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23 agosto 2001

 

L’emozione.

 

Anche l’etimo suggerisce una cosa del genere, qualcosa che sposta da una posizione a un’altra; sposta che cosa? Mah, ciò che pensa, ciò che crede, ma la domanda fondamentale che ci si poneva tempo fa è perché è così importante per gli umani al punto che pensano di essere morti se non provano queste sensazioni, le emozioni. A fianco di questo dicevamo del gioco che comporta sempre il confrontarsi con una difficoltà. Perché si confronta con la difficoltà? In molti casi è proprio per questo motivo, per provare un’emozione, come nel caso degli sport estremi, ecc. Molte persone hanno abbandonato il percorso che stiamo facendo temendo una cosa del genere, e cioè che l’eccessiva consapevolezza delle cose potesse portare a un’assenza di emozioni, a una macchina. Il che non è propriamente, però lo si può pensare, sicuramente un pensiero del genere è indotto dal fatto che molte emozioni si perdono, così come tante cose che si facevano da bimbetti non si fanno più da adulti perché non interessano più, ma nessuno si dà una gran pena per questo, perché non si emoziona più a giocare con i soldatini o con le bambole, in genere non ne fa una tragedia. Però sembra arduo intendere una cosa del genere, cioè che si perdono delle emozioni e se ne incontrano altre. Diceva Nietzsche: “due cose vuole l’uomo, il pericolo e il gioco, per questo cerca la donna, come il giocattolo più pericoloso”. Il pericolo fa parte integrante del gioco, il gioco tanto più è pericoloso tanto più è affascinante. Anche in un gioco teorico c’è un pericolo, diciamo così; in una elaborazione teorica il pericolo per esempio è quello di dire stupidaggini, no? Dobbiamo riuscire a intendere qualcosa di più del gioco, perché la stessa emozione è connessa con il gioco in qualche modo, nel gioco l’emozione sta per lo più nel vincere o, come si suole dire, nell’avere ragione di qualche cosa, in qualunque tipo di gioco, dal poker al gioco teorico, per esempio può essere la soluzione di un problema, averne ragione e risolverlo. Pensate bene a come funziona un gioco, l’abbiamo detto un miliardo di volte, il gioco è fatto di regole ovviamente, regole di esclusione, alcune cose si possono fare e altre no. A questo punto c’è un gioco, gioco qui è inteso nell’accezione più ampia del termine, un gioco non è altro che una sequenza di ordini. Però dobbiamo cercare di pensare in termini strutturali; intanto vedere se nel linguaggio è insito il gioco oppure no, cioè se il gioco è parte integrante di questa struttura che chiamiamo linguaggio, e a questo punto non ci resta che considerare che il gioco è parte strutturale del linguaggio; in effetti, senza regole non si potrebbe parlare, senza regole di formazione e di esclusione. Questo ci induce a considerare che il gioco potrebbe essere lo stesso svolgersi del linguaggio, in questo modo potremmo addirittura formularla in questo modo: come si manifesta il linguaggio mentre parliamo? Come un gioco, un gioco che è appunto fatto di regole, quindi esclude certe cose e ne impone delle altre, per esempio se vado da un tabaccaio perché ho finito le sigarette chiederò un pacchetto o più pacchetti di Marlboro anziché un piatto di spaghetti all’amatriciana, cioè se voglio delle sigarette mi attengo a certe regole che escludono certe cose, per esempio escludono che chieda degli spaghetti all’amatriciana, escludono un’infinità di cose ma tra le altre anche questa. Ora, dicevamo, il linguaggio funziona esattamente come un gioco, come dire che è la sua struttura, però taluni affermano o lo hanno fatto che un aspetto del gioco è quello della vincita, se non c’è una vincita possibile, qualunque sia non ha importanza, non c’è un gioco, come dire che il gioco sarebbe una serie di informazioni che dovrebbero consentire di superare un ostacolo e il superamento di questo ostacolo sarebbe la vincita. Quindi, un gioco dove non c’è un confronto con un ostacolo parrebbe non essere tale. Ora, qui possiamo considerare due aspetti; primo, che l’affermare una cosa del genere non ce ne cale assolutamente niente, il dire che nel gioco è insita la necessità di superare un ostacolo, finché non proviamo questa affermazione come necessariamente vera questa affermazione non ci dice un granché; la seconda, invece, è appunto il controllare una cosa del genere e vedere se anche nel linguaggio funziona una cosa del genere, un ostacolo da superare. Esiste qualcosa del genere nella struttura del linguaggio oppure no? Questa è già una domanda che merita una risposta. Cosa ne direbbe Cesare se qualcuno mai glielo chiedesse? Ritiene che sia strutturale al linguaggio il fatto che il gioco comporti necessariamente il superamento di un ostacolo oppure no? (…) Cos’è un ostacolo? Qualunque cosa impedisca il