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22-7-2009

 

Occorrerà tenere conto nelle prossime conferenze delle obiezioni …

Intervento: la settimana scorsa dicevo che da qualche parte occorre cominciare mi riferivo ai bambini, all’educazione “non ti avvicinare lì perché se no ….” ma nel momento in cui subentra il linguaggio … quali indicazioni dare al bambino?

Ci sono due aspetti riguardo a ciò che lei ha posto, uno riguarda come educare per esempio i giovanissimi all’uso del linguaggio o, più propriamente, alla pratica del linguaggio, l’altro riguarda invece come intervenire là dove il sistema comune di educazione è già intervenuto e cioè i ragazzi più adulti, o gli uomini: come educare? Porre una questione del genere nella nostra società è molto complicato: se la persona decidesse di educare il figlio alla pratica del linguaggio dovrebbe comunque tenere conto che tutto ciò che questo figlio acquisirà, ascolterà e penserà andrà in tutt’altra direzione e di questo occorre tenere conto, detto questo ciò che occorre fare non è molto differente da ciò che si fa in una pratica analitica, cioè in una psicanalisi; le informazioni che occorre inserire in questo caso nel bimbetto hanno a che fare con il porre l’accento ciascuna volta sul fatto che qualunque gioco in cui si trovi, innanzi tutto è un gioco e, in particolare, è un gioco linguistico, quindi incominciare a mostrargli come funziona un gioco linguistico, un gioco linguistico che può essere quello delle palline fino a un sistema di economia mondiale, sono sempre giochi comunque, il secondo un po’ più complesso del primo ma sempre giochi sono e quindi la cosa fondamentale è mostrare immediatamente non soltanto che qualunque cosa è necessariamente un gioco ma a fianco questo, perché non può essere prima ma a fianco: come funziona un gioco e vale a dire in definitiva come funziona il linguaggio, cioè quella cosa che gli consente di costruire, di pensare qualunque gioco, appunto da quello delle palline a sistemi molto più complicati, più complessi, e non è come dicevo prima molto differente da quello che si fa in una psicanalisi. Qui entriamo nel secondo versante della questione che avevo posta e cioè come intervenire con gli adulti, mostrare che comunque ciò che va facendo, ciò che va dicendo, ciò che va pensando non è altro che un gioco, un gioco linguistico, questo non significa né sminuire ciò che va facendo né dargli eccessiva importanza semplicemente valutarlo per quello che è nient’altro che questo. Certo non basta crederci per un atto di fede ma occorre mostrare perché è un atto linguistico e di che cosa è fatto un atto linguistico, in altri termini ancora mostrare che gli umani essendo gli unici esseri abitanti del pianeta provvisti di linguaggio, sono gli unici che possono pensare, possono progettare, possono pensare il futuro, il passato, possono decidere delle cose, tutte queste cose che possono fare, indipendentemente dal fatto che le facciano oppure no, dipendono dalla struttura di cui sono fatti che è appunto il linguaggio, propriamente occorre mostrare che il linguaggio non è una cosa così strana o curiosa, il linguaggio non è nient’altro che quella struttura che consente agli umani di pensare, di pensare qualunque cosa perché come sappiamo per pensare occorre muovere da una premessa cioè considerare quella premessa vera e attraverso dei passaggi giungere a una conclusione, cioè una decisione. Questa operazione è consentita da quella struttura che chiamiamo linguaggio, se non parlassimo in effetti così come abbiamo detto tantissime volte tutti i problemi che si pongono gli umani non esisterebbero, non sarebbero mai esistiti non esisterebbe neanche la fame, la