21-9-2000
Ciò che ci ha sostenuti in questo pensiero è la considerazione ineluttabile che nessuno può credere vero ciò che sa essere falso, e viceversa nessuno può credere vero o falso qualcosa che sa non essere né l’una cosa né l’altra.
Voi sapete, e se non lo sapete ve lo dico io, che da
tempo stiamo svolgendo e teorizzando e ciò che facciamo ha preso le distanze
dalla psicanalisi di qualunque genere e di qualunque tipo e di qualunque
foggia. Si è trattato in questi anni di porre altre condizioni che sono quelle
che per farla breve nella seconda sofistica abbiamo imposto, se c’è un elemento
che è assolutamente non negabile, occorre partire da quello per costruire una
teoria e così abbiamo fatto. Ora si tratta nella pratica psicanalitica che
ciascuno di noi svolge o svolgerà se avrà voglia di farlo, si tratta dunque non
più e non già di trovare la causa come fa ciascuna dottrina psicanalitica, una
causa qualunque essa sia, può essere dalla carenza affettiva o dal non avere
inteso la funzione del nome del padre, o la portata dell’Altro scritto con la A
maiuscola nel proprio discorso, tutte queste cose non hanno un grande
interesse, primo, perché sono assolutamente confutabili, secondo, ché non
producono un granché, salvo una certa religiosità. Non è del tutto casuale del
nostro interessarci in questi anni di logica e di retorica, abbiamo detto in
varie occasioni che il fatto che una persona pensi in un certo modo di per sé
non significa niente, se viene a domandarci di sbarazzare di un certo sintomo
allora sì siamo chiamati in causa ma sbarazzare di quel sintomo, come abbiamo
detto forse in una conferenza, perché accada una cosa del genere avviene ed è
sempre avvenuto nella pratica delle varie psicanalisi attraverso una
conversione, come dire prima credevo questo e adesso credo a quest’altro, ché
funziona in effetti, la conversione religiosa è una degli strumenti più potenti
di persuasione, si sa la gente si ammazza, ma dunque dicevo la retorica e la
logica, che cosa fanno? Consentono a ciascuno di intendere che cosa sostiene il
suo discorso la prima la logica, e di poterne costruire un altro uguale o
contrario, la retorica. Ciò che ci ha sostenuti in questo pensiero è la
considerazione ineluttabile che nessuno può credere vero ciò che sa essere
falso, e viceversa e nessuno può credere vero o falso qualcosa che sa non
essere né l’una cosa né l’altra. Questo ha ovviamente una ripercussione sulla
pratica analitica più stretta e cioè sul che cosa fa in una seduta un analista
dal momento che come abbiamo detto in miliardi di occasioni, almeno nel caso
che ci riguarda, non ha da proporre nessuna teoria, nessuna fede, ciò rende le
cose per un verso più complicate e per l’altro più semplici, ma sia come sia,
ciò che si trova a fare oggi, in questa circostanza, uno psicanalista è
“costringere” tra virgolette costringere, costringere logicamente,
teoricamente, la persona che si è rivolta a lui, o a lei, ad accorgersi che ciò
che sta affermando non lo può sostenere in nessun modo, se lo fa è una sua
decisione, della quale occorre che si assuma ogni responsabilità, così come se
io decido di dare un cazzotto sul naso a qualcuno me ne assumo la
responsabilità, sono io che ho voluto farlo, non è che ricorro allo stato di
raptus, se ho gli strumenti, gli elementi che ciò che sto affermando non è
sostenibile in nessun modo allora ciò che vado dicendo è qualcosa che io ho
deciso “questo io” va sempre inteso come il discorso che mi fa, perché io sono
questo, nient’altro che questo e quindi cosa significa a questo punto assumersi
la responsabilità? non potere non considerare che è una decisione del discorso
che mi costituisce cioè una mia decisione, l’aspetto chiamiamolo “terapeutico”
tra virgolette consiste nel fatto che chi si accorge che darsi martellate sulle
dita fa male, cessa di farlo, almeno in genere avviene così a meno che non
debba dimostrare qualcosa a qualcuno, per esempio che non sente dolore o che è
coraggioso o che, come fanno i drogati in buona parte per dimostrare al mondo
