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21-9-2011

 

C’è una questione di cui volevo parlarvi questa sera che è piuttosto ampia e complessa. Da dove ha preso avvio il problema che gli umani si portano ancora appresso intorno alla questione del linguaggio, della filosofia, del pensiero, dell’impossibilità di stabilire le cose, di trovare una certezza, da dove è cominciato tutto questo? E perché è incominciato? È incominciato con Parmenide, nel momento in cui presso gli umani si è passati dal mito alla filosofia, e cioè da ciò che è dubitabile il mito dice: gli uomini nascono dalla testa di Giove, sarà così? il passaggio dunque dal dubitabile all’indubitabile, all’incontrovertibile, che è ciò cui ha sempre mirato la filosofia e la scienza dopo di lei, e il punto di passaggio è stato proprio Parmenide. È Parmenide che ha stabilito che l’Essere è, e il non essere non è, stabilendo con questo che l’Essere è ciò che permane, ciò che è immutabile, ciò che non cambia, ciò che non diviene, ciò che non ha parti, ciò che non muore, ciò che è sempre necessariamente quello che è, e il non essere naturalmente non è, a questo punto Parmenide si è trovato a stabilire qualche cosa che è assolutamente certo: l’Essere. Dunque Parmenide si è trovato nella condizione di stabilire per la prima volta qualcosa che sarebbe dovuta essere, almeno nella sua intenzione, assolutamente certa, indubitabile appunto, incontrovertibile, che cioè non può essere altrimenti che così, dando in questo modo a tutta la filosofia che è seguita dopo di lui non soltanto l’obiettivo, e cioè stabilire che cosa è necessariamente, ma impedendogli anche simultaneamente di reperirlo, perché questo? Nel momento in cui stabilisce che l’Essere è ciò che è necessariamente, compie un’operazione che lo mette nella condizione di non potere provare quello che sta affermando, lo argomenta, nei pochi frammenti che abbiamo di lui, ma non lo può dimostrare, non può provarlo nel modo, come avrebbe voluto, incontrovertibile, ma perché? Perché questa affermazione si pone come una sorta di decisione. Tutto quello che dice, e che poi hanno detto anche millenni dopo di lui, non procede da un processo deduttivo, inferenziale, non deriva da qualche cos’altro che lo precede, d’altra parte non potrebbe essere, perché se derivasse da qualche altra cosa ci sarebbe qualche altra cosa che è al di sopra dell’Essere, che precede l’Essere, cosa che non è ammissibile. Ciò di cui Parmenide non si è accorto, e nessuno dopo di lui, è che il porre un elemento come identico a sé, immutabile eccetera è una decisione, non è qualcosa che è derivabile da altro, non è dimostrabile, e il motivo per cui non è dimostrabile è stato inteso un paio di millenni dopo, ché gli umani sono lenti, dalla linguistica, in particolare dalla semiotica, De Saussure soprattutto. Quando si è accorto che se voglio dire un significato, questo significato per dirlo dovrò dirlo con altre parole, le altre parole a loro volta avranno un altro significato e queste un altro significato, è un po’ il gioco del dizionario di cui abbiamo detto in varie occasioni, e cioè un rinvio infinito, e questo rinvio infinito è ciò che ha impedito al pensiero, alla filosofia, e in parte anche alla scienza, di potere stabilire con assoluta certezza alcunché, ogni volta che si stabilisce qualcosa, questo qual cosa scivola via, scivola via avendo la necessità, ed è questo il problema partito da Parmenide, che per definire l’Essere ci vogliono delle altre parole “immutabile”, “eterno”, “tutto”, “privo di parti”, sono altre parole, come dire che ciascuna cosa è definita da altro da sé, questa è stata la “maledizione” tra virgolette del pensiero degli umani dal momento in cui si è avviato, dal momento in cui cioè ha pensato che un qualche cosa, un quid, potesse avere in se stesso la possibilità di auto certificarsi, di auto dimostrarsi, di auto stabilirsi, ma non lo può fare, e questo lo sappiamo perché il linguaggio è fatto in questo modo: qualunque elemento linguistico è tale perché è preso all’interno di una combinatoria linguistica e cioè rinvia ad altri significanti, che è esattamente quello che diceva De Saussure “ciascun significante ha un suo significato, questo rinvia ad altri significanti, e così via all’infinito” è come dire che una combinatoria linguistica non può, proprio per la struttura stessa del linguaggio, esibire qual è il primo elemento e non può esibire qual è l’ultimo, se fosse il primo, prima di lui ci sarebbe il fuori dal linguaggio, se fosse l’ultimo dopo di lui non ci sarebbe più linguaggio e questo è un problema per i motivi che abbiamo elencati varie di volte.

