21-6-2006
Considerate la nozione di utile
o di utilizzabilità, generalmente si intende che qualcosa è utile quando la sua
presenza consente un’altra operazione, infatti qualcosa è utile sempre per
un’altra cosa. Potrebbe qualcosa non avere nessuna utilità
all’interno del linguaggio, del discorso? Se non avesse nessuna
utilizzabilità non avrebbe nessun rinvio, se fosse fine a se stesso e
non fine per un altro significante, allora non sarebbe connesso con altri
significanti e di conseguenza non esisterebbe, se un elemento esiste è perché è
in funzione di un altro, d’altra parte il funzionamento stesso del linguaggio
prevede una cosa del genere, qualunque elemento linguistico se non fosse in
relazione con nessun altro elemento linguistico sarebbe un problema perché non
sarebbe un elemento linguistico, cioè come tale sarebbe fuori dal linguaggio e
di conseguenza inaccessibile. Come dire ancora che esiste, cioè
è nel linguaggio, tutto ciò che è utile al linguaggio, che il linguaggio può
utilizzare per proseguire. Qualunque cosa che per assurdo non fosse utile al
linguaggio sarebbe fuori dal linguaggio, utile
significa qui che consente al linguaggio di proseguire, probabilmente non c’è
altra nozione di utilità, qualunque cosa è utile perché consente di fare altre cose
quindi di procedere, di proseguire, di costruire, di andare avanti ancora. Il
linguaggio in questo senso è fatto di cose che sono utili, utili al suo
procedere, nient’altro che questo, però almeno questo dobbiamo
concederglielo. E qualsiasi cosa che ovviamente compare nel
linguaggio, dal momento in cui compare, se compare, è perché è utile al suo
proseguire. Quindi potremmo dire che esiste
qualunque cosa sia utile al linguaggio per proseguire, tant’è che abbiamo detto
che l’esistenza non è altro che il linguaggio e il linguaggio è fatto di
questo, di cose che servono a proseguire il linguaggio stesso. In questo senso
parlare di non esistenza può costituire qualche problema rispetto al linguaggio,
non al discorso, ma rispetto al linguaggio, come se il
linguaggio in realtà non potesse costruire la non esistenza, perché sarebbe
l’assenza di linguaggio e il linguaggio non può costruire la sua assenza, può
utilizzarla il discorso ma la utilizza per costruire altre cose, costruendo per
esempio una proposizione che afferma che qualcosa è fuori dal linguaggio, viene
utilizzata questa proposizione dal discorso per costruire altre proposizioni,
altre implicazioni, altre conseguenze e il fatto che venga utilizzata comporta
che serva per proseguire e questo la rende assolutamente all’interno del
linguaggio. Ma dicendo come abbiamo detto che il
linguaggio è l’esistenza, è ovvio che non può prevedere la non esistenza, non
può prevedere che non esiste perché sappiamo che se è un elemento appartiene al
linguaggio, se no non potrebbe neppure essere mentovato, da quel momento esiste
necessariamente, non può più non esistere. In realtà è un falso problema poiché
se un elemento è un elemento linguistico e sappiamo che se è un elemento lo è
necessariamente, se cessasse di essere un elemento
linguistico il linguaggio non lo riconoscerebbe più, cesserebbe di appartenere
al linguaggio, ma il linguaggio come lo saprebbe? Per riconoscerlo occorre che
lo individui, se l’ha individuato è già un elemento linguistico, come se il
linguaggio negasse e affermasse che qualcosa è fuori dal
linguaggio, il linguaggio non lo fa, il discorso può farlo, il linguaggio no,
perché o lo dice e allora gli appartiene o, se non gli appartiene, non è
pensabile, non ha nessuna forma di esistenza, fuori dal linguaggio non esiste.
È l’unica nozione di non esistenza che possiamo pensare: qualcosa fuori dal linguaggio non esiste, non ha nessuna forma di
esistenza né può averne…
Intervento: la
struttura è fatta di elementi in relazione tra loro e
fin che questa cosa non c’è, non c’è nessuna relazione e quindi il linguaggio
non ne tiene assolutamente conto…
Se è un qualche cosa, qualunque
cosa esso sia è già individuato, quindi la non esistenza è qualcosa di cui in
realtà sì, si può parlare, ma in nessun modo è possibile provare questa
affermazione. Come ha potuto il linguaggio creare attraverso il discorso questa
nozione di non esistenza? Difficile a dirsi, però attribuendo l’esistenza a
qualunque cosa e ponendola fuori dal linguaggio pone
praticamente la non esistenza come un’assenza, più o meno provvisoria, e quindi
può parlare di non esistenza però se si parla di esistenza in termini precisi,
come abbiamo fatto, e cioè come il linguaggio stesso, allora parlare di non
esistenza non ha nessun senso, è un non senso. Anzi la non esistenza è un non
senso, per antonomasia per eccellenza, per definizione…
Intervento: l’esistenza
è qualche cosa che inferisci che il linguaggio produce, il linguaggio
fa esistere le cose…
Il linguaggio non fa esistere le cose, il linguaggio è
l’esistenza delle cose…
Intervento: dicendole
non le fa esistere?
