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21-11-2001

 

Quando una persona afferma qualcosa, per esempio in ambito teorico, cioè compie una affermazione teorica, qualunque essa sia, immagina ovviamente che questa sua affermazione sia corretta e in quanto corretta denoti uno stato di fatto delle cose, come dire che descrive un qualche cosa. Ora come giunge a una conclusione? Ovviamente da una premessa, compie una serie di passaggi e poi conclude. Tuttavia è raro, in ambito anche teorico, ché altrove potrebbe apparire più frequente, ma anche in ambito teorico è raro che ci si pongano delle domande intorno alle premesse da cui si è partiti, eppure ciascuno, almeno in cuor suo, sa che se muove da una premessa arbitraria anche ciò che ne concluderà sarà altrettanto arbitrario, ciononostante anche il discorso scientifico ha questo andamento, ritiene che la premessa da cui muove, se esplorata nei suoi vari passaggi, conduca a qualcosa di reale e ciò che è reale lo immagina percepito generalmente dai sensi, come dire che è reale, è vero, ciò che posso vedere, toccare ecc. oppure procede dalla deduzione: tutto ciò che riguarda per esempio la nozione di essere, di bene, di vero, di giusto, tutte cose che non si possono né toccare né vedere procedono deduttivamente, quindi nella migliore delle ipotesi una argomentazione ha come premessa o la percezione oppure qualcosa che è il risultato di altre inferenze, necessariamente. Potremmo dire noi di fronte a un teorico che espone la sua teoria che tutto ciò che ha costruito è fondato su niente? Cosa ci direbbe in questo caso? Cosa ci risponderebbe? Che ciò che ha costruito è fondato su assiomi, principi che lui assume come veri, ma li assume tali per qualche motivo o così, per niente? Li assumerà per qualche motivo, quale?

