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21-02-2002

 

Come vi avevo già accennato ci occuperemo di una teoria del linguaggio, adesso ci siamo occupati di quali sono gli strumenti che fanno girare questo sistema operativo noto come linguaggio, ora dovremo vedere che cosa costruisce e come, dopodiché potremo costruire una teoria della psicanalisi. A questo punto la psicanalisi non sarà altro probabilmente che la combinazione di queste due cose, cioè una psicanalisi come una teoria del linguaggio ma dove il linguaggio è posto in un certo modo, come dire che per intendere qualunque cosa occorre intendere come funziona ciò che mi sta facendo intendere in quella maniera, questione non semplice, però può darsi che siamo partiti bene, invece qui consideriamo alcune questioni. Jacques-Alain Miller, genero di Lacan il quale ha scritto questo raccontino, Microscopia, dove narra di lui che incontra una fanciulla la quale ha tentato di leggere un breve testo di Lacan che si chiama Television che non è altro che un intervento di Lacan alla televisione francese e che non è semplicissimo e allora dice a questa fanciulla che le avrebbe spiegato di cosa si tratta esattamente. Un primo passo:

LEI:            D'accordo! Prendo dunque questo libro che, per quanto piccolo, domanda un saper leggere e lo leggo. Già dal primo paragrafo le mostrerò quello che non va. Dico sempre la verità. Me lo auguro, ma dobbiamo credergli sulla parola.

io:            Esattamente!

LEI:     Sarà vero che dice sempre la verità? Come saperlo? Bisogna fidarsi di lui...

io:        Eh sì!

LEI:     ... Ciecamente

Avete mai pensato che è esattamente questo che è richiesto in qualunque teoria? Cioè che gli si creda ciecamente, non mi riferisco solo a Lacan… vedremo altre affermazioni, e cioè che per pensare che una teoria sia vera occorre crederci ciecamente perché se si comincia a interrogare, si compie quell’operazione che è fastidiosa ai più, interrogare cioè chiedere conto a quella teoria perché afferma una certa cosa anziché il suo contrario, per esempio, e in effetti è da lì che siamo partiti perché anziché rispondere di sì abbiamo risposto di no. Potevamo crederci oppure no, non ci abbiamo creduto, e quindi abbiamo incominciato a interrogare. È sempre un gran bel fatto quello di cominciare a interrogare perché quando si comincia poi è difficile smettere, e poi si va avanti, si va avanti fino al punto in cui si interrogano i fondamenti e cioè quali sono le basi su cui può affermare ciò che afferma, e se non ci sono che si fa? A noi è accaduta una cosa bizzarra, che è quella di considerare a questo punto quella teoria al pari di qualunque altra indifferentemente, al pari di qualunque storia che può essere divertente, piacevole, ma non dice nulla, come un romanzo il quale giustamente non ha nessuna pretesa di proporre proposizioni vere, ma sulla questione della verità adesso ci sarà qualcosa di interessante:

io:        Ah, un mucchio di cose! Prima di tutto che, quando dice: "Dico sempre la verità”, (tra virgolette perché questo è un enunciato di Lacan) posso metterlo a suo credito perché Io, volando di bocca in bocca sempre uguale, ha come referente solo chi lo dice in questo momento. Io è una di quelle parole che Roman Jakobson, dopo Jespersen, chiamava shifters per dire che prendono senso solo dall'attualità della parola. Non c'è nessuno che, parlando, non dica sempre “Dico la verità”.

LEI:     Tranne chi dice “Io mento”.

io:        Ha colpito nel segno: è proprio perché non può esserci parola che non si stabilisca nella dimensione della verità che “Io mento” vale come paradosso - e che Lacan prende subito la posizione (senz'altro c'è del teatro in questo punto, lo ammetto, o piuttosto dello spettacolo dato che siamo in televisione; c altra parte anche al seminano era così) la postura, dicevo, dell'Anti-Epimenide. E l'Anti-Epimenide è più vero di Epimenide perché la verità non è simmetrica alla menzogna.

LEI:     Com'è possibile? lo posso dire il vero o il falso e questa alternativa definisce una simmetria.

io:        C'è senza dubbio un vero che non è che il rovescio del falso, ma c'è anche del vero che li sovrasta o che li fonda entrambi e che riguarda il fatto stesso di esprimersi: perciò, io non posso dire niente che non ponga per ciò stesso come vero. Anche se dico "Io mento”, non dico nient'altro che “è vero che mento”: in questo senso il vero non è il contrario del falso. 0 meglio, ci sono due veri: il contrario del falso e quello che supporta, insieme e indifferentemente, il vero e il falso.

