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23-3-2011

 

Occorre insistere su un aspetto al quale ieri sera ho appena accennato, e cioè la psicanalisi come metodo, come metodo per pensare, metodo per vivere, per affrontare qualunque situazione dalla più bella, più gioiosa, radiosa, alla più drammatica e catastrofica, porre una persona nelle condizioni di sapere sempre e comunque quello che sta accadendo, gli si offre la possibilità non dico di metterlo al riparo da qualunque cosa perché è un po’ complicato, ma sicuramente di porla nella migliore delle condizioni per affrontare comunque qualunque situazione, qualunque essa sia, e la psicanalisi è questo, è un metodo, che poi si utilizzi nella pratica analitica va benissimo certo ma è un metodo per vivere, per vivere senza paura che è la cosa fondamentale. Così come il linguaggio anche la psicanalisi è un metodo, il linguaggio è un metodo per la costruzione di proposizioni, un algoritmo, e così anche la psicanalisi è un metodo, un metodo per praticare il linguaggio, questi due algoritmi sono formalizzabili, se uno volesse scriverli potrebbe anche farlo, per il linguaggio dovreste scrivere “(A ® (A ® A)) ® ~ (A ® ~ A)” e cioè che se, se A allora se A allora A, allora non se A allora non A, che significa semplicemente questo, che se si pone un elemento allora quell’elemento è se stesso e non può essere altro da sé, per quanto riguarda invece il metodo della psicanalisi l’algoritmo potrebbe essere scritto in questo modo: “(x) x ® x ε L”, per tutte le x, se x, allora x appartiene al linguaggio, che dice che se sto parlando di questa x, la sto considerando, la sto valutando, la sto trattando in qualunque modo, allora x è un elemento linguistico, è nel linguaggio, se no non potrei dire “se x”, non potrei né considerarla, né affrontarla né fare niente, quindi se x, x necessariamente appartiene al linguaggio, è inclusa nel linguaggio. Occorre dunque insistere sulla questione del metodo, cioè della psicanalisi come metodo. Ciò che abbiamo costruito, inventato, è ciò che consente di pensare, di pensare come ho detto più efficacemente e più rapidamente; questo metodo consiste nell’interrogare, ma interrogare portando l’interrogazione alle estreme conseguenze e questo chiaramente va precisato perché detto così non significa assolutamente niente, cosa vuole dire interrogare fino alle estreme conseguenze? Significa che si interroga qualunque cosa, qualunque teoria, visto che anche una fantasia in fondo è una teoria, costruita esattamente come una teoria, interrogare quegli asserti sui quali si basa, interrogare i principi che la fanno esistere che equivale a dire interrogare i motivi per cui penso quello che penso, che non va affatto da sé che io pensi in un certo modo o che una teoria si svolga in un certo modo, potrebbe anche essere un discorso da farsi un giorno: considerare una teoria e mostrare come questa teoria sia costruita su asserti totalmente arbitrari, come la psicologia per esempio, tutta la teoria psicologica si regge su un concetto che è quello di realtà, sulla possibilità di confrontare con la realtà certi tipi di percezione o di decisione o di valutazione, se si elimina il concetto di realtà tutta la psicologia crolla come un castello di carte, non rimane in piedi niente e non è difficile mostrare che fondarsi sulla realtà comporta un inganno, una menzogna, non c’è nessuna possibilità di stabilire che la realtà è necessariamente quello che si pensa che sia e qualunque definizione io dia della realtà questa definizione che do non sarà mai necessaria, sarà sempre arbitraria quindi sostituibile da un’altra a pari diritto e merito, decido che la realtà è ciò che cade sotto i sensi? Va bene, ma questa decisione che io prendo chi mi autorizza a pensare che sia quella corretta? Che debba essere proprio così? Certo decido che la realtà è quello che io vedo per esempio, è un criterio al pari di qualunque altro o che la realtà è quello che dio vuole che sia, quello che i marziani hanno stabilito, non cambia niente, ma porre questa realtà, questa fantasia, questo gioco linguistico come il criterio fondante per una teoria è fondare una teoria su una menzogna, su un inganno, da qui ne segue inesorabilmente che tutto ciò che la teoria avrà costruito sarà falso o, nella migliore delle ipotesi, né vero né falso ma una costruzione come qualunque gioco, come il tre sette, il tre sette è vero o è falso? È quello che è, è un gioco all’interno di quel gioco certo è possibile stabilire se certe mosse sono corrette e se certi risultati sono veri o falsi, ma all’interno di quel gioco. Occorre accogliere questa superstizione, perché viene posta così, della realtà, e una volta accolta questa superstizione ci si comporta di conseguenza, cioè si valuta che tutto ciò che si adegua alla realtà è corretto, per esempio, un giudizio, una valutazione, un pensiero si confronta con la realtà: io dico che qui c’è un posacenere questa è la realtà, Beatrice lo vede, Cesare lo vede, Antonella lo vede, tutti lo vedete e siamo a posto. Ma questo cosa significa, significa soltanto che voi per qualche motivo che riguarda voi avete accettato, accolto un certo gioco linguistico con certe regole, per cui mi rispondete che quello è un posacenere, così come se stessimo giocando a poker e tutti sappiamo giocare a poker, se io dico una certa cosa voi rispondete in modo adeguato …

