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22-12-2010

 

La psicanalisi si occupa di parole, ciò con cui si ha a che fare sono le parole, i racconti, nient’altro che questo, per questo motivo molti psicanalisti hanno incominciato a occuparsi della parola, del racconto, appoggiandosi a linguisti o a filosofi, De Saussure per esempio, o a Derrida che si sono trovati a dare conferma in qualche modo a qualcosa che aveva detto Freud più o meno esplicitamente, e cioè che esiste in ciò che si dice qualcosa di non detto. Questa tesi è stata avvalorata come dicevo prima dagli studi di Saussure in particolare, di Derrida dopo di lui e di Lacan, nel senso che hanno reperito nel segno di De Saussure un rinvio continuo, avete presente il famoso segno sussuriano? Lui scrive S barra s, il significato e sotto il significante (….) stavamo dicendo della psicanalisi abbiamo in animo di scrivere in pratica una introduzione alla psicanalisi diversa da quella che scrisse Freud ai suoi tempi e dicevamo che la psicanalisi si occupa di parole in effetti non c’è altro che parole, cosa della quale si sono fatti fautori molti psicanalisti soprattutto negli ultimi anni sorretti da alcune tesi, dicevamo di De Saussure per esempio, De Saussure ha fatto molti studi sulla linguistica, sulla parola, si è accorto che nel segno, che lui indica con una S (grande) su s (piccola) cioè Significato su significante, in realtà questo rapporto che definisce il segno comporta una sorta di paradosso e cioè il fatto che per dire il significato è necessario il significante e cioè l’immagine acustica, cioè il suono che emetto, ma questo significante per potere esistere deve avere un significato, se no non dice niente. Questo problema che ha sollevato De Saussure è stato ripreso qualche anno dopo sia da alcuni filosofi, in particolare Derrida, sia da altri come Lacan, psicanalista francese, e questo problema è rimasto praticamente insoluto, come dire che questa è la tesi non solo di alcuni filosofi ma anche di psicanalisti, e cioè che in ciò che si dice rimane qualcosa di non detto, e cioè questa barra di cui parla De Saussure, questa differenza tra il Significato e il significante non è in nessun modo colmabile perché in nessun modo si potrà dire un significato senza un’immagine acustica cioè senza un significante e in nessun modo un significante potrà esistere senza un significato. Adesso non so se può essere interessante riprendere quello che diceva Derrida della differance, della differenza in francese come sapete si scrive difference e lui invece l’ha scritta differance, ora la questione è che entrambe queste forme hanno in francese la stessa pronuncia, questa ?a’ che lui introduce di fatto non si sente, non c’è, non si dice però fa la differenza. L’idea che esista comunque qualcosa di non detto in ciò che si dice, cosa che già Freud a modo suo aveva avanzata, ha suscitato grande interesse in tutta la psicanalisi, soprattutto francese, dagli anni 60/70 e anche italiana, l’idea che ci sia in ciò che si dice qualcosa di non detto che però è la condizione per potere dire. Questo aspetto si è mantenuto in effetti a causa di una ricerca che risale a molti secoli prima naturalmente, e ha condotto alle considerazioni di Heidegger, anche Heidegger sosteneva che l’essere in fondo è ciò che non si dice, che non si coglie mai se non come un bagliore in una radura, però il fatto che ci sia anche se non può essere in nessun modo colto, determina l’esistenza di qualunque cosa. Se si mantengono certi presupposti cioè certe premesse da cui sono partiti costoro e lo stesso Freud, non è possibile non giungere alle stesse conclusioni, con qualche piccola variante ma le conclusioni sono sempre le stesse e cioè che permane in ciò che si dice qualcosa di non detto, poi ciascuno, e consistono in questo le varianti, ciascuno intende a modo suo il non detto, come inconscio per esempio, o come barra invalicabile o come l’essere, a seconda dei casi, ma quali sono queste premesse comuni in tutti questi discorsi, dalle quali premesse la psicanalisi non si è affrancata? Che la verità non può essere stata trovata, non trovandosi ha lasciato una specie di voragine aperta, incolmabile, e questa voragine ha inghiottito buona parte dei pensatori di fine secolo scorso e li ha persuasi che effettivamente c’è qualcosa che non può in nessun modo dirsi, non può compiersi, è un po’ stato anche lo scacco della fenomenologia a partire da Husserl fino ad Heidegger: Husserl come il senso