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21-1-1999

 

La frase nominale, gli avverbi e la retorica

 

Questa sera voglio soffermare la vostra attenzione su un aspetto particolare e cioè sull’uso retorico della frase nominale e dell’avverbio. Per frase nominale si intende generalmente una frase, appunto si chiama frase e non proposizione, una sequenza di elementi dove non compare il verbo, faccio un esempio: basta con la criminalità! Questa è una frase nominale non c’è nessun verbo, ora l’uso retorico della frase nominale, è una frase perché dicevo si distingue da una proposizione perché la frase non è sottoponibile a un criterio verofunzionale. Se dico: "basta con la criminalità!" Ciò che dico è vero o falso? Non ha senso, mentre la proposizione sì, uno dice: "è tempo che la criminalità sia arginata", allora sì, questo può essere esposto a un criterio verofunzionale. La frase nominale ha delle virtù per il solo fatto, per il semplice fatto di non possedere il verbo, il verbo nella frase nominale non è che sia sottinteso o non propriamente, o non sempre, in alcuni casi è proprio una costruzione differente e cioè una frase messa al posto di un nome e ha maggiore potere persuasivo perché non essendoci il verbo e quindi non essendo sottoponibile a un criterio verofunzionale si impone come una sentenza. Se io affermo: "basta con la criminalità", questo non è sottoponibile alla domanda se sia vero o falso, una delle prerogative della frase nominale è di essere atemporale, cioè vale sempre… mi raccontava Beatrice la storiella di questo fatto buffo “hanno ammazzato un commerciante e immediatamente è partita la caccia all’untore, un marocchino, un albanese a seconda dei casi, si è scoperto che non erano extracomunitari ma italiani, delinquenza casereccia, allora tutta la campagna contro gli extracomunitari non si è potuta più proseguire in questi termini, perché non si è più potuta giovare di questo fatto della colpevolezza, gli hanno sottratto questa meravigliosa occasione, allora interviene la frase nominale e interviene in che modo? Se fossero stati gli albanesi allora dagli agli albanesi, sono stati gli italiano magari anche di Milano, ecco allora cosa si dice non fuori gli albanesi ma basta con la criminalità, allora questa frase risulta assolutamente necessaria e lapidaria soprattutto e poi consente un giro, perché basta con la criminalità, sì ma la criminalità oggi è gestita a seconda del folclore dagli extracomunitari, quindi dicendo basta con la criminalità comunque si colpiscono degli extracomunitari perché comunque sono loro poi che non abbiamo ucciso il commerciante ecco questo particolare non ha nessuna importanza dunque l’uso retorico della frase nominale che in qualche modo cominciate già ad avvertire è questo potere affermare qualche cosa in modo assoluto, perentorio e direi quasi sub specie et æternitate, cioè in modo atemporale, una cosa che sembra vera di per sé, se io dico “basta con la criminalità” do per acquisita una criminalità che sia ormai prepotente e strapotente, per cui è tempo di fermarla, tutto ciò che viene dato come implicito non viene affatto messo in gioco, ché non c’è la possibilità di porre delle questioni intorno al fatto che ci sia o non ci sia, affermando “basta con la criminalità” rendo implicito in modo categorico che la criminalità ha passato la misura, in modo assolutamente perentorio. Ora nel discorso comune l’uso della frase nominale ha esattamente la stessa portata, e cioè costruire proposizioni in modo tale che non siano sottoponibili neanche a una mia discussione eventualmente, dicendole, funzionano implicitamente anche per me come verità assoluta, se io dico: “adesso basta con qualunque cosa” è un’altra frase nominale, dicendomelo immediatamente stabilisco che questa cosa è assolutamente intollerabile, cioè non mi dico: “è vero affermare che questa cosa è fastidiosa per questo motivo” no, non mi dico una cosa del genere, perché dicendolo mi impongo quasi di metterlo