Intervento: la psicologia funziona perfettamente perché è fondata …

Ho parlato della psicologia ma in realtà qualunque scienza è fondata sull’inganno …

Intervento: il luogo comune afferma certe cose in funzione delle proprie credenze …

Sì, la fisica per esempio, che è una delle dottrine e uso “dottrine” appositamente, più consone alla realtà, è una di quelle dottrine o scienze che si fondano sulla realtà, studiano la realtà, le sue leggi, i modi in cui si manifesta, i modi in cui si muove e si comporta, ebbene proprio la fisica ha incontrato delle difficoltà, prima già con Einstein e la sua teoria della relatività, è costretto a un certo punto per mantenere tutto il suo impianto teorico a immaginare che esista una realtà che sia quella che è, è famosa la lettera che scrive a Bohr, un altro fisico austriaco, dove dice che occorre ammettere che dio non giochi ai dadi, e cioè che ci sia qualcosa di stabile, che la realtà sia quello che è mentre Heisenberg giunge a considerare attraverso i suoi esperimenti sulle particelle subatomiche che, e questo fu interessante e lo è ancora adesso, che l’osservatore osservando modifica l’osservato, come dire che ciò che osservo nel momento stesso in cui lo osservo e per il fatto stesso di osservarlo lo sto modificando e che quindi non vedo come stanno realmente le cose, le vedo alterate inesorabilmente. Per stabilire la posizione di una pallina che rimbalza in ciascun attimo, in ciascun segmento T di tempo, si mette la pallina all’interno di una camera oscura e poi con una macchina fotografica che stabilire la sua posizione, ma nell’attimo in cui scatta la fotografia c’è un lampo di luce, questa luce è fatta di fotoni, i fotoni sono particelle, le particelle colpiscono la pallina e ne modificano la traiettoria. Di fatto fotografa la posizione della pallina là dove la pallina non è in un certo senso perché dovrebbe essere in un altro posto ma per il solo fatto che la fotografo non è più lì, e allora dov’è la realtà? Bisognerebbe stabilire che il percorso è esattamente questo, che la realtà è questa e invece no, ogni volta che scatta l’immagine questa pallina segue una traiettoria differente, dunque qual è il percorso che segue? Quello naturale imposto dal suo movimento o quello deviato dal fatto stesso che lo sto osservando? E la realtà stessa, viene modificata dal fatto che io la osservi oppure no? Seguendo Eisemberg sì, e quindi non saprò mai, ammesso che abbia questa velleità, stabilire che la realtà è questa certa cosa, non potrò mai stabilirlo con certezza perché c’è la seria possibilità che la mia osservazione la modifichi, non soltanto per le mie fantasie ma per il solo fatto di osservarla per esempio. Era più disperato Einstein di quanto lo fosse Heisenberg per il fatto che la realtà dovesse essere necessariamente quella che è, ma è una menzogna, un inganno e come ho detto in qualche circostanza neanche nobile.

