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21-9-2004

 

C’è qualche questione su cui state lavorando?

Intervento: l’intervento dell’analista nel linguaggio, nella struttura, come l’analista si trovi letteralmente a costruire una struttura di pensiero… l’ascolto di storie… deve fare in modo che nella struttura dell’analizzante intervengano delle regole che in qualche modo comportino da parte di colui che si trova nella condizione di analizzante di autoprogrammarsi… perché l’analista conoscendo la struttura del linguaggio e come funziona deve fare in modo che intervenga da parte dell’analizzante tutta una serie di domande che portino appunto al variare della struttura… e variando la struttura l’analizzante di fronte alle questioni e ai giochi che fa il suo discorso, che sono i giochi particolari di quel discorso, trovi modo lui di rendere automatico il fatto che è linguaggio e quindi che possa elaborare quelle questioni che interessano il suo discorso

Ha già qualche idea a questo riguardo? Visto che ci sta pensando…

Intervento: le idee che intervengono a partire dall’intervento del linguaggio da parte del linguaggio… il linguaggio ha un unico scopo quello di proseguire e quindi deve costruire proposizioni vere… però un conto è produrre della sostanza e quindi delle altre storie, dei dati di fatto, delle altre vicende che la persona da per scontate perché sono reali, e che non può interrogare se non interviene nel discorso della persona che qualsiasi cosa è un gioco linguistico e quindi a quel punto… deve intervenire ad ogni atto di parola… una volta che questa proposizione è implicita… e quindi di fronte a un discorso che si sta facendo, questo fluire di parole che sono la descrizione di fatti deve comportare la riflessione su ciò che sta avvenendo lì e ora, ciò che sta facendo quel discorso e quindi quali sono i suoi obiettivi. Uno degli interventi il più semplice è quello di interrompere una certa sequenza di proposizioni però dove? Nella conclusione? di fronte a un certo significante? Occorre sia mirata la questione al momento in cui è linguaggio che sta funzionando quello che si ascolta, inserire quegli elementi che diano la possibilità di proseguire di evolvere in ben altro modo, come intervenire? Dimostrando la sua responsabilità alla persona fare in modo che la persona si accorga che sta costruendo, è lui che sta costruendo… quando poi uno si trova a intervenire nel proprio discorso questo è il motore principale e per lo meno si trova incuriosito sul come avviene che prediliga la sofferenza piuttosto che il suo contrario, deve accorgersi di cose di questo genere e rendere mobili delle premesse che comportano l’infinito racconto della solita storia… ciò che andiamo dicendo comporta l’elaborazione e l’intervento nel proprio discorso.