Ora ritorniamo alla frase da cui è partito, e cioè “dico sempre la verità” se l’avesse negata questa affermazione? Cioè se avesse affermato “non dico sempre la verità” oppure “non dico mai la verità” avrebbe potuto negare questa formulazione, oppure dire “non è vero che dico sempre la verità”, avrebbe potuto farlo, in questo caso la questione sarebbe stata differente dall’io mento, certo “io mento” abbiamo discusso mille volte di questa questione ma affermando “io dico sempre la verità” posso anche negare questa affermazione dicendo “non dico sempre la verità”. Ci sono occasioni in cui questo non accade, ora lui dice che qualunque cosa si dica questa è la verità, anzi, fa anche l’esempio del segno che mette Frege davanti alla proposizione per dire che è così. Ma la questione è che se si afferma qualcosa è perché lo si crede vero, non perché lo sia. Poi riprende l’esempio classico di Freud, “Ho sognato una donna ma non è mia madre” e dice: Freud non dice niente di diverso nel suo articolo Die Verneinung: un "Non è mia madre" del paziente a proposito di un sogno richiede dall'analista l'interpretazione che certamente è lei perché la parola c'è e la negazione che l'affianca è la marca della rimozione.

LEI:     Ma insomma, chi dice "Non è mia madre” quando si tratta di sua madre, non dice la verità.

io:        Al livello dell'enunciato della frase, lei ha ragione ma, al livello che chiamiamo dell'enunciazione, ha torto: madre, la parola "madre” è detta e ciò è sufficiente perché madre ci sia.

LEI:     Ah! Allora è "Dico sempre la verità” a livello dell'enunciazione anche se, al livello dell'enunciato, "io mento"?

io:            Precisamente. E questo che fonda il “luogo dell'Altro" come luogo della verità - la verità che non ha contrario.

LEI:     Allora lei ha una nozione di verità che include il vero e il falso? Lei dice: "Non è mia madre", ma la verità parla per conto suo attraverso quello che dice e dice un'altra cosa alla quale lei presta soltanto la bocca. È la verità che niente padroneggia né addomestica, che vagabonda, che vi prende e vi sconvolge e vi fa inciampare; la verità freudiana, quella del lapsus e del motto di spirito, che non si può afferrare: “Eccovi già perduti, io mi smentisco, vi sfido e me la filo: voi dite che mi difendo".

Ma perché la chiama verità? C’è qualche motivo o non ce n’è nessuno? Perché mai? Supponiamo adesso che io chiami verità il contrario, e cioè la verità non è ciò che si dice che io lo voglia o no, la verità per esempio è ciò che non si dice, che io lo voglia oppure no, certo nulla mi autorizza a stabilire una cosa del genere, ma qualcuno potrebbe chiedere “perché chiama verità questa cosa?” in effetti qui questo scritto non fornisce nessuna definizione di verità, dice che quella è la verità ma non ci dice che cos’è, e non dicendosi che cos’è, cioè che cosa intende, non ci dice assolutamente niente, ed è un problema perché di fronte a una cosa del genere, lui chiama questo verità e io la chiamo in un altro modo, e allora? Oppure forse la chiama verità perché con questo termine intende qualcosa che è, che è necessariamente, ma se così fosse dovrebbe avere quella, potremmo chiamarla lealtà teorica, di dirlo, di affermarlo, il problema è che a questo punto, se esposta in questi termini, c’è sempre l’eventualità che sorga qualcuno che chieda di provarlo, e questo potrebbe essere piuttosto complicato. Non discuto sul fatto che funzioni, un sacco di persone credono tante altre cose ma ritengo che un percorso teorico debba essere sostenuto da qualcosa di più solido del fatto che a lui piace chiamarla così: qualunque cosa si dice questa è la verità, è un criterio certo, ma perché “qualunque cosa che non si dice” o “qualunque cosa che si dice mercoledì pomeriggio dalle 4 alle 5 e tutto il resto è falso” anche questo è un criterio, discutibile certo, ma è un criterio.

