22-5-2013
Qualcuno ha qualche questione da porre, questioni teoriche, cliniche?
Intervento: l’intervento dell’analista all’interno del proprio discorso per esempio, come intervenire sul proprio discorso, per agire il linguaggio… sulle questioni più importanti…
E chi decide quali sono importanti?
Intervento: lo decide il discorso…
In base a quale criterio?
Intervento: quelle che si ripetono per lo più o meglio quelle che identifico come le questioni che si ripetono…
Questo era sottointeso, ma qual è il problema? Se una cosa continuo a ripeterla è perché mi piace ripeterla, ma cosa c’è in questa cosa che mi piace ripetere? E perché mi piace? Già porsi queste domande comporta l’avviarsi in una direzione che potrebbe essere interessante, cioè sapere perché una certa cosa mi piace così tanto al punto da essere irrinunciabile…
Intervento: ma anche partire da quelle che sono le connessioni che intrattiene il discorso a partire dalle quali…
Le trova mano a mano che le interroga, non è che le trova prima, prima di incominciare a raccontare questa storia le connessioni non ci sono…
Intervento: siccome a volte sembra irrinunciabile considerare proprio questo e cioè le connessioni e quindi il ripetersi della storia, la ricostruzione della storia a partire da quelli che sono chiamiamoli “ricordi” oppure le infinite immagini, i più piccoli particolari…
Queste connessioni sono quegli elementi che in buona parte tengono in piedi questa cosa che si ripete, e quindi hanno la funzione di tenere in piedi questa cosa…
Intervento: siccome si sa che questa cosa “piace” allora dopo tanto giocare mi chiedevo se fosse così importante ripercorrere la stessa strada o meglio quella che appare essere la stessa strada, ripercorrere queste connessioni…
Lasci stare le connessioni, si preoccupi di sapere perché una certa cosa le piace così tanto, cosa c’è in questa cosa che è così bella, così piacevole da essere irrinunciabile? A questo punto arrivano le connessioni, se cerca prima le connessioni non le troverà mai…
Intervento: quando mi trovo a riflettere sulle questioni le connessioni si trovano già lì…
Sì, perché ci sta riflettendo. Dunque perché piace così tanto una certa cosa? Se uno potesse già accogliere che una certa cosa gli piace così tanto già le cose si modificherebbero, invece possono funzionare a condizione che io continui a ripetere che queste cose invece non le voglio, e mi capitano così, tra capo e collo, e allora non le interrogo. La prima cosa da fare per interrogarle è accoglierle come qualcosa che appartiene al proprio discorso e non come un corpo estraneo, quindi appartiene al mio discorso, quindi se faccio quello è perché voglio fare quello, bene, se lo voglio fare ho dei motivi, il primo che mi viene in mente è perché mi piace farlo, poi mano a mano si preciserà, però intanto devo accogliere questo, che mi piace farlo…
Intervento: e lo sbarazzarsi di queste questioni che “piacciono”?
Ecco, ce se ne vuole sbarazzare nel momento in cui si suppongono dei corpi estranei; perché uno dovrebbe sbarazzarsi di qualche cosa che gli piace? È ovvio che non se ne sbarazza se gli piace, non se ne sbarazzerà mai, e più pensa che deve sbarazzarsene e meno se ne sbarazza. C’è un motivo in tutto questo, un buon motivo, e procede dal modo in cui funziona il linguaggio, e cioè dal fatto che dal momento in cui vengono trasmesse delle informazioni, insieme con le istruzioni per farle funzionare ovviamente, queste informazioni vengono fornite da qualcuno, non sono mie, non le auto produco le informazioni, non ancora; in ciò che viene trasmesso c’è anche fra le varie informazioni questa che dice che è un altro che dà le informazioni, e questa persona che dà le informazioni fa in modo che questo “sapere” sia ben presente nella persona alla quale sta trasmettendo le informazioni, e la persona stessa, quella che sta trasmettendo le informazioni, le ha ricevute allo stesso modo. Trasmettendo questa informazione che dice che è lei che ha il “sapere”, mantiene il potere sull’altra persona, è come se immettesse questa informazione “tutto ciò che si dice è vero se viene confermato da A” quindi la funzione di A è quella di confermare le affermazioni di B. Questa informazione può anche essere trasmessa in una macchina naturalmente, basta dire alla macchina che tutte le sequenze che costruisce di per sé non sono né vere né false, devono attendere la verifica da parte di A, quando arriva la verifica da parte di A, cioè da un'altra macchina, allora vengono accolte come vere. Negli umani funziona alla stessa maniera, viene immessa questa informazione che dice che A è colui che garantisce della verità o falsità delle cose. Perché è importante che ci sia qualcuno che garantisce? Perché soltanto se ha la conferma che ciò che afferma è vero può proseguire, cioè può costruire altre cose, e costruendo altre cose può avere il controllo su tutto ciò che costruisce mano a mano, o almeno provarci. Avere il controllo non significa nient’altro che sapere che queste cose le ho costruite io, cioè il mio discorso. A questo punto l’importanza di tutto ciò è che la persona B ha acquisito questa informazione che le cose vere le stabilisce, le certifica l’altro elemento A, per cui ogni volta che compie delle affermazioni ha bisogno di una verifica, perché gli è stata immessa questa informazione e cioè che le sue affermazioni devono essere verificate…
Intervento: è sempre A che verifica?