Intanto occorre aver chiaro che cos’è la psicanalisi, sappiamo che la psicanalisi non è nient’altro che un procedimento teorico per potere sapere come funziona il linguaggio e, di conseguenza, come funziona la persona, perché pensa quello che pensa in definitiva. Detto questo, l’analista deve porre la persona in queste condizioni e quindi fare in modo che sia responsabile, ché le cose che afferma non sono delle necessità assolute ma sono cose che lui pensa e dei quali pensieri occorre che si assuma la responsabilità. Una volta ottenuto questo, che non è sempre semplicissimo, si compie il passo successivo e cioè: se lo faccio io, sono io che faccio questo, perché lo faccio? E la risposta a questa domanda già allude al funzionamento del linguaggio e cioè fa ciò che non può non fare, ma non può non fare perché il linguaggio è fatto in quel modo e cioè lo costringe a farsi delle opinioni per esempio, avere delle certezze, credenze e superstizioni, il passo successivo consiste nel considerare che il linguaggio mi costringe a fare questo, allora ciò che credo non è la cosiddetta realtà ma una sequenza di proposizioni che il linguaggio costruisce e di cui io sono fatto, e pertanto non sono costretto a crederci, solo a questo punto avviene la cosa di cui lei parlava prima e cioè la consapevolezza che ciò che avviene in ciò che dico è opera della struttura che chiamiamo linguaggio e a quel punto l’ultimo passo: la considerazione che qualunque cosa io dica, veda o esperisca, può esistere perché esiste quella struttura che chiamiamo linguaggio. A questo punto la persona sa come funziona il linguaggio e sapendo come funziona il linguaggio sa come funziona lei stessa e non ha bisogno di altre informazioni. La psicanalisi è questo, nient’altro che questo, e se qualcuno dovesse chiedervi che cos’è la psicanalisi, ecco: è un procedimento teorico il cui obiettivo è fare sapere come funziona il linguaggio e quindi la persona in questione, la quale persona non è nient’altro che linguaggio, ché se sa come funziona il linguaggio sa anche come funziona lui stesso, inevitabilmente e inesorabilmente. Sapendo tutto questo allora non ha più bisogno di credere alle cose, né quelle che dice lui né quelle che altri gli dicono, non avendo più nessuna necessità di credere si trova a considerare unicamente ciò che il linguaggio produce sapendo che ciò che il linguaggio produce lo fa al solo scopo di proseguire se stesso, non ha nessun altro obiettivo, sapendo tutto questo si trova a vivere in una sorta di libertà assoluta, in quanto non dipende più da niente, la dipendenza stessa viene ricondotta a ciò che è, un significante il cui significato lo attribuisce lui di volta in volta e sa altresì che non può dipendere da alcunché perché il linguaggio non può dipendere da altro che non sia se stesso, altrimenti sarebbe qualcosa che è fuori dal linguaggio e quindi non c’è nessuna possibile dipendenza. Allora l’intervento dell’analista segue questo andamento, il più delle volte occorre che, perché possa darsi il primo passo di cui dicevamo, quello della responsabilità, che la persona racconti tutta una serie di cose, perché intanto occorre che si accorga di ciò di cui sta parlando, cosa che è tutt’altro che scontata, sappia di cosa sta parlando e perché questo avvenga; occorre che incominci a ascoltarsi, cioè a sentire più che ascoltarsi, a sentire ciò che sta dicendo, dopodiché gli si farà notare che ciò che sta raccontando, ciò che sta affermando, non corrisponde a una necessità esterna ma a qualcosa che lui sta facendo e che se fa qualcosa, se pensa qualcosa, intanto considerare che è lui che la sta facendo, che è il primo passo, poi seguono gli altri però se non interviene questo passo difficilmente può compiere il successivo, cioè se non c’è la responsabilità di ciò che si dice. Come ottenere questo primo passo che è fondamentale? Beh, intanto la persona racconta, racconta una storia, il più delle volte suppone che questa storia che sta raccontando non sia nient’altro che la descrizione di una realtà che gli è estranea, per lo più avviene così, non si accorge che sta raccontando una storia ma suppone di descrivere dei fatti, e questo è un problema, ma ciò di cui disponiamo in una analisi