INDIETRO

 

24/1/1996

 

Riflettevo che in questo ultimo anno abbiamo detto tantissimo, occorre che ciò che abbiamo detto incominci a produrre altri pensieri, come può avvenire questo? Forse ci sono molti modi, o uno solo, adesso ci rifletteremo, intanto incominciamo ad affrontarne qualcuno. Questione non nuovissima, in varie altre occasioni ci siamo posti la questione di come utilizzare tutto ciò che è stato acquisito in questi ultimi mesi. Dico ultimi mesi perché forse si sono acquisite un numero maggiore di cose in questi ultimi mesi di quante ne avessimo acquisite negli anni precedenti, e questo perché abbiamo incominciato a interrogare le cose in modo più radicale, più estremo. La cosa si è posta chiedendoci molto semplicemente che cosa stiamo dicendo, dicendo questo? E ci siamo trovati di fronte a una condizione particolarmente favorevole, perché non ci siamo risposti come avremmo potuto fare che le cose sono così come le diciamo e tanto basta. È possibile che occorrano condizioni favorevoli, non so quali siano, ma sia come sia così è accaduto. Per quanto mi riguarda posso solamente dire che la cosa è antica, è stata soltanto accantonata in questi anni, e cioè quella di non attestarmi a qualche cosa, di attestarmi su certe posizioni, ma di continuare a interrogarmi. Continuare a interrogare ma in un certo modo. Non è facile interrogare, anzi mano a mano che procedo constato che è la cosa più difficile da farsi, perché comporta intanto sospendere ciò che si crede, cosa che non è sempre così facile da compiersi né così agevole. Sospendere ciò che si crede vale ad ascoltare, magari per la prima volta, ciò che si sta dicendo, può accadere ad un certo punto nella propria vicenda, nel proprio itinerario che accada una cosa del genere, se accade ha generalmente effetti sorprendenti, nel senso che ci si sorprende di ciò che sta accadendo. Tutto ciò che ho scritto e detto in questo ultimo anno punta a porre le condizioni perché una cosa del genere possa accadere. Ciò che dicevamo le volte scorse rispetto alla questione specifica, cioè il godimento e l’eccitazione che alcune condizioni producono, andavano già in questa direzione. Certo in una certa condizione io posso anche accorgermi della grande eccitazione che una situazione più o meno contingente produce, però fatto questo può accadere che non vada molto più in là. Facciamo un esempio, anzi l’esempio possiamo riprenderlo, lo avevamo fatto un po’ di tempo fa, dicevo qualcosa del genere, che ci sono condizioni in cui il darsi da fare, l’indaffararsi, il trovare sempre qualche cosa che muova necessariamente a fare ha una funzione importantissima perché sbarazza dall’eventualità di trovarvi di fronte a qualche cosa che per qualche motivo crea qualche problema e allora dicevo, una persona si trova ad esporre le cose in modo tale per cui accada o possa accadere qualche cosa, a cui debba necessariamente rispondere, necessariamente se no succede un disastro. Come può accadere nel caso in cui una persona rinvia sempre una cosa fino al punto in cui è costretta a farla, all’ultimo istante, con l’acqua alla gola magari anziché farla in un altro modo molto più agevole, come dire che può fare se e soltanto se è costretta, cioè se le circostanze esterne la costringono. Questione che ha una certa importanza che forse va al di là di questo esempio che, detto in questi termini, può parere molto ristretto, limitato. Potremmo dirla in termini più ampi in questo modo, e cioè muoversi in modo tale che qualche cosa accada per cui io debba fare, cioè in altri termini ancora, che ciò che comunque io mi troverò a fare non sia una mia decisione propriamente, non attenga propriamente al mio desiderio ma a una contingenza, a una necessità esterna. Ora in che modo per esempio tutte le cose che ho scritte si inseriscono in tutto ciò che sto dicendo? Potrebbero inserirsi in un modo devastante rispetto a questa fantasia, nel senso che potrebbero avere la proprietà di impedire che io mi trovi a pensare di essere mosso da una contingenza esterna, da una necessità, impedirla proprio radicalmente.