LEI:     Allora è semplice, si può dire qualsiasi cosa!

io:            L'esperienza analitica non ha altro principio: è ciò che Freud ha chiamato associazione libera. Dire tutto! Si verifica, invece, che "non ci si arriva". È all'opera una logica che lo interdice. Oserei dire che è il senso stesso dell'inconscio ed è ciò che porta Freud a parlare, in Inibizione, sintomo e angoscia, di una emozione originaria e, come tale, impossibile da togliere.

Qui ci sono due considerazioni da fare, la prima riguarda il fatto che si ha la netta sensazione, leggendo Lacan, ma non soltanto lui, che il testo di Freud sia considerato intoccabile “quindi è così” “Freud dice questo quindi è così” e allora? Siamo dei teorici o cosa? Freud ha detto questo, va benissimo, mia nonna ha detto il contrario… io andrei più cauto ad accogliere qualunque affermazione con tanta leggerezza. Prosegue e dice:

io:        Non c'è semplicemente impotenza, c'è impossibilità. L'impotenza si prova, l’impossibilità si deduce: va bene diamogliela per buona è tutto il cammino di un'analisi. Quando, in questo modo, si incontra dell'impossibile, allora si incontra la realtà: non la realtà “esterna" - tra virgolette - ma una realtà in qualche modo interna al discorso, che risulta dalle sue impasses. Questa realtà d'impasse, Lacan la chiama, nel suo linguaggio, il "reale". (ognuno può chiamarlo come gli pare)Andiamo con lui fino là: il reale, è l'impossibile. Quando il discorso inciampa, si arena, non può andare oltre, incontra un 'non c'è' - e questo per la sua propria logica - ebbene, là è il reale. Secondo l'antica definizione, la verità dipende dal reale come adæquatio rei et intellectus, adeguamento della cosa all’intelletto: ma, se la verità non è questo, se non è l'esattezza, allora o non dipende da nessun reale o non vi dipende che per l'impossibile-a-dire.

Anche qui la verità dipende dall’impossibile a dire ma allora di nuovo la domanda perché la chiama verità? A che scopo? potrebbe chiamarla con un altro nome o di nuovo intende con verità qualcosa che è necessario, che si dà, che esiste, poi il fatto che sia dia qualcosa di per sé non garantisce assolutamente niente, quante cose si danno? si danno continuamente e sembrano assolutamente certe e poi uno ci ripensa e si accorge che forse non è così, ma…

io:        Infatti, volevo risparmiarglielo. Ecco come lo intendo: lei può anche avere l'intenzione di dire tutta la verità, questo produce senso, ma sono i segni che si sottraggono, che fanno ostacolo. Ancora logica: lei sa che, a cavallo del secolo, si scoprirono dei paradossi nella teoria degli insiemi, che produssero l'effetto di scuotere la credenza, fino ad allora salda, nel fondamenti della matematica; per ribattere a tutto ciò, Hilbert forgiò il concetto di sistema formale chiamato così perché permette di ragionare, a un livello elementare, supposto intuitivo, su segni materiali; un dominio delle matematiche si traduce così in un sistema S e si può allora dimostrare che è consistente - cioè che non si può dimostrare insieme A e non-A. Questa ambizione implica che S comprenda tutto ciò che occorre per compiere tali dimostrazioni e, precisamente, la definizione di verità che vi è valida. Sorpresa! "Non ci si arriva". Appena formulato, questo programma fu distrutto dal teoremi d'incompletezza di Gödel che inventò, per ogni sistema che formalizzasse l'aritmetica, una formula indimostrabile. Dal 1931, in logica matematica, non è più stata fatta scoperta più importante di questo impossibile che dipende dal maneggiamento di segni affatto materiali. Gödel ha adattato - lo scrive a chiare lettere - l'antico "Io mento”.