Nel momento stesso in cui Parmenide avvia il pensiero, in quello stesso istante per così dire, impedisce al pensiero di potere riflettere su se stesso: dicendo che un elemento deve, deve sottolineo deve, potere rispondere di sé, la richiesta è che debba potere rispondere di sé senza l’ausilio di altro, cioè senza ricorrere ad altro e quindi senza diventare altro, questo è il problema della filosofia, e c’è da pensare che tutta la filosofia, tutto quel bagaglio immenso di pensiero filosofico che ha fatto seguito a Parmenide fino a oggi, sia nient’altro che un tentativo di porre rimedio al problema creato da Parmenide, come dire che ha imposto al pensiero un compito che il pensiero non può in nessun modo assolvere, perché non può un elemento linguistico rendere conto di sé al di fuori di altri elementi linguistici, è qui la questione, e da allora cosa ha fatto il pensiero? Ha cercato di porre rimedio a questo, cioè trovare un qualche cosa che stabilisse una volta per tutte come stanno le cose, fino alla fenomenologia di Husserl, che è stato l’ultimo tentativo, almeno in questa direzione, di andare alle “cose stesse”, sempre nell’attesa che un qualche cosa possa mostrare da sé se stesso, senza l’ausilio di altro da sé, ma questo non lo può fare. L’altro modo per risolvere questo problema è stato il modo della religione, del discorso religioso, e cioè inventarsi un qualcuno che ha deciso che le cose stanno così, ora se non avesse avuto questa bizzarria di pensare che ci fosse un qualcuno che ha deciso che le cose debbano stare così, forse si sarebbe avvicinato alla questione, solo che questa sciocchezza di pensare un qualcuno responsabile di tutto ha fatto crollare miseramente il tentativo ed è l’altro modo di risolvere il problema: le cose non possono garantire di sé nulla ma c’è qualcuno che le garantisce. È una decisione, ma una decisione che viene da che cosa? Di certo non da qualcuno, ma da una struttura che sta funzionando. Prendete il principio di non contraddizione di Aristotele, perché è vero? Può dire di sé di essere vero? Come, se non utilizzando sé stesso? Anche questo è un bell’inghippo, come faccio a sapere che il principio di non contraddizione è vero?

Intervento: per esempio essendo coerente con gli altri due principi …

Questo sposta solo la questione, perché questi altri dovrebbero essere veri?

Intervento: vanno in armonia …

Anche le regole del tre sette vanno in armonia fra loro, ma non per questo le poniamo come criteri di verità. Qualcosa ha sempre bisogno di qualcos’altro per stabilirsi, e questo crea un problema, come dire che qualche cosa è quello che è, se è altro da sé, che poi è il problema del divenire cui abbiamo accennato la volta scorsa a proposito di Severino. Questo problema che non ha nessuna soluzione, non ce l’ha nel senso che un elemento linguistico non può essere l’ultimo di una combinatoria e nemmeno il primo, non ha nessuna soluzione all’infuori di ciò che abbiamo avanzato e cioè il fatto che si tratti di istruzioni, e un’istruzione non ha la necessità di essere dimostrata perché un’istruzione è un comando, ed essendo un comando dice semplicemente qual è l’operazione che si deve eseguire, come un algoritmo. L’algoritmo di per sé non è né vero né falso, è soltanto il modello di un’operazione che può ripetersi all’infinito, come vengono utilizzati per esempio nei computer, sono algoritmi che risolvono solo quel problema e quello fanno, e vanno avanti all’infinito, o come abbiamo detto migliaia di volte è come chiedersi perché un asso di cuori vale di più di un dieci di picche, come può dimostrarlo il re di cuori? Non lo può fare, dicevamo che se potesse parlare direbbe semplicemente che è così perché è stato deciso così per potere fare quel gioco, e così il principio di non contraddizione è “stato deciso” tra virgolette, diciamo che interviene all’interno di questo sistema soltanto per giocare quel gioco che si chiama linguaggio, non ha nessuna altra funzione. Il linguaggio è ciò che “utilizziamo”, ma potrebbero essercene altri? Tecnicamente non è neanche escluso, anche se è molto difficile pensarli utilizzando questo linguaggio, siamo chiusi all’interno di questo ambito …