intero, al quale di loro non importa assolutamente niente, che sono degli eroi,
sì, ma dunque giungere a fare in modo di considerare che ciò che sta facendo è
assolutamente inutile, che se vuole può continuare a farlo cioè darsi
martellate sulle dita ma non ha alcuna utilità, né alcun valore, in alcune
strutture di discorso non solo fra i cosiddetti drogati, esiste questo aspetto
e cioè il disagio, il malessere è funzionale all’esibizione di tale malessere,
che costituisce una aspetto notevole, quando dicevo prima del consentire alle
persone di accorgersi che ciò che pensa, ciò che fa non è assolutamente
sostenibile è il primo passo per giungere a considerare che è assolutamente
inutile, che cos’è una cosa inutile? È una cosa che non porta da nessuna parte
se non a ripetere se stessa all’infinito, così come quando si dà un ordine
contraddittorio: Cesare spenga la luce. Cesare accenda la luce. Cesare rimane
lì e gira in tondo, non sa cosa fare, inutile in questo senso, abbiamo detto in
varie occasioni cioè non utilizzabile, è chiaro che una persona utilizza i
cosiddetti suoi sintomi, cosiddetti resta da verificare cosa siano esattamente
ma li utilizza perché non ha gli strumenti e i mezzi per accorgersi che non lo
portano da nessuna parte, immagina invece che il disagio il malessere, la
malora, un acciacco qualunque cosa sia lo conduca alla felicità, lo conduca per
esempio a evitare un male maggiore a seconda dei casi ci sono infinite,
prendete per esempio una persona, un esempio qualunque, una persona che
continuamente si complica l’esistenza, creando storie, questa persona vi dirà
che non vorrebbe fare una cosa del genere, però accadono sempre queste cose e
va bene, ora che accadono casualmente oppure no, non si tratta di questo è
assolutamente indifferente, ma si tratta di intendere che cosa immagina che possano
servire a questa persona queste situazioni o meglio ancora, come abbiamo detto
in varie occasioni, qual è la loro utilità nel suo discorso “io penso che se
vado in giro con una caffettiera in testa tutti quanti mi guardino e finalmente
sono al centro dell’attenzione” è vero! Se io andassi in giro per via Grassi
con una caffettiera in testa sicuramente creerei attenzione, in questo modo
attiro l’attenzione come fanno la più parte delle persone, perché uno si
lamenta dei propri malanni e non li tiene per sé? Per esempio, se io mi do una
martellato sul dito e se lo racconto in giro, a parte passare per stupido, non
è che il dolore si attenua anche se può attenuarsi effettivamente, può
attenuarsi se immagino che gli altri siano molto interessati e allora il
vantaggio che traggo dal suscitare l’interesse altrui è sufficiente a distrarmi
dal dolore. Per questo passa il dolore, per questo se uno ha ansie, delle
angosce ecc. se uno ne parla con il prossimo queste ansie si attenuano, perché
si distrae dal fatto di essere in quel momento oggetto di attenzione da parte
dell’altro. Ma cosa essenziale in tutto ciò e anche il passo che abbiamo fatto,
è che ci siamo sbarazzati di tutto ciò che dal novecento in poi è stato
chiamato inconscio la cui utilità per quanto ci riguarda è nulla, non serve a
niente anzi è più il danno che ha fatto, se vogliamo metterla così, al pensiero
di quanto sia stato il vantaggio, sì qualche utilità l’ha avuta, certo, però è
stato anche insomma una sorta di arma a doppio taglio, da una parte ha fatto in
modo che taluni incominciassero ad interrogarsi su alcune questioni e
dall’altra ha costituito una facile escamotage, “una questione inconscia”, cosa
vuol dire? Che riguarda che cosa? quello che ci è andato più vicino dopo Lacan
è stato Verdiglione tutto sommato, riguarda la logica del mio discorso,
affermare che l’inconscio è la logica del discorso per quanto porti poco
lontano comunque è sempre meno peggio di altre cose, in quanto a questo punto
se la cosa è effettivamente è presa alla lettera, cosa che lui non ha mai
fatto, la nozione di inconscio perde semplicemente di utilità, l’inconscio è la
logica del discorso, è allora parla della logica del discorso perché parli di
