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23-2-2011

 

Questa sera voglio fare qualche precisazione sulla questione delle istruzioni: comandi che fanno avviare ogni cosa, a partire dalla prima considerazione e cioè che A è uguale ad A, cioè A è A, che equivale a dire “questo è questo”, questa istruzione ponendosi in questo modo dice che se A è A allora esclude che A sia non A, questo deve essere escluso, cioè A non può essere non A, perché questo? Perché sarebbe come dire che l’istruzione, a questo punto, non stabilisce qualche cosa, se dice che A è A stabilisce qualcosa, se dice che A non è A non stabilisce niente, è come dire che questo non è questo, e quindi non stabilendo alcun comando, alcuna istruzione, di fatto non può avviare niente perché non c’è nessuna istruzione. Se c’è un’istruzione allora è necessario che A sia A e cioè che sia esclusa la possibilità che A sia diverso da A, ciò che A non è, o meglio ancora, tutto ciò che non è A, B per esempio non è A, deve essere necessariamente differente da A. Questa identità, che ovviamente come ormai sappiamo non è né un principio ontologico né metafisico ma è solo un comando, stabilendo questo viene stabilito anche che c’è qualche cosa che non è A e viene escluso dalla A, e ciò che non è A, è B, è C, è D cioè qualunque altra cosa. In questo primo comando che dice che A è A, come abbiamo visto, è necessariamente esclusa la possibilità che A sia anche non A, e di conseguenza esiste qualcosa che non è A, ma questo qualcosa che non è A, appunto non è A, ma è un’altra cosa quindi qui abbiamo un primo comando nel quale è implicita l’esistenza del secondo, e cioè che esiste qualche altra cosa oltre ad A; questa altra cosa naturalmente deve essere identica a sé, per esempio B deve essere B ovviamente, questo è importante perché ci fa intendere come sia possibile nel linguaggio che venga esclusa la possibilità della contraddizione, come dicevamo prima, se si desse la possibilità di A e non A allora questo comando non sarebbe un comando, non sarebbe niente, una volta stabilito questo, e cioè che un elemento è se stesso e che un altro elemento è se stesso anche lui, ma altro dal primo, c’è un passo, un passaggio che a questo punto appare inevitabile e cioè che se un elemento è se stesso non può essere altro, che equivale a dire che se A è uguale ad A allora A non è uguale a B, questa è la implicazione che interviene a questo punto, che dice semplicemente che se un elemento è se stesso allora non è altro da sé, questa è l’implicazione base da cui si parte, come dire che se A è identico ad A è impossibile che A sia anche differente da sé. Questo si formula generalmente sotto forma di inferenza cioè (se A allora non (non A)), questa istruzione, questo comando che è implicito nel primo è quello che consente di incominciare a mettere in relazione le cose fra loro e cioè connettere una identità con l’impossibilità della differenza, sempre da sé ovviamente, come dire che se A è uguale ad A allora non è possibile che A sia differente da sé. Tutto ciò, come dicevo, sorge dal primo comando che è quello che riguarda l’identità e cioè l’asserzione del “questo è questo”, e se questo è questo allora è escluso che sia altro. Nel primo comando che viene fornito nel momento in cui il linguaggio si avvia ci sono di fatto all’interno di una unica istruzione che è “questo è questo” altre due istruzioni che seguono necessariamente, non perché ci sia un ragionamento ovviamente ma per il semplice fatto che affermando “questo è questo” si stabilisce in quel preciso istante anche l’esistenza, nel momento in cui si dice “questo è questo” avviene quel fenomeno che dopo prenderà il nome di esistenza, e se qualcosa incomincia a esistere, come di fatto accade, allora da quel momento in poi ogni asserzione avrà questa forma, cioè “questo è questo”, che continuerà a ripetersi all’infinito, e si ripete all’infinito perché è l’unica istruzione che il linguaggio fornisce, non ce ne sono altre, c’è un’istruzione che comporta che se A, un elemento, è se stesso, non può essere differente da sé e questa è la base, e in questo c’è anche la possibilità di inferire: se questo è se stesso allora non può essere un’altra cosa …