raggiungimento di un’altra cosa, è una definizione banale. Ci stiamo domandando se c’è nel linguaggio qualcosa che funzioni in questa maniera. C’è un ostacolo nel linguaggio, c’è qualcosa che il linguaggio non può fare? Sì, uscirne, c’è una sola che gli umani non possono fare: uscire dal linguaggio. Eppure, sono grosso modo tremila anni che tentano di compiere questa operazione, inutilmente è chiaro, è impossibile, però si sono dati un gran da fare. Perché lo abbiamo fatto adesso ci importa poco ma potremmo azzardare che l’idea stessa di ostacolo abbia questo fondamento, l’unico vero ostacolo è questo ed è insuperabile. Ora, parlavamo del linguaggio come un gioco, è complicata la questione però in questo gioco c’è effettivamente un ostacolo ed è il gioco che gli umani hanno sempre giocato, cioè quello di uscire dal linguaggio, trovare un qualunque accidente che sia fuori dal linguaggio. Però, non abbiamo ancora risposto alla domanda, cioè se è necessario che in questo gioco ci sia un ostacolo per potere giocare, perché di fatto noi possiamo giocare il gioco del linguaggio senza pensare minimamente di uscirne, quindi senza avere questo ostacolo. Però, se noi poniamo la questione in un altro modo possiamo bypassare la questione, dicendo che di fatto non è propriamente un ostacolo, l’uscita dal linguaggio non è un ostacolo, perché ostacolerebbe il passaggio a un’altra cosa ma è impossibile; se non c’è possibile uscita dal linguaggio che senso ha parlare di ostacolo? Può darsi che non ne abbia nessuno, cioè questo ostacolo di fatto non ci serve assolutamente a niente. Se fosse, ché per gli umani il gioco è sempre stato costruito in modo tale da dovere superare un ostacolo per potere essere tale, perché hanno sempre immaginato un qualche ostacolo che impedisse loro di uscire dal linguaggio, possono avere pensato allora che qualunque gioco necessita di un ostacolo per raggiungere la meta. Nel gioco che stiamo facendo, che abbiamo inventato, c’è una meta? La pongo come questione. Tempo fa ci si chiedeva “qual è l’obiettivo del linguaggio?”, parrebbe una domanda bizzarra ma anche se appariva bizzarra ce la siamo posta lo stesso e abbiamo anche risposto: l’unico obiettivo del linguaggio è proseguire se stesso, non ne ha altri. Incontro difficoltà in questo? Incontro ostacoli? No, non c’è nessun ostacolo, continua a proseguire all’infinito. In base a queste considerazioni verrebbe da pensare che l’ostacolo non sia affatto strutturale al proseguire del linguaggio, cioè dell’unico gioco praticabile, ma sia sorta questa idea di ostacolo nel tentativo vano di uscire dal linguaggio. In effetti, pensate al pensiero, non soltanto quello filosofico ma anche a quello scientifico, dal momento che pone qualcosa fuori dal linguaggio si condanna al paradosso, aporie insolubili, perché l’unico paradosso, quello autentico, si trova in quella proposizione che afferma che qualcosa è fuori del linguaggio, questo è l’unico paradosso, come direbbe Saddam Hussein “la madre di tutti i paradossi”. È tuttavia importante questa questione dell’ostacolo perché su questo sembrerebbe si sia costruita tutta la civiltà occidentale; adesso non ci interessa immaginare che cosa sarebbe potuto essere, ecc., però rileviamo che l’esistenza di un ostacolo non serve a fare funzionare il gioco del linguaggio, il quale funziona benissimo di per sé senza nessun ostacolo. Però, come dicevo, questa idea di un ostacolo che impedisca di raggiungere un certo obiettivo è invece fondamentale nel discorso occidentale, perché in effetti il gioco che stiamo facendo non ha né può avere nessun altro obiettivo se non quello di proseguire se stesso, nient’altro che questo. Possiamo certo porci degli obiettivi ma sono obiettivi all’interno di questo gioco sapendo perfettamente che comunque il linguaggio non ha altro obiettivo che questo, proseguire. È complicata la questione. Cosa dice Sandro? (…) Sì, c’è qualcosa che ci sfugge in effetti, perché a questo punto potremmo anche domandarci perché siamo qui a riflettere su queste questioni anziché trovarci altrove, magari davanti a una buona bottiglia per esempio. Perché dunque? Cosa ci muove a elaborare questioni teoriche? Come dicevamo prima, il superamento di un ostacolo che abbiamo inventato o che c’è? Uno può anche inventarselo, come nella più parte dei giochi si inventa l’ostacolo: “voglio vedere se lanciando questo accendino riesco a centrare sul naso Cesare”, mi sono inventato un obiettivo. C’è qualcosa che ci sfugge in tutto ciò, chi ha qualche considerazione da fare? Perché da una parte stiamo considerando che l’ostacolo non serve al proseguimento del linguaggio, dall’altra invece rileviamo che ovunque sembra quasi necessaria la costruzione di un ostacolo per fare qualche cosa. Curiosa questione. (…) Questo sposta solo la questione, perché