua applicabilità e cioè di volta in volta mostrando alla persona come ciò che sta facendo risponde esattamente a un funzionamento del linguaggio, perché se noi riusciamo a compiere questa operazione, mostrare di volta in volta che è così perché il linguaggio funziona così, ha immediatamente un riscontro come dire “ah ecco è così” e questo ha un valore suasorio notevole per una persona che può ricondurre le cose che dice, che pensa a un funzionamento. Anziché ricondurre a qualcosa di fumoso e di religioso invece a qualcosa che è assolutamente necessario, tutto questo deve in un certo senso venire quasi da sé proseguendo a elaborare il funzionamento del linguaggio, continuamente in qualunque atto, in qualunque situazione voi vi troviate, ricondurre ciò che sta avvenendo, ciò che state pensando, ciò che state dicendo al funzionamento del linguaggio, cioè a che cosa il linguaggio sta facendo in quel momento, per esempio che cosa sta facendo in questo istante mentre io parlo, sta costruendo proposizioni è ovvio, ma non qualunque, non vi sto parlando del tempo che fa in Madagascar, perché no? Perché ciò che ci interessa, la posta in gioco, l’obiettivo, il motivo è un altro, è quello di imporre il discorso che stiamo facendo, perché vogliamo imporlo? Se lo imponiamo ci appare più vero? No, a questo punto non abbiamo più la necessità del consenso che comprovi la verità, ché l’abbiamo già reperita, ma semplicemente per il piacere del riscontro, che cos’è il piacere del riscontro? Continua ovviamente a funzionare nel linguaggio la necessità di costruire proposizioni vere, per esempio in questo caso una proposizione sarà vera, in una certa accezione, se ci sarà un riscontro, come dire: io ho posto una regola, il discorso che sto facendo ha posto una regola per giocare ancora e cioè mi sta dicendo che se quello che dico avrà un riscontro con le persone allora questo gioco che sto facendo avrà costruito una proposizione vera, il fatto che ci sia riscontro sarà la conferma che è vero, e questo mi divertirà perché mi diverto soltanto con proposizioni vere come qualunque gioco ci insegna, bisogna vincere per trovare soddisfazioni non perdere, e cioè l’ultima proposizione deve essere vera. E allora direi innanzi tutto questo: incominciare a stabilire di volta in volta quello che sta facendo il linguaggio mentre lo pratico, mentre il linguaggio stesso sta funzionando e incominciare a cessare di dire questo “io”, non perché è brutto, ma perché per troppi millenni ha avuto una connotazione particolare cioè quella di pormi come io sono qua e il linguaggio è lì, e adesso discutiamo tra noi, se uno riuscisse a pensare in un altro modo può anche dire io, ma non sono io che sto facendo questo, che è qualcuno o qualcosa che è fuori da chissà che ma è il linguaggio che sta costruendo questa struttura, in questo momento per il motivo che sappiamo, che è quello di costruire se stesso ma in un certo modo, non in un modo qualunque, deve proseguire se stesso in base al gioco che sta facendo in questo momento, e quindi non sono io che voglio ottenere questo è il linguaggio che per proseguire sta costruendo certi giochi, giochi con delle regole, una di queste è di trovare la proposizione che conferma un gioco che sto facendo che è quello per esempio di coinvolgere altri in ciò che andiamo facendo e questo gioco viene “vinto” tra virgolette nel momento in cui c’è questo riscontro, che certifica appunto la proposizione vera e cioè che ci siamo riusciti. Giochi linguistici, nient’altro che questo, però accorgersene costantemente ventiquattro ore su ventiquattro, solo se ad un certo punto la cosa per noi sarà talmente ovvia e automatica allora potremmo esporla ad altri in modo assolutamente semplice, e dire che sta accadendo questo per questo motivo, perché il linguaggio funziona così e quindi farai questo, non puoi fare altrimenti. se te ne accorgi puoi agire ciò che sta avvenendo, è come se il linguaggio in un certo senso dovesse creare dei giochi, adesso la dico così in modo un po’ rozzo, un po’ ridicolo, ma dei giochi che ingannano se stessi, per potere proseguire, senza accorgersi di niente, aldilà del fatto di non sapere come funziona il linguaggio è una sorta di inganno in un certo senso, può il linguaggio ingannare se stesso? In un certo senso sì, costruendo dei giochi che si auto ingannano: adesso faccio un gioco e al tempo stesso un altro che mi impedisce di arrivare alla meta, un gioco che mi dice che devo arrivare fino a qui e un altro che invece mi dice che non devo arrivarci. Gli umani funzionano così, la quasi totalità, si costruiscono un gioco che va in una direzione e un altro che glielo impedisce, e immaginano che tutto questo piova da qualche dio malvagio e allora ecco che vanno a confessarsi e si ingraziano dio in modo che li faccia smettere di fare questa cosa, ma dio non lo farà perché non lo può fare, io sì, contrariamente a dio che non può fare assolutamente niente, e allora mostrargli perché fa questa cosa, perché il linguaggio funziona in questo modo e quindi facendo questa cosa ottiene un certo risultato che è quello per esempio, lamentandosi, potere costruire storie, racconti…