compiuto di qualche cosa che appare come fenomeno, la cui verità sta nell’essere tutto compreso, cosa che non si verifica, da qui la conclusione per esempio di Derrida che non c’è uscita dal pensiero metafisico e cioè da un pensiero che continua a cercare qualche cosa che non troverà mai, e da qui ancora l’infinitizzazione per esempio in De Saussure ma radicalizzata da Lacan che rovescia il segno di De Saussure mettendo di sopra il significante e sotto il Significato e dicendo che ogni volta che si dice un significante questo significante ha un significato, ma per dire il significato occorre un altro significante il quale avrà un altro significato e così via all’infinito, appunto una sorta di infinitizzazione che poi ha condotto all’elaborazione in Italia negli anni 70/80 di Verdiglione, l’infinitizzazione del racconto, in questo caso dell’analisi che è tale in quanto conduce il racconto, in questo senso seguendo anche contro la sua volontà le tesi di Derrida, un racconto che non finisce mai, cosa che in fondo aveva detto anche Freud in “Analisi terminata e analisi interminabile” e non hanno torto. Il racconto è infinito ma non come vogliono tutti costoro, a trecento e sessanta gradi, è infinito in una direzione e cioè nella produzione di catene, sequenze narrative e argomentative, ciò che non può in nessun modo essere infinitizzato è invece ciò che riguarda più propriamente la condizione del discorso e qui si apre la questione che ci riguarda più propriamente, vale a dire l’affrontare in termini più radicali e definitivi ciò che altri hanno fatto parzialmente e in questo si sono attenuti alla metafisica considerando il linguaggio come una sorta di entità, per dirla con una formula paradossale, extralinguistica. Ci si è molto interrogati sul linguaggio ovviamente ma non sulle sue condizioni e vale a dire su come funziona effettivamente, dando il funzionamento del linguaggio come qualcosa di acquisito, di scontato, questo ha portato tutta l’interrogazione direi addirittura dal Cratilo di Platone fino a oggi a girare a vuoto, girare a vuoto nel senso che si è sempre immaginato che il linguaggio fosse uno strumento direttamente o indirettamente capace o incapace di descrivere ciò che descrive fino al punto in cui non avendo nessuna possibilità di arrestare la ricerca intorno alle cose ci si è resi conto che non c’era nessuna verità, da nessuna parte, ogni cosa una volta infinitizzata diventa impraticabile, diventa ingestibile, qualunque cosa, ma non ci si è accorti che invece la cosa che non poteva essere modificata né cambiata era quella cosa che consentiva di fare tutte queste considerazioni. Prendete per esempio De Saussure nel suo “Corso di Linguistica Generale”, nelle sue interrogazioni e considerazioni anche molto acute, molto attente, non considera mai che è proprio ciò di cui si sta occupando a consentirgli di fare quelle considerazioni, questo non lo prende mai in considerazione così come non lo fa Derrida, così come non lo fa Lacan, così come non lo fa nessuno, e non prendendo in considerazione questo e cioè il fatto che ciò che mi consente di compiere qualunque tipo di considerazione è il linguaggio, si giunge inesorabilmente alle stesse conclusioni e cioè che permane sempre in qualunque ricerca qualcosa cui non si può accedere, qualcosa che rimane non detto nello stesso dire e anzi per molti questo qualcosa che non può dirsi continua a costruire il dire, è la condizione per potere continuare a dire all’infinito. Il problema è che nulla ciò che queste considerazioni hanno prodotto può essere sostenuto, noi possiamo anche dire che, con Derrida per esempio, che il significante può soltanto esistere a condizione che ci sia il significato e che il significato esiste solo se c’è qualcuno che lo dice, la domanda a questo punto è una sola: come lo so? In base a che cosa io faccio questa affermazione? Cioè che cosa mi consente di giungere a questa conclusione che afferma che per dire un significato occorre un significante? Sta qui la posizione metafisica perché se non interrogo questo, non mi chiedo come lo so, do per scontata una cosa del genere cioè che esista da qualche parte una cosa che è il significato e che esista da un’altra parte una cosa che è il significante, e allora date queste premesse non riuscirò mai a farli concordare per così dire, perché sono sempre preso in questa sorta di paradosso da cui la psicanalisi stessa non è uscita con tutto ciò che ne segue naturalmente; ciò che ne segue, nel caso della