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22-1-2014

 

Accade da qualche tempo che la questione del linguaggio ha sempre meno importanza, è sempre più accantonata, e forse occorre domandarsi come mai avviene un fenomeno del genere, come è avvenuto? Perché cessare di parlare di linguaggio e rivolgersi alle neuroscienze, alle scienze cognitive, alla filosofia della mente? La questione pare essere questa: il modo per potere giungere ad affermare enunciati universali passa attraverso l’eliminazione del linguaggio. Voglio dire che la filosofia analitica, la semiotica, la linguistica, che sono le discipline che almeno teoricamente dovrebbero essere più attente alla questione del linguaggio stanno lentamente scomparendo, forse la linguistica un po’ meno, ma è relegata in ambienti sempre più ristretti; la semiotica ha avuto un suo momento di gloria negli anni sessanta/settanta, oggi praticamente è quasi scomparsa dal dibattito pubblico, e per quanto riguarda la filosofia analitica, si è trovata di fronte a tali problemi nei confronti del linguaggio che, nella totale incapacità di risolverli, ha incominciato a volgersi verso quelle scienze positive che dicono, o dovrebbero dire, come stanno le cose. La situazione in cui ci troviamo è buffa perché non soltanto la psicanalisi è sempre meno considerata e valutata, ma anche il linguaggio incomincia a essere estromesso dall’interesse degli scienziati, dei ricercatori, dei filosofi in generale. La ragione per cui questo sta avvenendo è che probabilmente ci si è accorti in vari ambiti che il linguaggio è una delle cose più difficili da maneggiare, da trattare, più difficili con cui avere a che fare, si è tentato ovviamente di stabilire dei criteri, dei parametri entro i quali costringere il linguaggio, però il fallimento di tutto questo è significativo. Le neuroscienza ignorano totalmente il linguaggio, come se tutto ciò che accade negli umani non avesse nulla a che fare con il linguaggio. Questa è la tendenza oggi, questa è la direzione verso cui si muovono le scienze cognitive eccetera, perché se si incomincia a considerare il linguaggio più attentamente si incontrano dei problemi, dei grossi problemi. Abbiamo accennato in questi ultimi tempi alla questione del significato per esempio, è chiaro che la filosofia analitica si pone la domanda metafisica per eccellenza cioè “che cos’è il significato?” cercando di trovare qualche cosa che possa rispondere in modo soddisfacente a questa domanda che prevede che il significato sia un qualche cosa che è lì, e non che lui stesso, e cioè il concetto di significato o il termine stesso si produca attraverso e per via di una rete di significati. La questione cui siamo giunti ultimamente è che i giochi linguistici di cui parlava Wittgenstein hanno in effetti una portata molto più ampia di quanto lui stesso avesse previsto, tant’è che ogni teoria semantica, così come ogni teoria semiotica o linguistica, sono giochi linguistici, però dire che sono giochi linguistici comporta dire che tutto ciò che questi discorsi producono, costruiscono, inventano e concludono soprattutto, tutte queste cose sono all’interno di un gioco linguistico. Ciò che a noi è sempre interessato intendere sono le implicazioni di una cosa del genere, possiamo dire che un significato è sicuramente un termine, un elemento linguistico, parlare di significato referenziale, inferenziale, composizionale, tutte queste cose sono giochi linguistici, nulla di tutto ciò ha, ne potrà mai avere la possibilità di stabilire che cosa sia il significato e cioè di trovare quello che cercano: il significato di ultima istanza. Sarebbe l’ultima parola sul significato, che potrebbe anche essere posta come un sorta di contraddizione in termini, ma tutto questo ci porta a un’altra considerazione e cioè al fatto che mano a mano che si procede nell’indagine intorno al funzionamento del linguaggio, ci si accorge che questa stessa indagine è un gioco linguistico, potremmo dire al pari di qualunque altro, che non ha migliori vantaggi o migliori opportunità di essere più o meno reale o cose del genere, no, è un gioco, un gioco linguistico. Se