Lui dice che la verità non può stabilirsi in quanto c’è sempre un +1 che la sposta, ma parla di un sistema che è l’induzione, il sistema n + 1 che è verificato soltanto da questo +1, però ci sarà sempre un altro +1, è il sistema induttivo, noi non abbiamo mai seguito il sistema induttivo proprio perché non prova assolutamente niente; dice dunque: un sistema può dimostrare all’interno di sé sia A che non A, sia A che non A sono teoremi e quindi il sistema è indicibile. È quello che ha dimostrato Gödel rispetto alle matematiche. Provate ad applicare la stessa cosa al sistema logico che abbiamo costruito e vediamo se funziona: in questo caso dovrebbe essere provabile che almeno un elemento è fuori dal linguaggio, cioè deve essere un teorema, quindi ci deve essere un sistema per dimostrarlo, quale? Quale sistema ho per dimostrare che un elemento è fuori dal linguaggio? Che non richieda ciò stesso che devo dimostrare essere assente del linguaggio… io infatti concludo queste poche paginette su questo: che abbiamo creato un sistema logico completo e coerente perché in questo sistema una proposizione che nega l’esistenza del linguaggio o che afferma che un elemento è fuori dal linguaggio è costruibile, per cui è completo, ma non è provabile e quindi è coerente. È chiaro che la matematica è un gioco, un gioco che è stato costruito attraverso le stesse regole di cui vado parlando in tutte le pagine, e come qualunque altro gioco, essendo fondato su assiomi, direi che per definizione è indecidibile, l’assioma è per definizione arbitrario e quindi non ha nessun fondamento necessario, in questo modo non ci vuole nulla a provare l’indecidibilità di qualunque sistema, basta chiedere di rendere conto degli assiomi da cui muove, i suoi assiomi sono necessari? No, sono arbitrari, e quindi il sistema è indecidibile, bene, non c’è altro da aggiungere. Si fa così di fatto per costruire una teoria, che rimane quindi sempre e comunque confutabile, è sempre possibile costruire un’altra teoria che nega quella e, come diceva Gödel, se contiene la proposizione che prova non A come vero per esempio, se deve contenerla allora il sistema è indecidibile. In quest’altro sistema invece che abbiamo creato, questa proposizione è costruibile come dicevo e quindi il sistema è completo, ma non è provabile e pertanto è coerente.

Non ho detto questo per criticare Lacan, cosa della quale mi importa molto poco, ma per porre una differenza di modo di procedere in un’elaborazione teorica, un modo totalmente differente. Io stesso ho creduto, fino ad un certo punto, ciecamente a ciò che altri affermavano, e non mi si ponevo nemmeno l’eventualità di mettere in gioco queste affermazioni, un po’ alla volta ho incominciato a riflettere su alcune questioni “Freud dice questo”… non mi interessa chi lo dice, mi interessa che lo sappia provare, questo solo mi interessa, chi lo dice è assolutamente indifferente, che sia Freud o chiunque altro, però come procedere nell’elaborazione teorica? Se di fatto non avessimo trovato il sistema che abbiamo trovato, e cioè qualcosa che ci desse il fondamento necessario, non so nemmeno se avrei proseguito, a quel punto una cosa sarebbe valsa una qualunque altra e avrei avuto tutti i buoni motivi per pensarlo, ciò che mi avrebbe fatto andare in una direzione oppure un’altra sarebbe stata una considerazione estetica “mi piace di più questo”; lo stesso motivo per cui preferisco la cioccolata alle caramelle. Da qui la necessità di riflettere se avessimo mai potuto trovare qualcosa che non richiedesse necessariamente un atto di fede, come è necessario chiedere qui, perché se no non sta in piedi niente, e l’abbiamo trovato. È una questione di metodo, l’unica cosa a cui attribuiamo il criterio di necessità è ciò che non può non essere, perché se non fosse non potremmo fare niente, né nulla sarebbe mai stato, solo questo e nient’altro che questo. Questo ci dà l’orientamento, ci dà la direzione, vuoi qualcosa di necessario? Se vogliamo usare questa parola, allora l’unica cosa che risponde a questo requisito è qualcosa che se non ci fosse allora non ci sarebbe nient’altro né ci sarebbe mai stato, e non sono riuscito a trovare qualche altro elemento che fosse necessario in questo modo, qualunque cosa è sostituibile. Quando voi potete sostituire un elemento e non cambia niente, cioè tutto il sistema continua a funzionare, in un altro modo magari ma continua a funzionare, allora sapete che quell’elemento non è necessario. Si modifica la struttura ma la struttura continua ad esserci, nel caso di cui stiamo parlando no, la struttura non esiste più, non solo, non sarebbe mai esistita, non sarebbe mai stata: questo indichiamo con necessario, solo questo. Possiamo chiederci da dove viene questo necessario? Dal fatto stesso che me lo sto domandando, se me lo domando c’è qualcosa che sta funzionando, viene da lì. Posso anche chiedermi se c’era prima, se ci sarà dopo, ma sono sempre lì, il fatto che continuo a chiedermelo, continuo a ripropormi esattamente sempre la stessa cosa in ciò che mi sto chiedendo ed è lì, nella possibilità stessa di parlare. Miller stava dicendo che la verità non è nient’altro che ciò che si dice, e quindi il fatto che si sta dicendo, e quindi che sia dicibile, e quindi che ci sia qualcosa che consente questo:se noi lo prendiamo e lo tiriamo in lungo e in largo, gli possiamo fare dire tutto quello che vogliamo, e questa è una operazione nota da sempre, possiamo fare la stessa cosa anche con Jung, anche se non reputo Jung una delle persone più brillanti, prendete un testo di Jung e le cose che dice le tiriamo, le stiriamo, le pieghiamo e gli facciamo dire cose formidabili.