Intervento: quindi da per implicito che ci siano altri elementi però finché non c’è l’identità per questi altri elementi …

Non c’è niente, nel momento in cui c’è la prima identità, il “questo è questo”, cioè la prima esistenza, naturalmente l’addestramento al linguaggio non si arresta lì, intervengono altre informazioni …

Intervento: mi scusi, perché se non avesse implicito in questa istruzione, questo comando che comunque questa identità da per scontato che essendo A = A non è non A e quindi stabilisce sì l’identità ma dicendo non è non A in questa implicazione questa non A esiste in qualche modo ma è da identificare, quello che voglio dire è che se fosse questa prima implicazione, la tautologia “se A allora A” non avesse all’interno di sé la relazione comunque con possibili altri elementi ecco che allora che cosa identificherebbe? Solo una identità? Ma non avrebbe la possibilità di dare altro, costruire altro insomma, la relazione con altro …

Vi faccio un esempio: supponiamo il solito bambino in braccio alla mamma, la mamma incomincia a dirgli indicando se stessa “questa è la mamma” che è una forma del “questo è questo” in quel momento che cosa avviene? Avviene un’identificazione, un’identificazione attraverso delle parole, questa identificazione fa esistere ciò che in quel momento viene indicato perché prima non esiste, occorre che ci sia questa possibilità di identificare quella cosa come mamma e da quel momento esiste. Ora lasciamo stare tutte le stupidaggini psicologiche che dicono che anche prima del linguaggio c’è un’identificazione, tanto non lo sapremo mai quindi è inutile stare lì, ma resta il fatto che nel momento in cui si incomincia a identificare attraverso il linguaggio qualcosa, questo qualcosa esiste e cioè si trova in quella posizione che dopo verrà annotata come esistenza, dopo, adesso non c’è niente, dicendo questa è la mamma si fornisce questa indicazione e cioè “questo è questo” ora cosa succede in quel momento? Che quando identifica un quid come la mamma tutto ciò che non è la mamma diventa non mamma, è un’altra cosa, questo per esempio può essere frutto di un addestramento “questa è la mamma” “questo è il fratellino” etc. ecco che individuando degli elementi il linguaggio incomincia a costruire delle identità dei “questo è questo” ciascuna cosa “questo è Cesare” ecco “questo è questo” come dire che le cose incominciano a esistere nella parola e per la parola, perché è la parola che identifica qualche cosa e quindi identificandolo, adesso usiamo un modo di descrivere un po’ rozzo, ma lo fa uscire da una cosa amorfa, dove nulla è distinguibile di fatto, è la parola che fa stagliare un qualche cosa dal nulla praticamente, e qui ecco che si avvia l’esistenza di qualche cosa: dire “questo è questo” e dire l’esistenza è la stessa cosa, perché di fronte a questo primo “questo è questo” non c’è nessuna possibilità di articolare un pensiero critico rispetto a una cosa del genere, non c’è niente, semplicemente “questo è questo”, e non è neanche una verità ma è ciò che dopo si chiamerà esistenza delle cose o la realtà, quello che vi pare. Le cose incominciano esistere perché il linguaggio si è installato e installandosi il linguaggio si avvia la possibilità di identificare le cose e cioè di fare funzionare il “questo è questo” che è stato già introdotto nel momento in cui è stato mostrato qualcosa, perché per gli umani spesso avviene così, attraverso il mostrare le cose, non è necessario in realtà perché per esempio una macchina potrebbe acquisire e acquisisce informazioni senza che nessuno gliele mostri, però noi atteniamoci agli umani per il momento, essendo gli umani orientati visivamente per lo più, avviene attraverso la vista e quindi dicevo, le cose incominciano a esistere: ogni cosa che viene