carestia, non esisterebbe il dolore per il semplice fatto che non ci sarebbe nessuno per il quale questa cosa sarebbe dolore, sarebbe impensabile e quindi a questo punto chiedersi se esisterebbe lo stesso il dolore non significa assolutamente niente, questa è una cosa che per quanto così semplice appare tuttavia straordinariamente complessa da intendere e questo proprio per via dell’educazione, dell’educazione che si riceve fino dai primi vagiti, educazione che costringe a pensare che esista per esempio una realtà al di fuori del pensiero, del linguaggio, e questa realtà è costrittiva e che le cose hanno un’esistenza di per sé, tutte affermazioni che naturalmente non vengono mai provate, non vengono mai provate perché nessuno è in condizione di farlo naturalmente, semplicemente si costruisce una superstizione sulla quale superstizione gli umani costruiscono la loro esistenza, e una superstizione come sappiamo perfettamente non è altro che un sillogismo dove la premessa maggiore cioè quella che dovrebbe sostenere e garantire il tutto non c’è, non c’è ma viene data per implicita e non c’è perché naturalmente non può essere dimostrata in nessun modo. Come dicevamo la volta scorsa il criterio dell’osservazione per esempio “io vedo quindi esiste” di per sé non significa niente, può essere preso benissimo come una superstizione in realtà, perché dovrebbe essere accolto come criterio universale, perché? Io posso sostituire questo criterio con un altro e cioè le cose esistono perché dio lo vuole, o perché i marziani ci hanno programmati in un certo modo, tutte queste posizioni sono altrettanto sostenibili come quella che si regge sul criterio dell’osservazione, come abbiamo detto forse anche in una conferenza gli umani si muovono con un orientamento prevalentemente visivo e quindi hanno data la priorità alla visione e rimane sempre di grande interesse ciò che dice il Sofista di Platone, quando Teeteto chiede al Sofista se vede un certo albero e lui risponde “no, non lo vedo quell’albero però se tu me lo descrivi allora lo vedrò”, ci ha mostrata una questione di notevole interesse e cioè che il fatto che Teeteto vedesse l’albero per il Sofista non significava niente, è soltanto nel momento in cui nel racconto glielo descrive e gli dice quello che l’altro vede che allora può vedere qualcosa di ciò che lui vedeva, se no non vede niente, può anche dire che non lo vede l’albero tutto sommato, il fatto di ammettere di vedere qualche cosa non è nient’altro che accogliere un gioco linguistico tra i più praticati, fra i più diffusi, fra i più comuni, si è imparato questo gioco linguistico e ci si attiene scrupolosamente anche perché buona parte dei giochi linguistici che gli umani fanno nella così detta società è fondato su questo, per cui in alcuni casi non accogliere questo tipo di gioco linguistico è addirittura un reato. Giochi linguistici, non c’è nient’altro su questo pianeta che giochi linguistici, cioè sequenze di istruzioni che consentono alcuni movimenti e altri li impediscono, come tutti i giochi è fatto di regole naturalmente, non si può giocare senza regole, le regole dicono quali mosse sono consentite e quali no e questo è il gioco, ma perché linguistico? Perché il proprio discorso, il proprio pensiero funziona esattamente così, ha stabilito delle regole alle quali si attiene scrupolosamente e in base a queste regole stabilisce, per esempio, che cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è bene e cosa è male, cosa è bello e cosa è brutto, cosa deve fare e cosa non deve fare, questo gioco è un gioco linguistico nel senso che è il linguaggio che consente di costruirlo, per questo dicevo che non c’è nient’altro se non giochi linguistici