inconscio a cosa ti serve? mi sembra legittimo e possiamo anche non escludere
che queste considerazioni ci abbiamo indotti una decina di anni fa a
incominciare a prenderne le distanze e a considerare questioni in termini più
precisi e più rigorosi soprattutto, abbandonando mano a mano la nozione di
inconscio come inutilizzabile, inutile e invece soffermandoci su quell’altra
che mostrava una maggiore utilità, cioè di logica e quindi anche di retorica,
che cos’è Cesare la logica se non quell’insieme di elementi che mi consentono
di parlarne, di costruire argomentazioni cioè di esistere? E la logica è il
modo in cui queste costruzioni seguono l’un l’altra e quindi qualunque cosa io
pensi, sia di essere qui con voi questa sera a chiacchierare piacevolmente
oppure di essere Napoleone o Santa Teresa reincarnata, qualunque cosa io pensi,
questo pensiero è costruito da una struttura che chiamiamo logica appunto
quella che indicavo, e se deve l’esistenza a tale struttura bene non è del
tutto indifferente, vuol dire che è stato possibile costruirla in base ad altri
elementi e cioè ad altre associazioni, in base ad altre connessioni, in base ad
altre argomentazioni. Non è affatto escluso che anche la struttura psicotica,
che rimane comunque quella più complessa da approcciare abbia in tutte le
operazioni che compie un grosso tornaconto a fronte del quale quelle che gli si
parano innanzi non sono sufficienti, così come vi ho detto, come vi ho spiegato
un sacco di volte, a un drogato non interessa sostituire la coca o l’eroina con
la piantagione di pomodori, non gli produce le stesse sensazioni, le stesse
emozioni e quindi continuerà a farsi di eroina, per cui come dicevo prima si
aggiunge questo gesto eroico, se potesse il cosiddetto drogato, il cosiddetto
nevrotico perché per molti versi non c’è poi molta differenza, constatare,
accorgersi che ciò che sta facendo è assolutamente inutile in quanto del fatto
che lui si droghi oppure no, non importa assolutamente nulla a nessuno,
perderebbe buona parte dell’interesse a fare una cosa del genere, ammesso che
sia interessante che lui perda di interessa a fare queste cose. Ma ciò che fa
l’analista propriamente è ciò che fa una persona, nei confronti di un
analizzante intendo dire, meno ingenua, meno sprovveduta, meno credulona, e fa
in modo che anche la persona che si è rivolta a lui sia meno sprovveduta meno
credulona, cosa intendo dire con sprovveduta e credulona? Questo: che una
persona crede vere alcune cose, necessariamente, se si comporta in un certo
altro modo, e in questo è ingenua pensa che siano vere, e non sa che non sono
né vere né false, certo può non essere semplicissimo reperire questi elementi
esattamente così come è molto difficile per una persona normale considerare che
qualunque cosa sia, questa è necessariamente un atto linguistico anche se non
ci sono alternative, ciononostante gli è straordinariamente difficile poter
pensare una cosa del genere, perché? Questa è una bella domanda, vediamo di
trovare una bella risposta, ne va di tutto ciò che lo soddisfa, di tutto ciò da
cui trae, l’ho detto anche in altre circostanze, trae piacere emozioni,
sensazioni ecc. come il drogato, non aveva torto Freud quando intravide la
questione del tornaconto, se ne accorse ma se ne accorge anche il luogo comune
in moltissimi casi, c’era anche un proverbio: che è causa del suo mal pianga se
stesso. Cioè il luogo comune in qualche modo cioè a modo suo ha avvertito una
cosa del genere, così come dicevano i latini “ecscusatio non petita, accusatio
manifesta” come dire che uno che si scusa non richiesto manifesta la sua colpa
come il bimbetto che senza che nessuno gli dica niente dice: la marmellata non
l’ho mangiata io. Ora possiamo sorridere di questa ingenuità del bimbetto ma le
ingenuità in cui si trovano le persone adulte talvolta non sono da meno, sono
qualche volta un po’ più elaborate, un po’ più complesse ma tante volte anche
meno, avete mai provato a pensare di trovarvi di fronte un analizzante in