- Intervento: Non ho capito

Potrebbero impedire che io mi trovi a pensare di essere mosso da una necessità esterna, contingente...

- Intervento: ...appello alla responsabilità?

Ma io l’avevo posta in termini più generali, anche... però soprattutto questo, qualunque contingenza esterna o pensata o immaginata tale, anche la più impellente, la più necessaria, la più costringente, determinata, assoluta, dicevo anche questa situazione estrema, non potrebbe, tendendo conto delle cose che ho scritte, in nessun modo essere creduta e a questo punto andiamo avanti e a questo punto allora con che cosa ho a che fare? Ho a che fare con qualcosa di catastrofico e cioè propriamente due cose, una con me che ho poste le condizioni perché una cosa del genere si verificasse e quindi con la responsabilità e quindi con la funzionalità di ciò che sta avvenendo, l’altra è questa, che ciò che mi trovo di fronte è propriamente l’impossibilità, di nuovo, di non considerare che cosa si sta producendo in ciò “che io ho disposto che avvenisse”. Questo è importante, questa è la questione centrale rispetto a qualunque discorso tendendo conto anche della nosologia freudiana, in ciascun discorso è questo ciò di cui si tratta, cioè il potere considerare che ciò che faccio o ciò che accade, nel modo in cui accade è sì, necessariamente ciò che si è prodotto nel mio discorso, la dico nei termini proprio così radicali proprio per rincarare la dose, per accentuarla. Occorre dire che le proposizioni che ho scritte vanno ancora oltre però intanto ci fermiamo qui. Abbiamo iniziato dicendo che si tratta di porre le condizioni perché qualcosa del genere possa accadere, ma quali sono queste condizioni? Perché può accadere che voi vi troviate di fronte a una persona che è assolutamente inaccessibile, inaccessibile in quanto presa, travolta, da una scena, una fantasmatica sta operando e voi vi trovate in una posizione di intervenire su questa persona per esempio e allora occorre che abbiate degli elementi rispetto a questa inaccessibilità. Se valutate che questa inaccessibilità in quel momento è tale da non consentire in nessun modo di intervenire, potete interrompere la seduta, nel senso che c’è l’eventualità che stiate lì a perdere tempo, sembra una cosa brutta detta così, però non lo è. Non lo è neanche per la persona che voi state ascoltando. Un’interruzione, magari anche un po’ brusca, può impedire alla persona che voi avete di fronte di girare in tondo rispetto a qualcosa che in nessun modo trova la via per spostarsi, ecco che allora l’interruzione, brusca oppure no, inserisce almeno lì un altro elemento. Ci sono circostanze in cui non ha tanta importanza quale elemento, ma che si inserisca un elemento, che questa inaccessibilità trovi almeno uno scarto, qualche cosa che incrini una condizione che apparentemente, almeno in quel momento è come se fosse amovibile. Come dice l’antico proverbio? “Non c’è maggior sordo di chi non vuole sentire”. Ora non vuole sentire per dei motivi evidentemente, perché in quel momento è come se, dicevamo un po’ di tempo fa, è come se andasse bene così, e in effetti va bene così, almeno per un certo aspetto, perché se non andasse bene così tutto ciò non accadrebbe, e qui ci ritroviamo di fronte a ciò che dicevamo, forse la volta scorsa o quell’altra, e cioè una questione immensa, che talvolta abbiamo esposta in termini molto rapidi parlando del godimento o dell’eccitazione o della sofferenza, e dicevamo che in genere una persona soffre o sta male o è angosciata. Che stia bene o che stia male, dicevamo è una cosa che ci è totalmente indifferente, per fortuna, per fortuna perché questo ci consente, per esempio, di considerare la sofferenza per quello che dice, cioè esclusivamente per ciò che afferma, cosa che ci consente di venire a sapere di cosa è fatta. E di cosa è fatta? Abbiamo risposto a questa domanda quell’altra volta, quando dicevamo esattamente questo, facendo l’esempio del senso (non ricordo più le esatte parole) cioè qual è il senso del problema, della proposizione con cui si afferma di avere un problema, e dicevamo che questa persona si trova a dire delle cose, e allora ecco, queste altre cose che dice sono quelle che questa cosa ha prodotte e di queste dobbiamo tenere conto. Ora non ha una grande portata dire che se voi interpellate questa persona verrete a sapere quasi sempre e con molta facilità qual è la questione. Perché non ha una grande portata? Perché di fatto ciascuna volta conviene che non muoviate da quelle posizioni, ma unicamente da ciò che accade, e cioè dalle cose che si dicono. Una persona dice continuamente qual è la sua questione, senza tregua, anzi direi che non fa altro per tutta la vita. Perché non se ne accorge? Ma non è tanto che non se ne accorga, tant’è che se glielo fate notare si imbestialisce e magari vi risponde: come se non lo sapessi. Certo che lo sa, ma lo sa in modo particolare. Perché un’analisi è lunga e complicata? Perché si tratta di porre le condizioni perché venga accolto ciò che una persona per tanti anni ha fatto di tutto per non voler sapere, l’unica difficoltà sta in questo, se no sarebbe una cosa risolvibile in una mezz’oretta. L’analisi di una mezz’oretta uno sarebbe disposto a farla, costerebbe però una cifra spropositata ecc. ecc... Ma allora dicevo, potete trovarvi di fronte una persona che dice per esempio che sta male, che non sopporta più una certa situazione e vi spiega anche tutti i motivi per cui sta male e non sopporta più e magari sareste disposti a dare ragione a questa persona, nulla in contrario, ma non è di questo che si tratta, la sola cosa che sapete perfettamente è che nessuno costringe questa persona a stare male. Questa è la certezza da cui muovete. E dovrà avere dei buoni motivi per fare una cosa del genere, e il motivo è che tutto questo produce sensazioni irrinunciabili. Ogni tanto si dice che ci sono persone che si innamorano dell’amore, perché è una sensazione forte, particolare, è una delle sensazioni della sofferenza, una delle tante. Ma perché proprio quella? Perché non va bene...

