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24 gennaio 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Siamo a pag. 373, punto b). Se Z e K sono assunti come paradigmi delle determinazioni tra loro contrarie, Z appartiene allora, o incluso L-immediatamente in K come tolto (negato), e K è incluso L-immediatamente in Z come tolto. Se sono contrari è evidente che Z non è K e K non è Z. il significato concreto di ognuno dei contrari è allora costituito da un lato dal toglimento dell’altro contrario (indichiamo con nK e con nZ questo lato del significato, rispettivamente, di Z e di K)… Indica in nK (non k) la Z: la Z è non K, e viceversa. Tenete conto che qui stiamo sempre parlando di Hegel, della dialettica, e in Hegel ci sono i due contrari; poi, c’è il superamento, la sintesi. Il primo di questi due lati è cioè l’apertura del piano “contraddittorio” del contrario;… Il primo di questi due lati, cioè Z in quanto non K, è l’apertura del piano “contraddittorio” del contrario, il che vuol dire che si apre alla contraddizione, è un’apertura alla contraddizione. …il secondo lato è la determinazione di questo piano. Quindi, il primo lato è l‘apertura verso la contraddizione; il secondo, dice, è la determinazione, cioè, la forma. Infatti, dice, Rispettivamente: materia e forma del significato del contrario… Quindi, la materia è l’aprirsi verso la contraddizione; la forma è la sua determinazione. È chiaro che già da Aristotele non c’è materia senza forma. La materia è sempre, come dicevano i medievali, materia signata, cioè in qualche modo individuata, non è la materia in termini astratti. Questo aggeggio qui è materia, sì, ma è materia in quanto ha una forma. Materia e forma del contrario: il contrario di un elemento, cioè l’antitesi, ha una materia e una forma. …e la sintesi di questa materia e di questa forma è la concretezza di questo significato. Ci dice cose che sapevamo già, e cioè che la sintesi di materia e di forma di questo significato è il concreto. Non dovete pensare alla materia intesa come sostanza; per Severino, qui materia è intesa come apertura della tesi verso l’antitesi, mentre la forma è la sua antitesi, la determinazione dell’antitesi: Se la materia è l’apertura verso l’antitesi, la forma è la determinazione dell’antitesi, cioè del suo contrario. Di che cosa è fatto questo contrario? Nel caso di Z è K: Z è la posizione, la tesi, quindi, la materia; la forma è invece K, cioè ciò che Z non è, la determinazione di ciò che Z non è. Dice poi che la sintesi è la concretezza, il concreto, la sintesi di tesi e antitesi, di ciò che si pone ma che, ponendosi, si pone in quanto negazione del suo contrario. Se dovessimo rifarci all’esempio che faceva “questa lampada che è sul tavolo”, la lampada sul tavolo è il concreto, ma questo concreto comporta hegelianamente una tesi e un’antitesi. Vale a dire, quando parlo della lampada, per parlare della lampada, questo astratto, devo escludere una non lampada, cioè, praticamente il resto dell’universo: c’è la lampada e poi il resto dell’universo, che non è la lampada. È chiaro che per fare tutto ciò devo astrarre, perché finché permane il concreto… Il concreto è la sintesi, cioè, il fatto che questa lampada che è sul tavolo è questa lampada qua e non è un’altra cosa. Ma ci dice ancora che La forma si distingue poi dalla materia, nel senso che se z e k… Qui le scrive in carattere minuscolo e il perché lo ha detto prima: indichiamo con z e con k questa determinazione, rispettivamente, di nK e nZ. Quindi, quando scrive z intende nK. La forma si distingue poi dalla materia, nel senso che se z e k sono, rispettivamente, ciò che in Z si contrappone a K, e ciò che in K si contrappone a Z – e cioè sono la determinazione o la forma della contrapposizione -, d’altra parte z e k si distinguono in quanto tali dalla contrapposizione di cui son forma; o il campo semantico-posizionale costituito da z e quello costituito da k si distinguono in quanto tali dal campo semantico-posizionale