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20 dicembre 2017

 

M. Heidegger, Essere e Tempo

 

Siamo a pag. 424. Si dirà che nella scienza ogni manipolazione è posta al servizio della contemplazione pura, della scoperta e dell’apertura delle “cose stesse”. Il “vedere”, preso nel senso più ampio, regola ogni “procedura” e conserva il primato. “Qualunque sia il modo e qualunque il mezzo con cui una conoscenza si riferisce a oggetti, quella tuttavia per cui essa si riferisce direttamente a essi e che ogni pensiero ha di mira come mezzo, è l’intuizione. Dall’inizio dell’ontologia greca sino a oggi l’idea dell’intuitus guida ogni interpretazione della conoscenza, sia esso realizzabile di fatto oppure no. In conformità al primato del “vedere”, la delucidazione della genesi esistenziale della scienza dovrà incominciare con la caratterizzazione della visione ambientale preveggente che “guida” il prendersi cura “pratico”. Heidegger contrappone alla visione della scienza, la visione pura, quella delle “cose stesse”, la visione ambientale preveggente, cioè, il vedere all’interno del mondo. La visione d’insieme non è soltanto un colpo d’occhio tardo e riassuntivo su un cumulo di semplici-presenze. Ciò che la visione d’insieme ha di essenziale è la comprensione primaria della totalità di appagatività all’interno della quale, di volta in volta, ha luogo il prendersi cura effettivo. Sta dicendo che quando io vedo qualche cosa non lo vedo così com’è ma lo vedo in relazione a un’appagatività, cioè a ciò che io voglio fare di questa cosa. È attraverso questo che io vedo le cose, che sarebbe poi la visione ambientale preveggente: attraverso il che cosa voglio farne. Quando parliamo di visione nel mondo parliamo di ciò che io voglio fare del mondo, e in base a ciò che voglio fare del mondo quella cosa mi apparirà in un modo o in un altro. Per esempio, se voglio avvitare una vite il cacciavite mi apparirà in un certo modo, ma se io voglio infilarlo nella pancia di qualcuno il cacciavite mi appare in un modo diverso. Ciò che la visione d’insieme di fatto mostra è ciò di cui voglio prendermi cura, è il modo in cui voglio prendermi cura, il voler fare qualcosa di qualcosa. Qui stiamo sempre parlando della scienza, del modo in cui la scienza immagina di vedere le cose, cioè, immagina di vedere le cose stesse per manipolarle, ecc. Ciò che sta dicendo Heidegger è che le cose non stanno proprio così, non è che vedo la cosa stessa, vedo la cosa in relazione a ciò che voglio farne. Nel corso del rispettivo uso e della rispettiva manipolazione, la visione ambientale preveggente “d’insieme” del prendersi cura porta l’utilizzabile più vicino all’Esserci attraverso l’interpretazione di ciò che è visto. Questa formulazione, il rendere più vicino, non è proprio così precisa e teoreticamente interessante. La cosa che si porta più vicino, cioè, l’Esserci porta più vicino un utilizzabile attraverso l’interpretazione, cosa vuol dire? Lui ha già spiegato prima, la comprensione, che non è altro che un’apertura, all’interno della quale è possibile produrre del senso, dei significati, qualunque cosa, che sarebbe l’interpretazione. L’interpretazione, ci dice, ci porta più vicini all’utilizzabile, cioè lo avvicina. A questo avvicinamento specifico che interpreta preveggendo ambientalmente diamo il nome di riflessione. Questa interpretazione, che porta vicino in qualche modo, anche se non sappiamo quale, l’utilizzabile sarebbe quella cosa che noi chiamiamo riflessione, sarebbe l’inferenza, se questo allora quest’altro. Questo è il modo in cui l’Esserci si avvicina all’utilizzabile ma si avvicina all’utilizzabile riflettendo, riflettendo su cosa farne o su che cos’è. Infatti, dice, Il suo schema caratteristico è “se… allora”. Se questo o quello deve essere, ad esempio, prodotto, posto in uso, evitato, “allora” occorre questo o quel mezzo, questa o quella procedura, circostanza o occasione. La riflessione preveggente ambientalmente illumina la rispettiva situazione effettiva dell’Esserci nel mondo-ambiente di cui si prende cura. (Pagg. 424-425) In questo modo il riflettere, l’inferenza, modo che consente di capire, articolare, ragionare, dice che è ciò che illumina l’Esserci nel mondo-ambiente, cioè, lo orienta. Lui dice “illumina” ma potremmo anche dire che lo orienta nel mondo. Essa quindi non si limita mai a “constatare” semplicemente l’esser-presente di un ente o le sue qualità. Questo è quello che vorrebbe fare la scienza. Dice che non è soltanto che io vedo la cosa ma la vedo, sì, nella riflessione, per cui attraverso delle inferenze posso coglierne delle qualità, ecc., però, questa visione ambientale preveggente è sempre una visione rispetto, come dicevo prima, al che cosa voglio fare di qualche cosa, ed è il che cosa voglio fare di qualcosa che mi