psicanalisi è la sua tecnica. Vi dicevo che c’è un modo per uscire da questa difficoltà e non è vero che c’è qualche cosa di non detto in ciò che si dice, è falso, anche perché di nuovo qui io potrei riproporre la stessa domanda e cioè: come lo so che esiste in ciò che dico qualche cosa che non si dice? Da dove viene questo sapere? Naturalmente non c’è nessuna possibile risposta a questa domanda però torno a dirvi che se si parte da questa premessa e cioè la supposizione che esista un significato da qualche parte e da un’altra il significante, se parto da questa premessa è inevitabile la conclusione cui si giunge, e cioè a dovere affermare che esiste una voragine, una sorta di buco nero che però appare essere la condizione di tutto, su questo si è arenata la filosofia in buona parte e anche il pensiero psicanalitico. Certo Freud non è andato così lontano in ambito filosofico, semplicemente si è accorto che cercando la motivazione, per esempio, di certi atti, di certi gesti, di certe sequenze a un certo punto si giunge a qualche cosa che si infinitezza, tanto che a proposito dei sogni parla di ombelico del sogno appunto, un’altra sorta di buco nero che non è riempibile che non si sa che cosa sia però c’è, di nuovo torno a dire: come lo so, che c’è? La portata dell’elaborazione che abbiamo compiuta in questi anni costituisce la risposta a tutte queste domande, una risposta straordinariamente semplice come abbiamo detto in varie occasioni, e cioè abbiamo preso seriamente la questione del linguaggio non più come una sorta di entità metafisica che permane come entità metafisica pure in elaborazioni teoriche che vorrebbero non esserlo, e permane come entità metafisica perché non è interrogata fino alle estreme conseguenze, cosa significa interrogato fino alle estreme conseguenze? Chiedere conto di qualche cosa, di mostrare il suo fondamento, di mostrare da dove viene, rispondere alla domanda: come lo so? Altri sicuramente hanno aperta questa via, come Wittgenstein per esempio, però anche in questo caso ci si è fermati troppo in fretta, però già seguendo Wittgenstein abbiamo considerato un aspetto importante e cioè che di fatto cercando di provare qualcosa, di mostrare la verità di qualcosa, non si fa nient’altro che attenersi ai criteri della sua verifica, è questo che dice, ora chi fornisce questi criteri di verifica? Da dove arrivano? Certo ciascuno si è inventato i suoi ma in questo inventare criteri di verifica, dal verificazionismo wittgensteiniano fino al falsificazionismo popperiano e quant’altro, tutti questi criteri per quanto apparentemente e anche poi di fatto differenti fra loro, si attengono comunque a qualcosa alla quale non possono non attenersi in nessun modo, per esempio non possono affermare una cosa e il suo contrario simultaneamente. L’altra cosa che in nessun modo può essere infranta è che ciascun elemento utilizzato deve potere essere riconosciuto e identificato all’interno di un certo gioco. Queste semplici istruzioni non possono essere messe in discussione né infrante in nessun caso, questo lo abbiamo rilevato molto semplicemente proprio considerando il funzionamento del linguaggio, il modo in cui funziona, e anche il modo in cui si arresta, per esempio se un elemento non è identificato ma significa simultaneamente tutti gli altri il linguaggio si arresta. È vero, certo, che una parola, come diceva già De Saussure, per essere tale deve rinviare sempre ad altre parole, ma ciascuna di queste deve essere individuata proprio per questo rinvio cioè deve essere differente da tutte le altre. Sono considerazioni molto semplici che tuttavia mettono in evidenza un aspetto importante e cioè delle istanze che in nessun modo possono essere violate, quindi per costruire un qualunque criterio verificazionista, falsificazionista o quello che vi pare, comunque deve essere utilizzato questo sistema e in nessun modo nessuno di questi criteri deve violare queste regole, queste istruzioni, esistono altre istruzioni sotto queste istruzioni? Questa è una domanda legittima però la risposta a questa domanda ci è impedita nel senso che per riflettere su queste cose comunque dovremmo utilizzare queste istanze, cioè un elemento deve essere identico a sé necessariamente e ciò che traggo non può contraddire ciò da cui sono partito, che è poi il concetto di coerenza di Kant. Molti si sono interrogati su questi aspetti però non sono mai stati posti nei termini radicali e decisivi e porli in questi termini ha degli effetti