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21-1-2004

 

 

Ci sono questioni rispetto ai testi che state preparando?

Intervento: l’accoglimento di due premesse all’interno di un discorso che vengono giocate allo stesso modo, viene fatto un solo gioco come se la premessa fosse una, l’altra volta Sandro aveva poste delle questioni a proposito del nevrotico che accoglie due premesse e le gioca come se fossero una premessa sola…

La svolga…

Intervento: l’esempio che aveva fatto partendo dal luogo comune io odio mio padre però gli voglio bene… Freud poneva il gioco della madre come unica premessa il padre era in funzione del gioco della madre

Amo papà e lo odio allo stesso tempo?

Intervento: come è possibile che un discorso possa giocare partendo da due premesse, da due giochi differenti? Come dire può sembrare che nel discorso ci siano due direzioni diverse che non si contraddicono…

È possibile costruire un gioco che ha delle premesse, delle regole, una conclusione, per esempio “il papà mi ha dato la vita, mi ha nutrito, mi ha accudito, mi sorregge, da buoni consigli quindi il papà è buono.” È possibile costruire un altro gioco che prevede invece che ad esempio “il papà mi impedisce di fare una certa cosa, questa certa cosa per me è vitale e quindi il papà è un ostacolo, quindi il papà è il nemico ed è cattivo” ora in entrambi i casi c’è una premessa, ma sono premesse contrarie, in entrambi i casi il gioco che si fa punta a una conclusione, potremmo dire che sono giochi diversi. Ciò di cui non ci si accorge talvolta è appunto questo, che si tratta di giochi diversi e cioè che il papà è sempre lo stesso, mentre nel primo caso viene costruito un padre, un certo papà, nel secondo un altro, per questo almeno teoricamente questi due giochi potrebbero convivere, è buono per quello che fa e cattivo per quell’altra cosa che fa, e quindi essere in condizioni di distinguere e di mantenere entrambe le posizioni, se invece come il più delle volte accade non c’è la possibilità di accorgersi che sono giochi diversi, ai quali giochi diversi si vuole applicare la stessa regola, allora applicando la stessa regola evidentemente c’è un problema, una induce a pensare che è buono e l’altra che è cattivo e allora ecco che si trova di fronte a una persona che lo costringe a un conflitto, però mantenendo la possibilità di pensare che si tratta di due costruzioni che fa il mio discorso, una buona e quell’altra cattiva, allora questo conflitto si dissolve, il conflitto permane quando si immagina che sia la stessa persona e cioè che non sia una costruzione del mio discorso, e allora la persona si chiede ma lo odio o lo amo? È ovvio che la risposta è entrambe le cose, però ama una persona e ne odia un’altra e quindi non c’è nessun conflitto, anche se per la persona c’è ovviamente, finché continuerà a pensare che il papà è sempre lo stesso allora ci sarà un conflitto…

Intervento: infatti tutto confluisce in quella premessa che il papà è la madre

Il papà è la madre? La madre di che? Se è il papà è il papà…

Intervento:…

Riguardava la fantasia della mamma che vuole fare entrambe le cose, o quella che immagina che non ci siano queste due cose oppure del figlio che vuole che il papà sia come la mamma? È possibile certo…

Intervento: però Faioni la stessa persona può essere positiva e negativa…

La questione è che il papà non è né buono né cattivo, dipende da come io lo vedo, come io lo costruisco di volta in volta in base a ciò che vedo, a ciò che immagino, a ciò che mi conviene e quindi immagino ad un certo punto che questa persona che amo al tempo stesso sia anche la persona che odio. Qui il problema sta nella definizione che ciascuno si dà di amore e di odio, ovviamente, per esempio c’è una regola che dice che l’amore per una persona,se c’è,deve o costringere ad accogliere qualunque cosa di quella persona e allora solo in questo caso è vero amore, se non accolgo qualcosa di quella persona allora non è più amore, e se non è amore è il suo contrario e quindi odio, però anche qui dipende da ciò che intendo con amore, perché è da questo che dipende tutto il conflitto. In questo caso applico la stessa regola, e cioè l’amore è questo, necessariamente, quindi se ciò che accade non collima con ciò che io penso sia l’amore allora è un’altra cosa. Ché il conflitto da dove nasce? Dalla volontà di mantenere in piedi entrambe le cose, se no non c’è conflitto…

Intervento: io parlavo del malinconico per questo conflitto dove l’amore e l’odio sono uno stesso gioco

Il malinconico lamenta la perdita di interesse nei confronti di tutto ciò che lo circonda, nulla ha più importanza, nulla ha più valore…

Intervento: però questa è la verità nulla ha più valore

Sì ma questo che cosa ha a che fare con il conflitto?