Intervento: è per questo motivo che se uno volesse sapere l’origine di queste istruzioni si troverebbe nell’inghippo che l’istruzione necessita di altri elementi per dire se stessa …

Esattamente, “da dove arriva il linguaggio?” sappiamo che è una domanda che è priva di senso, un’obiezione che spesso veniva posta è questa: “come si impara il linguaggio?”, come si impara da niente a parlare se non si è già presi nel linguaggio? Per dire a qualcuno che questo foglio è bianco occorre che già sappia che cos’è un foglio, che cos’è bianco, occorre che quindi sia già all’interno di una struttura linguistica, una massa interte non può a un certo punto pensare, e invece sì, è esattamente quello che abbiamo mostrato quell’altra volta parlando del come si insegna a pensare a una macchina …

Intervento: le prime parole hanno un utilizzo a quello che sta accadendo in quel momento in cui le apprende, è poi successivamente che acquisendo altre informazioni da anche a quelle parole tutta una serie di possibili varianti …

Sì, è per questo che vi ho parlato del computer e come sia possibile che a un certo punto un pezzo di ferro inerte diventi un qualche cosa che esegue operazioni, incomincia a pensare in un certo modo e anche il cervello umano, dicevo, se non avesse all’interno un sistema operativo, che è il linguaggio nel caso nostro, è qualche cosa che va bene per fare la frittura. Senza il sistema operativo non è niente, un pezzo di materia inerte, così come il computer. Questo per dirvi come si è avviato quel problema che ha dato da pensare e da riflettere agli umani per duemila e cinquecento anni senza naturalmente trovare nessuna soluzione, senza potere trovare nessuna soluzione perché non c’è, e quando ci si è accorti di questo ecco che è sorta l’ermeneutica, è sorta la crisi dei fondamenti, è sorta questa specie di relativismo intellettuale che approda a poco, comunque è tutto retto dall’idea che in ogni caso l’obiettivo metafisico, che si è posta la metafisica quindi la filosofia non è raggiungibile, e cioè lo stabilire una volta per tutte che cos’è l’Essere, che parte dalla domanda che cos’è l’ente cioè che cosa sono le cose, il “ti to on” degli antichi.

Dal momento in cui Parmenide ha stabilita la necessità di stabilire la verità di un elemento a partire dall’elemento stesso, da lì non si è più andati avanti, come se avesse stabilito l’obiettivo da raggiungere ma al tempo stesso l’impossibilità di raggiungerlo, e cioè tutto ciò che è stato pensato, è stato pensato proprio a partire da lì fino ad arrivare appunto alla cibernetica, e ai computer. Gli enti hanno un qualche cosa in comune, mentre l’ente cambia, muta, si trasforma, fa un sacco di cose, ci deve essere qualche cosa che appartiene agli enti e che non muta e che rende gli enti quello che sono, d’altra parte tutta la ricerca scientifica è questo sapere che cos’è esattamente qualche cosa per poterlo manipolare, per poterlo utilizzare ed eventualmente controllare, questo è l’obiettivo, quindi il problema è sorto dal momento in cui ha dato al pensiero questo obiettivo: stabilire, reperire che cosa necessariamente è, solo che occorre non solo argomentarlo ma anche provarlo, e come si fa? Per poterlo dimostrare, per potere dire che cos’è ho bisogno di altro e quindi questa cosa è, non solo se stessa, ma anche altro. Se deve essere quello che è, per potere dire che cos’è, questa cosa è già altra da sé, e siccome non posso fare altrimenti allora non potrò mai sapere che cos’è realmente da sé se non utilizzando altre cose, ma se utilizzo altre cose allora sarà altro da sé …

