INDIETRO

 

 

22-4-2002

 

Allora proseguiamo la questione intorno al linguaggio, che cosa possiamo dire? Che cosa abbiamo detto fino ad oggi intorno al linguaggio? Che cosa sappiamo? Intanto che ci sta consentendo di fare queste considerazioni, in prima istanza, e sappiamo anche che non c’è uscita dal linguaggio dal momento che abbiamo visto in svariate occasioni che qualunque tentativo lo richiede, che altro sappiamo?

Intervento: che funziona da solo

sì, che non ha bisogno di altro per sostenersi, dicevamo un sistema autoportante a questo punto possiamo considerare questo: il linguaggio può dire altro che non sia se stesso? Voglio dire questo: quando il linguaggio parla cioè è funzionante che cosa dice? Poi già l’affermare che il linguaggio sta dicendo è qualche cosa che il linguaggio mi sta consentendo di fare, con dire si intende generalmente l’esporre in una sequenza grosso modo ordinata e coerente una serie di elementi linguistici, ora visto che ci sta consentendo di fare tutte queste operazioni, ci consente anche di chiederci se il linguaggio può dire di qualcosa che non sia linguaggio, questa domanda non è del tutto oziosa. Tempo fa dicevo che l’unico scopo del linguaggio è proseguire se stesso, però di fatto dicevamo questo perché non riuscivamo a trovare nessun altro obiettivo degno di qualche nota, bene! Ma se riusciamo a rispondere a quest’ultima domanda, cioè se il linguaggio può dire qualcosa che non è linguaggio, potremmo riproporre la stessa formulazione in termini più solidi e forse anche altre cose, intanto che cosa non è linguaggio? Tenendo sempre conto che è il linguaggio che sta consentendo di porre questa domanda, una questione questa che è sempre costantemente presente, ineludibile…

Intervento: allora definire qualcosa che ne sia al di fuori è usare il linguaggio stesso, quindi non può esistere qualcosa che ne sia al di fuori

argomentazione non sufficientemente robusta, anche perché rispecchia in effetti il modo di pensare comune e cioè che il linguaggio esprime qualcosa ma questo qualcosa non è linguaggio, il linguaggio è un mezzo, un tramite…

 Intervento:

quando io dico “qualcosa che non è linguaggio” parrebbe che io mi riferisca a qualcosa, ora è possibile individuare questo qualcosa oppure no? Se è possibile individuare questo qualcosa allora che cos’è questo qualche cosa che non è linguaggio? È altro ovviamente. Ma si pone un problema, come lo so che non è linguaggio? Posso stabilirlo, questo posso farlo, posso costruire un gioco dove degli elementi muovono da una regola che afferma che alcune cose non sono nel linguaggio, questo lo posso fare, ma facendo questo costruisco un gioco sapendo che è un gioco all’interno di un linguaggio che mi consente di costruirlo, il problema è che se io pongo qualcosa fuori dal linguaggio, cioè se il linguaggio parla di qualcosa che non è linguaggio, come so che questo qualcosa non è linguaggio? E soprattutto come lo provo? In ambito teorico come sapete è richiesto che io provi quello che affermo, che cosa comporta il fatto che io lo possa provare soltanto attraverso il linguaggio? Per esempio, se io avessi in animo di provare che questo qualcosa di cui il linguaggio parla non è linguaggio, che cosa comporta il fatto che qualunque prova io voglia costruire per fare una qualunque cosa, questa sia fatta di linguaggio? E che pertanto il linguaggio rimane non soltanto ciò che mi consente di fare queste operazioni ma anche l’unico criterio possibile esistente per valutare o svalutare qualunque cosa, come dire, in altri termini ancora, che a questo punto che il linguaggio non può dire altro se non se stesso, qualunque cosa dica, faccia, disfi è sempre se stesso, e questo che cosa ci induce a considerare?

Intervento: Il fatto che il linguaggio non possa dire altro che se stesso

A porre in termini più radicali quanto affermato recentemente, e cioè che l’unico obiettivo è di proseguire se stesso, come se in un certo senso il modo in cui prosegue fosse assolutamente irrilevante, voglio dire questo: il fatto che una persona racconti che è felice, contenta, angosciata, disperata… e chi più ne ha più ne metta, è assolutamente indifferente, non significa niente, non è altro che un sistema operativo che sta funzionando, tutto qui. Apparentemente però non sarebbe tutto qui, tant’è che alcune persone dicono cose gioiose altre cose tristissime alcuni si rammaricano, altre soffrono, altre si rallegrano ecc. quindi parrebbe non essere la stessa cosa, parrebbe ma per quanto riguarda il funzionamento del linguaggio sì, sono assolutamente la stessa cosa, al linguaggio poco gliene cale che uno prosegua in un modo oppure nell’altro, purché continui, purché il linguaggio continui a produrre se stesso. Ha qualche interesse sapere perché uno produce la disperazione più nera e il discorso di un altro produce la gioia più sconfinata?