perché porta a considerare di che cosa è fatto qualunque criterio e cioè quali sono le regole, le istruzioni che fanno funzionare il pensiero e quindi la parola. Ciò che è necessario perché gli umani pensino e cioè perché costruiscano quelle cose che Freud ha individuato come fantasie, delle quali cose gli umani in definitiva vivono, sono sequenze, sequenze narrative e argomentative che hanno delle particolarità, queste sequenze devono concludere sempre con un’affermazione che risulti vera all’interno del discorso naturalmente, cioè cosa vuole dire che è vera? Che non contraddice le premesse da cui è partita e ciascun elemento deve essere identico a sé, a questo punto, posta la questione in questi termini e cioè ponendo il linguaggio come nient’altro che delle istruzioni per costruire proposizioni quindi discorsi, quindi storie eccetera, a questo punto non c’è più nulla di non detto, non c’è più questo baratro, questo abisso di cui tanto si è parlato nei secoli scorsi perché a questo punto la verità si mostra essere nient’altro che un indicatore: in base a ciò che abbiamo appena detto se il linguaggio consente di procedere in una certa direzione allora chiama quella direzione vera, se non contraddice la premessa, se la contraddice la chiama falsa e bell’e fatto. Questo per incominciare a dare un supporto teorico preciso a una teoria o più propriamente alla psicanalisi che non sia più fondata sull’osservazione, osservazione che non ha prodotto grandi risultati, ma su qualcosa di necessario cioè che non può non essere, riflettendo semplicemente su ciò che rappresenta la condizione di qualunque cosa e cioè che esista il linguaggio e cioè che esistano delle istruzioni per costruire proposizioni che per esempio indicano una certa cosa, che parlano dell’esistenza di qualcosa, che affermano o negano, che fanno tutto quello che fanno. Questo per riprendere per sommi capi quello che abbiamo detto nel corso di questi anni e che costituisce il fondamento, cioè il linguaggio, a questo punto non è più ovviamente uno strumento per descrivere qualche cosa, il linguaggio non è altro che questa sequenza di istruzioni molto semplici: ciascun elemento occorre che sia identico a sé, ciò che si conclude non deve contraddire le premesse e se qualcosa si conclude è perché c’è un sistema inferenziale, qualcosa che consente di passare da un elemento a un altro. Questa posizione che abbiamo acquisita in questi anni ha consentito di costruire un pensiero che è il più potente che sia mai stato pensato perché non necessita per costruirsi e mantenersi di nient’altro che di sé stesso, è questo il problema di tutta la metafisica cioè il dovere trovare qualche cosa che garantisca ciò che si afferma, ciò che si dice, e di lì naturalmente, in questa ricerca, ci si è trovati di fronte all’abisso, ai paradossi, alle contraddizioni di ogni sorta perché cercare qualche cosa che garantisca il linguaggio fuori dal linguaggio, è la formulazione stessa del paradosso: fuori dal linguaggio non si può trovare niente perché fuori dal linguaggio non c’è la possibilità di costruire proposizioni quindi di pensare e per questo possiamo tranquillamente affermare che fuori dal linguaggio non esiste niente, dal momento che il concetto stesso di esistenza è un concetto linguistico ovviamente, se è un concetto è linguistico. Stiamo dicendo che la posizione che abbiamo raggiunta in questi anni ci consente di affermare le cose con assoluta certezza, queste istruzioni che fanno funzionare il linguaggio essendo istruzioni, come abbiamo detto varie volte, di per sé non sono né vere né false ovviamente, sono istruzioni e un’istruzione è un comando, sono queste istruzioni che consentono di costruire proposizioni e a questo punto consentono di costruire argomentazioni sul vero e sul falso ma prima di queste istruzioni non c’è né può esserci niente, assolutamente niente, questo niente però non è la voragine, l’abisso, o il non detto di cui si parlava prima perché questo non detto che si mantiene all’interno del dire, questo niente sarebbe il fuori dal linguaggio cioè qualcosa che non è in nessun modo pensabile. Certo il mio discorso può costruire un’argomentazione che parla di questo niente, di questo fuori dal linguaggio, la questione è che non può provarne l’esistenza in nessun modo, cioè il linguaggio non può provare l’esistenza di qualcosa che non sia linguaggio in nessun modo, cioè non può pensarlo letteralmente, dire che non c’è è un eufemismo, è qualcosa di più radicale …