è la disposizione della persona ad ascoltare, una disposizione che viene dal fatto che ce lo ha chiesto di compiere questo percorso, non glielo abbiamo chiesto noi, cosa che non è indifferente, perché senza questa disposizione da parte della persona è arduo pensare di fare qualunque cosa, se una persona non vuole fare analisi non ci sono santi, né madonne che vi possano soccorrere, per cui ecco la disposizione ad ascoltare, in questo caso si sfrutta la figura retorica dell’auctoritas, cioè la persona immagina che l’analista a cui si rivolge sappia il fatto suo, esattamente come quando vi si ferma la macchina e andate dal meccanico e supponete che il meccanico al quale vi siete rivolti sappia il fatto suo, sappia cosa fare quanto meno, non è così automatico, però la supposizione è quella e questo fornisce quella disposizione di cui dicevamo, quella persona è disposta ad ascoltare quello che gli dite e quindi dicevo racconta la storia, racconta tutte le sue cose e come vi dicevo l’elemento che vi aiuta a fare in modo che cominci ad accorgersi che è lui che sta dicendo e che sta costruendo quelle cose che sta dicendo è il fatto che vi crede, generalmente crede a quello che dite, se non ci credesse certo potreste convincerlo, ma non funzionerebbe lo stesso, esattamente così come accade in una conferenza: è possibile piegare la ragione ma non la persuasione, cioè è possibile ridurre la persona all’incapacità di obiettare alcunché ma non per questo è persuasa, per questo dicevo è importante la posizione che avete in quel frangente, perché è quella che fa sì che la persona sia disponibile a credere ciò che direte. Per tornare alla questione della responsabilità, i modi sono tanti per intervenire nel contingente, alcuni si possono anche utilizzare come per esempio come faceva Lacan, interrompere su una questione. L’interruzione su una questione può fare considerare a quella persona che quella questione è importante, perché se l’avete interrotto su quella questione allora deve essere importante per forza, se no non l’avreste interrotto su quella questione e quindi cominciare a porre qualche interrogazione, ma l’interrogazione principale dovrebbe giungere a vertere su questa: perché le cose dovrebbero essere così come io penso che siano? Le cose stanno così, ma se non fossero così? Perché penso che siano così? L’arma migliore in questi casi è utilizzare le stesse cose che afferma una persona, per esempio mostrare che ciò che dice, ciò che fa, lo conduce sempre a una certa cosa che, il più delle volte, è quella stessa cosa per la quale ha iniziato l’analisi, per sbarazzarsi di quella cosa. Mostrare dunque come tutto ciò che fa giunga sempre a quella conclusione e che forse non è del tutto casuale che giunga sempre a quella conclusione, e mostrare anche qual è il tornaconto perché si produca sempre quella questione, una volta che avete mostrato il tornaconto, e cioè il motivo per cui avviene sempre quella cosa, a questo punto avete già posto il primo tassello per costruire quella responsabilità di cui dicevamo prima. In definitiva si tratta di compiere come primo passo quello che in molte analisi è considerato l’obiettivo finale, cioè mostre perché fa quello che fa, e questo per noi è abbastanza semplice, individuare il tornaconto, il motivo per cui continua a fare una certa cosa. Quando la persona si accorge di questo e cioè qual è il tornaconto, il fine per cui fa delle cose, a questo punto comincia quanto meno a porre l’eventualità di una sua responsabilità in ciò che sta facendo, ché se faccio tutte queste cose per ottenere questo allora sono io che le faccio, e quindi sarete ben avviati a questo punto. Certo, è il primo passo, perché se non ci saranno i passi successivi di cui dicevo e che adesso riprenderemo allora avviene come in tutte le psicanalisi, c’è uno spostamento, ma una volta attuato questo spostamento ci si arrocca su un’altra posizione e bell’è fatto, e da lì non ci si muove più, mentre ponendo questo come la condizione per potere avviare il percorso, per sapere come funziona il linguaggio cioè perché si trova a fare le cose che fa, sì è un tornaconto certo, ma perché deve utilizzare questo tornaconto per ottenere quell’obiettivo? Perché deve