mostra quella cosa in un modo o in un altro. Il portar-vicino il mondo-ambiente proprio della riflessione ambientale preveggente ha il senso esistenziale di una presentazione. Qui ci dice in qualche modo che cosa intende lui con portar vicino: il presentare qualche cosa. Questo portar vicino ha il senso della presentazione, intesa nel senso del rendere presente, attuale, qui, in questo momento. Infatti la rap-presentazione è soltanto un modo di questa. Nella rap-presentazione la riflessione si raffigura direttamente ciò che le occorre e non ha a portata di mano. La previsione ambientale rap-presentativa non ha a che fare con “semplici rap-presentazioni”. La rappresentazione, che dipende dal presentarsi di qualche cosa nel modo che diceva prima, nella visione ambientale preveggente che, attraverso questa illuminazione dell’Esserci che si mette in atto quando c’è la riflessione, cioè quando c’è un’inferenza, un ragionamento, tutto non solo è la condizione di ciò che chiamiamo rappresentazione ma dice, lo ripeto: Nella rap-presentazione la riflessione si raffigura direttamente ciò che le occorre e non ha a portata di mano. Quindi, la presentazione mostra qualche cosa, lo rende presente, mentre la rappresentazione si raffigura ciò che non ha direttamente sotto mano. Ciò che si presenta è ciò che ho sotto mano, per ciò che non ho sotto mano interviene la rappresentazione, che è sempre un modo di presentificare le cose, di renderle presenti. Ma affinché la riflessione possa muoversi nello schema del “se… allora”, è necessario che il prendersi cura comprenda già, attraverso una “visione d’insieme”, un complesso di appagatività. Qui dice esattamente quello che dicevo prima. Perché possa darsi un’inferenza, un se… allora, è necessario che un qualche cosa sia già compreso, sia già compreso in quanto un qualche cosa. E, infatti, dice, Ciò cui si riferisce il “se”, deve essere già compreso in quanto questo o quest’altro. Quando dico “se questo…”, il questo deve essere già compreso, deve esserci già stata un’apertura che mi ha consentito di interpretare quella cosa. A tal fine non occorre che la comprensione del mezzo si esprima in una predicazione. Lo schema “qualcosa in quanto qualcosa” è già prefigurato nella struttura della comprensione predicativa. Quando io dico “questo è questo”, il primo “questo” è già presente, è già prefigurato dalla comprensione, cioè, per me il primo “questo” è già qualcosa. È già qualche cosa non perché lo colgo in quanto cosa stessa ma è già un qualche cosa perché all’interno di questa visione ambientale preveggente, questa comprensione ha già aperto la possibilità del senso. Questa è una questione interessante anche per quanto riguarda, per esempio, la semiotica. Questa frase: Lo schema “qualcosa in quanto qualcosa” è già prefigurato nella struttura della comprensione predicativa, cioè, per comprendere un predicato, per comprendere che questo è quest’altro, occorre che il “questo” sia già dato, sia già compreso, intendendo il “compreso” come il comprendere, l’abbracciare, sia già compreso all’interno del mondo, all’interno di… ma di che cosa esattamente? Quando lui dice “all’interno del mondo” significa, e qui c’è l’aggancio con la questione semiotica, come possibilità, cioè io comprendo, nella proposizione “questo è quest’altro”, il primo “questo” come possibilità di senso, di significazione. Ciò che già so è che il primo “questo” rinvia a qualche cos’altro, in quanto possibilità, anche se non so a che cosa rinvia, ma so che rinvia a qualche cos’altro, so che è una possibilità. Una questione su cui si potrebbe riflettere, e lo faremo poi magari in modo più specifico, è che ciascuna parola, ciascuna apertura, non è altro che una possibilità, la possibilità per altre parole. Potremmo addirittura dire che una parola di per sé non è nulla se non è inserita in una combinatoria, ma non è nulla se non una pura possibilità di altre parole, cioè una pura possibilità di prosecuzione, quindi, puro progetto. Ciascuna parola è un progetto, pura gettatezza. Questo si accorda molto bene con la semiotica, in particolare quella di Peirce: ciascun segno è segno per un altro segno, cioè, ciascun segno non è altro che pura possibilità per un altro segno, ma ciascun segno è pura possibilità, da qui la semiosi infinita. Dire che è pura possibilità significa soltanto dire esattamente quello che dice Peirce, e cioè che un segno è un segno per un altro segno. Una possibilità che non è ancora determinata da nulla, è soltanto pura possibilità. Peraltro, è questo che Heidegger intende quando dice che l’Esserci riviene su di sé trova una pura possibilità, cioè la gettatezza e il progetto. La nullità è questo, nullità in quanto non trova nulla di fermo, di stabile su cui appoggiare il piede, ma trova soltanto pura possibilità.