alla prova cioè di verificarlo, ma se io dico che è ora di smetterla con questa cosa ecco allora no, non consento nessuna messa in gioco di una cosa del genere, la do come già acquisita. Se durante una arringa un avvocato riesce a utilizzare in modo opportuno delle frasi nominali in questo modo ha un buon effetto sull’uditorio, perché impedisce l’accesso ad un eventuale critica di quello che sta affermando, e impone un elemento in modo così assolutamente inesorabile e inevitabile che servirà poi per costruire tutta una serie di cose, che invece potrebbero essere assolutamente opinabili, ma se muovono dalla frase nominale no. Un risultato abbastanza simile possono ottenerlo gli avverbi, affermando: “la tale persona non è potuta venire, evidentemente aveva altro da fare”, l’utilizzo di questo “evidentemente” ha una funzione particolare che è quella di rafforzare ciò che vado dicendo e di nuovo, al pari della frase nominale, impedire l’accesso ad un eventuale obiezione, di qualunque messa in gioco della cosa, “evidentemente” oppure “ovviamente” oppure “certamente”, sono tutti avverbi, potete trovarne infiniti altri che hanno questa funzione, che cioè inseriti all’interno di una frase non soltanto la rafforzano, ma escludono la possibilità che possa, la frase, essere sottoposta a un criterio verofunzionale e cioè si trasformi in proposizione. Se io dico “evidentemente aveva altro da fare” escludo la possibilità che uno chieda: perché? Questo è importante quando si ascolta un discorso, tanto la frase nominale tanto l’avverbio, utilizzato nei modi che andavo dicendovi, possono mostrarvi con rapidità quali sono le cose per esempio in cui una persona crede, sono quelle a cui in genere affianca un avverbio del tipo di quelli che vi accennavo, cioè cose rispetto alle quali non intende che ci siano discussioni, oppure può terminare una frase con ovviamente, come dire: è ovvio e quindi nessuno può avere l’ardire di mettere in discussione una cosa ovvia, certa. Nell’uso del discorso retorico questi elementi sono importanti, ma sono importanti anche nella retorica del proprio discorso, cioè nel modo in cui uno si trova a dire le cose senza accorgersene. Utilizzando dunque questi elementi in questo modo o meglio ascoltando gli elementi utilizzati in questo modo, potete costruire come una sorta di mappa delle cose che sono più credute o, per meglio dire, potete individuare quelle che sono le credenze e le superstizioni che sono poste lì per evitare di incontrarsi con questioni problematiche e che quindi che potrebbero creare un problema. Questo non significa che dove incontriate avverbi di questo tipo o una frase nominale sia necessariamente così, però può indicare una direzione nell’ascolto per esempio, una direzione rispetto al discorso che si va ascoltando, capita, ascoltate una persona che chiacchiera e ad un certo punto vi accorgete che fa un largo uso di avverbi, ovviamente, sicuramente, certamente ecc., non è sempre casuale che intervengano questi avverbi, possono essere comunque degli indicatori, in questo caso funzionare come una sorta di shifters, come direbbe Jakobson, cioè quegli elementi che consentono di indicare con precisione una direzione. Vi sarà capitato mille volte di incontrare delle persone che mentre vi parlano vi chiedono continuamente “no?”, come se avesse il sospetto che l’altro non possa essere d’accordo, c’è anche nel dialetto piemontese un modo piuttosto bizzarro di dire le cose e cioè porre un’affermazione anziché come affermazione come domanda, per esempio Cesare direbbe sono stato a Milano, altri, quei piemontesi di cui dicevo, farebbero questa affermazione in questo modo: “sono stato a Milano?” Non so, come faccio a saperlo, io non c’ero. Vengono volte, queste affermazioni, in una sorta di domanda, in forma interrogativa, e non si capisce bene il motivo però è curioso che uno affermi una cosa del genere e cioè una cosa che si sta affermando viene domandata all’altro che non lo sa e del quale sta dicendo…