e cioè istruzioni, regole per giocare, qualunque cosa è un gioco linguistico, qualunque cosa intendo dire dal gioco del tre sette a una dichiarazione di guerra, da una dichiarazione d’amore alla lista della spesa e alla preoccupazione per il salario, tutte queste cose sono fatte di giochi linguistici. Sono molti i giochi linguistici che intervengono e che consentono la costruzione di cose molto complesse anche, però ciascuna di queste cose non esisterebbe né sarebbe mai esistita senza il linguaggio, è questo che ciascuno dovrebbe avere sempre presente: in assenza di linguaggio tutto ciò che gli umani hanno pensato, costruito e continuano a pensare e a costruire, fare etc. non potrebbe in nessun modo esistere, se esiste è perché c’è il linguaggio e quindi questo linguaggio non è marginale ma è prioritario, di cosa è fatto il linguaggio? Anche questo lo abbiamo detto tante volte ma lo ripetiamo ché va sempre bene, generalmente si considera il linguaggio come uno strumento per descrivere qualche cosa che linguaggio non è, ciascuno sa che per descrivere questo orologio bisogna usare il linguaggio, allora lo descriverò come mi pare ma il linguaggio non è affatto uno strumento perché è anche quella cosa che mi consente di pensare che il linguaggio sia uno strumento, senza il linguaggio non potrei mai costruire una sequenza di proposizioni che giunge a concludere che il linguaggio è uno strumento per esempio, o che non lo è, ma per intendere bene che cos’è il linguaggio è sufficiente considerare che cosa è necessario che ci sia perché gli umani possano continuare a pensare, a parlare, a dirsi umani per esempio. Sono necessarie pochissime cose: è necessario che una parola, una qualunque, sia individuabile e sia differente da qualunque altra, perché è necessario? Perché se ciascuna parola significasse simultaneamente tutte le altre, lei Cristina, cesserebbe di parlare, non potrebbe più farlo, quindi già a questo punto abbiamo un elemento che è necessario, che non è arbitrario ma è necessario, non è che possiamo eliminarlo volendo, anche perché per eliminarlo dobbiamo costruire delle proposizioni e quindi comunque dovremo avere l’opportunità di potere distinguere le parole e quindi occorre che ciascun elemento sia quello che è e non un altro, e sia distinguibile da ciascun altro. Questi due elementi sono alla base del funzionamento del linguaggio, sono molto semplici e sono già stati reperiti duemila anni fa da Aristotele, il principio di identità e di non contraddizione, poi il terzo escluso viene quasi in automatico ma questi principi di fatto non sono neanche dei principi perché non sono sottoponibili a un criterio verofunzionale, cioè non è possibile stabilire se siano veri o sono falsi perché per poterlo stabilire occorre che già funzionino, e allora non possiamo decidere se sono veri o falsi, devono già funzionare per potere stabilirlo e allora più che principi è preferibile chiamarli istruzioni. Un’istruzione di fatto non è né vera né falsa, è semplicemente un’istruzione, dice come si deve utilizzare una certa cosa e nient’altro, in effetti le regole di un gioco, di un qualunque gioco sono delle istruzioni e di per sé non sono né vere né false, se io stabilisco che per giocare un certo gioco occorre che un asso valga più di un sette questo non è né vero né falso è soltanto un’istruzione e non potrebbe essere né vero né falso perché come ho detto prima sono istruzioni che precedono la possibilità stessa di stabilire se qualcosa è vero o falso anzi, sono quelle istruzioni che consentono di costruire un discorso che giunge a stabilire se una certa cosa è vera o è falsa. Dal momento in cui queste istruzioni si avviano potremmo dire che in quel