mano a mano identificata è una cosa che esiste, non c’è nessuna possibilità di mettere in discussione una cosa del genere, però incominciano ad avvenire anche dei fenomeni, quand’è che il linguaggio incomincia a costruire delle sequenze, delle proposizioni in cui c’è un giudizio, per esempio, una valutazione anche molto semplice ovviamente? Tecnicamente è già possibile nel momento in cui si afferma la prima istruzione, per esempio cosa accade quando la mamma, dico la mamma perché è in genere lei che si occupa di queste cose, che ha detto “io sono la mamma” quindi qualcosa ha incominciato a esistere identificandosi, la mamma scompare per qualche motivo, può darsi che non succeda assolutamente niente ovviamente però c’è anche la possibilità che grazie a questa prima istruzione che ha identificato qualche cosa, questo qualche cosa incomincia a partecipare di altre possibilità, per esempio la mamma c’è ma poi non c’è più, perché si accorge che non c’è più? Per via del fatto che l’ha identificata e quindi sa che cosa non c’è più, che è fondamentale, è come dire che a quel punto sa che cosa deve cercare, se non c’è. Incominciano qui a intervenire delle prime cose molto semplici ovviamente, per esempio il fatto che la mamma sia presente può comportare il mangiare, e quindi qualcosa di piacevole a cui viene associata per esempio la presenza della mamma, ora all’assenza della mamma viene associata l’assenza anche di cibo o la possibilità dell’assenza di cibo? È improbabile che in quelle condizioni possa venire associata una cosa del genere, forse da questa via non andiamo molto lontani, però se nella prima istruzione è presente la possibilità o meglio la necessità che un elemento sia se stesso e quindi non sia altro allora questo fatto, che non sia altro, comporta effettivamente, come diceva Beatrice, che qualche altra cosa possa darsi, come dire “apro una possibilità” poi che ci sia o no questa è un’altra questione, però apre la possibilità. Sarebbe interessante qui intendere come il linguaggio incominci a costruire delle proposizioni, delle sequenze, cosa che non abbiamo mai fatto in realtà, abbiamo soltanto detto che quella è la condizione per la costruzione di proposizioni, che è vero, ma come avviene una cosa del genere? È Turing a metterci sulla strada giusta per rispondere a questa domanda, è vero che la prima istruzione è quella che dà l’avvio a tutto quanto, ma dopo questa prima istruzione e sul modello di questa prima istruzione si incominciano a fornire altre istruzioni, e cioè si incominciano a fornire, come direbbe Wittgenstein, dei modelli d’uso e cioè si incomincia a insegnare a parlare e cioè qual è l’uso dei vari elementi, dei vari termini. Naturalmente ciascuna di queste nuove istruzioni, che non sono necessarie perché possono variare, possono essere di qualunque tipo a seconda di infinite variabili, ma ciò che non varia mai è il modello che abbiamo stabilito, cioè “questo è questo” “A = A” “A è A”, qualunque istruzione che si darà in seguito, dovrà necessariamente avere questa struttura, non può avere una struttura differente se no non è un’istruzione, quindi fornendo alla macchina o al bambino delle nuove istruzioni è come se gli si mostrasse in che modo questa prima istruzione può funzionare, in che modo può costruire altre informazioni, così come si addestra una macchina, fornendo altre istruzioni oltre a quelle base che la fanno girare, si illustra, si mostra alla macchina in quanti modi può essere utilizzata l’informazione di base, però ogni istruzione comunque sarà una istruzione di base, con aggiunta di qualche variante, per esempio non sarà più A è A ma A1 è A1, A2 è A2, etc. cioè tutte le possibili varianti. Queste istruzioni che vengono mano a mano inserite costituiscono la possibilità di ampliarsi a loro volta tecnicamente all’infinito. Un’altra cosa che è possibile considerare è come si costruisca una fantasia o che cosa la costruisce. Avevamo detto che queste istruzioni vengono fornite da qualcuno e