Intervento:…

Gli umani sono sempre preda di fantasie tra le più strampalate, mentre ciò che andiamo dicendo va in un’altra direzione, l’altra volta parlavamo dell’obiettivo del linguaggio, dicevamo proseguire a costruire proposizioni e in effetti è l’unica cosa che gli umani vogliono fare: continuare a parlare, ma non in qualunque modo, per continuare a parlare, uno dei mezzi, dicevamo la volta scorsa, è che le proposizioni che vengono costruite risultino vere rispetto ad un certo criterio, e quindi non solo devono parlare ma parlando devono costruire proposizioni che ritengono essere vere.

Intervento: dicevamo anche che questo vero non era dato a priori ma è un effetto

In effetti se una proposizione muove da una premessa e costruisce proposizioni coerenti cioè che non neghino la premessa da cui sono partite, allora giungono ad un’altra proposizione che è quella che conferma una certa ipotesi o, più semplicemente, conferma la premessa generale, allora a questo punto il discorso può proseguire perché la premessa da cui è partito il discorso non è negata, potendo proseguire allora questa proposizione si chiama vera e quindi prosegue. Sì, un effetto certo, un effetto di un riconoscimento cioè il linguaggio è in condizioni di porre in atto il riconoscimento del fatto che ciò che si è concluso è coerente con ciò da cui si è partiti…

Intervento: però se anche così non fosse il linguaggio procede comunque

Non da quella direzione, quella direzione che è barrata…

Intervento: da lì non posso proseguire perché non ha più senso

No e allora dice che è falso in quel caso, e quindi cercherà un’altra conclusione che potrà dire vera e cioè che non negherà le premesse da cui è partito. Cos’è che ci induce ad affermare che l’obiettivo del linguaggio è proseguire se stesso? Cioè costruire proposizioni? Il suo stesso agire, il modo in cui agisce, il modo in cui si muove, il fatto di non potere fermarsi mai; a questo punto, sempre tenendo conto che è sempre attraverso il linguaggio che possiamo compiere queste considerazioni, a questo punto non ci resta che questa via e cioè affermare che il linguaggio deve proseguire se stesso, che cos’è uno scopo? Qualche cosa che si intende raggiungere, semplicemente qualcosa che si è programmati a fare, il linguaggio, l’ho detto tante volte, è come un programma, un sistema operativo che è fatto per costruire se stesso, per produrre se stesso, per questo è il suo obiettivo, sappiamo che non può non farlo, ché se potesse non farlo uscirebbe da sé, uscendo da sé non ha modo di agire, e quindi non esce, l’unico limite che ha il linguaggio è che non può uscire da se stesso; a questo punto tutto ciò che gli umani fanno, costruiscono, immaginano, pensano ecc. come sappiamo non è altro che un sistema operativo che funziona, il quale deve costruire delle proposizioni e queste proposizioni devono essere vere rispetto a delle regole, rispetto a un criterio che di volta in volta cambia, non è necessario che sia sempre lo stesso, però importante è che ci sia un criterio, cioè delle regole, regole di esclusione, regole di formazione. Potere giungere ciascuna volta a una proposizione vera e cioè a una proposizione che consenta di proseguire, nient’altro che questo. Fanno altro gli umani rispetto a quanto detto? No. Nient’altro che questo, né potrebbero farlo. Perché il linguaggio funziona così e gli umani sono fatti di linguaggio e quindi funzionano così anche loro, costruiscono proposizioni che devono essere vere rispetto a delle regole e cioè ad altre premesse in definitiva. Come si forma una regola del linguaggio? Le regole del linguaggio non sono nient’altro che delle costruzioni, dei giochi linguistici che sono partiti da un elemento qualunque che è stato considerato vero e da lì si è giunti alla conclusione, questa conclusione può costituire la regola di un altro gioco, e quindi vincolare le mosse successive a quella conclusione, cioè a quella regola. Considerate il discorso che stiamo facendo: ci sono delle regole ovviamente, le regole che poniamo nel discorso che andiamo facendo non sono altro che conclusioni che abbiamo tratte e che riteniamo in questo caso necessarie, queste costituiscono le regole che limiteranno le mosse nell’elaborazione successiva, una di queste per esempio è che l’obiettivo del linguaggio è di proseguire se stesso, posta come conclusione necessaria diventa una regola per i giochi successivi…

Intervento: che qualsiasi cosa è un gioco linguistico oltre a essere una costrizione logica è una regola per continuare a giocare