rispettivamente costituito da nk e nZ. Sta dicendo che Z, il suo campo posizionale, ciò che appare di questa Z, si distingue comunque da nK, non sono la stessa cosa. Ordunque, è appunto questa distinzione della materia e della forma del contrario – ciò che è insieme distinzione tra la posizione della forma e la posizione della materia – che non deve essere intesa come una separazione astratta tra questi due termini, e quindi tra le posizioni di questi termini. Sta dicendo che la distinzione della materia e della forma del contrario non deve essere intesa come una separazione astratta di questi due termini, e cioè tra Z e nK, i quali sono sì distinti ma non separati. Se li separassi, allora non ci sarebbe più il concreto, il che vuol dire che potrei tenere separato Z da nK, ma nK è ciò che, di fatto, è Z, perché Z non è K. È sempre lo stesso discorso: se prendo dei termini e li considero astrattamente, produco una contraddizione perché a questo punto di Z posso dire che non necessariamente comporta nK, però come fa? Z è nK, cioè Z non è K, e quindi non posso prenderli astrattamente, devo prendere questi termini concretamente se voglio che la cosa si mantenga incontraddittoria, che è il suo criterio fondamentale. Quella distinzione è infatti lo stesso concetto concreto… Dice distinzione e non separazione. Distinzione vuol dire che non sono la stessa cosa - graficamente infatti sono diversi – però sono lo stesso. Quella distinzione è infatti lo stesso concetto concreto dei momenti astratti del significato del contrario; questa separazione è invece il concetto astratto di questi momenti – e cioè concetto della forma come non implicante la materia del contrario, e viceversa -, il cui verificarsi dà luogo a contraddizione, come appare da quanto segue. La distinzione mantiene il concreto, cioè l’implicazione di Z e nK, mentre se io, invece, li separo allora mi trovo di fronte il concetto astratto di questi momenti, di Z e nK, e cioè che sarebbe, come dice, concetto della forma come non implicante la materia del contrario. Il concetto della forma… possiamo dire così: si mantiene la forma nK, però questo nK è come privato del suo contenuto, perché se io ci metto dentro il contenuto a nk, allora questo nK diventa appunto il contrario di Z; se invece lo prendo come forma, allora è solo una forma. Perché ci sia contraddizione occorre appunto che io prenda nk come forma, astrattamente, e quindi avulso dal suo contenuto. In relazione al concetto di una posizione della forma non implicante la posizione della materia… Una forma senza materia, che forma è? …si incominci a osservare che l’immediatezza dell’implicazione necessaria tra i contrari significa appunto che la forma del contrario Z vale L-immediatamente come (necessariamente) implicante la materia di Z (la quale è appunto il toglimento, la negazione di K) – significa cioè che la proposizione: “z è nK” (o “k è nZ) è L-immediata -, sì che la forma di Z, implicando la materia di Z, implica K come tolto. Questo è il senso dell’implicazione tra i contrari. questi contrari si implicano nel momento in cui pongo concretamente la proposizione e, quindi, non li prendo come separati questi due elementi ma li prendo come concreto. Cosa vuol dire che è concreto? Vuol dire che Z e nK comporta immediatamente che tolgo K, perché Z è nK, quindi, la K non c’è, l’ho tolta. Questo è il senso dell’implicazione dei contrari. A pag. 374, paragrafo 7, Mediatezza dell’implicazione tra Z e K. L’implicazione tra z e nK è L-immediata, in quanto nK conviene L-immediatamente a z… A z che cosa conviene – conviene nel senso di implica -? Di non essere un’altra cosa e, quindi, a z conviene immediatamente non essere K. …ossia conviene a z in quanto tale. Ossia K non conviene L-immediatamente a z, ma conviene a z mediante nK. ...si può affermare che K appartiene all’essenza di z, non in quanto si consideri z in quanto tale… ma in quanto z è nK. Qui la K è maiuscola perché indicava le due posizioni