All’inizio sì, è questa l’informazione che si trasmette, è come se dicesse “tutto quello che pensate non significa niente, però se voi me lo dite io vi dirò se quello che pensate è vero o è falso. Questa informazione è posta in modo tale da non potere mai essere cancellata, non viene cancellata perché primo non sa come si fa, secondo nessuno sa che c’è, quindi non gli viene in mente una cosa del genere e terzo perché se ci fosse, chi la trasmette si darebbe la zappa sui piedi, perché metterebbe l’altra persona nelle condizioni di ragionare da sola, cosa che non deve fare. Dicevo di questa informazione che non c’è, manca un’informazione, non essendoci la possibilità, che potrebbe anche non esserci perché non significa niente perché l’elemento A non detiene la verità ovviamente, non detiene nulla, però non potendo togliere questa informazione né modificarla permane l’idea che ci sia qualcuno che conosce la verità. Un bambino mano a mano che acquisisce nuovi elementi, chiamiamo il bambino l’elemento B, mano a mano che gli elementi diventano più complessi, più elaborati, può incominciare a mettere in discussione quelle informazioni che vengono dall’elemento A, cosa che avviene regolarmente. Però permane sempre questa informazione che dice che le cose che dico, che penso, debbano essere verificate da un qualche elemento A. Questa informazione non si leva, per i motivi che ho detto prima, primo non si sa come fare, secondo non si sa neppure che c’è, terzo perché è controproducente. Ma nessuno ha idea che quella che ritiene essere la verità di fatto è soltanto qualcosa che è vero all’interno di un gioco linguistico e in base alle regole di quel gioco specifico, perché le cose non stanno così, non c’è una realtà che garantisca il tutto. La realtà interviene dopo, quando l’elemento B ha verificato che l’elemento A non possiede tutte le verità del mondo, ecco che si sposta su un’altra cosa che può essere il maestro, può essere il compagno di scuola inizialmente, poi diventa un’altra cosa ancora, poi può diventare lo stato, poi può diventare un’idea politica o una religione, o quello che vi pare. Questo spostamento avviene perché il discorso, cioè il sistema, ha bisogno comunque, sempre, per via di quell’informazione che è stata immessa, di un elemento A che certifichi quello che dice. La realtà si presta benissimo, anche perché viene insegnato che esiste la realtà per questo, abbiamo detto spesso che l’unica funzione della realtà è quella di garantire della verità di un’affermazione, non ha altre funzioni, ed è questo il motivo per cui le persone cercano comunque sempre un qualcuno o un qualche cosa che garantisca che quello che pensa è vero. Ma che cosa ha determinato per esempio nel mio caso specifico un cambio di direzione così radicale? Ciò che fino a un certo punto ha costituito l’elemento A, Verdiglione, l’ultima persona è stata lui, quell’elemento che certifica che le cose stanno in un certo modo. Ciascuna cosa, come direbbe lui, è nella parola”, cioè nulla è fuori dalla parola. Questa affermazione può essere accolta, può essere rigettata, si possono fare varie cose. Un delle varie cose che possono farsi è interrogarla questa affermazione, e cioè se io affermo che nulla è fuori dalla parola, allora anche questa affermazione è nella parola, prima cosa. Seconda che cosa, intendiamo quando diciamo che “qualunque cosa appartiene alla parola”? Qui la teoria di Verdiglione ha avuto poca utilità, per lui dire che qualunque cosa appartiene alla parola significa semplicemente che non c’è la sostanza, e cioè come abbiamo detto varie volte, la sua critica alla metafisica è corretta, è anche interessante, dire “le parole in quanto segno” e qui c’è tutto il retaggio semiotico, in particolare di Greimas, la parola è un segno certo, mentre la metafisica indica la parola come segno di qualche “cosa”, dal peri hermeneias in poi, cioè la parola rappresenta una cosa, la sostanza, ipokeimenon in greco, substantia in latino, in italiano sostanza o soggiacenza, cioè ciò che sta sotto letteralmente. Verdiglione, seguendo la via avviata dalla semiotica, è giunto a considerare che la parola in quanto segno, e che sia un segno già De Saussure l’aveva espresso in modo esplicito, non rappresenta la cosa per qualcuno, ma come già in Greimas, è segno per un altro segno, e così via all’infinito. Non c’è la cosa, non c’è la sostanza, dunque quello che ha detto è che la parola non indica la cosa, non c’è la cosa, che è già un