fare tutte queste cose anziché non farle visto che nessuno glielo ha ordinato? Ecco che allora c’è quel passo successivo di cui dicevo e cioè indicare come il suo funzionamento corrisponda al funzionamento del suo pensiero o più propriamente del linguaggio, cioè non è che fa così per qualche dio beffardo, ma perché è ciò di cui è fatto che lo costringe a pensare ciò che pensa, è una struttura che funziona in un certo modo e se si ottiene questo allora siamo effettivamente a buon punto, perché tenendo conto della definizione data di psicanalisi cioè un percorso teorico che mira a sapere come funziona il linguaggio e quindi la persona stessa, allora se a questo punto la persona comincia a sapere come funziona il linguaggio e non può non funzionare, allora lui stesso a quel punto avendo nozione di essere linguaggio, sa come funziona e perché funziona in quel modo, e non è che possa modificare il funzionamento del linguaggio, il linguaggio funziona sempre a quel modo, solo che sapendolo sa che ciò che il linguaggio costruisce e cioè quella proposizione che è vera per potere costruire altre proposizioni non corrisponde a nessuna realtà, nessun assoluto, corrisponde soltanto a un passaggio obbligato all’interno del linguaggio per potere proseguire a costruire altre proposizioni, cioè proseguire se stesso e quindi è vera all’interno di quel gioco, con quelle regole che sta seguendo, ma che al di fuori di tale gioco e di tali regole non significa assolutamente niente, perché ha appreso che l’unico gioco che consente tutti i giochi è quello che chiamiamo linguaggio. Qui avviene ciò che diceva lei, che una volta immessa quella proposizione che afferma che se esiste qualcosa allora questo qualcosa necessariamente appartiene al linguaggio, beh allora sì certo, ci sono tutte quelle mirabili cose di cui diceva ma solo a questo punto, prima no, prima c’è un annaspare, muovendosi così, alla cieca, costruendo proposizioni che sì ogni volta che si trova una proposizione vera che conclude una sequenza, si immagina di avere trovata una verità eterna, ma non si è trovato niente, si è trovato semplicemente quell’elemento che consente a quel gioco di continuare, nient’altro che questo, ma finché non si sa questo non si va molto lontani, si gira a vuoto. Il problema è che si muove di conseguenza, anziché ritenerlo com’è un gioco linguistico cioè una sequenza di proposizioni, immagina che corrisponda a qualche cosa e quindi questo lo obblighi ad agire di conseguenza e agire di conseguenza mosso da una verità assoluta con tutte le conseguenze del caso, e questa è la struttura del discorso religioso, quella che immagina che la verità cui si giunge corrisponda a un elemento extralinguistico, è ciò che consente agli umani di massacrarsi allegramente, perché se no perché dovrebbero fare una cosa del genere, a che scopo? Sapendo come funziona il linguaggio si perde il motivo per fare tutta una serie di cretinate che gli umani fanno, non c’è più nessun motivo per farlo. Talvolta è stata mossa l’obiezione: “ma se uno fa qualunque cosa allora può anche uccidere?” Certo che può uccidere, ma a questo punto dovete mostrargli che la condizione per uccidere è proprio il discorso religioso, certo, tecnicamente può farlo, anch’io posso mettermi a sollevare questo tavolo, ma non lo faccio, perché dovrei farlo? Non ho nessun motivo per farlo, è un’idiozia e quindi non la faccio ecco perché non uccido nessuno, perché cesso di fare cose cretine, avendo cessato di esserlo. È importante riuscire a fare passare questo messaggio nelle conferenze, questo è il percorso più straordinario, più interessante, più divertente, più potente, più sicuro di qualunque altro sia mai stato pensato o anche soltanto immaginato in precedenza, ché non toglie la paura, toglie anche la possibilità di averla. Non esistono altri percorsi che giungano a tanto, questo occorre che le persone sappiano, e se non glielo diciamo noi non lo sapranno mai. È questa la chiave di tutto, se una persona sa come funziona il linguaggio allora sa come funziona lui stesso e quindi di conseguenza chiunque altro, questa è la chiave di accesso. Muove certo dalla considerazione che se qualcosa esiste allora se esiste appartiene al linguaggio…