ci fa piacere fare questa cosa? (…) La domanda che stavo facendo è questa, stiamo inventando cose che non stanno né in cielo né in terra, che non sono mai state inventate, perché? Sandro dice che è perché la cosa ci fa piacere, sì, certo, potrebbe anche essere ma questo sposta solo la questione, perché ci fa piacere una cosa del genere? Perché dobbiamo costruire queste cose per potere risolvere un problema complicatissimo per potere provare piacere? (…) È una questione fondamentale, se riusciamo a intendere questo riusciremo a intendere perché gli umani fanno quello che fanno. (…) Stiamo cercando di intendere in termini strutturali. Insomma, perché stiamo facendo questo, Cesare? (…) Va bene il piacere però non andiamo molto lontani, bisogna trovare qualcosa che ci induca a pensare che lo facciamo perché non possiamo non farlo, questo sarebbe già più interessante. (…) Che non si possa non giocare questo lo abbiamo detto, il linguaggio funziona così come un gioco. Perché diciamo che il linguaggio funziona come un gioco? Il linguaggio è un gioco perché funziona con regole di esclusione e di formazione, che sono esattamente ciò che definiscono un gioco. Quindi, non è possibile non giocare, strutturalmente non è possibile non giocare, e cioè cercare qualche cosa che escluda; costruire, sulla base del linguaggio ovviamente, regole di esclusione, fino a inventare il poker per esempio, no?, o quando dicevo “voglio vedere se riesco a centrare il naso di Cesare con l’accendino”, è una regola di esclusione perché se lo colpisco in un occhio ho perso. Già, vinco solo se… Questo è alla base di ogni gioco, la regola di esclusione, quindi l’ostacolo, ciò che è inteso come tale, è dato dal doversi attenere a questa regola. Certo, stiamo utilizzando questo termine “ostacolo” in modo un po’ squinternato però… Lodari sta riflettendo su qualche questione? (…) Sì, stavo riflettendo su un aspetto ancora più strutturale, qualcosa che inerisce al funzionamento stesso del linguaggio. Certo, qualunque gioco è costruito così, ovviamente, il superamento dell’ostacolo è fondamentale ma nel gioco del linguaggio c’è un ostacolo, dicevo prima delle regole di esclusione, senza quelle non c’è nessun gioco. Continua a sfuggirci qualcosa… Sandro, qualche considerazione? (…) No, è il contrario, perché ci sia un ostacolo occorrono delle regole, se non c’è la regola non c’è nessun ostacolo, la regola esclude e quindi dice che l’ostacolo è quello, cioè riuscire a compiere quella operazione, se lancio l’accendino sul naso di Cesare l’ostacolo qual è? L’ostacolo è sbagliare la mira per esempio, una svista, un lancio mal fatto, qualunque cosa ma che è dato dalla regola che mi sono imposta, se non si impone una regole non si pone neanche un ostacolo. (…) Sì, infatti, se come dicevamo il linguaggio è gioco perché costruirne altri continuamente così come hanno fatto gli umani da quando esistono? Perché costruirsi ostacoli, nuove regole per fare infiniti altri giochi, dal tresette alla guerra mondiale? Perché? (…) Dobbiamo trovare una soluzione se vogliamo andare avanti. Anche qui, in effetti, si tratta di ciò che ho detto, trovare una soluzione all’inghippo per potere andare avanti, che è la definizione di gioco, almeno la più diffusa, perché? Perché dovremmo trovare la soluzione? (…) Supponiamo che lei affermi che il delirio è senza limiti, che cosa intende per limiti? Regole, regole linguistiche? E allora dovrebbe spiegarmi come potrebbe funzionare il linguaggio senza delle regole. Non può funzionare. Al di la questo occorrerebbe sapere se quella persona è effettivamente così, il fatto che ciò che una persona dice per lei non abbia alcun senso questo non significa che per quella persona le cose che sta dicendo abbiano un senso ben preciso e riproducono qualche cosa; se riproducono qualche cosa o comunque producono qualche cosa allora fanno parte del linguaggio e se fanno parte del linguaggio hanno delle regole ben precise. Le regole sono esattamente i limiti. Invece rispetto al gioco? (…) Abbiamo appena detto che per giocare occorrono dei limiti. Adesso non è questa la questione, se abbia o non abbia limiti, ha delle regole quindi è limitato per forza, ma perché se il gioco è strutturale, non può eliminarsi se si parla, non possiamo non farlo, già siamo in questo gioco, cioè presi da regole, da limiti appunto, da tutte queste storie, perché continuare a costruire infiniti altri giochi quando ce n’è già uno che funziona perfettamente? Era questa la domanda, perché gli umani sono quello che sono? La questione è questa, cioè “perché vogliono continuamente giocare?”, come diceva Nietzsche. Noi stessi stiamo facendo questo. Bisogna trovare qualcosa che possa consentirci di affermare che non è possibile non farlo, ma ci manca qualcosa, qualcosa che sia strutturale al linguaggio.