Intervento: no

è troppo veloce… forse la risposta è quella, rispetto al linguaggio, certo, nessun rilievo, assolutamente nessuno, ma mi chiedevo invece in ambito clinico, cosiddetto, se una cosa del genere abbia qualche interesse oppure no, cioè il pensare che siano cose differenti…

Intervento: forse sì

Forse, è da considerare…

Intervento:

sì, certo,ma perché, perché compie questa operazione? Perché, ammesso che la cosa sia fattibile, perché togliere la sofferenza a qualcuno se è esattamente quello che vuole? Perché queste persone ve lo chiedono? Se ci pensate bene è una domanda paradossale,dal momento che nessuno obbliga nessuno a stare male, se lo fa avrà i suoi buoni motivi, la questione che sto ponendo è se sia il caso, ci sia l’eventualità che tutta una serie di cose che ha inventato la psicanalisi cessino di esserci utili. Che una persona venga da me, per esempio, dicendo che viene perché ha paura e chieda a me di sbarazzarla delle sue paure è quanto meno singolare, ma perché dovrei farlo? Torno a dirvi, perché me lo chiede? E perché me lo chiede, quando sarebbe sufficiente che cessasse di avere paura, visto che nessuno la costringe, è il suo discorso che costruisce qualche cosa che noi chiamiamo paura, la chiamiamo così perché è connotata in un certo modo…

Intervento:

anche, ma in effetti ciò che hai detto è interessante, non riesce, non ha gli strumenti o, per dirla altrimenti, non è capace di pensare e quindi di accorgersi che ciò che sta facendo, ciò che sta costruendo è una stringa di elementi ai quali attribuisce una assoluta certezza, mentre di fatto sono assolutamente arbitrari, come dire in altri termini ancora che a questo punto il lavoro che stiamo facendo non è più quello di occuparci a tempo pieno di malanni e acciacchi ma unicamente porre delle condizioni perché la persona possa pensare, cosa significa pensare? Intanto possiamo dire che pensare è inevitabile, visto che il linguaggio non si arresta, il pensiero e cioè la sua esecuzione è altrettanto inevitabile. Al momento in cui mi trovo a pensare è ovvio che sto parlando, cioè sto utilizzando questa struttura, non posso pensare senza una struttura che me lo consente, che non è altro che la costruzione, la sequenza di elementi linguistici assemblati in proposizioni coerenti tra loro, connessi da un sistema inferenziale, pensare è questo, nient’altro che questo, il quale sistema inferenziale ovviamente impone una conclusione, dicevamo tempo fa “se questo allora quest’altro”, pensare è tutto qui non è che ci sia chissà quale altra cosa, il problema è il “se A” il primo elemento cioè quello che do per buono per raggiungere la mia conclusione. La psicanalisi non dovrebbe fare nient’altro che insegnare a interrogare la premessa maggiore di un qualunque sillogismo e porre le condizioni perché ciascuno possa farlo, ora ciascuno di voi sa perfettamente quanto sia complicato ottenere questo: perché una persona rimane vincolata alle cose in cui crede? Perché una persona non molla il suo “sintomo” perché un fondamentalista islamico non cessa di credere in Allah, che è la stessa cosa, perché la persona cerca il consenso? Perché ha bisogno di sentirsi facente parte di un tutto? È la stessa cosa, anche qui è il linguaggio che la costringe? Forse…

Intervento:

sì, qualcosa del genere, un assioma viene scambiato per una necessità logica, cioè qualcosa che è assolutamente arbitrario viene posto come qualcosa di costrittivo, certo, c’è qualche cosa qui che mi appare straordinariamente semplice, dicevo prima, si tratta di togliere sintomi? Probabilmente no, probabilmente non è affatto questo che ha qualche interesse…

Intervento:

Il sintomo non è nient’altro che ciò che lei pensa che sia, intendo in questo caso con sintomo qualcosa di molto più banale, esattamente ciò che la persona afferma di subire e di non volere, una persona per esempio che ha la solita fobia dei topi, è contenta di avere la fobia dei topi a suo parere, oppure dirà che vuole sbarazzarsene? Uno che ha paura di volare? Diciamo una cosa nuova, via: se potessi volare allora potrei prendere l’aeroplano e farmi un bel viaggio, invece ho paura e non lo posso fare, questa persona considererà la sua paura di volare un sintomo, con buona probabilità, e affermerà anche che questo sintomo non lo vuole. Ora noi possiamo anche definire il sintomo come ci pare ovviamente, ma rimane il fatto che questa persona ha paura di volare e invece vorrebbe volare, ora torniamo alla questione di prima, noi dovremmo levargli la paura di volare?

Intervento: a proposito di volare, un inciso Freud definiva il sintomo come l’attività sessuale della persona

e quindi?

Intervento: e quindi per antonomasia non si può negare la sessualità o l’erotismo, questo luogo comune) e pertanto? (seguendo questo corso d’idee se io parlo di sessualità come di pensiero…

e se non seguissimo questo corso di idee?

Intervento:

dice che la sessualità è il pensiero?

Intervento: questa metafora sessualità è poter connettere queste stringhe…

quando lei ha detto questo la sessualità è una certa cosa e dà la sua bella definizione, qualunque essa sia, che cosa ha fatto esattamente?

Intervento: sono partita da una premessa che è sessualità e ho aggiunto degli elementi fino a concludere che il pensiero è come la sessualità

se io invece affermassi che la sessualità è la combinazione di quel posacenere con il registratore? Funzionerebbe allo stesso modo?

Intervento: questa affermazione è qualcosa che per il momento non trova riscontro nel mio discorso

questo non significa un granché, provi a considerare tutto ciò che ha detto tenendo conto di quanto stiamo affermando e cioè che il linguaggio può parlare soltanto di se stesso, qualunque cosa affermi afferma elementi linguistici il cui unico obiettivo è quello di proseguire se stesso, ora a questo punto la sua definizione può avere un unico scopo, fare in modo che il linguaggio prosegua, c’è altro oltre a questo?

Intervento: se mantengo la sessualità come premessa è chiaro che mantengo tutta una serie di elementi che mi hanno portato ad affermare la sessualità

ché lungo questa via che abbiamo intrapresa da tempo, ci troviamo purtroppo, per un verso e per l’altro no, vincolati alle nostre affermazioni, vincolati a delle regole ferree le quali regole ci obbligano per così dire ad affermare con assoluta certezza unicamente ciò che non può non essere affermato. Perché abbiamo scelto questo modo anziché qualunque altro. Perché pensammo, allora, che ci avrebbe consentito di evitare di affermare cose assolutamente arbitrarie, nella migliore delle ipotesi, risibili nella peggiore, ora per potere utilizzare ciò che lei ha affermato occorrerebbe che la definizione di sessualità risultasse necessaria, solo a questo punto tale definizione può essere posta come premessa e procedendo per deduzione giungere ad una conclusione altrettanto necessaria, saprebbe costruire una definizione di sessualità che risulti necessaria, oppure no?

Intervento: mi sembrava semplice utilizzare questa luogo comune sessualità perché lega degli elementi

per esempio Verdiglione pensava esattamente il contrario, la sessualità non lega affatto, è una divisione allora come la mettiamo? Lega o slega?

Intervento: dipende da quello che mi troverò a dire come utilizzerò questo termine sessualità

Certamente. In qualche modo Beatrice ha risposto alla domanda di prima, al perché le persone fanno tutte quelle cose stranissime che fanno. Perché in effetti le cose in cui credono sono quelle che consentono loro di continuare a parlare, come se ci fosse una sorta di supposizione che soltanto attraverso queste che sono credute vere sarà possibile proseguire, l’inghippo sta nel fatto che queste cose non possono essere provate vere in nessun modo, però il fondamentalista islamico è costretto a pensare che soltanto seguendo la via indicata da Allah, soltanto lungo questa via potrà andare avanti, proseguire, trovare la verità e cioè ciò che gli consentirà di andare avanti, e sappiamo perfettamente che soltanto proposizioni riconosciute dal discorso come vere consentono al discorso di proseguire, come chiunque, il fondamentalista islamico, così come il teorico più avveduto necessitano di proposizioni vere per potere proseguire, che cosa li distingue? Il fatto che il fondamentalista islamico muove da premesse risibili, il teorico nella migliore delle ipotesi cerca di evitare di proseguire da proposizioni risibili, cos’è una affermazione risibile: una affermazione posta come vera così…