buon spostamento. Questo ha un’importanza notevole, ma ha un’importanza direi quasi più politica che teorica, perché in ambito prettamente teorico non è che dica granché, quindi occorre andare oltre, intendere meglio che cosa si intende dicendo che ciascuna cosa appartiene alla parola. A questo punto è stato necessario riflettere su cosa si debba intendere con “parola”, è questo che ci ha portati all’invenzione del linguaggio. Che cosa intendo con invenzione? Una costruzione di qualunque pensiero, di qualunque stringa: la costruzione di qualunque stringa è un’invenzione, ogni produzione linguistica è un’invenzione ovviamente. C’è qualche cosa che mi autorizza a compiere questa operazione, e cioè di dire che la “invenzione” la intendo in questo modo e fra poco ci arriviamo. Qualunque cosa appartiene al linguaggio e quindi alla parola, e quindi certo a un gioco linguistico, come dicevamo l’altra volta, che è il modo più corretto di dire la cosa che stiamo dicendo, e cioè che una qualunque cosa, se è qualcosa appartiene a un gioco linguistico, non ci interessa quale ma a un gioco linguistico, a questo punto il passo successivo è che anche dire queste cose appartiene a un gioco linguistico, e cioè affermare che qualunque cosa appartiene al linguaggio è un gioco linguistico, cioè un’invenzione. Questa è una cosa importante, non solo non c’è più la metafisica ovviamente, ma non c’è neanche più la possibilità di immaginare lontanamente che ciò che stiamo dicendo definisca uno stato di cose, definisce unicamente un gioco che si sta facendo. Questo gioco ha qualche priorità rispetto a qualunque altro gioco? Potremmo dire che l’unica priorità che ha è che il linguaggio è necessario per potere fare qualunque gioco linguistico, ma anche questo è un gioco linguistico, cioè anche affermare questo è all’interno di un gioco linguistico che si chiama linguaggio. Non è un circolo vizioso, ma semplicemente la considerazione abbastanza semplice che di fatto l’unica cosa di cui sono provvisti gli umani, cioè il linguaggio, continua a funzionare in questo modo, e cioè costruisce sequenze, costruendo sequenze costruisce teorie, storie eccetera che rimangono comunque sequenze, giochi, giochi fatti al solo scopo di continuare a giocare, non c’è nessun altro motivo. La domanda che allora mi posi fu questa: che cosa dobbiamo intendere con “parola”, se anche l’affermazione che dice che qualunque cosa appartiene alla parola, anche questa appartiene alla parola. Questa era la domanda, e la risposta fu “sì” ovviamente, con tutto ciò che questo comporta, e non è poco quello che comporta. Comporta che questa affermazione che dice che qualunque cosa appartiene al linguaggio è un gioco linguistico, e anche questo è nel linguaggio, non ne è fuori, quindi sono soltanto giochi, a meno che si pensi che esista qualche cosa che sia fuori dal linguaggio, quindi fuori dalla parola, quindi fuori da un qualunque gioco linguistico, però a questo punto questa affermazione occorrerebbe sostenerla, argomentarla, e qui le cose si fanno complicate, è come sostenere l’esistenza della realtà, alcuni considerano che sia una cosa totalmente impossibile da farsi. Questo è sempre stato il tallone di Achille della teoria di Verdiglione, il fatto che pur dicendo che qualunque cosa appartiene al linguaggio, non potendone trarre le conseguenze di una cosa del genere è stato costretto a evitare questo problema, parlando di effetti di senso, effetti di sapere eccetera che lasciano il tempo che trovano, ma il tallone di Achille consiste nel fatto che non può in nessun modo trarre le implicazioni inevitabili da questa affermazione che dice che qualunque cosa appartiene al linguaggio, senza devastare tutta la sua teoria. Come ho già detto altre volte non c’è nessun modo di venire fuori da una cosa del genere se non ci si accorge che si tratta di istruzioni, di giochi per giocare, di regole del gioco, come per il poker, e tutte queste affermazioni sono il prodotto di istruzioni, se no, non c’è nessun modo di venirne fuori. La via che presi già allora è un’altra via rispetto a quelle che seguivano altri, era la via teorica, lo potremmo chiamare “rigore teorico”, o “onestà intellettuale”, come vi pare. La teoria può mettere in discussione il proprio sapere se proseguita senza limiti, senza remore, senza paura, può mettere in discussione tutto ciò che si sa, tutto ciò che l’elemento A sostiene, poi chi sia l’elemento A, è assolutamente irrilevante però lo