questi termini esattamente come di fronte al bimbetto che dice che non è vero
che ha mangiato lui la marmellata? “non è vero che io voglio stare male, io voglio
stare bene” al che il saggio potrebbe dirgli “allora stai bene” “perché non
riesco!” va bene ma se non riesci allora qualcosa impedisce di stare bene e che
cosa se non lo stare meglio? (questo non ve lo aspettavate “stare meglio”
potete anche metterlo fra virgolette questo meglio se lo preferite se no, no,
potete lasciarlo senza virgolette) perché non si rinuncia alla nevrosi? “perché
non mi va” ma allora perché una persona si lamenta di stare male quando invece
sta benissimo? vi ho spiegato anche questo, torno a spiegarlo, perché “repetita
iuvant” dicevano sempre gli antichi, perché le cose ripetute giovano
all’intendimento dicevano così gli antichi, vero è no che sia, cosa dice
Göbbels? Famoso ministro della propaganda nazista, qualunque cosa purché
ripetuta un numero sufficiente di volte verrà creduta vera, ha funzionato poi
sono intervenuti altri elementi le cose non sono andate come immaginava, ma
sarebbero potute andare come volevano se avessero… ma questa è un’altra
questione, perché dunque se io potessi considerare che la situazione in cui mi
trovo è una mia decisione perderebbe il suo vantaggio, vi faccio un esempio,
supponete che io vada da uno psicanalista, e gli dica “sono preoccupata perché
ho paura dei topi e invece non voglio avere paura dei topi” bene cioè gli
faccio una richiesta di aiutarmi a sbarazzarmi di qualche cosa che io non
voglio, adesso lasciamo stare quello che direbbe un bravo psicanalista, non ci
interessa ma se io ho paura dei topi c’è l’eventualità che pensi per esempio che
i topi possano essere un danno per me, o un pericolo, uno schifo a seconda dei
casi, non ha nessuna importanza e questa cosa che ho pensato non è nient’altro
che la conclusione di una serie di sillogismi, di ragionamenti, in tutta questa
serie di inferenze c’è qualcosa che necessariamente deve essere tenuta per
vera, ma la cosa essenziale che tengo a dirvi è questa, la paura dei topi è
assolutamente funzionale e mi serve perché mi dà ogni volta che io intravedo un
topo l’eventualità che possa esserci una emozione grandissima, ché sì, può
essere la sostituzione di qualche altra cosa ma tutto sommato è marginale per
il momento ma se io potessi pensare che la paura dei topi è esattamente ciò che
mi serve per mantenere una certa eccitazione rispetto a certe cose non
funzionerebbe più questa paura, lo sanno molto bene coloro che scrivono o
producono racconti del terrore bisogna fare in modo che le cose che vengono
rappresentate siano il più possibile verosimili, credibili e cioè che una
persona possa crederle vere, a questo punto ha paura se no, no, solo se le
crede vere o per lo spazio di un oretta o di quello che dura un film o un
romanzo quello che è, riuscire in qualche modo a crederle vere, solo a questa
condizione ha paura se no, no, se io mi avvolgessi in un lenzuolo bianco ed
entrassi qui dentro e facessi bhuu… non spavento nessuno (si però…) certo
adesso faccio l’esempio del film, occorre che per la più parte delle persone
possano essere verosimili, solo a questa condizione fa paura, se la cosa che
sta facendo paura sia vera o fatta talmente bene da somigliarle allora sì se
no, no e non vi suggerisce nulla una cosa del genere? E cioè che per avere
paura di qualcosa occorre che ci creda, se cessassi di credere che è così, la
cosa cesserebbe di farmi paura e io non andrei più a vedere quel film perché
non mi farebbe assolutamente più nulla, non mi darebbe nessuna emozione. Già
questo potrebbe essere una perdita di non provare più quella emozione, taluni
gli anziani rimpiangono l’età più tenera perché c’erano tante emozioni, perché
tutto appariva nuovo, tante sensazioni, tante cose, tutte novità man mano che
si diventa vecchi tutte queste forti emozioni si perdono, taluni lamentano
spesso una cosa del genere oltre al fatto che non ci sono più i giovani di una
volta ecc. e questo per altro molti di voi lo hanno ascoltato da persone che ci