Questa sera, come avrete notato, ho voluto sottolineare un metodo, un metodo per proseguire, che è quello che ci ha condotti là dove siamo arrivati, l’unico metodo. Abbiamo avuto la fortuna di trovare qualcosa che costituisca un fondamento solido da cui partire, e da lì siamo ritornati indietro come una specie di funziona ricorsiva, abbiamo riconsiderato tutto, tenendo conto di questo, cioè di ciò che non può non essere, ed è a questo punto che il fatto che Freud dica così o dica cosà è assolutamente indifferente se non è sostenibile, ho sempre detto che Freud, per quanto riguarda l’aspetto teorico è molto discutibile, anzi si può semplicemente affermare che le cose non stanno così e bell’è fatto, però è molto interessante invece per il listaggio che fa dei luoghi comuni, sterminati luoghi comuni, cioè le cose che gli umani credono generalmente e merita ancora riconoscergli il fatto di avere cominciato a supporre, a fare intendere che le cose non sono sempre necessariamente così come si pensa che siano, cioè la possibilità che una cosa che io credo assolutamente vera non sia proprio così, ma se non ci fosse questo criterio di verità allora io sarei assolutamente legittimato ad affermare che la verità è esattamente quella che afferma il contrario di ciò che afferma Lacan, legittimato almeno quanto lui. Ecco perché la psicanalisi è sempre stata considerata malamente da molti, le accuse di metafisica che sono state fatte da parte di alcuni alla psicanalisi non sono del tutto infondate, perché mette a fondamento di tutto qualche cosa che è dato per acquisito, che deve essere così, come se dicesse “io la verità parlo” perché? Perché è così, va bene, però è un po’ come si diceva una volta per i matti, gli si dà sempre ragione. E se non fosse così? Mi presa in considerazione questa eventualità? Oppure che sia semplicemente così una formulazione che vale un atto di fede, come lo distinguiamo, come lo distinguiamo dall’affermazione che dio è il creatore dell’universo e di tutte le cose, con quale criterio distingueremo queste due affermazioni? Perché se non ce l’abbiamo questo criterio allora una vale l’altra, cioè ci dicono molto poco, sì certo, Lacan ha posto la questione del linguaggio, e altri aspetti anche importanti, se non ci fosse stato Lacan, se non ci fosse stato Freud forse non ci saremmo stati neanche noi, ma questo non significa niente, neanche se non ci fosse stato Aristotele. forse… Occorre tenere sempre conto che qualunque cosa si dica, questa è un atto linguistico e quindi una produzione linguistica, la quale produzione ha come referente unicamente un altro atto linguistico, il quale atto linguistico ha un senso che è prodotto dalla combinatoria in cui è inserito e la combinatoria in cui è inserito non sono altro che regole del gioco particolare in quel momento, non c’è altro? Anche quando definisce una qualunque cosa, lui dice che la verità è questo, ma che cosa fa esattamente? Ha dato una definizione? Sì, e quindi che cosa ha fatto? Ha attaccato insieme altri elementi linguistici, ma c’è allora una sola cosa che non sia assolutamente e irrimediabilmente e definitivamente arbitraria? La risposta ad un certo punto è arrivata, sì! Ciò che mi consente di farmi questa domanda, e questo non è arbitrario perché non la posso modificare, è un gioco… Lodari?

pensavo che non è l’unica definizione di Lacan ce n’è una a posteriori, quando Lacan definisce il necessario come ciò che non cessa di non scriversi e lo contrappone alla verità nel senso che la verità è quella che orienta il discorso…io però la domanda la pongo a lei come distinguere la verità dal necessario ammesso che si possano distinguere?