Intervento: come dogma

molte volte non si pone nemmeno come dogma, si pone come una verità personale o un proprio credo, una supposizione, ma dipende anche dalle strutture di discorso, ci sono alcuni discorsi che vanno più cauti, altri che sono più sfrontati, un discorso che va molto cauto premetterà generalmente delle frasi che servono un po’ come captatio benevolentiæ, mi sembra, mi pare, credo, suppongo…

Intervento:

Quando io inventai tutto questo marchingegno, uno degli obiettivi del gioco fu anche quello di costruire qualche cosa che non avesse più bisogno di questa premessa e cioè dire “credo che sia così, suppongo che sia così” ma che mi consentisse di affermare “è così” ché non può essere altrimenti e occorrerebbe proseguire lungo questa via muovendo da affermazioni che possono essere affermate con tale forza e senza mezzi termini, per esempio affermare che l’unico obiettivo del linguaggio è proseguire se stesso occorre che sia, perché è una verità, perché è sempre stato così e sempre sarà da quando esiste il linguaggio e finché il linguaggio esisterà, non è mai potuto e non potrà mai essere differente da così, e le affermazioni da cui muoviamo soddisfano a questi requisiti, e affermare che il linguaggio, cioè l’unica cosa di cui gli umani vivono, può affermare soltanto se stesso non è un’affermazione da poco, visto che da questo punto in poi i cosiddetti affanni, o le invenzioni anche le più strabilianti e anche le più sconclusionate, i sentimenti dai più nobili ai più infami, le emozioni dalle più belle alle più orrende… tutto questo di per sé non significa assolutamente nulla, sono soltanto proposizioni, stringhe di elementi linguistici il cui unico scopo è proseguire, unicamente perché prosegue il sistema operativo, il quale ci appare proprio in questo modo una macchina inarrestabile, il famoso motore immoto, anzi sarebbe propriamente ciò che taluni cercavano come moto perpetuo, non può arrestarsi. Qualcuno potrebbe dire: “ma se io muoio, il mio linguaggio si ferma”, balle, non può affermare nemmeno questo perché è una supposizione. Ecco ora per tornare alle questione, a uno degli aspetti importanti, che è quello clinico, perché in effetti la posizione di chi ascolta può cambiare posta in questi termini, cambia nel senso che l’ascolto è attento unicamente a cogliere che cosa sta consentendo al discorso di proseguire, a nient’altro che questo, rimane, certo, la questione dell’intervento…

Intervento: a ciò che funziona come vero

Sì, ciò che una persona afferma è sempre vera, non può essere altrimenti se no non l’affermerebbe, il problema è, come dicevo prima, è questo scambio fra qualcosa che ritiene la verità assoluta o personale che è la stessa cosa con qualcosa che è assolutamente arbitrario, che è una sua decisione ecco mettiamola così. Anche nell’ipotesi più bizzarra… viene un tizio che afferma “quel tale ce l’ha con me” e vi porta ovviamente a conforto di tale supposizione tutta una serie infinita di prove e controprove, supponiamo pure per un instante che sia proprio così, che quel tale ce l’abbia a morte con lui, che ce ne cale? No, non personalmente, certo, importa nulla ma rispetto al discorso che sta facendo, il fatto che l’altro ce l’abbia oppure no è assolutamente indifferente così come è indifferente ciò che sta affermando, sappiamo soltanto che il suo discorso per proseguire afferma questa cosa, allora a questo punto ciò che prima chiamavo imparare a pensare non può essere nient’altro che questo, giungere a constatare che qualunque cosa io affermi non ha nessun altro obiettivo che continuare a dire, ma non per qualche ghiribizzo, ma perché il linguaggio non può fermarsi semplicemente, anche nel caso in cui la persona lamenti le cose più tremende, e nelle cosiddette psicosi? Cambia qualcosa oppure no? Sì e no. Certo il cosiddetto psicotico non accoglie alcune regole fondamentali del vivere civile, ma è inevitabile che anche nel caso di uno psicotico, siano esattamente la stessa cosa. È inaccessibile, dicono alcuni, non accogliendo alcune regole del vivere civile rimane inaccessibile, è come se io chiamassi tutte le cose non con il loro nome ma invertito, capovolto, e sarebbe un problema, vado in giro e mi prenderebbero per matto…