dessimo una definizione di gioco linguistico, come farò tra poco, comunque sia sarebbe un altro gioco linguistico, e a questo punto la definizione proponibile di gioco linguistico, che per altro abbiamo già fornito, non è nient’altro che una combinazione, una rete di elementi che si connettono fra loro in base a delle regole, delle procedure di composizione, queste regole consentono di costruire delle sequenze fatte in un certo modo, consentono di riconoscere le sequenze fatte in un certo modo da quelle che non sono fatte in quel modo, consentono anche di, dopo avere costruite queste sequenze, di connetterle con altre sequenze sempre seguendo delle regole di composizione precise, in modo da costruire via via sequenze sempre più complesse, sempre più complicate e più elaborate, fino a costruire per esempio la storia del genere umano. Questa definizione di gioco linguistico non dice che cos’è un gioco linguistico, dice che cosa io intendo, in questa occasione, con “gioco linguistico”, e cioè la definizione che mi è utile per indicare qualcosa che ho intenzione di mostrare, per esempio in questo caso il funzionamento di un gioco linguistico. Tutto questo ci dice ancora che intanto è molto difficile uscire da un gioco linguistico o considerare qualche cosa che non sia un gioco linguistico, cioè che non corrisponda a quella definizione che ho appena data, è difficile, perché comporterebbe che un qualche cosa non sia connessa con qualche altra cosa, e se una certa cosa è connessa con nulla, diventa molto complicato poterla usare all’interno di una combinatoria, perché non è connessa con nulla. Qualunque tentativo di costruire qualcosa che non sia un gioco linguistico nell’accezione che ho indicata sarebbe necessariamente votata al fallimento, però ho detto che questa definizione è anche lei un gioco linguistico, abbiamo costruita questa definizione in base unicamente a ciò che chiamiamo linguaggio, e che consente di procedere, di proseguire, di potere costruire altre sequenze. Questo è importante perché consente anche di mostrare che qualunque cosa si stia facendo non può non essere un gioco linguistico, se è connesso con qualche cosa, e sappiamo che non può non essere connesso a qualche altra cosa, quindi come abbiamo già affermato in altre occasioni, se qualche cosa è qualche cosa è perché è inserito in un gioco linguistico, o è nel linguaggio. Il linguaggio a questo punto non è nient’altro che l’essere i giochi linguistici in esecuzione continua, e tenendo conto di questo, allora possiamo riconsiderare la questione del significato utilizzando vari giochi linguistici. Uno di questi giochi è la psicanalisi, la psicanalisi potrebbe anche, se lo volessimo, essere considerata una teoria semantica, una teoria del significato: mostra come si costruiscono i significati all’interno di discorsi, come funzionano, come si connettono fra loro, quali hanno la priorità su altri, quali il discorso elimina, perché in contraddizione con altri, sarebbe quella cosa che Freud chiamava “rimozione”. Freud in effetti ha considerato un aspetto di una teoria semantica mostrando che il significato, non solo di una proposizione, ma anche di un termine, procede, e in questo ha dato un forte contributo la semiotica, procede dal discorso all’interno del quale è inserito. Freud ha esplorato proprio questo, il modo in cui le parole si connettono fra loro a creare dei significati che non hanno nulla a che fare con quella del dizionario. Una cosa del genere come quella che ha fatta Freud è sostenibile? Sì, che lo è, lui l’ha sostenuta, ma gli argomenti a favore di una cosa del genere più che logici sono pragmatici, cioè si basano soprattutto su ciò che ascolta, sul fatto che una persona si trova a considerare il significato di una certa cosa in un modo bizzarro, e allora si chiede come mai intende il significato a quella maniera. Facciamo un esempio. Dicevamo l’altro giorno della nozione di “coppia”, qual è il significato di questa parola? Se voi cercate il significato del termine coppia nel dizionario, noterete che per “coppia” si intende una collezione di elementi il cui numero cardinale è 2, una collezione