contrarie, mentre la k minuscola indica la determinazione di z in quanto non essere K. In questo caso, quindi, abbiamo due contrari, però dice che K appartiene all’essenza o al significato di z. Qui, come vedete, c’è Hegel perché sta dicendo che il contrario di una cosa appartiene alla cosa della quale è il contrario. C’è un’appartenenza, ma non è che gli appartiene in quanto è quello che è, cioè in quanto K è K o z è z, ma in quanto z è nK. Come dire: ci sono questi due contrari, uno è il contrario dell’altro; ciò che Severino vuole farci vedere è che questi due contrari si appartengono, nonostante siano contrari, non perché uno è quello che è e l’altro è quello che è - perché dicendo così li prenderei separatamente, come se fossero elementi separati – ma perché appartiene l’uno all’altro in quanto z è nK. Che è come dire: questa lampada è questa lampada in quanto non è tutte le altre lampade, ma tutte queste altre lampade, che non sono questa, appartengono a questa? Per Hegel, sì: perché questa lampada sia questa lampada occorre che io escluda tutte le altre. Possiamo fare anche l’esempio dei significanti: un significante è quello che è in quanto esclude tutti gli altri significanti, che però devono esserci perché quel significante, di cui sto parlando, ci sia. Quindi, questo significante appartiene a ciò che non è, cioè a tutti gli altri significanti, ma come gli appartiene? Gli appartiene non immediatamente – anche perché non è così immediatamente evidente – ma gli appartiene attraverso una mediazione, e questa mediazione è il fatto che questo significante non è tutti gli altri significanti: z è nK, z non è K. Quindi, c’è una mediazione, non è più L-immediato, cioè non è immediatamente autocontraddittorio, ma è mediato in questo caso dal fatto che z è nK. ...si può affermare che K (tutti gli altri significanti) appartiene all’essenza di z (a questo significante), non in quanto si consideri z in quanto tale… Non in quanto io consideri quel significante in quanto tale, anche perché non avrebbe senso: è in quanto tale grazie a tutti gli altri. …o in quanto distinto da nK, bensì in quanto, appunto, z sia visto o determinato come ciò cui conviene, ossia di cui è predicato L-immediatamente nK. Inoltre, K conviene L-immediatamente a z, non come predicato di z, ma semplicemente come momento del significato concreto di z. Qui sta aggiungendo delle cose che non sono coì determinanti. L’importante era intendere come sta ponendo qui, sulla scorta di Hegel, il fatto che c’è una relazione tra ciò che pongo e il fatto che, per porre ciò che pongo, devo escludere tutto ciò che non è ciò che pongo, cioè la sua antitesi. C’è una relazione; potremmo dire che le due si co-appartengono, perché l’una non è quell’altra, e si appartengono attraverso quel non essere l’una quell’altra. È questo che fa da relazione tra le due cose. A pag. 377, punto b). Quando si parla di una posizione di z nella quale nK non è posto, non ci si riferisce per ciò stesso a un orizzonte posizionale in cui non sia posto altro che z, ma a un orizzonte posizionale (che può essere anche la totalità dell’immediato) che include z senza includere nK. Per “posizione” Severino intende l’essere posto. Quindi, è posto z ma non è posto nK, cioè il suo contrario. Dice che non significa porre un orizzonte posizionale, cioè una situazione, in cui sia posto solo z. Se io dico che pongo z senza porre nK, cioè ciò che z non è, non significa porre z da solo ma si parla di un orizzonte posizionale che include z senza includere nK. La considerazione di un orizzonte posizionale, che si esaurisca nella posizione di z (e cioè consista nell’esito cui dà luogo questa posizione)… Vale a dire, io considero solo z, senza nK, il che potrebbe essere un problema perché se z è nK allora se non pongo nK non pongo nemmeno z. …è un caso particolare della situazione logica che qui si sta considerando; dato che in questo caso non solo si ha a che fare semplicemente con l’esito  della non posizione di