Questa psicanalisi è un metodo, un metodo per pensare, per prendere decisioni, per valutare ciò che ci circonda, per valutare soprattutto i propri pensieri più ancora che le cose che circondano, che in ogni caso sono sempre debitrici dei pensieri. Per potere sapere interrogare ci vuole un sapere anche, sapere interrogare che cosa sostiene ciò che sto dicendo, quali fantasie, quali altri discorsi sono necessari perché io possa affermare le cose che sto affermando, altri discorsi che naturalmente non sto valutando e che do per impliciti, per acquisiti e soprattutto immagino che siano veri se no non seguirei quella via ovviamente perché nessuno segue una via che sa esser falsa, per una questione grammaticale, e quasi imporre una cosa del genere senza il timore di obiezioni che non ci interessano più di tanto, imporla ma con argomentazioni potenti ovviamente e anche il tono della voce è importante …

Intervento: quale percorso intraprendere per diventare analisti …

Diremo martedì prossimo ciò che riguarda la formazione dello psicanalista, che deve sapere esattamente come funziona il linguaggio e trovarsi sempre nella posizione di chi agisce il linguaggio, non di chi lo subisce. Qualunque testo, qualunque teoria muove da asserzioni che possono e devono essere discusse, devono essere considerate, valutate e nove volte su dieci questi asserti muovono dall’idea che corrispondono alla realtà, siano adeguati alla realtà e quindi da lì si può procedere, oppure muovono da fantasie e cioè da qualcosa che appare essere in un certo modo, poi in base a una certa suggestione viene preso come vero, questo è accaduto molto spesso e continua ad accadere, per esempio con i filosofi francesi, con alcuni psicanalisti anche, se volete vi faccio un esempio tratto dal lavoro di Derrida. Derrida ha ripreso la questione del segno di De Saussure, come sapete, significato barra significante S\s, ha fatto notare, e in questo anche Sini l’ha seguito, ha fatto notare che è impossibile dire un significante senza conoscere il significato, per esempio se io dico leone ho già presente il significato di leone ed è per questo che dico leone, quindi c’è l’impossibilità di stabilire che un significante possa darsi senza significato, e al tempo stesso non è possibile dire un significato senza un significante, se non posso riferirmi al significato di leone senza dirlo, senza dire leone; ma siamo sicuri che sia proprio così? Ora in questi casi porsi una domanda del genere intorno alla posizione di Derrida può non essere facilissimo certo, può essere anche suggestivo pensare che esista un’impossibilità, direi quasi naturale di fare, per esempio, combaciare un significante con un significato o eliminare un significante da un significato, questa impossibilità di fatto, secondo Derrida di dire un significante senza che esista un significato comporta un rinvio continuo a questo significato, ma questo significato è tale per via di un’esclusione di altri significati ai quali eventualmente rimanda in una sorta di infinitizzazione, che è una tesi suggestiva e in effetti ha suggestionato molti, anche i semiotici, però se qualcuno trovasse un contro esempio a una cosa del genere crollerebbe tutto. Per esempio mi è successo tempo fa di sentire una parola, questa parola è “troll”, io non sapevo assolutamente cosa fosse, dopo mi è stato spiegato che è un personaggio immaginario di certi racconti, il frutto di una fantasia. Mi sono trovato dunque a pronunciare questo significante che per me non aveva nessun significato, “troll” per me poteva essere una città della Finlandia o un piatto della Papuasia o una nome di una bestia però il significante c’è “troll” e il significato? Non c’è, si potrebbe dire che è in attesa di un significato ma in quel momento il significante non ha nessun significato …