Intervento: sono dei modi di dire…

I modi di dire possono essere molto importanti in un discorso, possono essere come dicevo degli shifters, degli indicatori, indicano che cosa in quel discorso fa problema per esempio, non necessariamente, non è che mostrino una certezza, indicano un’eventualità, niente più di questo, però una eventualità che è possibile tenere in conto per cominciare a riflettere intorno alla retorica del discorso in termini più precisi, magari riprenderemo qua e là dei brani che trattano di questo aspetto ma pensavo all’uso della frase nominale, che è molto curioso, per esempio, “zitti” è una frase nominale. Le frasi nominali hanno una notevolissima efficacia, togliendo il verbo nel discorso si impone una sorta di verità sub specie æternitate, e soprattutto ci si sbarazza dell’aspetto proposizionale e quindi dell’aspetto verofunzionale, non è più sottoponibile a un criterio verofunzionale e quindi non è più possibile chiedere di renderne conto…

Intervento:

Esattamente, sia nel linguaggio pubblicitario, sia negli spot politici sono molto utilizzati proprio per questa cogenza, questa costrizione quasi che impongono ad ammettere tutto ciò che non viene detto…

Intervento:…

Trasformare una frase che non chiede di essere sottoposta a un criterio verofunzionale e quindi sembra vera necessariamente…

Intervento: toglie responsabilità a chi enuncia questa proposizione

Sì certo, certo ci si sottrae della responsabilità di affermare in prima persona una certa cosa, dicendo per esempio: “basta con i rossi o basta con i neri” alludo a tutta una serie di cose che do per acquisite, ma senza, come diceva giustamente Cesare, assumermene la responsabilità, è come se affermassi un dato di fatto, che i rossi oppure i neri a seconda dei casi hanno passato la misura e quindi bisogna fermarli, come dire: tutti lo sanno e io ribadisco una cosa ovvia…

Intervento: state zitti o zitti

Si rivolge ad un uditorio in questo caso, invece lì no, è come se dicessi: ciascuno di voi taccia, e questo ha un'altra funzione cioè, come diceva giustamente non ricordo più chi, non è che sottintenda il verbo è proprio una costruzione differente. Nella retorica del discorso di ciascuno possono intervenire questi aspetti, ciascuno può rilevarli rispetto al proprio discorso in modo particolare dove si incontri una questione che per un qualunque motivo si preferisce aggirare, ecco che allora ci si ripara o meglio ci si nasconde quasi dietro un motto, dietro una frase nominale che sembra senza tempo e quindi sempre vera…

Intervento: come il proverbio

Sì, il proverbio ha una struttura molto prossima anche se non tutti hanno una frase nominale propriamente detta, in effetti possiamo anche allargare un po’ la questione sulla scia di Benveniste, allargare la definizione di frase nominale a proposizione più complessa come per esempio “il bere fa male” questa secondo la grammatica più rigorosa non sarebbe propriamente una frase nominale in quanto ha un verbo però, però in questo caso è il bere che funziona come nome e quindi può ascriversi a una frase nominale. E Benveniste in definitiva si avvicina molto a questo aspetto nel suo saggio sulla frase nominale, che vi suggerisco di andare a rileggere, e in questo, caso porre il bere come se fosse un nome dà a questa frase “il bere” (propriamente grammaticalmente sarebbe un sintagma composto da un articolo e da un verbo, un sintagma nominale in questo caso) ponendolo come nome dunque da a questo sintagma una dignità che altrimenti non avrebbe, e il nome in tutte le grammatiche e in tutte le strutture del discorso, non soltanto in quella occidentale, ha una priorità rispetto a qualunque altro elemento linguistico perché è ciò che nomina, ciò che dà esistenza alle cose, ciò che le fa esistere, uno vede un aggeggio che non sa cosa sia e domanda: “che cos’è?” e quindi chiede il nome “è Pinco Pallo” ah ecco! Poi comincia a chiedere come funziona ecc… intanto vuole sapere come si chiama, e questo non è marginale, come dire che il nome è la cosa principale, quella dalla quale poi si può predicare una qualunque cosa. Se dico: “il bere fa male”, cosa discutibilissima, ma se pongo il bere come nome darò a questo bere una valenza talmente universale, talmente generale che indurrà la più parte degli uditori all’assenso, non soltanto perché è un luogo comune ma anche perché, posto il discorso sotto questa forma, cioè indicando ciò che si vuole far accogliere mettendolo nella posizione di nome, è più facilmente accoglibile, se uno dice “bere grappa…” Invece “il bere” più generale è come se questo “il bere” diventasse una sorta di luogo, luogo facilmente riconoscibile da chiunque, oppure: “correre è pericoloso”, non significa niente di per sé però in questo caso anche correre è posto come nome nella struttura della frase. Questo per indicarvi come la frase nominale abbia maggiore potenza persuasiva di moltissime altre e come pertanto all’interno di un discorso possa benissimo venire utilizzata una frase nominale per eliminare immediatamente una questione spinosa, e quindi problematica rispetto al proprio discorso. Lo stesso per gli avverbi: se io aggiungessi a quello che ho detto “lo stesso per gli avverbi” evidentemente questa aggiunta di per sé non aggiunge né toglie nulla teoricamente e invece no, aggiunge questo elemento che messo in chiusura chiude la frase in modo tale per cui ciò che ho detto viene come ricoperto da una sorta di evidenza generale, pubblica ed è più difficile a questo punto all'interlocutore, che posso essere io ovviamente, io stesso, rende più difficile l'eventuale messa in discussione di questa affermazione…