Intervento: un’esistenza linguistica

Sì, c’è qualche considerazione?

Intervento: la questione dell’intervento… una persona sta parlando in una seduta e dice delle cose come diceva lei immagina di descrivere dei fatti, dei pensieri dei desideri… come se in qualche modo queste cose fossero autoreferenti, fossero isolate in qualche maniera… lungo questo racconto qual è l’intervento? Nel momento in cui una volta si diceva il reperire la fantasia che sostiene questo discorso… all’interno della seduta questo racconto che sta facendo e che immagina essere la descrizione del fatto assolutamente reale, l’intervento dell’analista si pone esattamente dove emerge quella fantasia o comunque quella proposizione che ha innescato tutto quel racconto e quindi è la condizione di quel racconto, a questo punto si torna alla struttura del linguaggio…

È come se l’analista chiedesse alla persona, anche se non lo chiede in questi termini ovviamente, “perché mi sta raccontando queste cose?”

Intervento: le cose sono vere per la persona non ha assolutamente idea, qui è la questione dell’ascolto, di che cosa ha prodotto tutta quella serie di proposizioni, che sono poi quella fantasia e che… lo spostamento dove avviene in questo caso? Lo spostamento avviene laddove c’è un riconoscimento che tutto ciò che si sta dicendo è prodotto da un mio pensiero e quindi dal linguaggio…mi sembra semplice far intendere che tutto ciò che si è prodotto non ha nessuna garanzia al di fuori del linguaggio, non si sostiene su nulla che sia fuori dal linguaggio ma si sostiene su un’altra proposizione… la rimozione è una verità che è presa assolutamente per autogarantita e che funziona senza essere presa in considerazione, l’intervento dell’analista si pone proprio lì al momento in cui il discorso trova ciò che gli ha dato la possibilità di dirsi…

Questo è importante, il motivo per cui qualcosa si racconta, faccio un esempio, supponiamo che io questa sera abbia esordito raccontando tutta una serie di cose che ho fatte oggi, ho visto questo, ho fatto quest’altro etc. voi direste: e allora? Perché ci racconta queste cose? Questa è la questione: per quale motivo? Sappiamo che il motivo per cui si raccontano queste cose è per potere affermare delle proposizioni vere, però è ovvio che la persona è lontana mille miglia da una cosa del genere, però possiamo porre questo, e cioè chiedersi perché mi trovo a raccontare queste cose pur vere, io posso descrivere minutamente, alla perfezione tutto quello che ho fatto, ed è tutto vero. Ho fatto questo, ho fatto quest’altro, tutto verissimo, ma perché sto raccontando questo? A che scopo? Si potrebbe dire “perché è la cosa che mi fa stare male” e allora ecco che interviene tutta la questione della responsabilità, è sicuro, è matematico che quella stessa cosa la ripeto e la sto ripetendo da chissà quanti anni, e allora perché? A questo punto non è il motivo per cui sto dicendo questo, ma perché continuo a ripeterla? Il motivo, torno a dirvi, sappiamo qual è, è affermare la sua verità, quello che ritiene essere vero, e quindi occorre intanto fare trasparire il fatto che c’è un motivo, quale si vedrà, ma intanto quello che dice è vero, è assolutamente vero, racconta, descrive, va benissimo, ma perché lo fa?

Intervento: nel momento in cui c’è quel riconoscimento di cui parlavo prima… io parlo di svariate cose… nel momento in cui mi accorgo che tutto ciò che sto raccontando è perché a monte c’era un altro pensiero, ecco la funzione di riconoscimento come dire quello che ho prodotto prima perde quella validità assoluta

Qui c’è una questione fine e che bisogna precisare, perché se effettivamente quella persona giungesse a considerare che ciò che ha pensato prima era falso, allora sarebbe forse ancora una questione morale come dire: questo è falso e questo è vero, ma se invece considera che tutto quello che pensava era vero ma rispetto a quel gioco particolarissimo, con quella premessa la quale segue a una certa cosa, quindi era tutto vero rispetto a quel gioco con quella premessa, poi certo tutto ciò non è necessario, allora comincia ad accorgersi che qualcosa è vero all’interno di un gioco…

Intervento: se io in analisi enuncio il desiderio di uccidere qualcuno, ho voglia di ammazzare questa persona…

Ha molti assassini in analisi?