Certo, in questo caso abbiamo posto come regola una costrizione logica, la costrizione logica non è altro che affermare ciò che non può non essere, la regola è il modo per utilizzare questa affermazione necessaria per costruire altri giochi, ora cosa ne viene dal fatto che gli umani non facciano nient’altro che questo? L’abbiamo appena individuato, e cioè costruire proposizioni e cercare di fare in modo che queste proposizioni siano vere, un corollario è che qualunque cosa appartiene a un gioco linguistico, che segue dalla costrizione logica che abbiamo affermato cioè che qualunque cosa è un elemento linguistico, come dire che se qualunque cosa è un elemento linguistico allora qualunque cosa appartiene a un gioco linguistico, perché per giocare occorrono delle regole. Il linguaggio per giocare, e quindi per proseguire, necessita di regole, tant’è che non qualunque conclusione viene accolta in un gioco ma soltanto quella che è vera, e cioè risulta coerente con la premessa da cui è partita. Abbiamo detto che qualunque cosa è ritenuta vera se è coerente con la premessa da cui è partita, come diceva già Kant se non è autocontraddittoria a questo punto è vera, ma non necessaria, che quattro assi battano due Jack è vero ma non è necessario, sono due cose diverse, vero è ciò che risponde ai requisiti di un gioco, ciò che si attiene a delle regole, la stessa questione che si pose Wittgenstein rispetto alla prova, alla dimostrazione “che cosa avremmo dimostrato quando avremo conclusa la dimostrazione? Di esserci attenuti scrupolosamente alle regole del gioco”. Il vero è questo, ciò che è coerente con le premesse dalle quali è stato dedotto, necessario invece è ciò che non può non essere, perché se non fosse allora né questo né qualunque altra cosa sarebbe, questa è la distinzione fondamentale…

Intervento: invece il discorso occidentale pone come premessa la realtà qualcosa che non esiste

Scambia il vero con il necessario, non potendo ovviamente provare la sua necessità…

Intervento: descrive una premessa che già preesiste

Scambiando il vero con il necessario suppone che questo vero esista di per sé, incondizionatamente, anziché accorgersi che è condizionato dal gioco che sta facendo, mentre il necessario non è condizionato dal gioco che sta facendo, affermare che qualunque cosa è un elemento linguistico non è condizionato da qualche cosa, per questo è necessario e incondizionato, non ha condizioni perché è la condizione di qualunque cosa. Ma che cosa avviene per gli umani allorché si accorgono che l’unico obiettivo della loro esistenza è quello di continuare a parlare costruendo proposizioni vere, non necessarie, ma vere? Che ne è di tutti i loro affanni, angosce, ire ecc.? Beh, vengono ricondotti a ciò che sono, come dire che l’unica risposta che abbia un senso alla domanda “perché faccio tutto questo?” è: per continuare a parlare, non c’è nessun altra risposta sensata. Per costruire proposizioni. Ed è l’unica risposta alla fatidica domanda che talvolta gli umani si pongono e cioè perché vivo? Per costruire proposizioni, questa è la risposta e quindi abbiamo risposto alla domanda che gli umani si pongono da tremila anni, “perché vivo, anziché no? A che scopo la vita?”, questo! Costruire proposizioni…

Intervento: perché non è ammissibile nel luogo comune. Perché è in contraddizione con la premessa che sostiene il tutto?

In termini logici è chiaro che la realtà posta come una necessità, si pone come una premessa generale, universale e assolutamente vera, una affermazione del genere urta contro tale necessità, la distrugge…

Intervento: è un po’ la risposta alla necessità di credere, perché in questo modo è come se la domanda rispetto allo scopo fosse soddisfatta… è un po’ come la persona che facendo tutta una serie di cose deve giustificare quello che…non è ammissibile laddove uno fa certe cose ammettere che per qualche motivo è perché gli piace

Dipende, se uno va in vacanza alle Maldive e gli si chiede perché e risponde: “perché mi piace ” è una risposta perfettamente legittima…

Intervento: certo in questo caso ma il discorso morale ha un po’ questa funzione eliminare appunto il piacere le cose si fanno non per piacere ma perché si devono… ci sono tutta una serie di cose che non sono ammissibili e allora uno cerca di trovare il motivo, la ragione

Sì una di queste per esempio è lo studio, se non è motivato da un dovere, giungere a un obiettivo, a una laurea, il lavoro e tutte queste storie allora, se è fatto per il puro e semplice piacere di farlo, allora è sospetto…

Intervento: perde valore

In molti casi è addirittura sospetto…

Intervento: “perché vivo?” per costruire proposizioni… questo non è ammissibile allo stesso modo… perché tutto ciò che faccio mi va di farlo, perché questa risposta non è ammissibile occorre che comunque intervenga sempre qualche cos’altro come se questo non fosse sufficiente, “perché vivo? Per niente!”