Intervento: il fatto che non l’abbia distinto dalle parole, che era …

Non solo, ma con altre parole che non hanno un limite, che non hanno una fine perché puoi sempre continuare a definire, c’è sempre altro da dire, non è che questo altro da dire a un certo punto si ferma, può andare avanti all’infinito, d’altra parte come forse dicevamo la volta scorsa o quell’altra, ponendo quello che ha posto, Parmenide ha già stabilito tutto ciò che sarebbe stato in futuro fino all’era dell’informatica “l’Essere è” questo è il vero/1 “il non Essere non è” quindi il non essere non è, che è il falso/0, ha già stabilito il criterio fondamentale, quello su cui si è retto tutto il pensiero, il principio stesso di non contraddizione: o è o non è, non c’è un’altra possibilità, che non è altro che uno degli elementi che consentono al linguaggio di funzionare, non è nient’altro che questo, un’istruzione che fa funzionare il linguaggio, così come la regola del tre sette fa funzionare il tre sette, è chiaro fin qui?

Parmenide ha stabilito che cosa è vero e che cosa è falso ma stabilendolo lo ha argomentato ma non lo ha potuto provare, e perché non lo ha potuto provare? Ché per stabilire che una certa cosa è vera, devo usare altre cose, e queste altre cose sono allora questa cosa che così diventa altro da sé, perde il suo carattere di verità assoluta che è determinato dal fatto di essere identica, immutabile, eterna, non composta di parti, dando avvio con questo a tutto il pensiero occidentale fino all’informatica, fino alla ricerca continua dell’Essere e cioè di ciò che rende l’ente quello che è. La semplicità attraverso la quale il pensiero degli umani funziona è stata mostrata quando c’è stata l’occasione o l’esigenza di costruire una macchina pensante, solo a quel punto gli umani hanno incominciato a chiedersi che cosa è necessario che ci sia perché il pensiero funzioni, perché giri questo sistema, aldilà di tutte le cose che può pensare o non pensare, a tutti i suoi accidenti, affanni eccetera, ma la struttura che consente di funzionare deve essere molto semplice e in effetti è straordinariamente semplice e riproduce, almeno in parte, certo molto semplificato, il funzionamento dei cosiddetti neuroni, quelli che trasmettono le informazioni. Ti ricordi Eleonora quello che dicevamo del processore? La CPU “Central Processing Unit”, o unità centrale di calcolo, circuiti logici, esattamente come funziona il cervello. La stessa Eleonora fino a qualche tempo fa si opponeva fermamente e strenuamente e coraggiosamente all’idea che una macchina potesse pensare come un umano, quali obiezioni facevi tu allora a questa idea?

Intervento: la creatività, apprendere cose nuove, provare emozioni …

Se tu incominci a riflettere su queste cose, ti domandi: come accadono queste cose? Cioè una decisione, un’emozione, l’invenzione, se pensi a come funzionano queste cose ti accorgi che per esempio l’invenzione, la creazione, come dici tu, in realtà non viene proprio da nulla, perché un qualcuno che non ha nessuna informazione, assolutamente nessuna, zero, sarà difficile che crei o inventi qualche cosa, ma procede da alcune informazioni, e può imparare cose nuove, può sapere cose nuove. Quando tu per esempio nel tuo computer installi un nuovo programma gli fai sapere cose nuove che prima non sapeva e dopo che le hai installate le sa fare. Le emozioni?

Intervento: si inseriscono le variabili …

Sì certo, tecnicamente è possibile, è una idea antica, già di Lullo e di Leibniz, l’idea che si potesse con una macchina incredibilmente potente inserire tutte le possibili variabili cioè sapendo in un istante qual è la posizione di tutti gli elementi, qual è la loro traiettoria, qual è la loro velocità, qual è la loro massa in teoria sarebbe prevedibile ogni cosa perché sarebbe calcolabile, non escludo che si possa anche arrivare a questo, perché no? Ma adesso non è questo che ci interessa. Una delle cose più difficili da pensare, però più produttive perché potrebbe aprire a molte questioni, è considerare che quando si pensa di fatto si sta calcolando …