Intervento: sì però non è niente ancora senza significato …

Ma è un significante, è questa la questione, è un significante cioè, come direbbe De Saussure, è un’immagine linguistica, un suono, e questo c’è, ma non c’è il significato quindi è possibile pronunciare un significante che non ha nessun significato, e d’altra parte è possibile un significato che non ha nessun significante, pensate a una macchina, le macchine si muovono con sequenze numeriche binarie 0/1, sono sette cifre generalmente, per esempio la sequenze 01000001 significa una A, ora per la macchina questa sequenza ha un significato, tant’è che la macchina traduce e trasforma questa sequenza in una A che noi vediamo sul monitor quando scriviamo le nostre cose, quindi è un significato, è un significato perché è riconosciuto e tradotto e decodificato ma non c’è nessun significante, nessuno ha detto niente, sono soltanto impulsi elettrici e dire che un impulso elettrico è un significante è arduo. Dunque c’è un significato ma non c’è nessun significante, e quindi quello che afferma Derrida è falso, eppure nessuno ci ha mai pensato. Non che non ci siano delle menti abbastanza robuste per compiere un’operazione del genere ma è che non si fa perché non c’è da parte di nessuno l’abitudine, l’idea, il progetto di compiere un’operazione del genere e cioè interrogare un qualche cosa che esteticamente piace, piace pensare che ci sia l’impossibilità all’interno del segno linguistico per cui il segno linguistico rinvia sempre e necessariamente a qualcos’altro, c’è sempre dell’altro. Spesso ci dicono nelle conferenze “non può essere solo questo” quando poniamo la questione del linguaggio, senza sapere assolutamente dire perché naturalmente, è soltanto un’obiezione estetica, come se dicessero “a me non piace pensare così, mi piace pensare che c’è qualcuno che pensa a me”, va bene, non è proibito. Ecco, dicevo non c’è questo addestramento a interrogare il proprio sapere, a interrogare i fondamenti del proprio sapere cioè ciò che li sostiene, ciò che li regge, la base da cui muovono, certo la retorica e soprattutto la sofistica è un ottimo esercizio per fare questo, cioè trovare contro esempi, perché il modo in cui Derrida pone la cosa, la pone come se fosse un’universale. I filosofi francesi, i semiotici, ma anche psicanalisti francesi e non, hanno orrore di questa parola “universale”, Lacan la pone una volta ma con molte attenzioni, molte cautele perché l’universale non lascia scampo, dice che qualcosa è così sempre, per cui non troverete mai la parola “universale” nei loro testi, troverete però delle formulazioni universali inanellate le une nelle altre in quantità impressionante. Per esempio, ciò che vi ho accennato prima riguardo al segno così come lo ha posto Derrida, lo pone come un universale cioè non c’è mai la possibilità che un significante si dia senza significato, come dire che per ogni x, se x è un significante allora x ha un significato, è universale, non ci sono santi, e pongono senza rendersene conto una quantità enorme di universali, là dove in realtà questo universale non ha nessun motivo di essere. Noi invece ne poniamo uno, uno solo, nessun altro, soltanto quello che consente il primo comando si pone come universale, tutto il resto è particolare cioè è contingente o se preferite arbitrario. L’unica cosa necessaria è questo comando che è posto in forma universale certo perché non può darsi l’eventualità che non sia, se no non potremmo stare qui a parlare né noi né nessun altro ma la paura di utilizzare questo termine “universale” procede dal fatto che l’universale come dicevo prima non dà possibilità di alternative, è così e basta, è una sorta di apodissi, un enunciato apodittico è un enunciato autoevidente che è così e non può essere altrimenti ed è curioso che spesso ci venga rivolta l’accusa di universalizzare mentre l’unico universale che utilizziamo è appunto il comando da cui si avvia il linguaggio, non ce n’è nessun altro, tutto il resto sono particolari, sono contingenti. Se voi leggete i testi di filosofia o di psicanalisi sono infarciti di universali, quando uno psicanalista come Armando Verdiglione afferma che non si da rimozione senza resistenza sta ponendo un universale, di nuovo, per tutte le x, se x è la rimozione allora non c’è rimozione senza resistenza, è universale perché altrimenti dovrebbe ammettere la possibilità che si dia un atto di parola in cui c’è rimozione ma non c’è resistenza cioè non c’è una lettera che viene rilasciata da questo atto, quindi l’atto di rimozione è riuscito la condensazione è totale, cosa che lui per tutta la sua teoria non può accogliere in nessun modo, così come per Lacan la famosa fase delle specchio, la fase dello specchio per Lacan significa semplicemente questo, che il riconoscimento della persona cioè la sua identità, il riconoscimento della sua identità avviene in un