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21 maggio 1998

 

Intervento: Ciascuno necessariamente tende al bene ...

Avevamo detto che ci serviva una definizione di etica che in qualche modo fosse necessaria e cioè che cosa dell’etica potevamo necessariamente dire per chiamarla ancora etica. Siamo partiti allora dalla considerazione che etica è inevitabilmente “tendere verso il bene” e il bene ciò che conviene, ciò che aggrada, ciò che è più opportuno, nell’accezione più ampia possibile. Poi, cosa dicemmo?

Intervento: È il discorso, il linguaggio che tende al bene, (ma qual è il bene del linguaggio?) È il suo proseguire, non può non tendere, la sua inarrestabilità.

Sì, grosso modo eravamo arrivati a questo punto, però in effetti ciò a cui il discorso tende necessariamente è il suo proseguimento. Allora in questo caso abbiamo trovato una nozione di etica che risulta strutturale, necessaria. L’etica, e dobbiamo comunque intendere con etica il tendere verso il bene, in questo caso è strutturale al discorso perché il discorso tende comunque a qualche cosa necessariamente. Chiamiamo questo qualche cosa il bene e allora l’etica diventa un elemento del linguaggio, semplicemente un chiamare l’inesorabilità del linguaggio con etica, per cui attenersi all’etica a questo punto può apparire inevitabile, inevitabile non attenersi all’etica in quanto esiste un’etica del linguaggio. Se vogliamo parlare di etica allora dovremmo essere costretti a porla in questi termini, cioè come l’etica del linguaggio, a meno che non forniamo a questo significante etica una connotazione differente. Può però risultare difficile date le premesse.

Siamo arrivati al punto che l’etica è il procedere del discorso. Dunque, il linguaggio se non è arrestabile in nessun modo costituisce qualche cosa, come abbiamo detto mille volte, di strutturale, di assolutamente inevitabile. Essendo il linguaggio inevitabile ed essendo il bene del linguaggio il suo proseguimento, cosa possiamo trarre ancora da questo? Possiamo trarre che ciascuno si trova preso inevitabilmente nel proseguire del linguaggio, nel proseguire del suo discorso. Tuttavia, questo proseguire del linguaggio del discorso è vero che non può arrestarsi ma può proseguire in qualunque direzione, c’è una direzione che è preferibile ad altre? Così come stiamo procedendo se noi potessimo trovare una direzione che non solo è preferibile ma necessaria, allora noi avremmo costruito una religione differente da quelle precedenti perché è molto più terrificante, quelle attuali sono assolutamente risibili, perché sarebbe necessaria, inconfutabile, e ineluttabili. Però, ecco, io non proseguo in questa direzione, può farlo ciascuno di voi se ha voglia a casa con calma, costruire un discorso che provi in modo assolutamente necessario quanto sto per dire.... (...) Sì, io ho detto religione nel senso che imporrebbe a questo punto non tanto la fede ma un consenso incondizionato e necessario (...) Sì, certo, e qui si apre la questione di cui discuteremo giovedì prossimo, però ora dicevamo che il discorso può prendere qualunque direzione, sappiamo che non può non prenderne una, non sappiamo quale. Dicevamo la volta scorsa che c’è una direzione la quale, a differenza delle altre, riflette intorno alle sue condizioni e avevamo detto che questa direzione è la ricerca teoretica e cioè in definitiva la ricerca dei fondamenti del pensiero. La teoresi si occupa di questo, quindi una ricerca sui fondamenti, sulla condizione del pensiero e quindi intorno al linguaggio. Ora, ci si chiedeva la volta scorsa se la ricerca teoretica seguisse quasi inesorabilmente una serie di considerazioni che andiamo facendo intorno all’etica. Ciascuno si trova a parlare ma le proposizioni che costruisce, dicevamo la volta scorsa, il più delle volte non tengono conto della struttura del linguaggio, non tenendo conto della struttura del linguaggio vengono costruite proposizioni che suppongono di poter affermare ciò che non è affermabile, ciò che non è provabile in nessun modo o meglio suppongono di poter provare ciò che non è provato in nessun modo né provabile in nessun modo. Questo che cosa comporta? Comporta la produzione, direbbe Wittgenstein, di non sensi e quindi una costruzione enorme di proposizioni fondate su non sensi, cioè su elementi che sono nulla. (....) Cosa intendo con non sensi? Per esempio, tutto ciò che costruisce il discorso scientifico, tutto ciò che costruisce il discorso religioso, tutto ciò che viene costruito...(...) Dicevo non senso in quanto non può fuori da questo gioco provare assolutamente nulla. La costruzione di proposizioni che sono non sensi non è altro che la costruzione di tutte quelle proposizioni che per qualunque motivo non tengono conto della struttura del linguaggio mentre la costruzione di proposizioni che tenga conto della struttura del linguaggio non può costruire non sensi in questa accezione.