- Intervento:...

All’inizio avevamo spiegato, perché la sofferenza ha una virtù rispetto ad altro, perché la sofferenza consente di mettere in moto questo marchingegno, mostrando, dimostrando, esibendo l’assoluta non responsabilità, e questo ha una virtù non indifferente. In effetti in tutto ciò che ho scritto nella Sofistica, della sensazione si parla molto poco, ci sono dei termini che consentono di ricondurla a un fatto linguistico, però forse è possibile aggiungere qualcosa, sempre tenendo conto che non è possibile uscire da atti linguistici, questo se per un verso restringe il campo, nel senso che non possiamo appellarci né agli dei né ai demoni, tuttavia mantiene un certo rigore, una certa precisione. Che dire di una sensazione, così di primo acchito? Potremmo dire che è qualcosa che si sente, però con questo forse non andiamo lontanissimi a meno che non ci chiediamo qualche cosa. Questione che anche Wittgenstein si era posta a proposito del mal di denti che è pur sempre una sensazione, qui lui la faceva semplice perché lui la riferiva all’altro, ma io? Come lo so? Perché si tratta pure di un sapere in qualche modo io “ho” una sensazione. È una cosa quasi impossibile da affrontare, a meno che non sia come la famosa domanda: come so di sapere che questa è la mia mano?

- Intervento: questa è una questione fisica.

Si, detto questo però è niente. Perché se vogliamo affrontare la questione delle sensazioni, occorre...

- Intervento: perché?