Il linguaggio è l’esistenza delle cose, dire le cose è
un’operazione che può fare certo, ma non le fa esistere dicendole, esistono
perché esiste il linguaggio, la loro stessa esistenza è il linguaggio, non si
distinguono le cose, non c’è modo di separarle, separare un oggetto, questo orologio dal linguaggio che lo fa esistere, è
un’operazione straordinariamente complicata che minaccia di non essere
possibile…
Intervento: si esclude
la responsabilità che il linguaggio ha nel dare l’esistenza… adesso non saprei
come dire perché il linguaggio è l’esistenza, se non ce l’ha
il linguaggio non ce l’ha neanche il discorso della persona che così pensa…
In effetti nel luogo comune le cose non sono
responsabilità del discorso o delle persone, ma l’opera delle persone sì, di
questo sono responsabili, ma in quanto soggetti, soggetti extralinguistici,
come se questa persona fosse altro rispetto al linguaggio di cui è fatta, è il
modo di rispondere a questo punto è sempre un modo penale: “ho commesso un
errore e quindi devo pagare” mentre è il linguaggio che risponde, d’altra parte
chi potrebbe rispondere? Risponde di ciò che fa cioè
dell’esistenza delle cose, come risponde? Costruendo altre cose, se lei interroga
il linguaggio lui che fa? Costruisce altre cose, altre proposizioni, qualunque
cosa debba rispondere in effetti questa risposta non è
altro che una sequenza di proposizioni. Cosa vuole dire
che sono responsabile di quello che faccio, che dico, che penso? Sicuramente
non che debba rispondere a qualcuno, in termini
precisi affermare che sono responsabile significa che il discorso di cui sono
fatto risponde ciascuna volta in cui io dico qualcosa di ciò che ha detto e
cioè del motivo per cui ha costruito, il perché ha costruito una certa cosa
anziché un’altra, è il mio discorso che risponde, risponde a se stesso in
definitiva, costruisce delle cose e è anche in condizione di interrogarle,
interrogandole risponde a queste cose…
Intervento: questo
rispondere quindi questa questione della responsabilità… ciò che dico, ciò che
penso, ciò che faccio non viene dal nulla… come dire tutto ciò che faccio non è
altro che la conclusione di una serie di inferenze…
quindi rispondere sarebbe in qualche modo il sottolineare che ciò che ha
determinato quell’inferenza è qualche cosa che mi perviene e quindi quando
diciamo che è il discorso responsabile è, come dire, dalle mie premesse,
convinzioni, idee, dai miei desideri… che si produce quell’azione che può
essere un pensiero, può essere un agire…
Esattamente, sono responsabile perché le cose che dico,
che faccio, vengono da altre proposizioni del mio discorso…
Intervento: (perché
quando lei parlava della non esistenza che non ha tanto la funzione di negare
l’esistenza di qualcosa quando la non esistenza di
qualche cosa che ancora non esiste, nel senso che tutta la problematica intorno
alle origini… la questione di qualcosa che ancora non esiste è stato
importante…
Occorre distinguere tra l’esistenza di qualche cosa e il
suo utilizzo, come dire che l’esistenza essendo il
linguaggio non è altro che un sistema di istruzioni, una sequenza di istruzioni,
questa non può non esistere, ché è l’esistenza stessa, questa sequenza di
istruzioni comporta da quel momento la possibilità di costruire tutto ciò che
questo sistema può costruire, ora che sia presente in quel momento oppure no
questo è indifferente, e allora sì certo la cosa magari non esiste: prima che
io sapessi dell’esistenza delle sigarette, esistevano? Sì certo, esistevano in
quanto facevano già parte del sistema inferenziale, erano lì a disposizione
bastava solo prenderle, erano già lì per questo le cose esistevano prima di me,
perché il sistema inferenziale le ha rese tutte
possibili e dal momento in cui sono possibili esistono, fanno parte del
linguaggio indipendentemente dal fatto che io le utilizzi oppure no…
Intervento: veramente
non ha senso però intorno alla non esistenza… tutte le
religioni si è rivolto a questo lato…
Ricordate che facemmo un corso sul “De nihilo et tenebris” di Fredegiso di Tours…
Intervento: se il nulla
esiste oppure no…
Sì, intanto occorre definire la nozione di esistenza e finché questa non viene definita in modo
preciso può entrarci dentro qualunque cosa e il contrario di tutto…
Intervento: parlare di esistenza è come doversi addentrare in un concetto
filosofico che sai da dove cominci e non sai dove finisci…
Intervento: parlare di
vita come lei ha fatto da una risposta ben differente laddove parlare di esistenza come dicevo si inizia e bisogna andare ad
affrontare tutta una serie di questioni che sono il gioco della filosofia, sono
il gioco della religione…