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20-11-2013

 

Intervento: testo di Martin Davis - logico matematico–: visto il discorso di Searle - in questo testo si sta simulando un discorso fra una macchina e uno psicoterapeuta … la questione diventa sensata proprio perché si conoscono degli algoritmi - qui parlano di algoritmi però pochi per ora pensano che la mente funzioni secondo algoritmi…

Cartesio nel discorso sul metodo non fa nient’altro che descrivere qual è l’algoritmo attraverso cui gli umani pensano, l’algoritmo è un metodo quindi non è una cosa così strana…

Intervento: no, l’algoritmo è un’istruzione e produce metodi…

Sì, ma per produrre dei metodi deve avere lei stessa un metodo, anzi deve essere lei stessa un metodo, se no, come li produce, a vanvera? Cioè l’algoritmo è un metodo che ti dice che ogni volta che c’è una certa cosa tu compi una certa operazione, questo è il metodo, poi chiaramente una teoria può produrre altri metodi per fare altre cose, ma all’origine ci deve essere un criterio, un metodo che dice che se c’è questo allora quest’altro, ogni volta, se non c’è questo allora non c’è quest’altro, l’algoritmo è un metodo, e quindi a questo punto Eleonora, dove ci troviamo esattamente? Cosa ti hanno fatto pensare queste cose che hai lette?

Intervento: io qui continuo a rimanere con il punto interrogativo sul fatto che le macchine possano eguagliare gli esseri umani. Se rimaniamo a livello del pensiero ok ma se pensiamo al fare di una persona, le macchine non lo possono fare, le troviamo ovunque queste critiche. Per esempio una persona può cambiare ogni momento il suo pensiero, questo le macchine non lo possono fare perché una volta che tu hai dato un’istruzione è quella, e questo può essere una cosa grammaticale nel pensiero quindi una sorta di regole rigide che non si possono cambiare ma è la grammatica questo, quando però poi si va oltre allora è diverso, però è anche vero che se tu inserisci questi comandi non è detto che non le possano fare … come faccio a sapere che l’altro pensa, io penso ma ammetteremmo che solo io penso? In questi testi ci sono molte critiche molte domande ma poche risposte…

Il problema, sempre, è quando di fronte a una certa affermazione la si deve provare, tu dicevi prima “io so che penso” supponiamo che sia così, come facciamo a sapere che Simona pensa?