Intervento: che sia vero

Certo, però come si fa a stabilire che un assioma è vero? Lo si stabilisce certo, anzi nella logica propriamente gli assiomi sono stabiliti veri e non lo sono di fatto, quindi si stabilisce un assioma per esempio “se A, allora se A allora B”, è un assioma, non è né vero né falso di per sé, può essere vero a seconda dei valori di verità che si attribuiscono alle variabili ma si stabilisce che è vero, e nella logica funziona così, si costruiscono degli assiomi che servono a dimostrare delle cose, però nella logica il risultato finale non è qualcosa che fa parte delle realtà, è qualcosa che risulta vero nell’ambito ristrettissimo di quel gioco, o nell’ambito ristrettissimo delle regole che si sono imposte, nient’altro che questo, come dire che tutto ciò che si fa è vero all’interno di quel gioco, fuori da quel gioco non significa assolutamente niente. Questo in ambito prettamente logico, in altri ambiti le cose vanno un po’ diversamente, perché alla logica non passa mai per la mente di descrivere uno stato di cose, assolutamente mai, non fa niente del genere, costruisce dei giochi, inventa delle regole e poi costruisce da lì dei giochi che si possono giocare con quelle regole, nient’altro che questo. In altri ambiti, per esempio in quello scientifico, cioè del discorso di cui si sta parlando la pretesa è diversa, e cioè è quella di costruire delle proposizioni che siano delle descrizioni di uno stato di fatto, e questo stato di fatto precede la descrizione, la quale descrizione lo illustra semplicemente, come diceva Galilei che l’universo è scritto in termini matematici, è un sistema da decifrare, qualcosa che sta lì che bisogna decifrare, scoprire, ecc. questo è il luogo comune per antonomasia, si tratta di una realtà che sta lì e che si tratta di conoscere sempre meglio. Però quando si tratta di intendere se tale realtà sia effettivamente ciò che si pensa che sia oppure no, ecco che sorgono dei problemi notevolissimi, direi quasi insormontabili, poiché se la realtà la conosco per esperienza, allora sono legittimato a costruire un pensiero del genere: questa esperienza o è esperienza di qualcosa o è esperienza di nulla, quando dico che ho esperienza di una certa cosa, cosa sto dicendo? Perché ciò che viene esperito, il perceptum, o segue a qualche altra cosa oppure segue a nulla, ma se segue a nulla allora io ho esperienza di nulla. Se invece segue a qualche cosa allora è il conseguente di un antecedente, e quindi è inserito all’interno di una struttura inferenziale e dunque linguistica, e quindi il perceptum è un atto linguistico, così come il percipiens, se è un atto linguistico allora non ha alcun referente all’infuori di sé perché sarebbe un referente fuori dal linguaggio, non avendo pertanto nessun referente fuori di sé, è unicamente costruito e gestito dal linguaggio, quindi ciò di cui ho esperienza non può essere nulla che non sia prodotto e gestito dal linguaggio, e così il percipiens ovviamente, quindi sia io che accolgo qualche cosa, sia quel qualcosa che è accolto da me, entrambi possono esistere in questa struttura, né pare possibile pensare altrimenti. Ora questo per dirvi che la premessa da cui muovo, qualunque sia, anche la cosa più reale che si riesca ad immaginare, è l’effetto di una percezione, un perceptum e come tale, come abbiamo visto, è un atto linguistico, quindi pongo come premessa da cui traggo le mie considerazioni degli atti linguistici. Questo che cosa comporta? Che tutto ciò che sto facendo è nient’altro che compiere dei giochi linguistici: ecco esattamente non faccio nient’altro che costruire giochi linguistici, quindi non può, ciò che sto dicendo, descrivere qualche dato di fatto perché non descrive nient’altro se non se stesso. Prendete una qualunque affermazione teorica, visto che siamo in ambito psicanalitico utilizziamone una nota alla psicanalisi, prendiamone una da Lacan “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” con la A maiuscola, è una affermazione che possiamo considerare teorica. Questa affermazione descrive qualche cosa oppure non descrive assolutamente niente? È esattamente, come fa la logica, la costruzione di una proposizione resa possibile da alcune regole stabilite e nient’altro che questo? Perché, se ci riflettete bene, cambia la questione, cambia molto, perché se questa proposizione è creduta la descrizione di uno stato di cose e cioè che esita un tale desiderio che io ho definito in un certo modo e che questo desiderio corrisponda al desiderio dell’Altro, quello con la A maiuscola e cioè quello che rappresenta l’inconscio, l’altra scena, se io penso tutto questo allora ipostatizzo l’esistenza di tutti questi elementi i quali, messi insieme vengono descritti da questo nuovo elemento che si chiama desiderio dell’uomo, se dunque credo tutte queste cose allora effettivamente per me, credente, il desiderio dell’uomo sarà il desiderio dell’altro, e intenderò tutto ciò che avrà a che fare con il desiderio in quella maniera ovviamente, ogni volta che comparirà la questione del desiderio, io la rapporterò immediatamente a quell’altra proposizione, perché “so” che il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, e quindi ha un utilizzo questa proposizione se io la credo vera, e il suo utilizzo è quello di farmi intendere le cose in quel modo, quindi mi serve a costruire una serie di altre proposizioni. Se invece non credo una cosa del genere, cioè ritengo che una proposizione del genere non sia altro che, come quelle della logica, un gioco linguistico ottenuto utilizzando certe regole e certe definizioni, allora non sarà utilizzabile in quel modo, c’è l’eventualità che non sia utilizzabile affatto, perché qualunque sarà la definizione che io darò di desiderio sarà comunque una definizione arbitraria, così come lo è quella del luogo comune ovviamente.Vedete a questo punto come si costruisce un’opinione, una certezza scientifica e come non abbia nessun altro modo per costruirsi se non quello di crederci? E come si fa a credere? Non interrogando le premesse da cui muovo, è sempre questa la condizione. In effetti il lavoro che stiamo compiendo è questo, anche in una analisi, volgere delle proposizioni che si ritengono scientifiche in proposizioni che esistono all’interno di un gioco e per quel gioco linguistico. Fine a se stesso? Già, fine a se stesso. Può essere un po’ seccante per taluni immaginare una cosa del genere, però di fatto se vogliamo proseguire con estremo rigore non possiamo affermare che questo. In caso contrario saremmo costretti a trovare una motivazione al linguaggio e cioè a cosa serve il linguaggio, ma possiamo anche dire a cosa serve il linguaggio, a produrre se stesso, nient’altro, dal