nK, ma con l’esito della non posizione di tutto il contenuto semantico che oltrepassa immediatamente z. c) Se il porre z senza porre nK non è porre z… Se pongo z senza nK non pongo nemmeno z. …non resta per ciò stesso escluso che il porre z senza porre nK sia un porre z nella sua valenza astrattamente formale… Posso farlo, basta che scriva z e l’ho fatto - nessuno me lo proibisce – però, ho dato a questa z la sua valenza astrattamente formale, cioè, l’ho separata dal concreto – e sappiamo che il concreto ci impone di dire che z è nK – lo astraiamo e, allora, a questo punto abbiamo solo una forma senza la materia, cioè, una forma che non ha nessuna apertura verso la contraddizione e, quindi, verso il toglimento della contraddizione e, pertanto, per dirla con Hegel, verso la sintesi; in definitiva, non abbiamo più il concreto, abbiamo una cosa che è pura forma, ma a questo punto non potremmo neanche dire che sia solo forma. …z non può essere posto come contenuto concreto (appunto perché la concretezza implica la posizione di nK), pur essendo posta la forma di questa concretezza (così come si dice che S è posto come significato formale allorché non tutte le sue costanti sono poste). Questo z non può essere posto come contenuto concreto se io lo pongo astrattamente come separato. Non può essere posto perché, per porlo, devo porre anche nK; è come se io ponessi la famosa proposizione S senza porre il suo contenuto, cioè, pongo una cosa senza il suo significato, che è a questo punto vuota, pura forma, senza nessun contenuto. Di fatto, è come se non la ponessi. Questo esito della posizione astratta di z è, come si chiarirà, un modo del secondo degli esiti progettati nel punto a). (Tale esito. Che chiameremo “esito-2a”, è probabilmente – in relazione cioè a quanto viene suggerito dall’apparire del contenuto F-immediato – quello autentico… Questo esito, di cui abbiamo parlato prima, in cui si pone qualcosa senza tutte le sue costanti, senza porre tutti gli elementi di cui è fatto, senza porre il suo significato: io pongo z ma questo z non significa niente; posso dire, a questo punto, di avere posto z? No, non ho posto niente. L’esito-2a è una realizzazione della contraddizione C: proprio perché è posta soltanto la forma di z, non è posto il contenuto concreto cui allude o si riferisce la stessa significanza formale di z;… Pongo z ma non pongo ciò a cui z si riferisce. …o ciò che di quel contenuto è effettivamente posto – la forma di z -… Se io non pongo, insieme con z, anche il suo significato, ma pongo z come una formale astrattezza, non pongo ciò di cui z è fatto, e quindi non pongo z. …non è ciò che si intende porre ponendo appunto la forma di z; sì che ciò che non è z (e la significanza formale di z è appunto ciò che non è z come significato concreto) è posto come z. È come se a questo punto ponessi z, ma non è z; dico che è z, ma non lo è, perché non ha nessun significato, cioè, non ha nessun rinvio. Possiamo metterla così: porre un elemento astrattamente, formalmente, dice Severino, è come se ponessimo questo elemento senza un significato, cioè, senza nessun rinvio. Come già diceva Peirce, un segno che non rinvia a un altro segno, che segno è? Non è un segno, non è niente. Per cui, se dico che un segno non rinvia a nulla, sto dicendo di un qualche cosa che non è quella cosa di cui sto parlando, perché un segno che non rinvia a nulla non è un segno. Severino continua a dire: sì, lo posso porre come significato formale ma, di fatto, non lo sto ponendo, cioè, lo pongo ma non lo posso porre. Posso dire un segno che non ha relazione con nessun altro segno, lo posso dire, l’ho appena detto, ma ho detto di un segno che propriamente non è un segno, perché se un segno non è relato con altri segni non è un segno. Quindi, in un certo senso, ho parlato di qualcosa che non esiste… che è una cosa che si fa continuamente, parlare di cose che non esistono.

Intervento: Quindi, anche lei ha parlato di cose che non esistono?