momento si avvia anche il linguaggio, certo in modo molto semplice, in modo molto rozzo anche perché propriamente non si sono compiute tutte le inferenze che si saranno compiute in età più avanzata, non si sono acquisite molte informazioni ma queste istruzioni sono quelle cose che consentono in seguito di acquisire informazioni più complesse, più sofisticate, per esempio sarebbe difficilissimo insegnare a una mosca l’ingegneria genetica. Il linguaggio non è altro che una breve sequenza di istruzioni che serve a costruire proposizioni sempre più complesse, ha un funzionamento straordinariamente semplice però pur essendo così ridotto e così semplice ha consentito agli umani di costruire tutto quello che hanno costruito e di pensare tutto quello che hanno pensato, poco o tanto che sia questo è indifferente, ma senza queste istruzioni non sarebbe stato possibile niente: la scienza, l’arte, la medicina, la filosofia, nulla di tutto ciò sarebbe mai potuto esistere e insieme con queste produzioni del pensiero anche naturalmente il pensiero del singolo, tutto ciò che ha costruito: cose belle o brutte, paure, angosce, fobie, desideri, attese, gioie, tutto questo senza queste istruzioni che chiamiamo linguaggio non potrebbe esistere in nessun modo e di conseguenza tutti i vari sintomi come la depressione o gli attacchi di panico o gli attacchi di qualunque accidente si voglia, senza linguaggio non sarebbero mai esistiti. Considerato che è il linguaggio che li ha costruiti c’è la possibilità che sia lo stesso linguaggio a dissolverli all’occorrenza, in totale assenza di psicofarmaci naturalmente, Considerato a questo punto che è il linguaggio che fa esistere gli umani nel senso e che senza il linguaggio non potrebbero neppure accorgersi di esistere, neppure pensare di esistere, di conseguenza non esisterebbero poiché parlare di esistenza a questo punto non significherebbe niente. Meglio si sa come funziona il linguaggio e meglio ci si muove, fino al punto di accorgersi che non è più necessario, per esempio, avere paura di qualcosa, avere timori, angosce, inibizioni, per questo abbiamo dedicato molti anni allo studio del linguaggio e del suo funzionamento, una fobia, una paura, un’angoscia sono costruite dal proprio pensiero, come se la persona in effetti subisse i suoi pensieri, e li subisce letteralmente ignorandoli, ignorando cioè non sapendo come funzionano e di cosa sono fatti. Li subisce inesorabilmente e inevitabilmente anziché agirli, e cioè muoversi essendo sempre assolutamente totalmente e irreversibilmente consapevoli di quello che fa e di quello che pensa, soprattutto perché pensa le cose che pensa. Gli umani non sanno perché pensano le cose che pensano e non lo sanno perché sono stati addestrati a credere che il loro pensiero corrisponda alle cose “penso così perché le cose sono così” questa potrebbe essere la peggiore, e non nobile menzogna che gli umani non solo hanno subito ma continuano a subire e a perpetrare nel corso dei secoli. Non è così, è falso, eppure ciascuno continua a credere una cosa del genere e il fatto che creda una cosa del genere è responsabile del fatto che ad un certo punto incominci ad avere paure, fobie, angosce, timori, tremori e chi più né ha più né metta perché le persone si trovano senza saperlo, perché non hanno i mezzi per saperlo, a credere alle cose che pensano, alla prima cosa che gli passa per la mente, aderiscono con una sicurezza e con una certezza straordinarie, il problema è che si muovono di conseguenza e quindi fanno danni generalmente. Ciò che possiamo offrire alle persone è qualcosa di straordinario e che non è mai esistito prima e cioè la possibilità di cessare di subire il linguaggio ma di