Intervento: non ne avrai mai la certezza…

Hai detto bene “non ne avrai ma la certezza”, ma questa certezza da che cosa dovrebbe essere prodotta? Da una verifica. Cioè tu per fare la verifica per sapere se Simona pensa oppure no, ancora non sappiamo, dobbiamo verificarlo, dobbiamo stabilire un metodo, un criterio, e allora stabiliamo delle prove, per esempio chiediamo a Simona, che è una domanda filosofica per eccellenza “chi è lei?” non ci sa rispondere, dovremmo concludere quindi non pensa, e chiuso il discorso, e anche questo è un metodo. Oppure possiamo procedere con altri criteri, vedere per esempio se è in condizioni di risolvere problemi semplici prima e poi sempre più complessi, datosi che abbiamo stabilito che pensare = sapere risolvere certi problemi, reagire in certi momenti in un certo modo, valutare correttamente certe situazioni, allora, stabilito che pensare è uguale a questo, allora se Simona esegue queste operazioni allora Simona pensa. E bell’e fatto, abbiamo cioè stabilito, costruito, inventato un criterio tale che ci consente di affermare che Simona pensa. Il problema a questo punto è: questo criterio che noi abbiamo stabilito, è un criterio necessario? È arbitrario? Cosa ci dice in realtà? È un po’ sempre la stessa questione che poneva Wittgenstein rispetto alla dimostrazione, cioè noi stabiliamo dei criteri, stabiliamo cioè degli algoritmi, dei metodi per stabilire se Simona pensa, questo algoritmo l’abbiamo costruito noi in base a ciò che ci è parso opportuno in questo momento in realtà, non abbiamo fatto nient’altro che questo, e quando una persona dice che una macchina non penserà mai come gli umani perché, come dicevi tu prima, “una persona si pone delle domande, si chiede cosa sta facendo, cambia idea da un momento all’altro eccetera”, tutte queste cose, come è che accadono? Com’è che l’umano può farle? Devi sempre chiederti: “come fa un umano a compiere certe operazioni”, come fa ad essere triste? Felice? O meglio a trovarsi in una condizione che definisce come tale? Le ha imparate, ha imparato anche questo, anche se può apparire strano, Wittgenstein non aveva torto, ha imparato a essere triste, ha imparato a essere allegro, in base a come le persone che stanno vicino a lui si comportano in seguito a certe situazioni, proprio Wittgenstein fa l’esempio del bambino che si fa del male, allora vede che la mamma si preoccupa e chiede se fa male eccetera, è in quel momento che impara che questa cosa fa male, se no, non esiste nulla di tutto ciò, ha imparato a soffrire, oppure un'altra situazione in cui la mamma vede che è felice allora ha imparato a essere felice anche lui in quella circostanza, e ogni volta che si ripeterà quella particolare circostanza con tutte le peculiarità ascrivibili a quella circostanza allora sarà felice cioè manifesterà la sua felicità, la ha imparata, così come si impara a computare. Questo per dire che questo è quell’elemento che ti serviva da collegamento. Poi c’è un altro aspetto che è importante riguardo all’addestramento di cui parla anche Turing indirettamente, lo accennavo la volta scorsa, riguarda l’addestramento sia per gli umani che per le macchine, dicevo la volta scorsa sì e no, sic e non, il sì e il no significa: sì puoi andare, puoi proseguire, no, non puoi proseguire, porta aperta/porta chiusa. Questo metodo, questo modo è fondamentale per l’apprendimento del linguaggio e per il funzionamento sia delle macchine, sia degli umani. Dicevo “sì, puoi proseguire” Turing parlava di premio/punizione “puoi proseguire” comporta il premio, qual è il premio? Che proseguendo si producono altre cose, cioè si producono possibilità di costruire delle verità, delle affermazioni vere, ciò che può essere vero/falso è un’affermazione ovviamente, quindi è necessario che ci sia un’affermazione, che si affermi qualcosa, se questa affermazione è vera puoi proseguire, ma è in questo “puoi proseguire” che sta la ricompensa. Adesso uno pensa la ricompensa come il cioccolatino, non è necessariamente quello, la ricompensa è il fatto che proseguendo è possibile costruire altre proposizioni vere e quindi viene soddisfatta l’esigenza del linguaggio di proseguire costruendo proposizioni vere, questa è la ricompensa. La punizione è l’arresto, cioè non puoi andare avanti quindi no, “no” sarebbe 0, “sì” 1, si possono anche chiamare così volendo. Dicevo che questo è fondamentale per l’addestramento al linguaggio ma anche per il suo funzionamento, per l’addestramento perché consente di dire quali sono le direzioni percorribili, quindi dove puoi andare e dove no, per il funzionamento perché di volta in volta il sì e il no dividono le proposizioni vere da quelle false, e quindi il sì e il no è quella cosa che consente di potere continuare a produrre proposizioni vere, perché se sono false la porta si chiude. Tutte le invenzioni degli umani compreso il bene, il male eccetera vengono da lì, il bene è ciò che consente di proseguire, infatti il bene comporta una ricompensa che è il riconoscimento, riconoscimento di che? Riconoscimento che stai dicendo bene e quindi puoi proseguire, puoi andare avanti, puoi costruire altre proposizioni, il male, la porta si chiude…

Intervento: Turing aveva detto che la macchina è intelligente se è fallibile, essere intelligente sarebbe questa fallibilità della macchina…

Sì e no, sì perché la rende umana, fallibile, e cioè segue non ciò che è programmata per fare, cioè il raggiungimento dell’obiettivo, ma si disperde per inseguire altre vie come fanno gli umani, cioè quelle vie che danno potere, non quelle che concludono in modo vero immediatamente ma quelle che immaginano potranno fornire del potere. Anche la macchina potrebbe fare una cosa del genere, non si capisce perché dovrebbe, però può farlo, basta mettergli dentro queste informazioni, però ciò che ci si aspetta dalla macchina è che non fallisca…

Intervento: ma l’uomo può fallire…

L’uomo sì, perché è squinternato. Prova a riflettere, cosa vuole dire che un umano fallisce? A quali condizioni fallisce e fallisce rispetto a che cosa? Come può accadere che fallisca? Adesso lasciamo stare i casi di insufficienza di informazioni per esempio, ma supponiamo che abbia tutte le informazioni sufficienti per non fallire, a questo punto come può accadere che fallisca? Cos’è che lo distrae? Diamo per concesso che abbia le informazioni sufficienti per non fallire, cos’è che lo svia?