Intervento: però se io le chiamo con il nome capovolto è perché io le ascolto con il nome capovolto, per cui non c’è un senso

forse, non è così automatico…

Intervento: un conto è che io sia contro a quelle cose per cui mi costruisco un codice particolare per cui le cose le chiamo in un altro modo, un conto è che io non le senta, non siano significanti

che differenza c’è fra il trovarsi di fronte a uno psicotico con la caffettiera in testa e che afferma di essere Napoleone, per esempio, per usare le frasi più folcloristiche, di fronte al quale io spiego che lui non è Napoleone, che Napoleone è quel tale vissuto ecc. ecc. e che non portava una caffettiera in testa soprattutto ma un tricorno, mostrando tutta una serie di argomentazioni buone, non desisterà nel pensare…

Intervento:

come dire che se lei affermasse di essere Sandro De Gasperi sarebbe uno psicotico?

Intervento: quello che rappresentava Napoleone non è Napoleone

e invece la persona che vi trovate davanti gentile e cortese e consapevole di tutti i giochi linguistici giocati dalla buona società e alla quale voi spiegate queste cose che andiamo dicendo a proposito del linguaggio e la quale persona vi dice che assolutamente non è così, pur essendo ciò che affermate assolutamente innegabile, è così diversa da quella che afferma di sé di essere Napoleone? Intervento:

adesso non stiamo a fare valutazioni estetiche…

Intervento:

c’è questa eventualità, come dire che la persona crede una certa cosa e di fronte ad argomentazioni semplici in un certo senso e inattaccabili che negano tutto ciò che lui crede ciònondimeno continua a credere. Facevo l’esempio del fondamentalista islamico, non c’è bisogno di andare in Arabia, è sufficiente che parliate con chiunque. Come si affronta la psicosi? Come si affronta una qualunque persona che incontrate per strada, la quale rispetto a quelle che sono chiuse in manicomio ha soltanto un sistema di credenze più condivise ma non meno ben radicate, non meno ben difeso di quello di uno psicotico, così ben radicate al punto da difenderle anche con le armi se occorre, mi sembra ben radicato schierare divisioni corazzate per difenderle, e quindi trovare il modo per fare intendere ad altri ciò che stiamo facendo, un modo più efficace non è altro che trovare il modo di dissolvere le psicosi, la psicosi così come è comunemente intesa, possiamo anche dire che il discorso normale, come diceva Freud è una via di mezzo fra nevrosi e psicosi, possiamo anche affermare che il discorso normale è il discorso religioso e quindi il discorso psicotico, possiamo affermare quello che ci pare e il suo contrario, rimane che il discorso non ha accesso al sistema operativo, con tutto ciò che ne segue ovviamente, una quantità sterminata di cose, perché finché tutte queste cose sono accolte come arbitrarie possono giocare ovviamente, possono mutare, muoversi, combinarsi e scombinarsi. L’aspetto fondamentale è che il linguaggio non può dire nient’altro che non sia se stesso, occorre muovere da qui, porlo proprio come un principio fondante, oltre che fondamentale. Potremmo provare a confutare questa affermazione, ma così ad occhio mi sembra arduo, occorrerà che ci proviamo così come abbiamo sempre fatto, proveremo anche a confutarla, metterla alla prova, perché deve reggere in particolare alle nostre obiezioni, e quando troveremo che in effetti negando si produce necessariamente una proposizione autocontraddittoria, solo allora verrà accolta come necessaria, in caso contrario è una stupidata, come qualunque altra cosa, ché in qualunque teoria se io affermo come affermava Verdiglione “il tempo è la divisione delle cose” questo cosa significa? Che è anche qualunque altra cosa? La loro unione per esempio, oppure no? Se no, questo che cosa ci induce a riflettere? Che la persona, pensa che sia effettivamente così e da quel momento, presa per buona, non verrà più considerata è così e tanto basta, a nessuno verrà in mente di chiedere se può essere il contrario, ciascuna saprà in cuor suo che non può essere il contrario anche se non potrà dirne il perché, ma saprà che è così, “saprà” fra virgolette, e quel che più conta si muoverà in base a ciò che sa e pertanto qualunque cosa capiterà sotto mano che avrà a che fare con il tempo in qualche modo immediatamente per lui sarà una divisione tra le cose, è inevitabile, oltre che inesorabile, perché gli umani funzionano così, pensano così, sono particolarmente refrattari a mettere in discussione le cose che hanno raggiunte, che hanno costruite, le cose in cui credono. Forse è stata questa la chance aver costruito un discorso che ha…essersi impegnati a demolirlo, tutto nuovo. Abbiamo affermato che nulla è fuori dalla parola e allora? Che significa? Niente, assolutamente niente, potremmo dire che tutto è fuori dalla parola, che la parola è un mezzo fra me e il mondo esterno che non è affatto parola, perché no? È quando si comincia a riflettere in termini più precisi, con cosa sto pensando? Che cosa sto dicendo quando affermo questa cosa? Che qualcosa diventa molto più chiara oltre che solida, se no che io affermi che nulla è fuori dalla parola o che tutto è fuori dalla parola, che differenza fa? Nessuna. Cambia quando una delle due diventa necessaria, e con necessario torno a ripetere per l’ennesima volta intendo che quando è negata produce proposizioni autocontraddittorie, come dire: di là non è possibile andare, questo è l’unico sistema possibile e praticabile.