Intervento: anche Leibniz pensava così …

Sì, solo che adesso con gli strumenti di cui disponiamo è pensabile in modo più preciso che si sta operando un calcolo, quando per esempio si ragiona, si deducono cose, si derivano cose, si sta facendo quello che fa una macchina, da certe premesse si deducono via via dei passaggi. Ciò che gli umani pensano procede da dati che hanno acquisiti e che sono stati processati, cioè elaborati, per cui incominciare a pensare al pensiero degli umani come un procedimento di calcolo può condurre a delle considerazioni di qualche interesse, anche quando si fa una dichiarazione d’amore si stanno processando dei dati, ma che cosa significa tutto questo? Che il pensiero umano procede come un calcolo, il calcolo in questo caso è inteso come una derivabilità di proposizioni da altre proposizioni. Faccio l’esempio della fanciullina, la fanciullina pensa questo: se mi dice “ti amo” allora mi ama, mi ha detto “ti amo” dunque mi ama (modus ponens); se invece (modus tollens)” sempre partendo dalla premessa principale e cioè “se mi dice che mi ama allora vuole dire che mi ama” non mi ha detto che mi ama dunque non mi ama. Questo è un calcolo proposizionale, naturalmente questa inferenza può anche essere falsa nel senso che non significa che se non dice “ti amo” allora non mi ama, ma diventa vera se viene data per vera la premessa maggiore cioè “se dice che mi ama allora mi ama” se questo è vero, non lo è naturalmente, ma se lo prendo come vero allora a questo punto inizio a derivare le conseguenze, cioè inizio a processare i dati. Si tratta di un calcolo, e il processore compie questo atto di procedere da una cosa all’altra …

Intervento: un’obiezione: per esempio una macchina come fa a scegliere tra due conclusioni? Una persona lo fa attraverso la sua struttura, le macchine non possono, non sono isteriche …

Beh, questo potrebbe essere un vantaggio, però di fatto come si fa a fare diventare una macchina paranoica?

Intervento: il computer ha sempre ragione e quindi l’ha vinta sempre lui …

Non è che si ponga questo problema una macchina, ma come fa una persona a diventarlo?

Intervento: raccoglie delle informazioni piuttosto che altre e va avanti così di conseguenza …

Una macchina per il momento come acquisisce i dati, cioè le informazioni? Un programmatore gliele mette dentro, gliele scrive oppure oggi attraverso l’inserimento in una porta USB, lì si possono inserire dei dati, non ha per il momento molti altri strumenti per acquisire informazioni se non quelle che l’operatore gli fornisce, mentre gli umani, attraverso che cosa acquisiscono le informazioni che acquisiscono? Sono i cinque sensi, attraverso i cinque sensi acquisiscono le informazioni, la macchina non è provvista dei cinque sensi, ma se la si provvedesse allora potrebbe acquisire tutte le informazioni che una persona potrebbe acquisire. È un po’ la questione che poneva Turing, un bambino piccolo che incomincia a camminare a quattro zampe, incomincia muovendosi ad acquisire tante informazioni, per esempio dà una testata contro la gamba del tavolo e acquisisce un’informazione, la gamba del tavolo è legno duro, fa male, poi vede i colori, vede cose, una macchina no, è lì ferma, ma se si potesse, diceva lui, consentire alla macchina di andarsene in giro per il mondo e acquisire tutte queste stesse informazioni allora anche la macchina sarebbe molto avvantaggiata …