Intervento: Anche la comprensione, allora. Quando io comprendo, comprendo la possibilità…

La comprensione in Heidegger è l’apertura alla pura possibilità, ciò che consente a un qualche cosa di mostrarsi in quanto pura possibilità. Successivamente interviene l’interpretazione che, invece, dà un significato a quella cosa, la determina in qualche modo. Di per sé ciascuna parola è pura possibilità. Potremmo anche intendere il modo con cui procede una catena combinatoria di elementi linguistici. Ciascuno di per sé, lo abbiamo detto tante volte, non ha un significato, un senso, non ha niente. Possiamo aggiungere che di per sé ciascuna parola, quindi, ciascun elemento linguistico, ha e deve avere questo, l’essere pura possibilità per un’altra parola. Se non fosse possibilità per un’altra parola non ci sarebbe una connessione. Ora, dire che una parola è una pura possibilità per un’altra parola ci richiama alla questione della relazione, cioè, ciascuna parola non è altro che relazione. Una relazione che cosa dice? Dice che di due elementi costituisce il terzo elemento, quello che di questi due non fa uno più uno ma fa due, cioè, fa un altro elemento che è determinato dalla relazione. Quindi, potremmo anche dire che per un elemento linguistico essere pura possibilità può intendersi come essere pura relazione. D’altra parte, Heidegger stesso, quando dice che l’Esserci è sempre un qualche cosa che è quello che in quanto è in vista di, ci sta dicendo questo: è in vista di, cioè, è un rinvio, e un rinvio è una relazione. Infatti, dice, l’Esserci è aspettantesi una possibilità, cioè, si aspetta una possibilità, lui stesso è una possibilità. Essendo pura possibilità è sempre lì che si aspetta qualcosa, ovviamente, cioè, è in relazione con qualche altra cosa, è in vista di qualche altra cosa. Ecco perché la sua critica alla scienza appare piuttosto ben argomentata, motivata e fondata, cioè, ciascun elemento che si incontra lo si incontra sempre in vista di qualche cos’altro, non è mai quello che è, perché la sua “natura” è quella di essere sempre in relazione con un’altra cosa. Quindi, ciò che fa la scienza è un inganno, un artificio che è necessario, sì, per parlare, per manipolare, ecc., però, un conto è manipolare qualche cosa per qualche motivo, senza sapere quello che si sta facendo, altro è fare la stessa cosa ma sapendo cosa si sta facendo. Ed è questo che ha condotto Heidegger a dire che la scienza non pensa, non pensa non perché sia un modo difettivo di pensare ma perché la scienza non si occupa di questo, non si occupa di pensare, semplicemente. La scienza manipola immaginando che le cose sono quelle che sono. La struttura dell’in-quanto si fonda ontologicamente nella temporalità della comprensione. solo perché l’Esserci, aspettandosi una possibilità, cioè, in questo caso, aspettandosi un a-che, è ritornato su un per-ciò, ossia ritiene un utilizzabile, è possibile, viceversa, che la presentazione propria di questo ritenimento aspettantesi, partendo da questo ritenimento, porti il ritenuto esplicitamente vicino come rimandato all’a-che. Grosso modo è la stessa cosa. Ci sta dicendo che nel momento in cui l’Esserci si aspetta una possibilità, cioè un rinvio a qualche cosa… la possibilità è sempre verso un qualche cosa, quindi, è un rinviare verso qualche cosa, e dice che è la temporalità che consente di ritenere un utilizzabile, di fermare un utilizzabile, attraverso non solo il progetto, cioè l’andare avanti, ma anche la gettatezza, che riguarda il passato, l’essere stato, e sappiamo che l’essere stato è un essere stato ciò che sempre è. Lui dice porti il ritenuto (un utilizzabile qualunque) esplicitamente vicino come rimandato all’a-che, cioè, l’Esserci trattiene un utilizzabile, ma come lo trattiene? Lo trattiene e lo mantiene in quanto un rimando all’a-che, un rimando al suo rinvio. In altri termini, l’Esserci ferma qualche cosa, lo determina, ma soltanto in quanto questo elemento è un rinvio verso qualche cos’altro. Quindi, potremmo dire che, intanto, lo trattiene in quanto possibilità, ma soprattutto, dice, lo mantiene esplicitamente vicino come rimando. Non è lontano da ciò che stavamo dicendo, cioè io tengo vicino un qualche cosa, lo ritengo unicamente in quanto questo qualcosa rinvia a qualche cos’altro, quindi, non di per sé ma in quanto rinvia a qualche cos’altro. Quindi, questo qualche cosa, torniamo a dire, è sempre e comunque un rinvio a qualche cos’altro, non è mai la cosa in sé, è un rinvio. E qui, tra l’altro, siamo in piena semiotica, soprattutto di Peirce ma non soltanto: qualunque cosa è sempre un rinvio a qualche cos’altro, non esiste di per sé, esiste in quanto preso in questa rete, in questa combinatoria di rinvii. Il carattere di appagatività dell’utilizzabile non è scoperto prima attraverso la riflessione, ma è solo avvicinato in modo siffatto che essa lasci prevedere ambientalmente in quanto tale ciò con cui presso qualcosa sussiste un’appagatività. (pagg. 425-426) Il che significa che il carattere di appagatività dell’utilizzabile, di fatto il suo uso, è avvicinato all’Esserci in modo tale che l’appagatività lasci prevedere ciò con cui presso qualcosa sussiste un’appagatività.