Intervento: non viene da una pratica diretta… se viene da me questa persona e anzi si sta preparando per fare questa cosa qui, ovviamente non mi metto lì a cercare di convincere di non farlo, non è questa la funzione dell’analista, l’analista è capire da dove viene questo pensiero e che cosa lo sostiene e durante il racconto se dio vuole, è sperabile quello che dicevamo prima la proposizione da cui tutto quanto discende, nel momento in cui avviene questo io non dico che venga meno il desiderio di uccidere questa persona, diventa non necessario cioè non diventa più imperativa la cosa, perché comunque c’è un accorgersi che questo qualcosa che sta pensando non ha più funzione di verità assoluta ma ha una verità…

Certo, finché non mi accorgo che invece è un gioco particolare, non è la realtà delle cose…

Intervento: però questo dipende dal fatto che riconosco che questa proposizione è mia

Intervento: però il motivo può essere comunque vero… puoi ricondurmi tu a riconoscere il tutto però il motivo lo reputo vero

Intervento: lì però puoi anche sacrificarlo perché l’hai fatto sul serio

Intervento: se lui si accorge del motivo il motivo per lui è vero perché se ha mosso il suo discorso il motivo ma il motivo è vero

Intervento: è il filo rosso che congiunge tutta l’analisi

Uno può avere degli ottimi motivi, per esempio crede con assoluta certezza che il tal dei tali voglia uccidere lui per esempio, quindi in questo caso uccidere lui quell’altro è una legittima difesa e quindi è assolutamente legittimato ad ammazzare questa persona prima che quell’altra…

Intervento: il paranoico fa così

Certo, quindi a questo punto si tratterà di considerare il motivo per cui questa persona è così minacciosa, si deve fare in modo che consideri che sì, è vero se quella persona effettivamente minacciasse io sarei autorizzato a restituirgli la cortesia, ma non è così…

Intervento: come faccio a sapere che è proprio così che quella persona pensa esattamente quello che penso io

E quindi ecco l’obiettivo finale, sì è vero certo, se uno muove da questa ipotesi tutto ciò che ne segue è vero ma questa ipotesi non è verificata, né verificabile, e se ci credo, cioè la prendo per la verità la do come verificata, in base a che cosa?

Intervento: si tratta di elaborare la questione del motivo

Una persona dice delle cose e, come dicevo prima, certo l’obiettivo finale è quello che possa considerare che sta affermando per potere affermare qualcosa di vero perché è fatto di linguaggio e il linguaggio fa questo, per cui inizialmente se vi avessi raccontato tutto quello che ho fatto lungo la giornata, per quale motivo faccio una cosa del genere? Può essere per avere il vostro beneplacito, per muovervi a compassione o muovere il vostro entusiasmo, tutte cose che io ritengo essere assolutamente necessarie per potere concludere in modo assolutamente certo, che è questa in definitiva la questione fondamentale, ciascuno è fatto di linguaggio e quindi funziona come il linguaggio…

Intervento: questo mi sembra che in una conferenza possa funzionare abbastanza bene per sottolineare la differenza rispetto alle varie teorie di psicanalisi ecc… che puntano invece più sulla questione morale, allora l’intervento è sempre abbastanza moralistico se si va a cercare il motivo ma è un gioco

Anche noi fino a qualche tempo fa pensavamo questo: fare in modo che la persona giunga ad accorgersi che ciò che crede vero è falso, invece no, è vero in quel gioco perché all’interno di quelle regole la conclusione cui giunge è vera, la questione è che è vera rispetto a quel particolarissimo gioco, il quale gioco non è affatto necessario ma totalmente arbitrario, esattamente così come è vero che due assi battano due jack nel poker, fuori dal poker non significano niente…

Intervento: …le psicosi

Questa è una questione che si potrà affrontare, certo…