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22-4-2009

 

Abbiamo detto negli incontri precedenti perché gli umani parlano, adesso abbiamo da dire perché dicono quello che dicono. Che cosa ci dice la logica, e intanto perché è stata costruita la logica, a che scopo? Già questa è una bella questione: è stata costruita allo scopo di reperire quali sono le argomentazioni che conducono al vero, serve a questo e naturalmente perché fa questo? Perché la logica ha inteso che se una conclusione non è vera non può essere utilizzata per proseguire, da qui l’importanza di stabilire un criterio per potere giungere a delle conclusioni vere, se no non servono a niente perché se non sono vere non consentono di proseguire. La questione che a noi interessa è che i logici hanno inteso delle cose importanti anche se non le hanno portate alle estreme conseguenze, vale a dire che questo linguaggio che per loro è naturale, anche se non lo è, che questo linguaggio dunque per proseguire deve stabilire una affermazione vera, solo a questa condizione può proseguire se invece trova che è falsa non può proseguire e che cosa stabilisce nella logica formale che una conclusione è valida? Perché dunque deve concludere con una affermazione vera? Il metodo è dato dalla sintassi, la sintassi non è altro che una sequenza di regole che dice come le cose devono essere costruite, nel caso della logica formale le formule ben formate si attengono alle regole stabilite: data una premessa vera ciò che ne segue sarà altrettanto vero e come abbiamo detto in altre occasioni è la sintassi che decide della semantica cioè del valore di verità delle conclusioni, nella logica formale la semantica non è nient’altro che il valore di verità: vero/falso, non si occupa di altro tant’è che un enunciato, una formula può essere corretta dicevo prima ma non valida mentre se è valida è necessariamente corretta, per esempio se affermo che se Roma è la capitale dell’Afganistan allora Parigi è la capitale della Francia, questa sequenza è corretta perché conclude con una affermazione vera ma non è valida perché la premessa non è vera, è molto semplice. La verità è fornita soltanto dalla correttezza della sequenza, nient’altro che questo, che è importante poiché il linguaggio funziona così come i logici hanno rilevato, è soltanto la correttezza della sequenza che stabilisce se ciò che si conclude è vero oppure no e il linguaggio come i logici hanno puntualizzato non è fatto che di una sintassi e una semantica e la semantica come sappiamo procede dalla sintassi, la correttezza non è data da nient’altro che l’eseguire correttamente le istruzioni fornite, quindi se le istruzioni vengono eseguite correttamente allora si costruiscono proposizioni vere in caso contrario si costruiscono proposizioni che rispetto alle istruzioni da cui è partito non sono vere. Quindi il linguaggio deve necessariamente costruire proposizioni vere per potere proseguire se no non prosegue, e per potere proseguire deve evitare accuratamente i paradossi, un paradosso per esempio è affermare che un certo elemento è differente da sé, se io affermo che x è differente da sé allora questo sé a chi si riferisce? Se è differente da sé non è individuabile, quindi non ha una posizione per cui sia possibile affermare che è così e quindi non c’è la possibilità di stabilire che sia differente: posso affermare che x è differente da sé se e soltanto se non è differente da sé, se no non lo posso affermare, se no questa affermazione che x è differente da sé non significa niente. Ma ciò che a noi interessa è stabilire che cosa fanno gli umani quando parlano, visto che abbiamo detto perché parlano adesso che cosa fanno, che cosa non possono non fare. Abbiamo detto che affermano delle cose, continuano ad affermare delle verità però perché avviene una cosa del genere? È la logica che ce lo mostra in modo inequivocabile, tutto il lavoro che è stato fatto dalla logica da quando Aristotele le ha dato una forma, da allora in poi non ha fatto nient’altro che questo: continuare a ripetere che ogni volta data una sequenza questa sequenza deve muovere da un’informazione ritenuta all’interno del gioco vera e attraverso passaggi coerenti cioè non contraddittori deve concludere in modo vero, nient’altro che questo. La logica formale per esempio, così come ci è stata tramandata nei secoli non è altro che la struttura del linguaggio, il modo in cui funziona, tant’è che il linguaggio in nessun modo può contravvenire alla logica, alla sua struttura, in nessun modo e se gli accade di farlo si arresta immediatamente e si chiama paradosso generalmente, e cioè quell’affermazione che afferma di sé di essere vera se è soltanto se lo è la sua negazione. È la struttura del linguaggio che impedisce di affermare che un elemento è se stesso e anche non lo è, lo avevamo detto tanto tempo fa qual era il motivo di una cosa del genere ma lo ripetiamo: se un elemento compare all’interno della catena linguistica da quel momento per la suddetta catena quell’elemento esiste cioè partecipa della combinatoria linguistica, ha un antecedente e un conseguente cioè è all’interno di una catena, se il linguaggio dovesse affermare che quell’elemento invece non gli appartiene quindi è altro da sé per esempio, e quindi non appartiene alla catena linguistica allora dovrebbe affermare che un elemento è un elemento linguistico ma anche non è un elemento linguistico. Ma se si trovasse ad affermare che un elemento gli appartiene ma anche che non gli appartiene, mentre la prima affermazione è coerente al suo proseguimento la seconda no, perché afferma che un elemento gli appartiene ma per potere affermare che questo elemento non gli appartiene occorre che