momento che qualunque altro scopo dovremmo trarlo al di fuori di se stesso, e questo ci occuperebbe in congetture piuttosto fumose oltre che assolutamente arbitrarie, non fondate e assolutamente infondabili, e pertanto è l’unica cosa che possiamo affermare senza timore di trovarci autocontraddetti: il linguaggio non ha nessun altro scopo che produrre se stesso. Qualunque proposizione si costruisca ha esattamente questo scopo, produrre se stessa all’interno di un gioco ovviamente, è chiaro che è necessario che ci siano delle regole perché questo possa darsi e cosa comporta una cosa del genere ancora? È ovvio che una cosa del genere comporterebbe la perdita di una buona parte dei cosiddetti valori, così come sono intesi dal luogo comune, per esempio una affermazione scientifica si suppone che abbia un suo valore perché denota o illustra almeno uno stato di fatto delle cose, invece qui il valore, possiamo anche tenerlo il valore, ma lo usiamo esattamente allo stesso modo in cui si usa il valore dell’asso di quadri nel gioco del poker, che è diverso dal sette di picche, questo è il valore, il valore che ha all’interno di quel gioco, che gli è attribuito da quelle regole. Le argomentazioni che andiamo facendo qui le abbiamo costruite con il linguaggio ovviamente; c’è un altro modo per stabilire un criterio che possiamo utilizzare per stabilire se qualcosa è vero oppure no? Cosa comporta dunque il fatto che costruiamo questo criterio utilizzando il linguaggio anziché altro, ché generalmente non è questo il criterio utilizzato per stabilire ciò che è vero e ciò che non lo è, non il linguaggio ma altre cose, come dicevo all’inizio, la deduzione e l’esperienza, però abbiamo visto che entrambe le cose non possono essere considerate altrimenti che come atti linguistici e questo ci riporta inesorabilmente a considerare che qualunque criterio io possa stabilire per potere decidere se qualcosa è vero oppure no è un criterio fatto di linguaggio, e quindi fatto delle sue regole, delle sue procedure, non abbiamo altre possibilità, e quindi qualunque affermazione teorica che non muova dall’unico criterio utilizzabile in questo caso e cioè dal criterio che è quello che è fatto dal linguaggio, dove porta? Che cosa afferma? Afferma qualche cosa che può essere utilizzato ad una sola condizione, che io creda in ciò che sto affermando e a quale condizione posso crederci? Come abbiamo visto prima che non interroghi ciò da cui muovo e allora è tutto semplice, tutto chiaro, tutto fila liscio, tant’è che la religione, quella cattolica per esempio, spiega qualunque cosa, non c’è cosa che non spieghi, non c’è cosa che non sia chiara all’interno della fede e quindi perché non utilizzare quello? Anziché stare a scrivere tonnellate di saggi visto che la religione cattolica ha spiegato ogni cosa, qualcuno potrebbe obiettare che la religione cattolica non ha un fondamento dimostrabile, può darsi, mentre la scienza esige che ciò che è dato come vero, come legge, sia necessariamente ripetibile alle stesse condizioni da chiunque e in qualunque luogo, avevamo detto tempo fa di questo, e di come in effetti questa richiesta del discorso scientifico suoni come una petizione di principio: stabilisce delle regole, poi dice che queste regole sono quelle che servono per stabilire che cos’è vero, ma la scelta di queste regole non è necessaria, è assolutamente arbitraria. Si impone a questo punto una riflessione, perché il modo in cui le persone generalmente giungono a una conclusione non è poi così differente dal modo in cui giunge la scienza, grosso modo è la stessa, e il lavoro che stiamo facendo è quello di trasformare delle proposizioni che si impongono come una descrizione della realtà di fatto delle cose come invece giochi linguistici, che non descrivono niente se non se stessi, la questione è che non possiamo dire nient’altro che questo, oppure qualunque altra cosa e il suo contrario indifferentemente. Come dicevamo già anni fa la teoria elaborata da Heidegger e la favola di cappuccetto rosso, hanno lo stesso fondamento. E a cosa ci porta tutto questo Cesare? (…) sì la questione è che di fatto stiamo costruendo questo discorso che ha sicuramente delle applicazioni, ma così come è sorto e molto spesso prosegue non prosegue in vista di un utilizzo, prosegue perché non lo possiamo non fare, perché ci troviamo ad affermare cose che non possiamo non affermare, nel senso che procedono queste affermazioni da una costrizione logica, come dire costruiamo proposizioni necessarie, necessarie nel senso che dicevamo tempo fa e cioè qualunque proposizione che neghi ciò che andiamo affermando è autocontraddittoria, è un gioco. Sì e ci troviamo invece di fronte a delle persone che è come se si trovassero a giocare ai quattro cantoni immaginando che questo sia necessario, sono presi in un equivoco incredibile, è sorprendente, ora non è che questo ci preoccupi minimamente però nel caso in cui qualcuno venga a chiedere a noi di intervenire rispetto ad un disagio che avverte non possiamo non considerare che il fondamento del suo disagio è in questa sorta di equivoco, sta male perché immagina reali cose che sono una produzione della struttura che lo fa esistere, immagina che questa produzione sia fuori da tale struttura da qui ciò che Freud chiamava nevrosi, psicosi, senza tale struttura non possono esistere in nessun modo. Tutto ciò che stiamo facendo se vogliamo proprio trarre un utilizzo, se proprio vogliamo, ha questo utilizzo consentire a ciascuno l’accesso al sistema operativo, al linguaggio e allora tutta la macchina funziona in un altro modo. Era in effetti sempre stato, era considerato l’uovo di colombo utilizzare come il criterio, l’utilità, se volete, per costruire proposizioni unicamente il linguaggio, è sempre stato un grosso problema questo, quale criterio utilizzare quando cerco la verità per esempio, ché dal criterio che utilizzerò dipenderà tutto ciò che io troverò per cui se il criterio è sgangherato troverò cose sgangherate, non è che non ne trovo ne trovo quante ne voglio anzi come dicevano i medioevali “ex falso quodlibet” posso dire qualunque cosa e come dicevo quando ho esordito qui stasera è sorprendente quanto il discorso scientifico costruisca delle cose enormi fondate assolutamente su nulla. Provate a considerarle come una questione estetica, a lui piaceva considerarle così, ha un fondamento ciò che ha scritto? No nessuno, qualunque fondamento vogliamo fornirgli, ché tutto sommato sono partito proprio da queste considerazioni, qualunque fondamento gli si voglia fornire, si trova ad un certo punto…trovate quella fatidica proposizione che afferma “credo che sia così” “mi pare che sia così, mi piace che sia così”