hanno seguiti per qualche tempo, la paura di perdere le emozioni, le sensazioni
e tutte queste belle cose, il nevrotico ha esattamente paura di questo e per
questo non molla la presa, e questo Freud l’aveva intravisto non lo ha portato
alle estreme conseguenze, ecco allora dicevo che non molla la presa ed è la
sola difficoltà praticamente che ha uno psicanalista è invece che molli la
presa, per usare questa allegoria dal momento in cui avviene quel fenomeno, che
è retorico in buona parte, e cioè non riesce più a credere vero ciò che sa
essere falso, o più propriamente ancora sa non essere né vero né falso. Questa
è la parte più difficile che è esattamente quella con cui ci stiamo confrontando
rispetto al discorso occidentale, al luogo comune, perché il luogo comune non
molla la presa dalle sue superstizioni da suoi tic? Perché ci sta bene, perché
trova lì delle emozioni delle cose, e l’unica cosa che può dissuaderlo dal
proseguire nella sua linea è trovare qualcosa che gli fornisca emozioni più
forti, in assenza di questo è molto difficile. Ora è chiaro che una persona
può, come accade, provare le emozioni più forti per esempio nel pensiero,
nell’elaborazione teorica, ma non è una cosa così tanto praticata e soprattutto
ultimamente corre voce che non lo sia, ecco perché è così difficile. Vedete una
volta ai miei tempi si leggeva, si discuteva moltissimo, perché c’era qualcosa
che ci trascinava, quelli che si chiamano gli ideali, i valori cioè son le cose
che danno emozioni, se una persona è credente e immagina che ci sia qualcuno
che parte e vede tante persone che giubilano insieme con il papa, si emoziona
gli dà una forte emozione esattamente come “la gioventù italiana” quando parlava
Hitler, altrettanto fortemente emozionata, dal trovarsi in una cosa importante,
dall’essere parte di una cosa importante, la stessa cosa si pensava noi
diciottenni quando si faceva a sassate con la polizia, si pensava di fare
qualcosa di importante, di grande e questo produce una forte emozione, chi
vuole a darmi il cambio a chiacchierare? (la questione del vantaggio) poi
dovremo dare una maggiore precisazione linguistica a questa questione (come
ritorna di fronte ad un uditorio questa questione, perché l’uditorio si ferma
di fronte al fatto che il disagio è un qualche cosa di cui non ne vuole
sapere…poi la questione se è funzionale…secondo me occorre proprio una sorta di
artificio retorico, è solo con la retorica che si può giungere a fare accorgere
di alcune cose, in effetti questo accostamento continuo di quello che è
universalmente accolto, come assolutamente benefico, come il fatto di provare
emozioni, di provare emozioni per il fatto di appartenere ad un clan, ad un
gruppo, ad un ideale, è accolta in un modo positivo, come se la condizione
della credenza e quindi la credenza che comporta delle emozioni, viene accolta
in modo assolutamente positivo, in modo naturale, ritenuta persino benefica,
dovrebbe dire qualcosa questa credenza) sì questo è un luogo comune tra i più
diffusi (la questione più difficile da intendere come la struttura della
nevrosi in effetti rispecchi esattamente la stessa credenza) questa in effetti
potrebbe essere una via (per questo dicevo costruire degli artifici retorici in
modo che da un qualche cosa di universalmente accolto non possa non accogliersi
di conseguenza l’aspetto “clinico” e quindi di per sé considerato negativo)
portare la persona a una conclusione inevitabile “se questo allora
necessariamente quest’altro” (imporre questa sorta di analogia, chiaramente
parlo di retorica, porre questa analogia è sottolineare man mano lo
strutturarsi di questi luoghi comuni nello stesso identico modo, porta
ovviamente a trarre conclusioni… per cui si accoglie questa cosa non più come una
sorta di marchio… dipeso dal male per esempio, è forse su questo… è un modo
nuovo di porre la questione della realtà, ché la teoria ha bisogno di una sorta
di isolamento, deve essere isolata, deve costituire un tutto, quasi come se
fosse un qualcosa che da una parte deve servire per fare qualcos’altro e