può mettere radicalmente in questione mostrando all’elemento A che se ciò che afferma è vero allora tecnicamente non può affermare quello che afferma. Qualunque cosa, se è qualcosa, necessariamente appartiene al linguaggio. Questo pure è un gioco, occorre che però sia un gioco corretto logicamente, logicamente corretto vuole dire che si attiene alle regole del gioco che sta facendo, se noi stiamo facendo il gioco del linguaggio, dobbiamo attenerci alle regole di questo gioco che, per esempio, impone che se un’affermazione è auto contraddittoria sia inutilizzabile, la contraddizione, il principio di non contraddizione, che sarebbe più appropriato chiamare “regola di non contraddizione” perché il termine principio si porta appresso tutto un carico metafisico pesante, ma una regola, una regola del gioco. Se tu dicessi Eleonora che il principio di non contraddizione non c’è, in che cosa incapperesti immediatamente? Tu togli il principio di non contraddizione, a questo punto non hai più la possibilità di dire che una certa cosa non è un’altra, per cui questa cosa è anche quest’altra, quindi se tolgo il principio di non contraddizione allora affermo il principio di non contraddizione. La ricerca della conferma, della certificazione della verità di ciò che si dice, è ciò su cui si costruiscono indirettamente le fantasie, ogni fantasia è una fantasia che descrive una situazione di potere su qualche cosa, o su qualcuno, perché questo possa verificarsi, cioè perché ci sia la necessità di costruire una scena di potere devo sapere che in quella scena io esercito un potere ovviamente, chi mi dice che le cose stanno proprio così? Che in quella scena io esercito il potere? Me lo dice quella cosa o quel qualcuno al quale io ho attribuito il potere, l’autorità di dirmi che cosa è vero, che cosa è falso, generalmente sono cose antiche, sono quelle informazioni che sono state fornite da qualcuno che ha trasmesso informazioni e istruzioni per utilizzarle e che mi ha detto come stanno le cose, alcune di queste cose permangono più fortemente di altre per motivi che adesso non ci interessano, ma sono quelle cose, quelle informazioni assolutamente vere che costituiscono il modello di ogni fantasia, e la fantasia si costruisce a partire da queste cose, e una volta che è costruita pilota le decisioni, le scelte. Ciò che piace è direttamente connesso con queste fantasie che sono appunto le cose che pilotano l’esistenza di ciascuno, ogni atto della sua vita, ogni sua scelta, sua decisione, suo pensiero, suo sogno, tutto ciò che desidera, che detesta, che fugge, che cerca eccetera tutto questo è pilotato dalla fantasia, se sa di che cosa sono fatte le fantasie non è che non desidera o detesta più nulla, meno sicuramente, però sa quello che sta facendo, sa il gioco che sta facendo cioè conosce le regole di quel gioco, conosce a quale condizione una certa cosa funziona come vera in un certo gioco e quindi dà modo di proseguire un certo gioco in una direzione. A quel punto può decidere se proseguirlo oppure no, se no ne è travolto e allora non è più una sua decisione, cioè è una decisione sì, del suo discorso ovviamente, ma del suo discorso che non sa di essere tale, e quindi non sa perché funziona, come funziona, non sa niente, è semplicemente travolto da se stesso in una rincorsa infinita di quelle prime informazioni che ha ricevute ma che non sa come giocare per cui le subisce. Mi diceva Eleonora tempo fa una cosa importantissima: anche in una relazione sentimentale, che è sicuramente tra le più difficili da gestire, anche in quel caso ciò che attrae non è la persona di cui non si sa niente ma è una scena, una situazione che si è costruita che risulta irrinunciabile, perché è una scena di potere totale, è questo che attrae, non c’è altro, non è la persona, è una persona proprio prendendola alla lettera, e cioè una maschera. Questa situazione che si costruisce è irrinunciabile, la persona funziona da supporto, non ha nessun altra funzione…
Intervento: come se quella scena non potesse funzionare se non ci fosse una persona…
Se non ci fosse un elemento reale, e questo viene dalla necessità che qualcuno certifichi che è così, e l’unica cosa che può certificarlo, dopo i genitori, è la realtà. Siamo stati educati, addestrati a considerare che è reale qualcuno se lo tocco, se i miei sensi lo percepiscono in un certo modo, se la vista ha certe sollecitazioni se, se, se… Sono stato addestrato così, come ciascuno di voi suppongo.