Intervento:…

Sì, è come dire: “bada che non la puoi mettere in dubbio perché è fuori dubbio, se lo fai vai contro il buon senso comune”, “indubbiamente”, che è la stessa cosa, o “evidentemente” sono tutte varianti utilizzate allo stesso scopo. Quindi questa piccola aggiunta “evidentemente” ha la funzione retorica di rendere più difficile all’interlocutore l’accesso a una eventuale obiezione. Come dicevo, e torno a sottolineare, anche quando sono io tanto l’interlocutore quanto il locutore, cosa che può essere di qualche interesse…

Intervento:…

Non solo, ma si può anche aggiungere che questo “evidentemente” posto in chiusura può fare alludere, e questo è un altro uso retorico, al fatto che il parlante abbia una certezza assoluta di ciò che sta dicendo e quindi sia in condizioni di sostenerlo per cui l’altro si astiene da una qualsiasi obiezione. La volta prossima potremmo leggere qualche brano di Benveniste, perché mi sono accorto che si può riflettere ancora su questi aspetti anche per quanto riguarda gli avverbi, so che sta uscendo un libro che ha a che fare con questo, l’uso dell’avverbio nella retorica. Potremmo vedere se dice qualcosa di interessante oppure no…

Intervento: è difficile darsi delle convinzione dicendo per esempio basta con la criminalità, lo posso dire ad un uditorio… ma con me

Viene indotta per esempio dai media attraverso una operazione ben congeniata, e si instilla nei cittadini, basta che un albanese rubi una mela, allora si fanno venti pagine sui quotidiani contro la criminalità albanese che ormai dilaga e non si riesce più ad arginare ecc. poi vede che è stata uccisa una persona, subito è l’albanese, e poi legge tutte queste cose ecco che queste cose se messe in buon ordine funzionano… magari non era un albanese, però sarebbe potuto esserlo. Talvolta accade di essere altrettanto sprovveduti rispetto al proprio discorso certo e quindi non accorgersi degli elementi che intervengono con la stessa funzione, non ci si accorge perché queste frasi sono costruite apposta perché non ci si accorga, è questo il loro utilizzo: impedire l’accesso, impedire l’accesso alla proposizione che invece è una frase nominale. La frase non richiede nessuna interrogazione, dicevamo tempo fa dell’esempio della frase musicale, che di per sé non è né vera e né falsa, è una frase musicale, per definizione non è sottopobile a un criterio del genere, la proposizione sì, e quindi se io riesco a volgere una proposizione che quindi chiede una verifica in una frase che invece per definizione la esclude allora ho aggirato la questione…

Intervento: la persona che ha difficoltà con se stesso con la questione razzista e se dovesse sostenere con se stesso il discorso del razzismo “basta con la criminalità” esclude il confronto…

La frase nominale ha questa prerogativa, essere fuori dal tempo, quindi enuncia, enuncia perché di fatto non afferma proprio niente, enuncia una qualche cosa che mostra uno stato di fatto che è sempre, in qualunque tempo: se c’è la criminalità, se questa criminalità diventa una cosa del genere allora bisogna arginarla, ma detta così, cioè basta con la criminalità, siccome di per sé non significa nulla può significare qualunque cosa, può essere utilizzata in qualunque modo, ci si può nascondere dietro una cosa del genere e in effetti io enunciando questo non affermo assolutamente niente…

Intervento: quindi il discorso prosegue senza interrogazione

Il problema è che c’è una sovrapposizione fra questa frase e il riconoscimento di uno stato di fatto delle cose, occorrerebbe, di fronte all’affermazione: “basta con la criminalità”, rispondere: “se c’è criminalità, se questa criminalità è fatta in un certo modo se…” tutte cose da verificare certo, ma così come dicevo non significa niente perché non afferma niente, la frase nominale non afferma nulla, enuncia una cosa, di per sé uno può accoglierla o non accoglierla, ma non significando niente non si pone neanche il problema dell’accoglimento è data così e quindi è molto potente, ha questa virtù che sbarazza di ogni possibilità di discussione perché non afferma niente. Torno a ribadire, questo è l’aspetto fondamentale, che nella frase nominale non si afferma assolutamente nulla e quindi non si è soggetti a nessuna domanda, a nessuna inquisizione, a nessuna obiezione, obiettare che cosa se non si è affermato niente?