quindi rimane la necessità in un certo senso che sia sempre qualcuno a fornire istruzioni, come se la persona da sé non fosse in grado di fornirsele e in effetti questa è la fantasia, e cioè che ci sia la necessità di qualcuno o qualcosa che continui a fornire istruzioni, anche perché in fondo per tutta l’esistenza viene mantenuta sempre, ma perché? Perché ogni nuova istruzione deve essere ed è sempre comunque raffrontata alla prima istruzione, che è il “questo è questo”, quindi quando arriva una nuova istruzione questa nuova istruzione non necessariamente può esibire tutta la catena che l’ha costruita, e quindi si pone, per potere accoglierla come tale, deve in qualche modo soddisfare le istruzioni di base e cioè potere affermare “questo è questo”, qualunque cosa sia: ma questo è davvero questo? A un certo punto di complessità la cosa può non essere così evidente, però la domanda è sempre questa, e tutta la ricerca degli umani da quando esistono è mossa dalla necessità di comparare ciò che incontrano, ciò che costruiscono mano a mano con l’istruzione fondamentale, se no non avrebbero nessun motivo di cercare niente, di sapere se le cose sono vere o non sono vere, non gliene importerebbe nulla, non si porrebbe neanche la questione e invece come sappiamo bene da quando esistono non fanno altro che cercare la verità e cioè vedere se una certa conclusione collima, risponde o rende conto dell’istruzione fondamentale, e cioè se “questo è davvero questo”. Per questo dicevamo che gli umani per tutta la loro esistenza non fanno nient’altro che affermare qualcosa, lo affermano o per stabilire che questo è questo oppure sono in attesa di potere affermare “questo è questo”, comparandolo con altre cose che hanno acquisite, naturalmente muovendo dall’idea che sia sempre qualcun altro o qualche cos’altro a stabilire una cosa del genere, e da lì sorgono le fantasie e cioè l’idea che la verifica ultima, l’ultimo “questo è questo” che stabilisce tutto non spetti a loro ma a qualche cos’altro per esempio a dio, alla natura o a un accidenti qualunque, come dire che ogni cosa è vera in attesa di essere verificata, cioè qualunque cosa è un’ipotesi, qualunque certezza affermata dalla fisica, dalla scienza, dalla filosofia, di fatto è un’ipotesi in attesa di essere verificata. Ciò che è accaduto in questi ultimi tre mila anni mostra che questa verifica non solo non è mai stata fatta ma non si può fare perché trovare quell’elemento fuori dal linguaggio che verifichi tutto comporta un paradosso, comporta una situazione irrisolvibile, perché se è fuori dal linguaggio o meglio se si cerca questo elemento che deve verificare tutto il sapere degli umani al di fuori del linguaggio, se è fuori dal linguaggio non può fare niente. A questo punto si sappiamo perché gli umani cercano sempre qualcosa, e anche perché si costruisce una fantasia, perché procede dall’idea che debba essere qualche cosa che è fuori dal linguaggio a giustificare tutta la catena, ma come si costruisce? Si costruisce a partire naturalmente dalle prime istruzioni, si costruisce come qualunque cosa, qualunque teoria è costruita come una fantasia e cioè si muove da un asserto che non può essere provato ma che si usa comunque come se fosse un’istruzione, il problema è che non sapendo o meglio non potendo pensare che sia un’istruzione, un gioco, ma immaginando che sia un fondamento, rimane sempre in attesa di essere verificato, non potendo essere verificato in nessun modo allora si crea quella forma retorica nota come entimema, e cioè un sillogismo dove la premessa maggiore non c’è e bell’e fatto. Questa premessa non c’è perché non è verificabile in nessun modo, in fondo Wittgenstein diceva che la dimostrazione dimostra in realtà soltanto che abbiamo svolto il gioco correttamente, ma non è possibile dimostrare la dimostrazione perché si piomba in una regressio ad infinitum che non ha nessuna soluzione, e quindi la scienza stessa se dovesse non soltanto costruire delle conclusioni, dei teoremi che