Intervento: il non detto sarebbe vicino al rimosso e quindi non è fuori dal linguaggio …

Il rimosso no, ma l’inconscio nel quale Freud mette anche il rimosso è qualche cosa che sì, si è tentato di inserirlo all’interno del linguaggio però permane comunque non potendo considerare la questione in termini radicali cioè come una produzione del linguaggio, ché sta qui la questione, rimane fuori come se non fosse prodotto del linguaggio, perché se fosse prodotto del linguaggio avrebbe la stessa struttura del linguaggio, il fatto di chiamarlo indicibile non avrebbe nessun senso. Intervento: il non detto è qualche cosa che non si riesce a dire o che comunque diciamo …

Che non si riesca a dire è ancora un’altra questione …

Intervento: però c’è molta vicinanza il non detto si riferirebbe alla fantasia, a ciò che in qualche modo pilota il dire …

In questo caso è qualche cosa di più, almeno nella teorizzazione di Lacan per esempio, è qualcosa che non è possibile dire in nessun modo, che rimane comunque sempre non detto in ciò che si dice, comunque e sempre …

Intervento: sì questo è l’inconscio detta in questo modo …

Esatto, se si mantengono quelle premesse le conclusioni porteranno inesorabilmente sempre lì e cioè allo stabilire, l’istituire un non detto, un non detto che ha tutte le prerogative del metafisico cioè di qualcosa che è sempre da cercare e non si troverà mai …

Intervento: è un po’ la differenza che fanno i lacaniani fra enunciato e enunciazione …

Esattamente, l’enunciazione non coprirà mai l’enunciato e viceversa, la questione del significante e del significato, la struttura è sempre esattamente la stessa, se invece qualunque cosa non può in nessun modo non essere prodotta da queste istruzioni cioè dal linguaggio a questo punto immaginare un buco vuoto, un abisso, un accidente del genere all’interno del dire non ha più nessun senso, né si pone …

Intervento: si torna sempre alla magia …

Sì, perché sorge la magia? Perché da voce a qualche cosa che non si conosce, se lo si conosce non è più magia, se io premo l’interruttore e si accende la luce non è che ogni volta sono sorpreso dalla magia, no perché so cosa succede, se non lo sapessi…

Intervento: il miracolo, qualcosa è miracoloso fino a quando non sai come funziona …