dall’altra… e diventa uno strumento in questo caso non c’è un discorso teorico
ma è una teoria che si costruisce mentre si parla, cioè le cose sono per forza
così per cui viene da una serie di sillogismi quindi di ragionamenti come si
diceva) sì, sì, la struttura è questa se A è B e B è C allora A necessariamente
è C (io non presuppongo più qualcosa che mi deve servire per capire quello che
mi sta di fronte ma incontro quello che mi sta di fronte per teorizzare,
potremmo dire come una sorta di procedimento abduttivo) sì certo l’abduzione
funziona in una teoresi più massiccia ma in una chiacchierata col pubblico una
cosa del genere non funziona, le persone cessano di seguire, non capiscono, si
innervosiscono, questo lo sa qualunque retore, certo, è interessante (è una
questione di oratoria) sono anni che ve lo sto dicendo (…) cosa sta pensando
Nella così assorta era soprappensiero, cosa sta pensando? (…) sì, sì che poi è
costruito bene e si stenta a capire uno ci ha messo trent’anni a costruirlo, ha
fatto un bel lavoretto (si vuole fare una cosa ma se ne fa un’altra è
difficile…) non più facile di quanto sia il persuadere un integralista islamico
che Allah non è mai esistito (…) non saprei. diceva che non è semplice, no non
lo è affatto (cosa intendeva prima “per stare meglio”) bella questa, perché una
persona si rivolge a lei per esempio e le chiede di sbarazzarsi di una certa
paura di qualunque cosa sia, perché così “starebbe meglio” “starebbe bene”
diciamola così, che dice io voglio stare bene (dico io: stare meglio perché sta
già bene se no non direbbe stare ancora più bene – non si sente al registratore
io presumo questa l’argomentazione) sì tuttavia, tuttavia torniamo alla persona
che va da Sandro e dice “ ho questo problema, sto male e voglio stare bene
invece” va bene, ora il fatto che si trovi in quella situazione e cioè che
“abbia paura dei topi” adesso faccio l’esempio più cretino, come dicevo prima
ha un tornaconto, non avrebbe paura dei topi, in caso contrario, se non ci
fosse nessun tornaconto, questa è una questione che dovremmo affrontare in
termini teorici molto precisi, adesso non ci dilunghiamo, ma allora dicevo la
paura dei topi ha una funzione facevo l’esempio prima banalissimo che provoca
forti emozioni in certe circostanze, di poter immaginare altre cose, “l’uomo
dei topi” era maestro in queste fantasie, dunque se ha questo tornaconto e
prova queste forti emozioni, tali forti emozioni sono esattamente ciò a cui non
vuole rinunciare ma perché allora direbbe di stare male? Perché? La condizione
per potere provare tali forti emozioni è che lui creda, dicevo prima che il
topo sia una certa cosa, fatta in un certo modo, che faccia schifo, per
esempio, se cessasse di crederlo non sobbalzerebbe più quando incontra un topo,
sa come fanno le signorine quando c’è un topo nella stanza, urlano e saltano su
i tavoli, se non avessero paura dei topi lo farebbero? Per esempio se qui
dentro entrasse un topo io cercherei di buttarlo fuori ma sicuramente non urlerei
né mi metterei a saltare su i tavoli, ora dunque perché io possa fare tutte
queste operazioni cioè agitarmi, eccitarmi occorre che io creda che il topo
faccia schifo, adesso mettiamola così in termini molto rozzi per intenderci,
allora la persona che si rivolge a Sandro, gli chiede di cessare di avere paura
dei topi, ma se Sandro facesse questa operazione la persona perderebbe anche
tutte le emozioni, annesse e connesse, e vuole perderle? La risposta che Freud
diede a questa domanda è no, e non ha torto. Torniamo a Sandro e alla
fanciullina che ha paura dei topi, dunque che cosa chiede a Sandro? di
toglierle la paura, togliendo la paura cosa fa? gli toglie questa emozione ma
perché non si accorge che è lei che vuole tutto questo per provare queste emozioni
perché se potesse farlo cosa succederebbe? Cesserebbe di credere che il topo fa
schifo e questo avverrebbe al momento in cui potesse considerare che è lei che
ha bisogno che il topo gli faccia schifo in modo da potere in certe circostanze