Vediamo, dunque, se la ricerca intorno alle condizioni del linguaggio risulta necessaria oppure no. Probabilmente no, a meno che non risulti necessaria all’interno di un certo gioco, a meno che non risulti necessaria per potere trovarsi nella condizione di non necessità di costruire proposizioni nulle. Intendo dire questo, che se le proposizioni che si vanno costruendo tengono conto della struttura del linguaggio allora tutto ciò che chiamiamo, così in una accezione molto ampia, discorso religioso non è più costruibile. In questo modo mi trovo in una posizione che è radicalmente differente da quella del discorso occidentale. Ma facciamo qualche passo indietro e torniamo al fatto che il bene del linguaggio è il suo proseguimento. Dunque, tutto ciò che si riflette o che si elabora intorno a questo proseguimento potrebbe costituire un elemento favorevole per il linguaggio; in altri termini ancora, una ricerca che si appunti intorno alle condizioni del linguaggio verrebbe a costituire l’unica riflessione intorno all’etica possibile ed è questo il passaggio fondamentale. E cioè l’etica come la ricerca, come il discorso intorno a ciò che di più fondamentale può pensarsi, vale a dire le condizioni del pensiero, le condizioni del suo proseguire, anche se questo risulta necessario, ché è necessario che il discorso prosegua, ma questo non impedisce di riflettere sulla sua struttura. Anzi, posta la questione in questi termini, parlare di etica comporta necessariamente parlare di teoresi, sempre nell’accezione che si è posta ovviamente: attenersi all’etica non è altro che compiere una ricerca teoretica, l’etica non è altro che una riflessione teoretica, una elaborazione teoretica. Ma abbiamo anche detto che l’etica, così come l’abbiamo posta ovviamente, è strutturale al linguaggio, dunque la teoresi è qualcosa che riflette intorno a qualcosa di necessario. Ma è necessaria la teoresi, oppure no? Finora abbiamo detto soltanto le riflessioni intorno a ciò che risulta necessario, però abbiamo detto che l’etica non è altro che un’elaborazione teoretica, nient’altro che questo e l’etica è necessaria...

Intervento: Abbiamo detto che la teoresi può costruire non sensi, ma può costruire qualcosa?

Sì, può costruire proposizioni che non possono non tenere conto della struttura del linguaggio. (Quali sono?)             Quelle che sto facendo ad esempio. (...) Obiezione respinta, adesso vado a spiegare. Dicevo che tutte le proposizioni che vado facendo in effetti sono proposizioni che seguono sempre e necessariamente una premessa fondamentale che riguarda quella che afferma che non c’è uscita dal linguaggio. Questa è la premessa e di lì prosegue passo dopo passo senza mai sgarrare rispetto a questo. Poi tu dici, più o meno legittimamente, “però, non è che io possa vivere sempre facendo questo”, forse che sì forse che no, ciò che era in gioco adesso non è tanto il fatto che una questione del genere possa costituire oppure no il motivo e la fonte dell’esistenza ma è una speculazione prettamente teorica il cui scopo non è altro che aggiungere elementi necessari per potere considerare una nozione come quella di etica nei termini in cui necessariamente non può non essere pensata, sempre nell’accezione in cui l’abbiamo definita. Ma è possibile definirla altrimenti in modo che risulti fare funzione necessaria che sia, perché è questo che ci ha mossi originariamente, provare a costruire una definizione di etica che risulti necessaria, non negabile. Infatti, abbiamo preso avvio da un elemento che può sembrare molto banale ma che risulta e che è risultato poi in moltissimi altri casi essenziale e cioè partire da una considerazione come questa “che cosa l’etica non può non essere?”

Intervento: La teoresi e l’etica sono due cose distinte.