equivoco in quanto si riconosce attraverso un altro, perché dice questo? Perché si accorge che un bambino si riconosce quando in braccio alla mamma davanti allo specchio la mamma dice “ecco io sono la mamma e questo sei tu” lui riesce a capire grosso modo e allora stabilisce che è lui ma lo stabilire tale identità avviene per un equivoco perché non è quello lì in realtà, e questa alterità radicale che si installa in quel momento lo accompagnerà per tutta l’esistenza, questo è un altro universale perché non può darsi nella teoria di Lacan che avvenga un atto di parola senza che ci sia questo equivoco e cioè l’alterità, non può darsi, e quindi è un universale. Tutte queste persone fanno un uso ininterrotto, continuo, di universali senza rendersene conto e avendo per altro orrore dell’universale, noi, che non abbiamo paura di niente non ci siamo minimamente preoccupati di usare un universale, solo che ci siamo resi conto che l’unico universale che abbia una validità è quello che fonda il linguaggio cioè l’atto, il comando da cui si avvia tutto, il comando di identità “se A allora A”. Potremmo dire che è questo metodo che stiamo praticando che ci consente di considerare le varie teorie e cogliere rapidamente l’arbitrarietà di queste teorie, là dove si coglie l’universale lì sicuramente c’è qualche intoppo perché non può essere un universale in nessun modo, sarebbe necessario se fosse così e come possiamo provare che è necessario? L’unica cosa necessaria è che ci sia il linguaggio, tutto il resto è assolutamente arbitrario e contingente cioè può accadere e può non accadere nella migliore delle ipotesi. Può accadere che un significante avvenga senza significato? È possibile? È possibile. È possibile che abbia un significato? Certo che è possibile, ma sono possibilità, cosa che è totalmente differente dalla necessità cioè dall’affermare che mai per nessun motivo una cosa avviene senza l’altra, questo è un universale, ma per potere affermare un universale occorre una dimostrazione piuttosto potente che nessuno di loro è in condizioni di fornire perché non esiste. Dicevo dunque che questo metodo è formidabile, consente di leggere, di intendere qualunque cosa con rapidità e precisione, certo occorre molto esercizio perché ciascuno è stato addestrato dal momento in cui si è avviato il linguaggio con quell’inganno di cui abbiamo detto che è responsabile in buona parte di tutto ciò che ne segue, in seguito a questo inganno le persone pensano nel modo in cui pensano ma non solo questo inganno avvia il modo di avviarsi del linguaggio ma viene confermato, perpetuato, mantenuto e confortato da chiunque sempre, diventa una cosa che non si può assolutamente discutere, è così e tanto basta. Se qualcuno ha insegnato a parlare, ha insegnato che il mondo esiste, e questo qualcuno deve essere grande, potente, dio o la mamma, il babbo, il nonno materno, e naturalmente a nessuno viene in mente che queste cose gli sono state insegnate o trasmesse sono solo delle informazioni che servono a costruire sequenze no, vengono poste come verità assolute, vengono messe sotto questa forma verbale che indica qualche cosa che in nessun modo può essere provato ma che appare di una cogenza e di una forza notevolissima per gli umani, tant’è che nessuno si è mai discostato da questa posizione, mai, la realtà è lì ed è quello che è ed è il parametro su cui si commisura tutto. Il luogo comune si riferisce sempre a un qualche cosa come depositario della verità, che sa come stanno le cose, sa soprattutto come le cose devono essere, il riferimento è sempre a qualcuno che sa, che sta da qualche parte, che nessuno sa bene chi sia né perché debba sempre sapere, però c’è. Prendete una persona qualunque, questa persona crede nell’esistenza della realtà, ma chiedetegli che cosa intende con realtà, già lì incomincia la prima difficoltà, ma se mai vi dicesse che la realtà è quello che vedo, quello che ha sostanza, che ha peso eccetera, voi chiedetegli perché la realtà dovrebbe essere questa cosa, a questo punto però allontanatevi perché il rischio che vi aggredisca è forte. Ma avete fatto solo una domanda, “perché la realtà è questo?”, se la persona è notevolmente intelligente vi dirà “per convenzione”, però ponendola come una convenzione a questo punto smonta tutta la possibilità che si dia una realtà al di fuori delle convenzioni quindi la realtà è una costruzione, e in questo caso c’è già la possibilità di discutere e di mettere ulteriormente e radicalmente in discussione questo concetto, e a quel punto avete la possibilità di condurre la realtà a quello che è, e cioè a un gioco linguistico. Il passaggio dalla convenzione al gioco linguistico è semplice da fare, e a questo punto essendo un gioco linguistico è una produzione del linguaggio e come tale la realtà non esisterebbe senza linguaggio, cosa che per i più è uno scandalo inenarrabile …