Posso farlo, posso dire che sono la stessa cosa, posso dire che sono due cose diverse, cioè posso dire che con verità si intende generalmente, oltre all’adæquatio rei et intellectus, qualcosa che occorre che sia e che non possa non essere, che è la stessa cosa che ho appena detta riguardo al necessario, il problema non è tanto come definiamo queste cose ché. come abbiamo appena detto, in qualunque modo io le definisca, sarà sempre un utilizzo a deciderlo, se mi serve distinguere la verità dal necessario allora lo faccio se no, no, se non mi serve posso lasciare indistintamente questi due elementi e indicare qualche cosa che ha la stessa denotazione, e cioè qualcosa che non può non essere, perché se non fosse non esisterebbe né questa né nessun’altra cosa, e infatti quando dicevo che potremmo costruire, se lo volessimo, un discorso religioso, mi riferivo a questo, possiamo indicare la verità assoluta con estrema facilità, ed è assoluta perché non è confutabile, la questione è che non ce ne importa assolutamente nulla, distinguiamo qualche cosa quando questo ci serve, a scopo didattico, didascalico, per illustrare meglio, per spiegare meglio, però potrebbe non avere nessun interesse fare una cosa del genere

l’assioma sicuramente non ha nessun fondamento

no, per definizione

però non è escluso che sia orientato da qualche parte

in questo caso la verità che cos’è?

la cosa freudiana, oppure lacaniana è la causa e precisamente ciò che viene prima… è ciò che muove il mio dire esiste solo nella rimozione la verità

adesso Le faccio io una domanda: perché accoglie questa definizione di Lacan, c’è qualche motivo? (…) non sempre… nella logica la verità è necessario che sia

dell’inconscio ne faccio l’esperienza quotidianamente

questo non è un criterio così affidabile “perché uno lo sente” vede, io non mi preoccupo di mantenere l’inconscio in quanto tale, se dovessi giungere al punto in cui questo termine non mi serve più, lo abbandonerei, non ho una particolare affezione per questo termine “inconscio”, possiamo anche se vuole dire che l’inconscio non è altro che la logica, quella di cui stiamo parlando e cioè il fatto che se c’è un elemento allora ce n’è un altro, se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro, possiamo anche farlo, ciò che occorre sempre tenere in conto è che stiamo utilizzando il linguaggio, qualunque cosa noi facciamo, l’unico referente che ho è un altro atto linguistico, e questo ha delle implicazioni, delle implicazioni notevoli, e cioè che avendo sempre come referente un altro atto linguistico il quale ha un altro atto linguistico come referente etc, queste definizioni che diamo sono definizioni che sappiamo sempre essere assolutamente arbitrarie, è chiaro che le utilizziamo continuamente, qualunque cosa dica nell’arco della giornata non ha assolutamente mai nessun criterio di necessità, è sempre tutto assolutamente arbitrario, ma lo so e non posso non saperlo, e non posso quindi non tenerne conto, anche quando definisco qualcosa, quando chiamo certi aspetti delle procedure, so perfettamente che è una cosa assolutamente arbitraria, che non esiste nessuna procedura da nessuna parte, sono atti linguistici che sto utilizzando in questo momento, mi serve fare così, ma e so anche che c’è qualche cosa che posso chiamare “necessario” perché esiste un termine che ha una certa accezione comunemente e che è quello di indicare qualcosa che non può non essere, e ciò che non può non essere è ciò che mi sta consentendo di dire tutte queste cose ché, torno a dire ancora una volta, se non ci fosse allora tutto ciò non sarebbe mai esistito. So anche questo, e pertanto so che tutte quelle altre affermazioni sono assolutamente arbitrarie, e sapendolo non mi ci fondo come se fossero necessarie, non ci credo, le utilizzo ma non ci credo, so benissimo di costruire delle storie, storie che possono essere utili in moltissimi casi e per moltissime cose, ma delle storie. Ecco perché a questo punto non so se la nozione di inconscio…

come lei sa la nozione di inconscio

ma questo che dice è necessario che sia? Questa definizione che lei ha dato è necessaria? Oppure no? Se lo è allora occorre provarla, se non lo è allora è qualcosa di arbitrario che può essere utile per costruire delle proposizioni però se questa teoria non è fondata su qualcosa di necessario rimane comunque fondata su niente e a questo punto lei sì può domandarsi: tutto ciò che io penso dell’inconscio, della stessa psicanalisi, è diverso da quello che pensa l’arcivescovo Tonino… se sì, perché?

l’inconscio figura retorica per indicare come la premessa maggiore non si dica…

si, è un entimema, manca la premessa maggiore, una figura retorica certo

tra l’altro connettere l’impossibilità a dire con la questione del reale diceva appunto: che non vi dipende per l’impossibilità a dire.