Intervento: come se la questione dell’inconscio fosse avvicinabile alla struttura della superstizione

Sì, certo, perché no?

Intervento:…

Lei sta pensando alle questioni che possono intervenire io invece sto pensando a costruire…

Intervento: è come se il discorso dell’analizzante avesse questa struttura manca la maggiore…

Tutto il discorso occidentale ha questa struttura…

Intervento: la stessa questione per cui Freud abbia dovuto inventare qualcosa da cui viene il discorso… il discorso causa effetto… per noi antecedente e conseguente… la rimozione è quel qualcosa che mantiene sottaciuto

Ma se volessimo potremmo anche piegare questi termini e farli significare quello che noi vogliamo…

Intervento: .noi abbiamo tolti ai termini della psicanalisi la loro funzione di fondamento…

Però a questo punto si pone un bivio, o noi compiamo questa operazione e allora manteniamo la psicanalisi dicendo che in effetti la psicanalisi funziona così, che c’è l’inconscio ma l’inconscio è questo, quello che diciamo noi, la rimozione è quest’altro, oppure non ci interessano più questi termini e facciamo altro, è una questione…

Intervento: ci interessa al momento in cui spieghiamo che non sono fondamenti ma

Sono l’effetto del funzionamento della struttura del linguaggio…

Intervento: semplicemente un aspetto della struttura del linguaggio a quel punto li abbandoniamo… non sono più degli dei da mantenere

Sì ho inteso certo, questa è l’operazione da farsi, bisogna riuscire a illustrare il funzionamento del linguaggio in modo molto rapido, molto semplice e facile da intendere, in vent’anni che ho frequentato la fondazione Verdiglione, quindi congressi, riunioni, convegni, conferenze, non ho mai sentito una sola persona che chiedesse perché le cose fossero così come si andava dicendo, mai nessuno…

Intervento: la nostra è l’unica teoria che ha la funzione di impedire la regressio ad infinitum, in effetti qualunque cosa si voglia dire può comportare una serie infinta di perché qui si ferma cioè si ferma laddove non può non fermarsi se vuole proseguire incontra un paradosso

Esattamente, cioè si auto annulla, si auto elimina…

Intervento: questa in termini teorici… basta che un qualunque elemento possa comportare un perché la regressio non è impedita… nel nostro caso all’affermazione che qualunque cosa è un elemento linguistico alla domanda perché? Risponde un non senso

Come un non senso? Un non senso perché se non lo fosse allora la proposizione si auto annullerebbe. Va bene dobbiamo lavorare molto più di quanto abbiamo fatto, perché la posta in gioco è molto alta.