Intervento: la scuola deve avere riferimenti fermi …

Si, come nel caso della storia i libri di testo di storia raccontano i fatti accaduti, ma è una sciocchezza colossale, perché questo fatto che si ritiene accaduto in realtà può essere totalmente differente da quello che viene descritto. Vi faccio un esempio che ho verificato qualche anno fa con un amico francese. I nostri libri di testo raccontano il risorgimento in un certo modo: vi ricordate che ad un certo punto gli italiani hanno chiesto l’aiuto dei francesi per sconfiggere gli austriaci in cambio di Nizza e della Savoia, poi i francesi hanno cambiato idea hanno firmato il trattato famoso di Villafranca, si sono accordati con gli austriaci e non ci hanno più aiutati ma si sono tenuti Nizza e la Savoia, ora questo è nei nostri libri di storia, nei libri francesi la cosa non viene posta in questi termini, non viene affatto posta come un tradimento come nei nostri libri di storia, ma come una decisione dovuta dalla necessità presa saggiamente dall’imperatore Napoleone III, viene invece dato un grande rilievo all’aiuto nobile che la Francia ha dato all’Italia per liberarsi dal giogo austro ungarico. Insomma è un modo di porre la storia in modo totalmente differente, così come probabilmente nei libri di storia inglesi e americani la rivoluzione americana verrà raccontata in modo differente: dagli inglesi come dei ribelli maledetti che si sono portati via una ricchezza immensa, e dall’altra invece come i patrioti che hanno sottratto l’America a degli usurpatori che volevano soltanto mantenere l’America per farsi gli affari loro, cosa verissima per altro, però … Intervento: ciascun popolo inneggia a questi valori di lealtà tutto sommato …

Certo, ma a questo punto è vero quello che dice il libro di storia francese o quello che dice il libro di storia italiano? Sono vere entrambe le cose perché muovono da giochi linguistici differenti, che hanno regole differenti, se la regola del gioco che sto facendo è salvare l’incolumità del Risorgimento mi muoverò in un certo modo, se devo salvare la bontà e la generosità dell’imperatore Napoleone III farò un altro gioco, ma rispetto alle premesse da cui partono entrambi i discorsi sono assolutamente veri, è vero che i francesi ci hanno traditi, ed è vero che Napoleone III ha fatto quello che ha fatto perché non poteva fare altrimenti, per evitare danni economici e politici alla Francia quindi ha fatto l’interesse della Francia.

È per questo che è pressoché impossibile la composizione di una lite, perché entrambi i contendenti sono assolutamente convinti di avere ragione, e hanno ragione, è vero, hanno assolutamente ragione, e quindi non cederanno mai a meno che uno non faccia un nobile gesto, però è difficile che ceda sapendo di avere ragione, da qui qualche divorzio ogni tanto, perché entrambi hanno ragione. È così che funzionano le cose, è il modo in cui gli umani pensano e ciascuno non può non pensare che quello che pensa lui non sia vero, se no non lo penserebbe, se lo pensa è perché lo pensa vero, e chiunque pensa esattamente così. La cosa più drammatica è che non solo ciò che si pensa è vero, ma anche il suo contrario è vero, per altri motivi ma è vero, a questo punto manca ogni riferimento, e quando si perde ogni riferimento allora non rimane che l’unica cosa che consente di continuare a riflettere su queste cose, a pensarle e a elaborarle.