Tra l’altro faccio una brevissima parentesi, dice “non si può dire tutto” non si può dire tutto perché ha già stabilito prima che la verità sfugge, e già che a quel punto non si può dire… l’ha già detto prima…

il reale è esattamente ciò che non si considera è l’indicibile ciò che funziona di per sé, questo è l’indicibile, nel discorso comune è quello che non si può dire in nessun modo perché dicendolo non è più ciò che deve funzionare è qualcosa che è dato per scontato

sì, se noi dicessimo l’inconscio non è altro che questa logica per cui quando dico una parola, dopo ne seguirà necessariamente un’altra, al di là del fatto che non è mai stato formulato esattamente in questi termini, però è una definizione che non può essere provata, ma se io dicessi che qualunque elemento linguistico è necessariamente connesso con un altro elemento linguistico allora lo posso provare in modo inattaccabile: ché un elemento linguistico è all’interno della struttura linguistica, essendo all’interno di una struttura linguistica se non fosse connesso con un altro elemento linguistico allora sarebbe isolato, isolato dalla struttura linguistica e pertanto ne sarebbe fuori, essendo fuori non è più un elemento linguistico e bell’è fatto. A questo punto se noi riusciamo a costruire una teoria del linguaggio straordinariamente solida potremmo costruire una teoria della psicanalisi, in questo senso accennavo all’inizio che la psicanalisi non è altro che un itinerario, un percorso che dà l’accesso al sistema operativo con tutto ciò che ne segue, e cioè non potere più muoversi, parlare, pensare non potendo non sapere che qualunque cosa è necessariamente un atto linguistico, ma potremo costruire una teoria della psicanalisi, così potente da essere finalmente qualcosa di inattaccabile, qualcosa che potrebbe rendere obsolete tutte le altre, e addirittura di impedirne la costruzione di migliori, perché non potranno essercene, ché a questo punto la psicanalisi non avrà come riferimento nient’altro che ciò che è assolutamente necessario che sia. e cioè il linguaggio e allora tutto forse potrà diventare molto più semplice… Per quanto riguarda la logica, ciò che ho scritto è esattamente ciò che avevo in animo di fare, qualcosa di semplice che ha eliminato tutto ciò che non è necessario, tutto ciò che non serve e giunge esattamente là dove voleva arrivare, con la teoria del linguaggio potremmo fare la stessa cosa, con la teoria psicanalitica lo stesso. C’è stato un periodo, breve, della mia vita, in cui ho pensato di abbandonare la psicanalisi in quanto tale ma a questo punto la scommessa potrebbe essere un’altra: costruirne una teoria formidabile, dicevo, tale da rendere qualunque altra risibile, La nostra formazione viene da lì, dalla psicanalisi, ma potremmo volgere qualcosa che, come abbiamo mostrato e sapete perfettamente, è costruita su nulla e basta che qualcuno dica che non è così e non si sa più che cosa dirgli, non possiamo persuaderlo né meno che mai convincerlo, e invece provate a immaginare una psicanalisi che possa fare questo, quella scienza, chiamiamola così, che è in condizioni di costruire tutte le scienze, è un po’ come le regole del gioco che sono tali perché consentono di costruire qualunque gioco, questa potrebbe essere una bella scommessa, anzi un bel lavoro da fare, una formidabile teoria psicanalitica, praticabile ovviamente, cioè una serie di istruzioni tali per cui una persona non possa più considerare ciò che fa se non come un atto linguistico, inevitabilmente. Torno a sottolineare “con tutto ciò che questo comporta” ovviamente… potete incominciare a pensare in questo senso: come dare una prova inattaccabile della rimozione per esempio, e cioè una teoria della psicanalisi dove ciascuna affermazione sia assolutamente provabile, con un rigore logico formidabile, inattaccabile.