Possono dirsi molte cose in risposta al tuo quesito. Anche la definizione che è emersa in queste riflessioni che andiamo facendo intorno all’etica non hanno nulla a che fare con ciò che comunemente viene espresso con questo significante. La conclusione cui sono giunto, e cioè che la teoresi risulta necessaria in quanto abbiamo constatato che l’etica risulta necessaria, può apparire bizzarra o paradossale; generalmente si ritiene che l’etica e la teoresi siano cose distinte, forse non a torto, ma ciò che mi muove in questa riflessione non è tenere conto di ciò che comunemente si intende ma costruire proposizioni che risultino non negabili. La proposizione che ho costruita prima forse è negabile, ci devo pensare, può anche essere confutabile ... (I non sensi sono costruibili) Sì, questo è ovvio, ci sono due cose che possono dirsi in merito, primo, che questa definizione di etica non è negabile, le altre sì, io posso provare che qualunque definizione di etica è falsa e nessuno può negare che quella che ho fornito lo sia; secondo, la costruzione di non sensi, questione fondamentale su cui occorre precisare, perché la teoresi può costruire un non senso, ma qui con non senso, se è un non senso all’interno di un gioco, intendo la costruzione di una proposizione che afferma di sé di non essere nel linguaggio. Allora, a questo punto, la teoresi non può costruire non sensi, lo può fare retoricamente, certamente può costruire tutto quello che gli pare, ma non può costruire una proposizione che sia fondata su qualche cosa che sia fuori dal linguaggio. Questo non lo può fare, non lo può fare se si attiene all’assunto fondamentale che afferma che nulla è fuori dalla parola e non può non tenere conto di questo. In questo senso non può costruirlo, può costruirlo sapendo benissimo che è un non senso: io posso affermare che dio è fuori dalla parola, sì certo, posso affermarlo e non posso affermarlo simultaneamente, cioè posso affermarlo all’interno di questo gioco che sto facendo ma non posso affermarlo all’interno di una ricerca teorica....(....) Cosa costruisce una ricerca teorica? Potrei fornire una dimostrazione ostensiva: ciò che stiamo facendo ultimamente è una costruzione teoretica, vale a dire la costruzione di proposizioni che tengano conto di ciò che risulta necessario, di ciò che non può non essere. Questo fa la ricerca teoretica, la teoresi, cioè quel discorso che articola l’impossibilità dell’uscita del linguaggio, e articolandola non può come dicevo prima non tenerne conto. Per il momento questo e poi vedremo di precisare ancora

Intervento: Se io blocco questo mio proseguire non è più etica ...

Dunque, lei dice che un qualunque discorso religioso non è etico, occorre riflettere bene sulla questione, lei che cosa ne pensa? (Io penso che non è etica...avrei assunto il bene) Giro la questione a Roberto: il discorso religioso è un discorso etico oppure no?