devono essere validi, ma se dovesse anche dimostrare la validità della dimostrazione, la scienza stessa risulterebbe non scientifica. Se dessimo come definizione di scienza questa, e cioè un percorso che deve non soltanto costruire conclusioni e dimostrarle vere ma dimostrare anche la validità della dimostrazione che ha consentito la costruzione di quelle conclusioni, cosa che può fare, direi non lo può fare per definizione, allora la scienza non è scientifica, non può provare niente al di fuori del gioco che si è inventata. Ma tutte le teorie, senza accorgersene ovviamente, sono costruite come dei giochi cioè si danno delle regole ma che non sono considerate delle regole, non sono pensate come delle regole per giocare, per l’antica ambizione degli umani di trovare il fondamento, naturalmente fuori dal linguaggio, e che non troveranno mai in nessun modo e per nessun motivo, però la tecnica è sempre la stessa, che sia la costruzione di una fantasia, di una teoria anche la più sofisticata comunque è quella: si parte da qualche cosa che è una regola per giocare, stabilito questo ci si attiene alla regola e si costruisce tutto quanto così come si fa con una fantasia, solo che la premessa maggiore non c’è nel senso che non può essere verificata e quindi il più delle volte è sottaciuta, e allora ci si rimette all’esperienza, o si dice che si ragiona così perché si ragiona così, ma tutto questo non fa che riprodurre quella informazione da cui scaturisce tutto e cioè “questo è questo” cioè A è A, e la ripete all’infinito. La “maledizione” degli umani è consistita proprio in questo, e cioè nel tentativo disperato da parte anche di persone di una certa intelligenza di dimostrare che A è A, ma non si può fare, Peano come dicevamo la volta scorsa ha aggirato la questione ponendolo come assioma, poi ci ricade come abbiamo visto ma se ci si mette a volere dimostrare questa prima istruzione che pure è stata colta non come istruzione ma come fondamento si gira a vuoto, perché non c’è nessuna possibilità di dimostrare la validità di un’istruzione, perché non è né vera né falsa, è un comando. Se io dicessi: “Eleonora alzati!” quello che ho detto è vero o falso? Non ho nessuna possibilità di stabilire una cosa del genere, è questa la “tragedia” sempre tra virgolette degli umani da quando esistono su cui, come dicevo prima, si sono arrovellate anche menti notevoli per qualche verso ma senza nessuna possibilità di venirne a capo, eppure bastava considerare il funzionamento di una macchina, certo una volta le macchine non c’erano. Il modo in cui si addestra una macchina non è dimostrabile, alla macchina si forniscono delle informazioni che serviranno alla macchina per potere stabilire se una certa cosa, rispetto a certi parametri, è vera o è falsa. È vero che due assi battono due jack? Certo che è vero, una volta che si accolgono le regole del poker è verissimo, ma fuori dal poker, come sappiamo, non significa niente, è dimostrabile che due assi battano due jack? Ecco tutti gli asserti della scienza hanno la stessa forma: due assi battono due jack, sono dimostrabili? No, a meno che non si accolgano le regole del poker, e allora si eseguono delle istruzioni, ma sono soltanto una esecuzione. Di tu adesso Eleonora, che ce ne facciamo di tutto ciò? Troviamogli un utilizzo …

Intervento: nell’ambito teorico a dare un fine alla ricerca della verità …

Anche, quando il linguaggio si installa, da quel momento incominciano a esistere tutte le cose, ma queste cose che incominciano a esistere, grazie al linguaggio ovviamente, alle parole che identificano e che identificando rendono identiche a sé e quindi esistenti le varie cose, che non ci sono prima, costruisce le cose in modo tale che agli umani appare di accorgersi delle cose e sono indotti a pensare che queste cose esistessero anche prima di loro, prima che incominciassero a parlare e sono indotti a fare questo perché chi li addestra al linguaggio gli racconta cose che accadevano prima di lui, a questo