Intervento: ha sempre bisogno della corrente elettrica …

E tu non hai bisogno dell’ossigeno? L’ossigeno che tu utilizzi insieme con proteine, carboidrati e tutto un insieme di cose, acqua anche, tutto questo serve al mantenimento di una certa tensione elettrica al tuo interno, questa tensione elettrica è quella che consente ai neuroni di passarsi le informazioni che sono passaggi elettrici, senza questa elettricità non funziona più niente, sì, poi c’è l’obiezione che comunque le macchine sono sempre costruite dagli umani, ma gli umani da chi sono costruiti se non da altri umani? Addestrati anche da altri umani. Ma si può sempre togliere la spina e il computer si ferma, anche un umano si può fermare, gli spari in testa e si ferma anche lui. Vedi quante analogie, mi rendo conto che immaginare che il pensiero degli umani non sia nient’altro che una procedura di calcolo di proposizioni, o quanto meno che alla base ci sia questo, possa essere difficile per molte persone da accogliere. Eppure Parmenide con quel suo primo gesto ha già stabilito che si tratti di un’operazione di calcolo, di un processo di calcolo: vero/falso, 1/0, se è vero proseguo, se è falso no, coma fanno i transistor. Dentro il tuo computer, dentro ci sono alcuni milioni di transistor, i transistor non sono altro che interruttori che fanno o non fanno passare corrente e costituiscono dei circuiti logici, che sono quelli che anche tu hai dentro alla testa …

Intervento: i nostri neuroni …

Esattamente, anche quelli sono interruttori: se la tensione elettrica supera una certa soglia c’è il passaggio di corrente, se non supera non passa. L’importante in tutto ciò è il fatto che attraverso queste considerazioni si giunge al concetto che abbiamo introdotto e ormai consolidato di istruzione: per fare funzionare tutto questo marchingegno occorrono delle istruzioni, perché ci siano dei circuiti logici occorre che qualcuno li abbia costruiti per esempio nel caso del computer, e perché il tutto funzioni occorre che ci siano delle istruzioni che dicono: qui vai, qui no, e il linguaggio è esattamente quelle istruzioni, per questo dicevamo che la parola è l’esecuzione di quelle istruzioni che sono il linguaggio. Antonella che cosa dice di tutto ciò?

Intervento: per tanti anni l’istruzione di Parmenide …

La domanda è: come si fa a dimostrare che questo era vero? Bisognava trovare un modo per dimostrarlo, tuttavia si è pensato che comunque fosse vero e incontrovertibile, nonostante alcune obiezioni che fecero proprio i sofisti, uno di questi fu Protagora, tra l’altro Parmenide anche lui fu un sofista, della scuola di Elea …

Intervento: negli ultimi mesi emerge sempre di più il funzionamento del linguaggio …

È per questo che stiamo lavorando su queste allegorie, servono a questo: a rendere più chiara la questione e il tentativo di uscire da questo detto di Parmenide il quale addirittura vietava …

Intervento: c’è l’esigenza di verificare se è vera o non è vera …

Questo è il compito che si è assunto la filosofia: stabilire cosa è vero e cosa non lo è, che cosa il pensiero può garantire con certezza. Il gesto di Parmenide è stato inaugurale. Possiamo formulare una ipotesi, che in effetti non abbia fatto nient’altro che mostrare, esibire, manifestare il modo in cui funziona il linguaggio, il modo in cui gli umani pensano, ciascuno, anche prima di Parmenide in qualche modo cercava la verità, anche i miti a modo loro, come racconti, cercavano di porsi come qualcosa di vero, una visione del mondo, una weltanschauung, e cioè un modo per configurarsi, immaginarsi come stanno le cose del mondo, il mito interviene per dare una sua spiegazione, giustificazione argomentata, sì, non provata certo perché non può farlo. Parmenide è come se avesse mostrato per la prima volta che il pensiero degli umani funziona così, certo in un modo un po’ problematico forse, però è così “ciò che è, è” e non può che essere quello che è, se no non riusciamo più a parlare, se per esempio in aritmetica usassimo il tre e il due indifferentemente cesseremmo di potere usare l’aritmetica, e così se una parola significasse simultaneamente molte altre sarebbe un problema, per esempio se alto significasse anche basso, se prima significasse anche dopo, se io significasse anche noi, o voi, o essi, o tutti quanti, senza queste regole che definiscono, che delimitano, che identificano un elemento per quello che è e soprattutto, qui ha ragione Wittgenstein, soprattutto ne determinano l’uso, quando c’è questo segno che è una “e” vuole dire questo che è una congiunzione, che congiunge e non divide perché se la usi per dividere succede un’ira di dio, per questo i connettivi logici sono delle invarianti, non possono variare, non puoi mettere “e” al posto di “oppure” e probabilmente Parmenide ha avuto il successo che ha avuto, come anche Aristotele dopo di lui.