Sì, tenendo conto della differenza che pone naturalmente Severino, ma non solo lui, tra il nihil absolutum, ciò di cui non si può dire, e invece il nulla come qualche cosa che si oppone all’essere. Sono cose diverse, è chiaro che del nihil absolutum non se ne può dire niente. Dicevo che questa cosa si fa continuamente: dico qualche cosa ma in realtà non potrei dirla, che è una cosa già comparsa in altri punti. Non posso dirla perché questa cosa non è ciò di cui sto parlando, perché per potere questa cosa di cui sto parlando io dovrei conoscere tutte le costanti di questa cosa, cioè dovrei avere sottomano tutti gli elementi, tutti i momenti, di questa cosa. Se non li ho, allora sto affermando qualcosa che teoricamente non potrei affermare. A pag. 381. Si risponde a questa obiezione ribadendo innanzitutto che un significato è essenzialmente relativo alle sue costanti… Uno apre il dizionario, cerca il significato di una parola, e che cosa trova? Trova le sue costanti, cioè quegli elementi che sono necessari a quel significato per essere quello che è. …e poiché un significato, come distinto da queste… Un significato non è le sue costanti, cioè, è le sue costanti ma è distinto, perché la parola che cercate sul dizionario non è la stessa cosa di tutte le altre che trovate appresso (sostantivo, maschile, singolare, ecc.), sono formalmente distinte dalla parola che cercate. …e poiché un significato, come distinto da queste, ha valore formale, la forma semantica è essenzialmente relativa al contenuto semantico. Dice che ha valore formale questo significato. Quando non ha più valore formale? Quando c’è la materia, cioè quando si apre al contrario, al contraddittorio, quando incorpora (Hegel si sta rivoltando nella tomba) in sé il suo contrario, cioè, dice di sé di non essere il suo contrario. Se questo (il contenuto semantico) non è posto, non è posto nemmeno quel valore relazionale della forma, e quindi nemmeno questa è posta. Qui arriva alla questione: se questo significato non è posto in quanto contenuto semantico, cioè non si sono poste tutte le sue costanti, ecc., allora non è posta neanche la forma. (Se il contenuto non è posto, la forma – che perciò è divenuta forma astratta – assume contenuto sé medesima… Potremmo dire che questa forma è senza contenuto, però, una forma che non ha contenuto sembra una contraddizione in termini, non è neanche forma, quindi, quale contenuto può avere? Soltanto se stessa, è una forma che contiene soltanto se stessa. …viene riferita a ciò a cui non deve essere riferita). Perché questo significato formale, se non è riferito al suo contenuto, non è un significato, non ha un contenuto semantico. Prendete la parola “pane” e cercate sul dizionario: alimento composto di farina, acqua, zucchero, sale, ecc. La parola “pane” è un significato formale finché non ha tutto il suo contenuto, cioè tutti gli elementi di cui è composto.  Questo punto, la sola parola “pane”, senza tutto il resto, dice, non ha contenuto, ma il contenuto ce l’ha, è se stessa, è la sua forma, il contenuto in questo caso è la forma stessa. Ma a questo punto che cosa dice Severino? Dice che questa forma della parola “pane” si riferisce a se stessa, però, facendo questo, si riferisce a qualche cosa a cui la parola “pane”, di fatto, non si riferisce, perché la parola “pane” si riferisce a tutti i suoi significati. È per questo che dice viene riferita a ciò a cui non deve essere riferita; la parola “pane” riferita a se stessa non ha alcun senso, perché non significa niente. Riferisco alla parola “pane” qualche cosa che non deve essere riferito, perché a “pane” deve essere riferito l’essere un alimento fatto di farina, acqua, sale, ecc. Ma se ciò che resta effettivamente posto mantiene in un certo senso “lo stesso” significato della forma, nel senso che è la forma astratta, segue che a ciò che non ha più il significato che possedeva in quanto relazionato al contenuto vien mantenuto quel significato – (la posizione della forma astratta, come posizione