sia all’interno della combinatoria e cioè che appartenga al linguaggio e quindi sta affermando che quell’elemento non gli appartiene ma per poterlo affermare occorre che gli appartenga, è chiaro fin qui? Ecco perché non può contraddirsi il linguaggio, perché c’è questo intoppo, perché viola quel principio su cui si regge il linguaggio e cioè il principio di identità e il suo conseguente che è il principio di non contraddizione, perché se vige il principio di identità e se non vigesse tale principio il linguaggio cesserebbe di esistere, allora vige anche il principio di non contraddizione e se vige il principio di non contraddizione come istruzione primaria per il funzionamento del linguaggio allora qualunque cosa violi questa istruzione non consente al linguaggio di proseguire, lo arresta perché il principio di contraddizione lo blocca, lo blocca per potere consentire al linguaggio di continuare a funzionare, perché se a questo punto non lo bloccasse lasciasse passare anche questo il linguaggio cesserebbe cioè qualunque cosa significherebbe tutto e il suo contrario e il linguaggio cesserebbe di esistere, di funzionare quindi di esistere. È questo il motivo per cui gli umani devono concludere sempre con affermazioni vere e di fatto se ci pensate bene non fanno nient’altro che questo, direttamente o indirettamente, a breve termine o a lungo termine, ma devono fare questo e non possono non farlo perché essendo fatti di linguaggio sono vincolati al principio di identità e di conseguenza al principio di non contraddizione e anche se vogliamo al terzo escluso ma direi che è talmente implicito che si può anche saltare; se non facessero questo gli umani, e cioè continuamente affermare la verità, cioè affermare quindi in definitiva quel principio che fa esistere il linguaggio e cioè il principio di identità, se non facessero questo violerebbero ciò stesso che fa esistere il linguaggio ma per poterlo fare, per poterlo violare devono utilizzarlo e quindi deve essere già funzionante e una volta che è funzionante impedisce, come un meccanismo autobloccante, impedisce che venga negato il principio di non contraddizione il quale negherebbe a sua volta il principio di identità e negherebbe in questo il funzionamento stesso del linguaggio. Duns Scoto nel Medioevo, tredicesimo secolo anno più o anno meno, ha posto una questione che a suo tempo non è stata intesa probabilmente neanche da lui ma è interessante perché mostra come alcuni fini pensatori, non a caso fu soprannominato il Dottor Sottile non per la sua magrezza ma per la sottigliezza delle sue argomentazioni, ha posta una questione interessante e cioè qualcosa che funziona per gli umani come una sorta di limite invalicabile, quella che lui ha chiamato ecceitas che potrebbe tradursi come la “questità” cioè il “questo è questo”, come un limite invalicabile, cioè ciascuna cosa deve essere quello che è e non si può far altrimenti, naturalmente tutta la questione linguistica era assente in tutto ciò ci volevano ancora almeno sette secoli prima che qualcuno la riprendesse in termini più precisi, però alcuni si sono accorti che esiste qualche cosa che fa da limite e questo limite naturalmente i medioevali l’hanno rinviato a dio ma questo limite non è altro che quell’istruzione che noi abbiamo chiamato il “questo è questo” potevamo chiamarla ecceità se vi piace di più. L’ecceità è un’istruzione e quindi è invalicabile non può essere trasgredita, è ovvio che Duns Scoto non poteva immaginare che tutto questo appartenesse a delle istruzioni che sono lì unicamente per costruire delle sequenze, fare funzionare un sistema che chiamiamo linguaggio però rimane il fatto che il sentore molti l’hanno avuto, lo stesso Aristotele con il principio di non contraddizione: c’è qualcosa che non è valicabile, se questo è questo non può essere altro da sé, come se fosse un principio, sì è stato preso ontologicamente come se riguardasse l’essere della cosa ma in ogni caso è stata avvertita la non valicabilità di qualche cosa, ma non è valicabile nel senso che se lo si valica allora si perde la possibilità stessa di avere quello strumento che consente di pensare la valicabilità, non è che non sia praticabile per chissà quale decreto divino, la questione è molto semplice: non è contravvenibile il principio di identità perché il farlo comporta la cessazione della possibilità di contravvenirlo perché a quel punto mancano gli strumenti per poterlo fare, non c’è più niente, è questo il motivo per cui è invalicabile, nessun altro a questo punto risulta più chiaro forse perché gli umani non possono fare altro che affermare continuamente qualche verità qualunque essa sia, perché non possono non ripetere all’infinito quel principio di identità che li fa esistere in quanto umani, in quanto parlanti, è solo il principio di identità quindi di non contraddizione, e questo fanno perché non hanno nessun altro strumento se non il linguaggio e il linguaggio funziona così. E così abbiamo risposto alla domanda perché fanno questo e non possono non fare che questo: non possono non fare nient’altro che questo perché il linguaggio qualunque cosa costruisca per quanto lunga e articolata, elaborata eccetera comunque deve concludere con una proposizione vera. E ci chiedevamo anche tempo fa: possono fare altro, se non affermare questo principio di identità? Se fosse altro cosa sarebbe? Sarebbe altro dal linguaggio, dalla sua struttura ma questo è un grosso problema …

Intervento: e quindi non funzionerebbe né il principio di identità né di non contraddizione …

E di conseguenza sarebbe niente, assolutamente niente, non sarebbe neppure pensabile perché se lo fosse già funzionerebbe …

Intervento: sull’infinito ...