punto se si unisce a questa informazione quell’altro inganno per cui è sempre qualcuno o qualcosa che fornisce l’esistenza, la verità delle cose, il gioco è fatto, l’umano è preso in una rete da cui non esce più e infatti non c’è mai uscito, e quindi continua travolto in questa sorta di ingenuo realismo metafisico a credere che la realtà esiste, che le cose ci sono, le vedo e quindi esistono, senza accorgersi nemmeno che questa affermazione è arbitraria cioè in quel momento si stabilisce, si dà una regola: ciò che io vedo chiamo esistenza, chiamo realtà, ma questa è una regola che stabilisco io in quel momento e il fatto che siano cento a stabilirlo, o mille o cento milioni non cambia assolutamente niente; il fatto che ci siano sul pianeta cinque miliardi di persone che credono in un dio non comporta che questo dio debba esistere da qualche parte, accorgersi di questo già sarebbe importante, perché non sto enunciando una verità riguardo alla realtà o all’esistenza delle cose, sto semplicemente imponendo un criterio e cioè un’altra regola del gioco, nient’altro che questo, qualche questione intanto? Eleonora, avevamo detto che dovevi confutare tutto. In effetti non è semplice, perché a questo punto qualunque confutazione deve esibire la validità delle premesse da cui muove e questo potrebbe non essere facile, mentre il discorso che stiamo facendo può esibire la validità delle premesse da cui parte perché le premesse da cui parte sono quelle istruzioni che consentono di costruire qualunque altro discorso, o anche qualunque tentativo di confutazione necessariamente deve muovere da delle premesse che dà per acquisite ovviamente se no non sono premesse, sempre per via delle regole iniziali, cioè del “questo è questo”, che deve essere identico a sé quindi deve essere accertato, identificato, quindi le premesse sono necessarie per questo, perché identificano un elemento e una volta identificato ecco che può asserire qualcosa, può se non altro comparire come istruzione, se no non è un’istruzione, non è niente e non istruisce nulla. Avete presente questo discorso che ogni tanto salta fuori sulla scientificità oppure no della psicanalisi? Una cosa del genere è risibile, è risibile perché è sufficiente modificare la nozione di scientificità e questo lo possiamo fare perché chiunque abbia fornita prima di noi la definizione di scienza, lo ha fatto in modo arbitrario, non può esibire un criterio di validità tale per cui la scienza debba essere necessariamente quello che dice lui. Dunque possiamo utilizzare una definizione di scienza tipo quella che ho proposta prima, tale per cui neppure la scienza risulta essere scientifica, oppure utilizzare come definizione di scienza quel percorso che giunge a delle conclusioni tali per cui l’intero percorso viene modificato dalla conclusione, e allora data questa definizione di scienza che pure è legittima la psicanalisi rientra all’interno di questa definizione di scienza, e quindi è scientifica, basta modificare la definizione, e può sempre farsi perché non c’è nulla al mondo che costringa ad accogliere una definizione di qualche cosa se non per un giudizio prettamente estetico. Cosa dovrebbe fare una definizione? Indicare quali sono le caratteristiche, le proprietà di qualche cosa senza le quali caratteristiche o proprietà questo qualche cosa non c’è, questa è una definizione di definizione più corretta di quelle che trovate sui dizionari, non sempre i dizionari sono attendibili certe volte bisogna inventare delle altre definizioni per renderle più corrette, però a questo punto come faccio a conoscere quali sono le caratteristiche proprie di una certa cosa? Se questa cosa è fuori dal linguaggio, in una sorta di empireo e allora come faccio a conoscerla? O è linguaggio, e allora è stata prodotta dal linguaggio e essendo stata prodotta dal linguaggio la sua esistenza è totalmente arbitraria e quindi torno a dirvi che posso definire come mi pare. Bene, direi che per questa sera abbiamo detto abbastanza.