di Ŝ, è infatti una certa posizione di S). A pag 384, punto c). Se non sussiste l’intenzione che il non-z, che è l’esito della posizione astratta… La posizione astratta è quella che mantiene z e non-z; la posizione concreta, invece, è la sintesi, cioè, toglie il non-z e diventa z e nK. Se non sussiste l’intenzione che il non-z, che è l’esito della posizione astratta di z, valga come z… Quindi, l’intenzione che il non-z valga come z, se non c’è questa intenzione, se non faccio valere non-z come z, allora non c’è più nessun problema. Infatti, dice, porre z senza porre nK, o non intendere nK come appartenente all’essenza di z, non à luogo ad una contraddizione. Ovviamente, se non è mia intenzione che z sia il contrario di non-z… Che poi la non posizione di nK determini per altri motivi –nonostante cioè si prescinda da quella intenzione – una contraddizione, è questione che a questo punto non interessa: qui non si vuol sostenere che la posizione astratta di z sia simpliciter esente da contraddizione… È questo che lui voleva dirci, e cioè che se io pongo z e non ho intenzione di metterlo in contrapposizione a non-z, allora questo non significa che z sia di per sé esente da contraddizione. Potrebbe apparire: io pongo z come un’altra cosa rispetto a non-z, quindi, posso lasciarlo lì, tranquillamente, ma se esente da contraddizione allora non funziona più la dialettica hegeliana, perché questo non-z comunque deve essere in una relazione con z. Infatti, dice che è posto astrattamente: pongo z astrattamente e pongo anche il suo contrario astrattamente come due cose separate. Questo non vuol dire, dice, che questa z sia esente da contraddizione; perché ci dice questo? …ma che è esente da quella contraddizione che si produce allorché il non-z, che si costituisce ponendo astrattamente z, è inteso come z. Sta dicendo che se io pongo non-z come z, cioè li faccio essere la stessa cosa, allora non c’è più contraddizione. Certo, però, come posso fare una cosa del genere? Sta dicendo che c’è un caso in cui z e non-z possono non essere in contraddizione tra loro, cioè, non sono in relazione tra loro, perché la condizione perché non ci sia contraddizione è che non siano in relazione. Ora, introduce il divenire. Il divenire, che invece si produce, dalla posizione di z alla non posizione di z è d’altronde un divenire immediato: nel senso che la posizione astratta di z non “passa”, non “diviene” da posizione di z, non posizione di z,… Il divenire, dice, è questo movimento dalla posizione di z alla non posizione di z, cioè z diventa non-z, non è ma diventa. Ricordate che tutta la elaborazione di Severino attorno al divenire: qualcosa esce dal nulla, poi è provvisoriamente, e torna nel nulla. C’è, quindi, questo movimento: qualcosa che è e diventa qualcosa che non è. Nel divenire, che cosa succede? Dice la posizione astratta di z non “passa”, non “diviene” da posizione di z, non posizione di z, ma allorché essa si realizza, si realizza come già passata, già divenuta posizione di non-z (o, in relazione all’esito posizionale negativo, come già annullata). In altri termini, allorché si pone z senza porre nK, non è che in un primo momento si realizzi qualcosa come posizione di z, e in un secondo momento tale posizione si trasformi in posizione di un non-z (o si annulli come positività posizionale); non accade che in un primo momento si riesca a porre z senza nK… Non c’è un momento in cui le cose non sono e poi sono. Le cose sono, perché non posso porre z senza porre nK, cioè senza porre ciò che z non è. Invece, nel divenire è come se potessi porre z, poi, in un altro momento arriva il non-z. No, se pongo z lo pongo come z in quanto nK, in quanto non altro da ciò che è: l’essere non è non essere (Parmenide). La posizione di z senza la posizione di nK non è (= non può essere), e quindi non può nemmeno divenire posizione di non-z… Se z non è nK non è, quindi, non può divenire niente. Ecco che non c’è il divenire ma l’eterno, di cui parla Severino.