Intervento:…

Che hanno una valenza logica è come dire che sono sempre negabili. Qui si apre tutta la questione su cui lavoreremo per i prossimi dieci anni. Tutto ciò che abbiamo detto fino a qui dalle origini ai giorni nostri induce di fatto soltanto a considerare che una qualunque affermazione, tranne alcune che non sono negabili, sono sempre negabili; tuttavia, vengono credute come necessarie per una serie di inferenze, vuoi perché un certo conseguente di un tale antecedente è ritenuto necessario, vuoi perché si ritiene che un certo elemento non abbia nessun conseguente ma è ritenuto ultimo senza alcun altro rinvio, così come per esempio è pensato dio. Tempo fa immaginavo fosse possibile costruire delle proposizioni, voi ancora non seguivate queste follie, tali che, inserite all’interno del discorso, comportassero necessariamente una variazione nel discorso. Ora, però non avevo tenuto conto in debito conto un aspetto che risulta essenziale, l’aspetto che Freud aveva chiamato fantasmatico. Sono giunto alla considerazione, dopo attenta e seria riflessione, che tutto ciò che è stato detto soprattutto dal discorso psicanalitico, perché altri non se ne sono occupati, sia assolutamente insufficiente, inadeguato e, nella più parte dei casi, falso. Dunque, ciò su cui occorrerà lavorare è questo: che cos’è una fantasia, come funziona? Parlare di fantasia è arduo, non tanto pronunciare il significante quanto trovargli un rinvio, non dico un referente ma almeno un rinvio. Mi sono provato a riflettere su che cosa fantasia necessariamente non possa non essere, è dura trovare una qualsivoglia cosa, l’impressione generale è che comunque una qualunque riflessione intorno a questo aspetto fantasmatico parta o comunque sia partita da premesse assolutamente fuorvianti. Faccio un esempio molto banale: una persona ascolta una serie di discorsi intorno per esempio a ciò che andiamo dicendo, può essere assolutamente convinta ma per niente affatto persuasa. A noi interessa intendere cosa avviene in questo scarto - mi riferisco a convinzione e persuasione in accezione che fornisce Perelman. Per dirla in termini molto spicci, è convinto dalla ragione ma è persuaso dal cuore. Questo scarto dunque, per cui ciò che interviene come non negabile per esempio può essere necessariamente accolto in quanto non si possiedono strumenti per confutare né per negare, stavo dicendo questo scarto fra ciò che una persona accoglie, perché non può non farlo, e invece il fatto che, pur non potendo non accoglierlo, questo elemento non scalfisca per nulla ciò che pensa, continua a pensare esattamente come prima pur avendo inserito un elemento nel suo discorso che “teoricamente” dovrebbe invece inserire una variante potentissima e impedirgli addirittura di pensare esattamente così come pensava prima. Ma questo non avviene perché c’è questo iato, questo scarto, questa faglia.

Intervento: Lei è arrivato a questa conclusione...

Sì, forse adesso l’ho detto forse in termini un po’ eccessivi, non è che comporti nessuna variante, ma l’idea di un paio di anni fa, ero forse ancora abbastanza ingenuo, l’unica attenuante la gioventù, che sarebbe forse stato possibile inserendo questi dati, diciamo all’interno di un programma, per variarne l’esecuzione, non tenendo conto di questo scarto, di questo iato, di questa faglia, che c’è ... (...) hai messo il dito sulla piaga. Cosa vuol dire che hanno una certa portata, una certa valenza, un certo peso? Che sono tenuti in grande considerazione? È proprio questo ciò su cui occorre lavorare, un lavoro formidabile intorno all’aspetto retorico, perché le varie fantasie non dicono assolutamente nulla, zero, un significante assolutamente non utilizzabile, quindi occorre che andiamo a cercare altrove. Certo, cercando di avvalerci il più possibile di ciò che è già stato detto, io ho trovato molto poco ma questo poco può essere utilizzato. Ma la questione è questa, torno a dirlo: intendere cosa avviene in questo iato, fra la ragione e il cuore... perché se io so, vengo a saperlo in modo assolutamente innegabile che non c’è uscita dal linguaggio, da quell’istante il mio discorso non tiene necessariamente conto di questa affermazione con tutte le implicazioni e le conseguenze del caso? (...) No, non tiene conto. Perché no? (...) In qualche modo entra nel programma e crea qualche piccolo problema ma c’è un sistema, un antivirus molto forte che cancella completamente tutto quanto. Faccio sempre l’esempio dei programmi dei computers perché sono funzionali, perché funziona esattamente come funziona il pensiero in modo un po’ più elementare. In effetti, è costruito su quello schema... Sì, sarà nostro compito intendere cosa avviene in questo iato (....) (...) È un po’ il discorso che facevamo prima rispetto al non senso, per cui il non senso all’interno di un gioco non comporta nessun problema ma se con non senso intendiamo logicamente la proposizione che afferma di sé di essere fuori dal linguaggio ecco che allora questo è impossibile. Il fatto è che la sovrapposizione che avviene nel discorso corrente fra la ragione e il cuore è che diventa una ragione logica, necessaria. Come può avvenire una cosa del genere? Dove reperire qualche elementino? Io suggerisco di primo acchito le analisi che sono state fatte intorno al romanzo e alla sua struttura, per esempio Greimas, Bremond, Propp, Todorov, Barthes, per citare i più noti, Jakobson e per alcune cosa anche Benveniste. Ciò che ci interessa non è tanto come funziona un romanzo ma perché funziona. Se riflettete bene la questione è talmente spropositata che potrebbe così di primo acchito lasciare annichiliti. Dunque, voi occupatevi di ciò che la fantasia non può non essere, io mi occuperò del resto.