aggrapparsi al primo fanciullo che passa, per esempio, fanno queste cose le
ragazze, se potesse accogliere la propria responsabilità cesserebbe di essere
credibile, se sono io che voglio darmi la martellata sulle dita, mi è difficile
credere che sia qualcun altro che me le sta dando, sempre la stessa questione
grammaticale, non riesco a credere vera una cosa che so non essere né vera né
falsa e quindi ecco perché non vuole stare bene perché così sta meglio, perché
in questo modo prova delle emozioni che sono quelle che hanno fatto sì che lei
avesse paura del topo, il chiedere di stare bene è come dissi forse una volta,
una formulazione paradossale mossa da un analizzante ad un analista,
apparentemente priva di senso, però il senso ce l’ha come tutte le cose, ed è
questo “toglimi la responsabilità”, la psicanalisi per moltissimi anni in buona
parte ha assolto questo compito, ha tolto la responsabilità, con tutte le
storie intorno all’inconscio ecc…ho risposto in parte (la questione è perché
volere queste emozioni?) perché gli umani hanno bisogno di emozioni? Questa è
una bella questione (e perché?) ciascuno costruisce in base agli strumenti che
ha, che incontra che possiede, le paure che ritiene più opportune, come
raccontava ancora Freud, stasera facciamo un omaggio a Sigmund: i ragazzi che
tornavano dalla prima guerra mondiale utilizzavano scene di guerra, bombe e
granate per costruirsi delle paure, certo lui si chiede non ci sono più
granate, la guerra è finita e loro continua ad avere paura? Certo uno lo
utilizza ma però rimane la questione, abbiamo accennata in quelle occasioni
perché gli umani cercano le emozioni a tutti i costi, pare che siano connesse a
sentirsi vivi, generalmente è chiaro che va elaborato in termini molto precisi
adesso non ricordo neanche che cosa dissi a questo riguardo, in fondo la
richiesta che viene fatta ad un analista è questa continuare a provare queste
emozioni ma senza nessuna responsabilità, perché la persona si rivolge
all’analista come si va dal dentista cioè toglimi il male, via il dente e via
il dolore, poi il modo in cui lo toglie non è importante, importante che lo
tolga e si mantenga questa idea che comunque non è mia responsabilità (non è
che la domanda sia autorizzare questo godimento? Questa fantasia legittimare
una situazione che provoca sofferenza a quel punto legittimata dall’analista…)
sì perché toglie la responsabilità, posso continuare a godere del topo senza
averne contraccolpi, cioè senza il timore che possa essere la mia
responsabilità, la paura non nient’altro che questo, l’eventuale responsabilità
di ciò che vado dicendo, avevo scritto forse nelle Procedure cosa distingue ciò
che voglio da ciò che non voglio (…) cosa distingue cosa mi piace da ciò che
affermo non piacermi, adesso detto così sembrerà un po’ bizzarro, ciò che desidero
da ciò che aborro? Che nel primo caso posso accogliere questo mio andare verso
questa cosa, nell’altro caso no, non lo posso fare, non lo posso fare perché
ammettendolo perderei il godimento, perderei il piacere (se la persona sa di
essere responsabile a questo punto ha risolto il problema non gli serve a nulla
scaricare la responsabilità sull’analista perché facendo questo deve convenire
che è l’atto in sé) esattamente e così accade (perciò uno non se ne accorge che
è responsabile) e non vuole saperne (…) assolutamente… (già un anno fa
definimmo questa questione e cioè che l’analizzante non vuole perdere questa
paura, c’è un tornaconto e avevamo detto che l’intervento dell’analista doveva
mirare a mantenere questa paura) sì certo avevamo detto così che in alcuni casi
la paura può giovare all’analisi cioè mantiene l’interesse verso un percorso
(quando poter intervenire perché la persona possa assumersi la responsabilità
di quello che va dicendo?) quando si pongono le condizioni cioè quando comincia
a porsi delle domande intorno a ciò che costituisce il fondamento delle sue
paure, allora sì ma è da valutare in ciascun caso non è che si possa… (occorre
che si giunga all’esercizio intellettuale) bene ci vediamo giovedì prossimo.