Non per niente, per costruire proposizioni…

Intervento: intendo dire quando uno dice per niente è già negare qualunque altra cosa che non sia appunto questa

Intervento: infatti costruire proposizioni per la vulgata è uguale a niente

Intervento: come dire per niente di tutto quello che stai dicendo rispetto alla morale

Nessuno degli obiettivi fissati dal discorso occidentale…

Intervento: non per il nulla ma per niente di tutto quello che viene offerto come risposta, quindi questa cosa non è ammissibile ma sospetta perché questa cosa ovviamente lascia trasparire un che di negativo.

Intervento: se uno non intende che questo costruire proposizioni può essere l’unica ricchezza

Intervento: in effetti questa è la questione un po’ nodale anche rispetto alle conferenze… le persone vengono per sentire cosa si offre: si offrono delle proposizioni che dovrebbero rimanere o avere una certa funzione, per dire per avere delle risposte, però questo dovrebbe servire riuscire a dire delle cose senza doverle giustificare… sarebbe già un bel passo riuscire a dirle… i vari affanni, le varie sofferenze sorgono laddove non tengono più le giustificazioni

Sì anche, molte volte sono proprio queste il motivo, in effetti servono proprio per costruire proposizioni, hanno questo scopo…

Intervento: “io vivo per costruire proposizioni” e questo non mi dice niente, viene accolto con poca soddisfazione così come la persona che accoglie in un primo momento il nostro discorso per cui qualsiasi cosa è un gioco linguistico, si trova a giocare e si accorge che sono termini linguistici ma di fronte alla pietra che cade e che mi fa male non la può accogliere come gioco linguistico, perché non intende cosa diciamo quando proponiamo e insistiamo che è di pensiero che si parla e che non è necessario prendersi botte in testa, e che non è una esclusione al momento in cui mi trovo a giocare, come dire non provo con il dolore che allora qualcosa non è un gioco linguistico, perché è proprio perché è un gioco che provo dolore… questa prova che ci viene continuamente richiesta

Intervento: il sapere non è fondabile… parte dalla legge di causalità, qualche cosa deve essere causata fino ad arrivare al discorso religioso…

Intervento: sembra che nell’ultimo incontro la questione della causalità si sia risolta in modo alquanto semplice: laddove producendo parola io definisco vero ciò che mi ha dato parola, cioè dove il vero è un effetto anziché una causa…

L’idea di causa effetto è più che legittimata, ciascun elemento non esiste da solo, esiste in quanto segue a un altro elemento linguistico, il quale elemento linguistico sarà connesso a un altro elemento linguistico, e quindi viene sempre da qualche cosa cioè da un altro elemento linguistico…

Intervento: qualcosa esiste perché c’è qualche cosa che lo fa esistere, questo lo diciamo anche noi ma questo qualche cosa che lo fa esistere è comunque qualche cosa che non partecipa del gioco

Questa è la struttura del discorso religioso, è l’elemento fuori dal linguaggio, certo, questa è la differenza tra il discorso che facciamo e qualunque tipo di religione, e cioè che qualunque cosa procede da un altro elemento linguistico e non può procedere da altro, c’è una bella differenza, chiaramente per affermare questo abbiamo dovuto considerare la priorità del linguaggio su qualunque cosa, cioè il linguaggio come condizione di qualunque cosa, il linguaggio anche come condizione della non esistenza del linguaggio, posso pensarlo, dirlo, a condizione che ci sia il linguaggio…

Intervento: posso costruire la contraddizione

Certo, posso costruirla, ma il linguaggio mi impedisce di utilizzarla, cioè in quella direzione non posso proseguire…

Intervento: è un sistema completo

Perché esiste la contraddizione ma non è provabile…

Intervento: è giusto dire che B è l’effetto di A

Diciamola così, c’è un secondo elemento linguistico che causa dell’altro, non ci sarebbe nessun elemento linguistico se non ci fosse nessun elemento precedente…

Intervento: quale è stato il primo?

Avevamo considerato questa questione, cioè l’installarsi del linguaggio, installandosi il linguaggio, non importa se c’è un elemento che è primo o secondo, installandosi comporta una regola che dice che quell’elemento che magari immagino che sia il primo esiste perché ce n’è un altro prima di lui, e cioè in altri termini che quell’elemento è tale perché inserito all’interno di una catena, di una combinatoria, ché altrimenti non potrebbe esistere. Dicevamo la volta scorsa che il vero si effettua al momento in cui la conclusione è coerente con la premessa, questo lo chiamiamo il vero, se non è coerente con la premessa, se la contraddice, allora è il falso. Così è.