agirlo, attraverso l’analisi sicuramente come dicevamo la volta scorsa, l’analisi è la via per potere praticare il linguaggio, è il modo in cui si “insegna” in un certo senso a una persona a praticare il linguaggio; praticare il linguaggio significa tenere conto di volta in volta del perché si pensa ciò che si pensa e che tutto ciò che il pensiero costruisce è costruito da altri pensieri. Ciascuna parola come riferimento non ha nient’altro che altre parole e così via all’infinito e non è nient’altro che un gioco linguistico al pari di qualunque altro e di fatto, come sanno coloro che si sono posti la questione in termini un po’ rigorosi, l’affermazione che la realtà esiste non può essere sostenuta in nessun modo come sanno, per esempio, i filosofi della scienza che essendo coloro che ci hanno riflettuto forse meglio di altri si sono accorti che un’affermazione del genere non significa niente ma e che, Wittgenstein qui si è avvicinato molto alla questione, la realtà è un gioco linguistico al pari di qualunque altro, il fatto che sia più praticato o uno dei più praticati questo non lo rende migliore o peggiore degli altri è solo più praticato. Sono tutte queste cose che occorre illustrare al pubblico che ci ascolta, come dicevo sono difficili, sono difficili pur essendo straordinariamente semplici ma sono difficili perché la persona dai primi vagiti è stata addestrata a pensare che la massima delle superstizioni corrisponda alla verità assoluta e questo gli viene ripetuto ininterrottamente, costantemente, non solo dalle persone che parlano con lui ma da tutto ciò che lo circonda. Nel medioevo si era indotti a pensare che ogni cosa fosse creata da dio e che dio fosse la causa di ogni cosa, molti continuano a pensarlo ancora oggi, e che noi vediamo le cose le cose perché dio ci ha fornito queste possibilità, e ci credevano fortissimamente e a nessuno veniva in mente di mettere in discussione una cosa del genere, perché era così e basta, perché era ovvio che fosse così, d’altra parte se c’è un effetto allora c’è una causa, se c’è qualche cosa c’è qualcuno che l’ha prodotta e, come diceva il nostro amico Tommaso, non si può andare all’infinito all’indietro nelle cause a un certo punto ci vuole una Causa. Come direbbe il nostro amico Nicola da qualche parte occorre pure partire e anche Tommaso aveva un’idea abbastanza simile, da qualche parte occorre partire e quindi è una certezza assoluta alla quale non soltanto credevano le persone ma la ponevano come se fosse la realtà, cioè il fatto che fosse dio a creare le cose e a disporle in modo tale per cui gli umani le vedevano così, era frutto della bontà di dio e sono stati anche dei pensatori abbastanza robusti che hanno sostenuto cose del genere: Tommaso, Agostino, Boezio e infiniti altri. Allora ciò che era frutto della superstizione religiosa, oggi è frutto della superstizione scientifica, non è cambiato molto, come alcuni di voi sanno la scienza e la religione sono nate insieme poi hanno preso ciascuna una strada differente, la prima, la religione ha supposto che la verità fosse già data, cioè rivelata, la seconda, che fosse da trovare, ma sempre superstizioni, superstizioni nell’accezione che indicavamo prima e cioè come un’argomentazione che muove da una premessa maggiore che sostiene tutto e che non è provabile in nessun modo. La scienza, o almeno alcuni filosofi della scienza lo sanno molto bene che ciò su cui lavorano di fatto non è provabile, cioè i criteri fondamentali, dicevamo forse la volta scorsa, e cioè l’osservazione e il calcolo numerico di fatto non sono provabili quindi tutto ciò che è costruito su questi due criteri al pari di questi non è provabile e di conseguenza è arbitrario …