Intervento: se scoppia un tafferuglio sotto la finestra e uno urla basta con la criminalità, il soggetto è lì

Non è il soggetto, è l’occasione, è lei stessa come soggetto non ha altri soggetti fuori di sé, è l’occasione per affermare una cosa che non dice niente “basta con la criminalità” e allora? Non vuole dire nulla ché non sta affermando niente…

Intervento:…

Può essere plausibile il riferire questo detto all’evento che sta accadendo, può essere plausibile ma non è riconducibile necessariamente perché lui non ha affermato niente, e quindi non è né riconducibile né opinabile niente, è come se suonasse quattro note con il clarinetto, che però non sono esattamente come quattro note del clarinetto perché alludono ad uno stato di fatto che si pone così, nel nulla, è fuori tempo, in qualunque momento uno potrebbe dire: “basta con la criminalità” da quando esistono gli umani, non c’è problema. Sono frasi che sono sempre possibili, vanno bene sempre perché non hanno tempo, non hanno luogo e soprattutto non affermano niente. Ecco ma l’aspetto che a noi interessa di più è connesso con la retorica del proprio discorso, intendere eventualmente che cosa utilizza una costruzione del genere per aggirare una questione, è un esempio, molte cose possono funzionare come una frase nominale anche senza esserlo letteralmente e grammaticalmente…

Intervento:…

Sì è sempre molto rassicurante, questa frase è molto rassicurante, dire che una certa cosa è sempre così in ogni tempo e in ogni luogo; la frase “basta con la criminalità” sarà sempre utilizzabile, andrà sempre bene perché è una sorta di universale…

Intervento: nel proprio discorso si accorge che c’è una frase che risolve i problemi, e allora a quella frase si aggrappa e non ci pensa neanche

Sì, come anche quella frase che dice: “tutte queste cose e…” puntini di sospensione, anche in questo caso è una frase nominale, e anche qui ci troviamo di fronte a una costruzione che allude a qualche cosa senza affermarla, la frase nominale allude ma non afferma, è lanciare la pietra e poi nascondere la mano, come per esempio dire: “tutte queste guerre…” e non dire altro, che cosa vuole dire? Che è contento che ci siano una quantità di guerre in giro per il mondo? No, indica l’esistenza di queste cose e quindi allude al fatto che sia una cosa negativa ma non lo afferma, allude. In questo è una costruzione molto prossima a molti proverbi, che alludono a una certa cosa ma non la affermano perché affermandola si esporrebbero immediatamente alla necessità di sottoporre questa affermazione a un criterio verofunzionale, se è così perché?

Intervento: la frase relativa cioè quella per esempio Caio dice che…

Questa è un’altra figura retorica, “l’auctoritas” cioè l’utilizzo di un autorità per affermare una certa cosa perché o non la si sa sostenere o la si vuole rafforzare, come dice Aristotele, uno può rafforzare il proprio discorso dicendo che non è perché lo dico io, ma perché lo dice anche Aristotele, oppure sorvola sul discorso…

Intervento:…

Questo è un utilizzo che viene fatto spesso specialmente in ambito “intellettuale” tra virgolette, vi faccio un esempio, muove spesso da una citazione anche se non letterale, questo non ha importanza: “Heidegger afferma che la verità è un disvelamento” e quindi tutto ciò che viene inteso come vero è necessariamente qualcosa che prima era velata, ora io ho utilizzato qualcosa che dice Heidegger in modo tale che venga dato per buono che sia vero ciò che Heidegger afferma, perché non utilizzerei per rafforzare il mio discorso un qualcuno che afferma qualcosa di falso, ora a questo punto può in alcuni consessi risultare difficile ribattere “bene, questo lo dice Heidegger, ma non significa niente, lo dice Heidegger, e allora? io dico un’altra cosa”. È un altro utilizzo, a fianco dell’auctoritas, lo dice Heidegger, e quindi? Oppure ancora più subdola, affermare: “Come dice Heidegger e quindi…” La prima parte “come dice Heidegger” lascia intendere che è possibile mettere in discussione ciò che Heidegger afferma, la seconda no, la protasi qui è al condizionale, o meglio è condizionata mentre l’apodosi è assolutamente apodittica, per dirla in termini retorici, apodittico è l’enunciato che è necessariamente vero. La funzione più propria del luogo comune, in accezione retorica del termine, è di una proposizione che è data per acquisita perché è nell’uso comune e serve per costruire un discorso, e nella retorica il luogo comune è il punto di partenza per costruire un discorso, punto di partenza che si suppone riconosciuto almeno dai più, e nel proprio discorso ciò che è riconosciuto perlopiù dal parlante, cioè ciò in cui crede, per cui reperire il luogo comune rispetto al proprio discorso è intendere perché si credono le cose che si credono…