qualunque composta da due unità. Dunque qual è il significato di “coppia”? Wittgenstein non ha torto quando dice che è l’uso che se ne fa, il problema è che questo uso che si fa di questa parola “coppia”, tecnicamente potrebbe essere qualunque: chi decide quale sarà l’uso all’interno di un certo discorso? E qui c’è Freud. Perché l’uso che si farà, che un discorso farà di un certo termine, sarà quello che per il discorso è importante in quel momento, tant’è che come è noto, anche parlando di “coppia” nel senso di relazione tra un uomo e una donna, anche in questo caso, i modi di considerare la cosa possono variare anche di molto, spesso anche molto più di quanto si speri, quindi torno a porre la questione, qual è il significato di “coppia”? Questa parola è utilizzabile in italiano perché qualunque dizionario riporta una sequenza di altre parole e riportando questa sequenza di altre parole dice qual è il modo di utilizzare questa parola, cioè dice qual è il suo riferimento più “comune” tra virgolette, perché non è neanche vero questo, quindi dice soltanto in quale modo c’è una sorta di utilizzabilità di questa parola, ma niente di più. Certo se non avesse questo riferimento nel dizionario sarebbe difficilmente utilizzabile. Abbiamo visto la volta scorsa che ci sono dei suoni che hanno un significato, ma questo significato non corrisponde a nessuna voce del dizionario propriamente, come un suono acustico, un segnale acustico non ha un corrispettivo nel dizionario. Vi rendete conto immediatamente che la questione del significato, se si considera il linguaggio, propriamente il suo funzionamento, scappa via da tutte le parti, non c’è nessuna possibilità di afferrare in qualche modo, di potere dire in che cosa consista. Qualunque cosa noi diciamo del significato possiamo sempre costruire una contro argomentazione che mette in discussione ciò che abbiamo appena affermato, e questa è una prerogativa del linguaggio, del suo funzionamento, ecco perché il linguaggio deve essere abbandonato perché è una tragedia, se l’indagine, lo studio viene condotto fino alle estreme conseguenze, come stiamo facendo e come abbiamo fatto, allora diventa la causa dell’impossibilità di potere compiere qualunque enunciato universale, cioè dire come stanno le cose. Questo non significa che non usiamo enunciati o affermazioni universali ovviamente, possiamo farlo quanto vogliamo, sapendo perfettamente quello che stiamo facendo ovviamente, e cioè una costruzione che è valida, come sempre, all’interno del gioco nel quale è inserito. Interrogarsi intorno al significato è arduo come interrogarsi intorno a qualunque cosa ovviamente, come se in effetti non esistessero propriamente termini categorematici, se non per una sorta di finzione, di gioco, ma ciascun termine, ciascuna parola, sono necessariamente sincategorematici, cioè necessitano di altri termini per funzionare. La domanda che occorrerebbe porsi al momento in cui si decide di interrogare il concetto di significato dovrebbe essere questa: “che cosa mi sto chiedendo esattamente?” E questa è una questione che già avevamo sollevata tantissimi anni fa “quali enunciati accoglierò come risposta a questa domanda, in base a quale criterio accoglierò certi enunciati e altri no?” È ovvio che accoglierò degli enunciati se questi enunciati sono coerenti con delle regole che ho precedentemente stabilite, ma regole assolutamente arbitrarie, così come rifiuterò tutti quegli enunciati che non sono coerenti con le regole che ho precedentemente stabilite. È possibile credere a delle affermazioni universali a condizione di non interrogare assolutamente nulla di ciò che si sta dicendo, perché se si incomincia a interrogare ciò che si sta dicendo, anche il significato di ciò che si sta dicendo, perché no? allora tutte queste affermazioni si svuotano completamente, cioè non significano assolutamente niente, sono dei giochi linguistici e un gioco linguistico non ha propriamente dei significati, un gioco linguistico costruisce i significati che poi utilizza per costruire, al seguito, altri giochi linguistici e così via. Sto dicendo che il significato è una