Intervento: non è facile muoversi …

Non lo è, anche se teoricamente potrebbe, perché la questione del linguaggio e cioè il fatto che ciascuno non è nient’altro che le cose che pensa e che dice è una questione che è sempre stata sotto gli occhi di tutti, da sempre, i Sofisti ai loro tempi si erano avvicinati un po’ e poi erano stati cacciati da tutte le parti e la questione è stata ripresa recentemente, recentemente intendo dire nell’ultimo secolo dai logici che hanno poste delle questioni abbastanza interessanti, però è mancato sempre il passo fondamentale e quello lo ha insegnato Freud: “ascoltare”, che non è stare a sentire, ascoltare significa intendere cosa supporta una certa argomentazione, qual è l’elemento che la sostiene e interrogare questo elemento che la sostiene, questo naturalmente è mancato tanto ai Sofisti quanto ai logici finché uno psicanalista si è accorto che le cose possono essere interrogate molto oltre di quanto fosse mai stato fatto prima e che questa interrogazione aveva l’obbligo di vertere anche sulla teoria stessa che consentiva questa interrogazione. A questo punto occorreva interrogare tutto e cioè il fondamento di tutto e giungere appunto al fondamento, quello che gli umani hanno cercato da sempre e che i filosofi hanno supposto trovarsi nell’essere fino agli ultimi, Heidegger per esempio, o i fisici nelle particelle, la religione in dio naturalmente, ma tutte queste considerazioni necessitano di un altro fondamento per potere farsi cioè quella struttura che abbiamo chiamato linguaggio, ecco perché abbiamo stabilito che il linguaggio è il fondamento, non ha il linguaggio un fondamento, il linguaggio è un fondamento cioè quella sequenza di istruzioni che consentono come direbbe Turing, sa chi è Turing? Turing era un matematico tedesco dei primi del ‘900 ed è quello che si è divertito a costruire la prima, come la chiamava lui “macchina pensante”, sarebbe il prototipo di tutti i computer, una macchina che funziona con istruzioni, si stabiliscono delle istruzioni e la macchina incomincia a svolgere quelle operazioni per cui è stata programmata, gli umani non vengono addestrati in modo differente, gli si forniscono informazioni e fra queste informazioni anche un’informazione che serve a utilizzare le informazioni che vengono fornite, esattamente come si fa con un computer, solo che come dicevamo il bimbetto è a contatto con il mondo esterno ininterrottamente, da quando nasce praticamente, e quindi acquisisce una quantità sterminata di informazioni, lentamente ma le acquisisce, la macchina no, almeno quelle che utilizziamo, non sono a contatto con il mondo esterno 24 ore su 24, se lo fossero naturalmente acquisirebbero informazioni a una velocità infinitamente superiore di quella che riesce ad acquisire un bimbetto ma questo è un altro discorso. La difficoltà consiste non tanto in ciò che vado dicendo ma nel fatto che ciascuno è stato addestrato a pensare in modo radicalmente differente, è come se fosse talmente preso dalla superstizione, dalla madre di tutte le superstizioni potremmo chiamarla così e cioè che la realtà esiste di per sé, che trova una difficoltà immensa a abbandonare questa posizione per una serie di motivi, ma la difficoltà è solo questa: abbandonare la superstizione …

Intervento: fa anche un po’ paura …

Perché? Chi lascia la via vecchia per la nuova … è così? Così diceva mia nonna però lei è troppo giovane, come fa a pensare una cosa del genere?

Intervento: tutte le certezze degli umani possono sparire …

Ma ne acquisisce una molto più potente, e cioè che l’unica certezza di cui può parlare con assoluta certezza è che per potere considerare la perdita o l’acquisizione di certezze ha bisogno di una struttura, quella che chiamiamo linguaggio e che quindi il linguaggio è l’unica certezza in realtà su cui si può sempre fare affidamento, perché è quella cosa che permette di pensare tutto il resto che come direbbe Marx è una sovrastruttura, il linguaggio no, non è una sovrastruttura e quelle certezze che lei teme di perdere in realtà sono inganni, falsità di ogni sorta, foggia e misura, perdere degli inganni, delle menzogne non dovrebbe essere così disdicevole, e come le perde queste certezze? In modo molto semplice, interrogandole, chiedendo a queste certezze di rendere conto si sé e si accorgerà molto rapidamente che non lo possono fare, come avviene con la religione. Credo quia absurdum, ma anche tutte le cosiddette certezze scientifiche sono sostenute da questo credo quia absurdum, è così anche se la cosa non le piace …

Intervento: se uno considera che anche la sofferenza è costruita da questa struttura, ci sono delle persone che dicono di soffrire enormemente e ci credono, questa è la loro realtà e quindi soffrono. Non è proibito soffrire, chi vuole può farlo, però chi vuole può cessare di farlo perché anche questo è arbitrario e questo può apparire ancora più strano e più inverosimile del fatto che una legge scientifica sia arbitraria. Per stare male per qualche cosa, per un abbandono, per un accidente qualunque, occorre avere costruita una quantità notevole di giochi linguistici e di averci creduto, solo a queste condizioni è possibile soffrire, per esempio un abbandono, se no non è possibile …

Intervento: ma allora anche l’amore è qualche cosa che …

È un gioco linguistico al pari di qualunque altro, se non sa di cosa è fatto allora ci crede così come un bimbetto crede a babbo natale, lei sperava che l’amore fosse esente? Se lo volesse interrogarlo, potrebbe domandarsi a quali condizioni è possibile innamorarsi di qualcuno, che cosa occorre che ci sia, quante cose occorre credere per esempio perché avvenga questo fenomeno? Non sto dicendo che non sia piacevole intendiamoci, questa è un’altra questione …