Intervento:

Sandro, come penserebbe lei una teoria del linguaggio, se mai dovesse costruirla, supponiamo che abbia questo compito…

Intervento:

Sì, ho un po’ riassunto, precisato alcuni concetti già espressi…

Intervento: mi interrogavo sulla questione dell’intervento, del sintomo…

sì, non fa nessuna differenza che si lamenti di tutto oppure il contrario, che tutto va bene, è l’immaginare comunque che ciò che si sta dicendo abbia come referente qualche altra cosa che non è un atto linguistico…

Intervento: in termini morali, sintomo come segno di male…

Sì, la nozione di sintomo… si potrebbe anche affermare che il giocherellare con l’orologio è un sintomo, che fumare una sigaretta è un sintomo, posso anche affermare che respirare è un sintomo…

Intervento: nei casi di Erica e Omar… il mangiarsi le unghie è segno di disagio…

nella psicologia giocano a chi le spara più grosse…

Intervento: il sintomo sarebbe da elaborare in questi termini…

da elaborare o da abbandonare?

Intervento: stiamo considerando anche questa eventualità

come dire che ci serve a qualcosa? Immaginare che ci sia una certa cosa che noi chiamiamo sintomo?

Intervento: se noi proseguiamo nei termini morali di cui parlavamo prima…

non è fare il moralista, in linea di massima, una mia ambizione…

Intervento: sì qualcuno si presenta in analisi e dice il mio sintomo è questo…

Certo, dice una infinità di cose e comunque chiedergli di dire…

Intervento:

chiedere a questa persona cosa intende con il “suo sintomo” e vi dirà in definitiva che è qualcosa che non vuole, che poi non è nient’altro che questo, ché se lo volesse non sarebbe sintomo…

Intervento: la questione morale per esempio nell’intervento fare il verso della nevrosi, far sì che non lo voglia ulteriormente e questo suo non volerlo possa trovare qualche cosa su cui reggersi

ci manca qualcosa in tutto ciò che abbiamo detto…

Intervento: nei termini di intervento con il pubblico non abbandonando la questione teorica ma puntando più sulla questione retorica

la questione teorica, parlavamo prima con Lodari di Carmelo Bene, sapete che è morto di recente, il quale è sicuramente un personaggio interessante, parlava al pubblico in modo molto provocatorio, ma questo dava occasione? faceva pensare qualcuno? Costringeva qualcuno a riflettere su qualche cosa? Oppure lo divertiva semplicemente? Ciò che a noi interessa invece è inserire, facevamo una specie di allegoria, inserire un antivirus… ché abbiamo provato una volta a provocare il pubblico in modo abbastanza sostenuto e vivace e infatti ha risposto alla provocazione, è successo un putiferio, ma cosa è accaduto dopo? Niente, assolutamente niente…

Intervento: possiamo abbandonarla la questione del sintomo certo possiamo abbandonarla qui ma al momento in cui intervenga in un’analisi…

sì, ma noi parliamo anche di religione ma non per questo siamo religiosi, è chiaro che in una conferenza si può parlare di sintomo, si può parlare di qualunque cosa, io mi riferivo in ambito teorico…

Intervento:

l’idea di credere che una certa cosa sia un sintomo… credere vero questo comporta un muoversi anche di conseguenza…