Posso fare tante cose, ma quello che ci stiamo chiedendo non è tanto se posso o non posso, ma intanto che cosa occorre che diciamo della sensazione, perché potrebbe tornarci utile saperne qualcosa di più, e qui ci inoltriamo in un terreno arduo, scomodo per molti aspetti, perché ci troviamo sempre al limite fra la fantasia più sfrenata e qualcosa a cui invece cerchiamo di attenerci, però il limite sembra sfumare sempre di più, comunque... La sensazione, sento qualcosa, che cosa? Come? Dove? Che cosa sto dicendo, dicendo che sento qualcosa? E adesso faccio il verso a Wittgenstein: non mi si venga a dire, che lo si sente con i nervi. Se no si innervosisce perché ha un caratteraccio, e dunque cosa sto dicendo con questo? Sto dicendo qualche cosa che dovrebbe rendere conto, come sempre accade, di un qualche cos’altro, o almeno così si è indotti a pensare, perché già qui Wittgenstein è andato anche oltre, in effetti se non so che cos’è la sofferenza, se questo significante non ha un uso linguistico, non c’è sofferenza, se questo significante non ha un uso linguistico non c’è sofferenza.

- Intervento: non capisco, se mi pestano un piede...

La questione è così: che cos’è esattamente ciò di cui non posso in nessun modo dire? O, più propriamente, ciò che non è nella parola? La questione la pongo in questi termini, cominciando a chiedermi di ciò che è fuori dalla parola. E allora io posso dire che se pesto un piede a un cane quello si rivolta, è possibile certo! Con questo che cosa ho mostrato esattamente? Nulla. La cosa che a noi interessa è che essendo...

- Intervento:...

Si, si certo ciononostante non possiamo nemmeno dire che il dolore sia fuori della parola...

- Intervento:..

Occorre considerare un aspetto che è essenziale, e cioè che ciascun umano si trova ad essere tale nel momento in cui parla, adesso lasciamo stare come parla, ad un certo punto parla, da quel momento il processo è irreversibile, cioè non può più essere fuori della parola in nessun modo, qualunque cosa accada o non accada comunque è preso nella parola. E allora dire, a questo punto, che il dolore è fuori della parola non significa niente nel senso che qualunque cosa che si intenda con dolore, qualunque cosa si provi rispetto al dolore, questo comunque è nella parola...

- Intervento:...

A questo punto non è tanto che non si provi, è che questo “provare” non significa niente...

- Intervento:...

Non significa niente nel senso che non è inserito in una combinatoria linguistica, quindi non ha alcun rinvio, non è un elemento linguistico.

- Intervento: Questa è la questione del sapere. Cioè io so che cos’è il dolore, solo in quanto sono parlante...

- Intervento: Si, si io so cos’è il dolore solo perché ho parlato...

Si in un certo senso. Si, Monica, Monica può nascere, vivere o morire solo perché parla. Esattamente. Si mi rendo conto che non è facilissimo, tuttavia di fatto non possiamo dire altrimenti, nel senso che io nasca, muoia, debba vivere o continuare a morire ecc. tutto ciò, il fatto che mi sia sforzato di descrivere non è sufficiente, è qualche cosa...

- Intervento:...

Per che cosa continuiamo a parlarne? C’è un motivo, anzi due, il primo motivo è questo, che abbiamo deciso di riflettere in termini più estremi, più radicali intorno al linguaggio e quindi procediamo lungo questa ricerca, l’altro motivo è che procedendo lungo questa ricerca, le cose che mano a mano incontriamo e acquisiamo ci consentono di porci nei confronti di ciò che si dice, e quindi anche del discorso che andiamo facendo, in un modo che potrebbe essere assolutamente e radicalmente differente...

- Intervento:... quando però io sono viva e soffro. E dice che la sofferenza è soltanto nella parola...

Certo. Il passo avviene per questa considerazione: che propriamente la sofferenza è nella parola, se si soffre è unicamente perché è possibile, perché queste sono le condizioni.