costruzione, la costruzione di un gioco linguistico. Il gioco linguistico fornisce delle regole, degli input, questi non hanno nessun significato, non sono né veri né falsi, sono semplicemente dei comandi, questi comandi sono eseguibili da un sistema che è predisposto per eseguire questa cosa, proprio come la macchina di Turing, quindi a questo punto è possibile costruire delle sequenze che ci dicono a quali condizioni qualche cosa è un significato oppure ci consentono di costruire una domanda circa un significato, ma il significato segue sempre a un gioco linguistico, è il gioco linguistico che lo determina, che dice qual è il significato, e la domanda circa il significato di qualche cosa non è altro che la domanda su come usare una certa parola all’interno di una certa combinatoria. La domanda intorno a qual è il significato o cos’è il significato è come una domanda di input, di informazione cioè “dammi altre informazioni per andare avanti”. Insomma appare sempre più evidente che ogni cosa prenda avvio da delle informazioni, delle istruzioni che vengono trasmesse e il linguaggio è fatto di questo, poi può costruire dei modelli, certo, può costruire anche questo può costruire anche una ricetta per fare la matriciana così come può costruire un modello mentale, esattamente allo stesso modo. È importante quando si costruisce un sistema fornire anche degli elementi per potere valutare la correttezza del sistema, e anche questa lo si impara, dopodiché il sistema è avviato e costruisce sequenze. Fra queste sequenze ce ne è anche una che chiede “qual è il significato del significato?”, domanda che non esisterebbe, non avrebbe nessun senso, nulla, se non ci fosse una struttura che consente di costruire questa sequenza e cioè chiede quali sono le condizioni di utilizzabilità di un termine e le istruzioni danno la risposta: le condizioni di utilizzabilità del termine sono queste, per esempio che “coppia” significa collezione di elementi formata da due unità. Però questa è soltanto la condizione di utilizzabilità di una parola, potremmo dire a questo punto che non è neppure il significato, è una condizione di utilizzabilità, forse sarebbe più appropriato parlare in questi termini. Date le condizioni di utilizzabilità di un termine, il linguaggio fa quello che deve fare, cioè lo utilizza all’interno di altre combinatorie producendo infinite possibilità di significati. Come abbiamo detto, perché si dia un significato occorre che un elemento possa essere utilizzabile da un sistema, cioè che esistano delle condizioni di utilizzabilità, che sono quelle fornite dal dizionario, dopodiché si incomincia a produrre del significato. Quindi le definizioni del dizionario non sono significati ma sono condizioni di utilizzabilità, forse detta così è più appropriata, perché non è quello il significato. Torniamo alla coppia, quando Eleonora chiede al suo fanciullino: “che tipo di coppia siamo io e te?”, non ha in mente la definizione del dizionario, proprio per nulla, non ha in mente “una collezione di elementi formata da due unità” …

Intervento: a quel punto si parla di funzionalità di una coppia, per esempio…

Sì, è il modo in cui in seguito a una vita di informazioni, di istruzioni, di elaborazioni di dati che viene fuori questo significato di “coppia”, che certo ha delle condizioni di utilizzabilità perché se no non sarebbe una parola, non sarebbe utilizzabile nel sistema, se fosse una sequenza di dieci “a” una dietro l’altra, questa sequenza non è una parola perché non è utilizzabile, a meno che non sia codificata, cioè significhi una parola…

Intervento: una produzione di una serie interminabile di inferenze…

Interminabile tecnicamente non proprio, come abbiamo sempre detto un dizionario ha circa 160.000 parole quindi è un insieme finito, chiuso, ora le combinazioni che possono farsi con 160.000 elementi sono una cifra spropositata, però non è infinita. Qualcuno sostiene che è una modalità circolare, nel senso che a un certo punto si torna al punto di partenza, e infatti molti usano proprio il cerchio per indicare l’infinito, e cioè un percorso che non ha fine, non ha soluzione di continuità.