Lei muova sempre da una considerazione semplice: prima cosa l’infinito è un significante in attesa di un senso che sarà quello che lei avrà voluto attribuirgli, a meno che l’infinito non esista di per sè Intervento: si parla all’infinito è un sistema infinito il linguaggio … anche un mazzo di carte è un sistema finito e infinito …

Intervento: mi chiedevo della questione sintattica … queste regole e queste istruzioni sono guidate dal principio di identità e quindi non contraddizione è questo il modo in cui si possono legare queste proposizioni per risultare vere o false …

Regole che la logica, da Aristotele in poi fino alla logiche paraconsistenti, per esempio di Jaskowski, tutto questo, questa letteratura sconfinata intorno alla logica non fa altro che dire questo: da un elemento vero cioè identico a sé si deve arrivare a un altro che allo stesso modo deve essere identico a sé e trova tutti i modi per provarlo. La logica si occupa di stabilire, dato un elemento identico a sé tutto ciò che può trarsi e che deve essere altrettanto vero e identico a sé naturalmente, solo questo, tutta la logica non fa nient’altro che questo cioè continuare a stabilire il principio di identità, il fatto che non se ne sia accorta non significa niente, fa solo questo …

Intervento: non s’è accorta per il sistema religioso in cui gli umani pensano …

Affermando che si ragiona così perché è naturale, perché le cose stanno così si parte male, è come dire che dio lo vuole. L’ecceitas, la questità, il “questo è questo” cioè l’affermazione del principio di identità che viene stabilito, dopodiché …

Intervento: è quello che consente agli umani di parlare proseguendo attraverso il vero quindi non può essere che questo è questo …

Sì, e non possono fare nient’altro che questo, passano tutta la loro esistenza a parlare e cioè affermare questo è questo, con tutte le varianti, gli orpelli che si attaccano. Ricordate il famoso aneddoto di Sraffa che chiacchierava con Wittgenstein mentre passeggiavano non ricordo dove e Sraffa gli fece quel gesto tipico napoletano di unire le punte delle dita rivolte verso l’alto, e chiese a Wittgenstein come potesse essere inserito all’interno della struttura del linguaggio, e Wittgenstein non seppe lì per lì cosa rispondere, ma anche in questo caso questa semplice domanda non vuole sapere forse qualche cosa? O mettere in evidenza che ciò che la persona vuole non ha nessun interesse, per esempio, se ciò che la persona vuole non ha nessun interesse non ha nessuna importanza e se non ha nessuna importanza non è degno di essere considerato e cioè è come se non esistesse in un certo senso e quindi viene messo insieme a quelle cose che risultano false e cioè da non prendere in considerazione, o né vere né false nella migliore delle ipotesi, ma in ogni caso è sempre la considerazione che o meglio un percorso che conduce a stabilire che una cosa è in questo caso importante oppure no, interessante oppure no, in definitiva vera oppure no. Qualunque gesto, anche un’imprecazione, che pure sembra lontano dalla struttura del linguaggio in fondo non fa altro che affermare che una certa persona, una certa cosa non sarebbe dovuta accadere o non avrebbe dovuto dire ciò che ha detto perché dicendolo crea qualche scompenso per cui non va bene: ogni cosa è riconducibile necessariamente perché questa è la struttura attraverso la quale funziona il linguaggio e quindi direi che necessariamente non può non essere riconducibile al suo funzionamento, se no funzionerebbe in un modo differente da quello in cui funziona il linguaggio e quindi sarebbe fuori dal linguaggio, se fosse fuori dal linguaggio sarebbe nulla.

Questa sera mi premeva precisare questo aspetto che mi sembra importante, sapere perché gli umani non fanno nient’altro che affermare cose, affermare cioè fermare, e una volta che è così allora si può proseguire se invece non è così no, si abbandona e si cerca un’altra via e tutto ciò che dicono tutte le loro manifestazioni di qualunque tipo o di sorta conducono lì necessariamente. Per costruire una dimostrazione come la logica stessa ci mostra da quando esiste occorre partire da qualche cosa che sia ritenuto vero rispetto a quel gioco se no se non parte …

Intervento: mettere in discussione …

Per poterlo fare, per poterlo mettere in discussione occorre già una struttura che sia fondata sul principio di identità. Possiamo fermarci qui, per oggi abbiamo detto l’essenziale.