Esattamente, se invece si sa esattamente come funziona e non si può non saperlo ecco che accade qualcosa che non è più magico ma riguarda una consapevolezza totale delle proprie fantasie, da dove vengono, come si costruiscono e anche del perché queste fantasie hanno tanto potere, per esempio, di attrazione nei confronti di una persona. Queste fantasie rappresentano delle verità, rappresentano delle premesse, schematicamente sono delle premesse maggiori di un discorso, di una storia, di una narrazione e non si abbandonano perché sono quelle che consentono ogni volta di ripetere questo discorso, questa storia, questa narrazione e gli umani non abbandonano ciò che consente loro di parlare, di pensare, non lo possono fare. Questa operazione potremmo dire di attenzione nei confronti del linguaggio e soprattutto della sua struttura ci ha consentito di uscire da questa che Sandro chiamava giustamente magia, cioè non è più necessaria, non serve più a niente con tutto ciò che questo comporta ovviamente, vale a dire cessare di credere o di pensare in termini metafisici che non sono interessanti nella misura in cui lasciano sempre come premessa maggiore qualcosa che non può essere verificato, qualcosa appunto di magico e quindi tutta la ricerca della verità se si parte da una premessa che è magica già parte malissimo, non troverà mai niente …

Intervento: l’idea è sempre di cercare qualcosa che muove tutto il resto …

Il motore immoto certo, l’iperuranio di Platone, una questione antichissima sulla quale gli umani si sono scervellati da sempre senza poterne uscire perché se si mantengono queste premesse e cioè se non si considera che tutto ciò che si sta dicendo, pensando eccetera è prodotto da questa struttura non se ne viene fuori in nessun modo. Le premesse da cui siamo partiti in questi anni per impiantarvi sopra una psicanalisi non dipendono più dalla magia, partendo dalla magia la psicanalisi effettivamente non può dire perché accadono dei fenomeni per cui la persona a un certo punto si trova a prendere un’altra direzione, non lo sa dire, da qui tutte le accuse negli anni passati alla psicanalisi di non essere scientifica, cioè produce degli effetti che non sono né riproducibili né provabili, ma se si abbandona la magia e si incomincia a pensare in altri termini allora la psicanalisi ha la possibilità anzi, ha la certezza di diventare l’unica scienza possibile e praticabile. Anche la scienza muove da presupposti il più delle volte infondabili, fondati sull’esperienza, l’esperienza non è che sia un granché come fondamento, o sul calcolo numerico che non è altro che uno dei possibili giochi linguistici, partire invece dalla struttura stessa che consente tutte queste …

Intervento: si potrebbe però rivalutare il termine esperienza …

Sì, volendo si può qualunque cosa …

Intervento: stavo pensando a questo passaggio che solitamente la scienza ha contribuito a fare di modo che alcune cose che apparivano magiche non lo appaiano più, questo grazie all’esperienza quindi si tratta in qualche modo di riproporre questo passaggio, lo stesso passaggio, il termine esperienza può intervenire con un’altra valenza …

Certo, si può riprendere in altri termini …

Intervento: di modo che ciò che appare magico in termini proprio di produzione di quello che è il linguaggio le fantasie eccetera che invece non è assolutamente magico ma ha una “sua” razionalità nel senso che è spiegabile, se vogliamo anche dimostrabile e questo è un po’ il carattere dell’esperienza, la rivalutiamo l’esperienza, l’esperienza non è altro che un procedimento inferenziale per cui possiamo benissimo utilizzare questo termine che forse retoricamente ha la sua validità …

Sì, l’esperienza, la conoscenza, l’esempio che facevo prima della luce che accendo e che non stupisce più …

Intervento: un bambino se vede la luce dice che è una cosa magica poi gli si spiega che c’è un interruttore e la cosa assume tutta un’altra veste …

Questo che dice Sandro è importante, può essere una via da praticare …

Intervento: è un altro modo di affrontare tutta la questione proprio scientifica perché è come dire “perché la psicanalisi non è mai diventata scienza anche se ha sempre cercato di farsi legittimare?” perché in fondo non è riuscita mai a dimostrare che schiacciando un interruttore appariva la luce invece ha sempre pensato che questa luce fosse determinata dalla magia …