Intervento: fra gli altri Freud si trova a dire cose interessanti

Sì certo lui e anche molti altri sicuramente forse già nei sofisti ci sono cose del genere, affermazioni che poi sono all’interno di un gioco, certo. Che utilizzo ha una proposizione che è all’interno di un gioco linguistico? Costruire altri giochi linguistici ovviamente, a che scopo? A che scopo gioco a poker? Per continuare a giocare, per divertirmi…

Intervento: non possiamo non costruire giochi linguistici

Sì…

Intervento: la questione della scienza pone la questione dell’esistenza di dio…

Intervento: lebraismo non ha avuto bisogno di dimostrare l’esistenza di dio

E neanche l’islamismo se l’è mai posta…

Intervento: io pensavo mentre lei parlava al discorso della fisica…

Infatti, come il gioco del poker è un gioco chiuso in sé, quelle sono le regole e non si scappa…

Intervento: sì oramai si può fare solo della linguistica… anche il gioco della linguistica fino ad ora ha continuato a fare lo stesso gioco quello di descrivere un qualche cosa che esiste di per sé, non è riuscita a portare all’estremo la questione… anche Wittgenstein tutto sommato non è riuscito a fare il passo che avrebbe comportato un altro gioco linguistico ma con regole totalmente diverse

Questo per dare un eco a ciò che ha detto Cesare che la realtà non è altro che un gioco linguistico, abbiamo un po’ ampliato la sua definizione (…) sì l’equivoco sta in questo, come abbiamo detto varie volte, scambiare delle regole del gioco per elementi extralinguistici, dei dati di fatto immutabili, sono regole per giocare…

Intervento: occorre poter giocare questo gioco, questa ginnastica intellettuale, chiamiamola così perché se no, è ancora una volta come descrivere una realtà che qualsiasi cosa è un atto linguistico, a quel punto è interessante ma è una realtà, ma poter considerare ciò che interviene una proposizione che è la premessa per un altro gioco

Sì l’accesso al sistema operativo…

Intervento: la stessa linguistica costruisce delle cose ciascuna volta credendo che queste cose che ha costruito corrispondano a qualcosa che è fuori dal discorso che l’ha costruito

Certo perché se è all’interno è vincolato alle regole di quel discorso, certo.