Intervento: e nemmeno che non sia possibile innamorarsi …

No, accade ininterrottamente, ma provi a pensare se non esistesse il linguaggio cioè se gli umani non potessero pensare niente, sarebbe possibile innamorarsi? O soffrire per l’abbandono o pensare “chissà adesso dove sarà, cosa farà, chissà se mi pensa?” che sono i temi più comuni “sta pensando a me oppure penserà ad un’altra?” etc. tutto ciò non potrebbe esistere in nessun modo, nemmeno si potrebbe porre il problema, meglio o peggio che sia questo è un altro discorso, ma questo per dire che se non esistesse il linguaggio l’amore non potrebbe in nessun modo esistere e quindi se esiste è per via del linguaggio e di conseguenza è costruito dal linguaggio e di conseguenza ancora ne segue l’andamento e cioè cerca l’amore, come qualunque altra cosa, esattamente ciò che fa ininterrottamente il linguaggio, sempre e solo costruire proposizioni, costruire proposizioni che risultino vere all’interno di un sistema di regole che il linguaggio stesso ha stabilite, non fa nient’altro che questo e gli umani per tutta la loro esistenza non fanno nient’altro che questo, in vario modo ma è sempre esattamente questo: costruire proposizioni e cercare quelle vere, perché? Per niente, assolutamente per niente, questa è una considerazione che giunge inevitabile mano a mano che si procede anche perché qualunque motivo noi volessimo dare a tutte queste operazioni comunque sarebbe stato costruito da pensieri e di conseguenza arbitrario, certo ciascuno può pensare che l’esistenza abbia un senso può dargli qualunque senso, tanto nessuno potrà mai confutare quello che dice né lui potrà dimostrarlo naturalmente, e quindi è libero di fare quello che vuole, come diceva mia nonna “siamo nati per soffrire” cosa che non ho mai considerata con molta attenzione, fin da piccolo mi è sempre parsa una cosa abbastanza singolare e bislacca, però anche questo era un senso, oppure l’esistenza serve a riprodurre se stessa, perché? Bisogna trovare il modo per interrogare le cose in modo tale che queste cose siano costrette a rispondere cioè mostrare di cosa sono fatte …

Intervento: l’altra volta si diceva che si impara a praticare il linguaggio solo in un’analisi cioè in un’analisi così fatta perché se no si crede all’amore e una persona per esempio, una persona da sola non è addestrata a domandarsi sull’amore è una cosa che se le piace anche se la fa soffrire, non lo potrà mai fare perché immediatamente il discorso prende un’altra direzione e quindi l’interrogazione non può vertere sul perché mi innamoro, per esempio, di una certa persona…non lo fa perché il discorso va, se non c’è l’analista cioè una persona che non sia coinvolta dal discorso, nella solita direzione non si può elaborare una questione di questo genere, così come tutte le altre questioni quelle che hanno una valenza nel discorso della persona …

Intervento: l’educazione ci porta dover amare i genitori, dire ai genitori che io non sento nessun sentimento per loro, … ti crei dei problemi: “non sono capace di amare …”

Le persone si creano problemi comunque in ogni caso e sempre, occorre tenere conto dei giochi linguistici delle persone cui ci si rivolge, in cui sono inseriti, per esempio se lei dicesse a un fondamentalista islamico che Allah è un grullo qualunque quello le taglia la gola, bisogna tenere conto degli effetti che una cosa può produrre, sono parole certo però producono degli effetti come sapevano già dai tempi di Demostene, poche cose sono potenti come le parole, che possono devastare o costruire, dare la vita o uccidere a seconda dei casi e delle intenzioni. Detto questo ci fermiamo qui e ci vedremo mercoledì.