Intervento: il luogo comune è l’autorità

Può essere certamente, che Aristotele sia un autorità è indubbio, ma è diventato in molti casi un luogo comune, oppure più ancora di Aristotele, perché Aristotele si legge meno, ciò che ha detto Freud, ma più ancora Gesù Cristo. Altro aspetto della retorica è quello che prepara l’uditorio o l’uditore ad accogliere ciò che si sta per dire, comunque non è una garanzia, infatti il buon oratore è colui che prima di iniziare a dire le cose che intende dire e delle quali vuole che altri siano persuasi, dispone l’uditorio in un modo in modo tale che sia pronto ad accogliere le cose che sta per dire, si apre la strada per così dire, se riesca oppure no questo è un altro discorso, ma c’è una serie di tecniche preparate a questo scopo…

Intervento:…

Se no la pubblicità sarebbe sempre riuscita e invece non è così, si lancia un prodotto che vende moltissimo, poi si utilizza la stessa cosa per un altro e non funziona più niente…

Intervento: lei in libreria parlava delle fantasie e dei luoghi comuni facendo una discriminazione le fantasie sono infinite e i luoghi comune si possono ridurre a una decina. Ho cercato di distinguere fra luogo comune che non può non essere una fantasia e la fantasia non può non essere un luogo comune

Retoricamente il luogo comune è il luogo dove andare a pescare quegli elementi da cui incominciare a parlare, retoricamente è questa la funzione del luogo comune, e attiene alla prima parte della retorica, l’inventio dei latini, dopodiché, reperito questo elemento si comincia a costruire intorno le cose. La frase: “basta con la criminalità” è luogo comune e a questo punto ci costruisco sopra tutta una montagna di cose. La fantasia che non è altro che un discorso, ma potremmo dire intanto che il luogo comune è ciò che viene utilizzato per la costruzione di fantasie, mentre le fantasie non vengono utilizzate per la costruzione del luogo comune, in quanto il luogo comune è già dato, non è da costruire, ché perderebbe la sua connotazione di luogo comune, sarebbe un luogo incomune, personale, poi può farsi diventare luogo comune ma se è comune per definizione è già dato, è già dato da altri che lo l’utilizzano, altri mi dicono questo, io so che ci credono, poi ci costruisco sopra quello che mi pare. Di cosa è fatto il luogo comune? Certo è un discorso, una fantasia…

Intervento: io non posso far esistere la fantasia se non partendo da un luogo comune

Qualcosa del genere, comunque è da elaborare la questione ché è importante, però in prima istanza potremmo dire che il luogo comune è quella fantasia che per definizione risulta già data, e dalla quale si muove per costruirne altre…

Intervento: è come se la fantasia per essere fantasia abbisognasse delle stesse regole che rendono comune il luogo comune…

Alcune sì, il luogo comune nell’accezione più volgare del termine impone una regola, cioè quella che ciò che afferma che non deve essere messo in discussione, anche in uso retorico però viene creduto…

Intervento: è fantasia perché pensa di essere libera dal luogo comune…

Non l’abbiamo mai definita la fantasia, dovremmo farlo un giorno o l’altro, possiamo riflettere se c’è qualche cosa di interessante intorno alla fantasia oppure no…

Intervento: è interessante laddove si pone fantasia in contrapposizione al reale

Sì, oppure se il termine “fantasia” possa essere in toto sostituito da “discorso” che è molto più appropriato e preciso, è una questione che merita di essere riflettuta. Bene, ci vediamo giovedì prossimo.