Intervento: le sue fantasie, problematiche varie…

Ecco, e queste fantasie di che cosa sono fatte, cosa dicono, e perché riescono a impedirgli di raggiungere l’obiettivo? Oppure, come già diceva Freud, anche queste fantasie, pur sviando dall’obiettivo che la persona si è prefissata comunque raggiungono lo scopo, e cioè il lapsus, un atto mancato che è in realtà un atto riuscito, cioè compie l’operazione che apparentemente si suppone avesse in animo di compiere; devi porti queste domande quando dici che l’umano fallisce, fallisce perché? Chi l’ha detto che fallisce? Rispetto allo scopo che si è prefissato ovviamente, già sarebbe sufficiente che cambiasse idea lungo il tragitto e allora non possiamo più dire che ha fallito l’obiettivo perché ha cambiato idea, per cui anche se se lo era prefissato comunque ha cambiato idea, oppure non lo raggiunge perché interviene qualche cosa che è più importante da raggiungere, ma perché qualche cosa è più importante di un’altra cosa e perché deve perseguire quella cosa che ritiene più importante? Tu dici che non è possibile costruire una macchina che pensi in un modo così squinternato come gli umani?

Intervento: no che non è possibile ma come l’umano, le sue fantasie è costruito grazie a dei dati che vengono dall’esterno, anche una macchina comunque se gli metti questi dati e le migliaia di variabili che funzionano nell’uomo…

Incomincia a pensare in modo squinternato…

Intervento: la fallibilità della macchina sarebbe uguale a quella dell’uomo…

Sì, certo, ma non la vedo come una virtù…

Intervento: no, non è una virtù però avrebbe tra virgolette la sua stessa “intelligenza”…

Sarebbe un umano, proprio così, sarebbe come gli umani e cioè inseguirebbe il potere, inseguirebbe ciò che consente alla macchina di primeggiare su altre macchine. Cioè a questo punto dovrebbe confrontare la sua verità, il suo discorso, con quello di altre macchine e cercare di piegare le altre macchine alla sua ragione. Creare una macchina come l’umano non avrebbe nessuna utilità, però si tratterebbe soltanto di inserire altre informazioni e sappiamo anche quali. Quando si addestra qualcuno a parlare, questo addestramento viene fatto in modo tale da potere controllare la persona che si addestra, per fare questo l’addestratore deve inserire un elemento e cioè che qualunque cosa la persona che sta apprendendo il linguaggio costruisca, questa costruzione deve essere confrontata, per potere proseguire, con la verità dell’addestratore, se collima allora può proseguire, se non collima allora la risposta è no, e si blocca, se tu inserisci questo dato all’interno della macchina allora la macchina ogni volta che costruisce una sequenza dovrà fermarsi e chiedere “ho fatto bene?” “ho fatto male?” . Risposta: sì, prosegue. No, ho fatto male, arresto. Che è quello che spesso fanno i bambini per altro “mamma ho fatto bene? mamma ho fatto male? mamma sono stato bravo?” la macchina non lo fa, perché non lo fa? Perché non chiama la mamma? Perché il sistema in cui funzionano le macchine è un sistema ricorsivo, cioè non chiede alla mamma se ha fatto bene o se ha fatto male, perché non ha queste informazioni semplicemente torna indietro e controlla il codice sorgente per verificare se il risultato di una certa sequenza è coerente con le sue istruzioni, se è coerente prosegue e fa un passo avanti, poi questo altro passo avanti dovrà essere verificato se è coerente oppure no con tutto il sistema, allora torna indietro, certo lo fa molto rapidamente, e va avanti così ad ogni passo. Se la macchina non può decidere dice che è in attesa di istruzioni, di input, chiede input, chiede informazioni per potere proseguire. Questo quando non è in condizioni di sapere se una certa sequenza è vera o è falsa. Anche le macchine sbagliano come dicevamo tempo fa, per esempio sequenze di programmi cancellati possono interagire con altre sequenze di altri programmi e scombinare un altro programma per via di connessioni varie, allora a questo punto è come se si trovasse di fronte a una cosa che è vera ma anche falsa, e allora è programmata per bloccarsi, adesso un po’ meno, con gli ultimi programmi, perché hanno trovato il modo di farla funzionare lo stesso entro certi limiti e cioè sceglie una certa situazione tra valori di verità, per questo nel computer si usano logiche a più valori, non solo vero/falso ma più o meno vero, più o meno falso, per cui se la cavano lo stesso, se no si blocca immediatamente se c’è soltanto vero/falso. Dicevamo che anche le macchine falliscono e il fallimento è l’impossibilità di decidere tra vero e falso, sì/no, sic et non, è la prima forma di codice binario, quello che usa Platone nei suoi dialoghi, per esempio c’è Socrate e c’è Teeteto, Socrate interroga Teeteto “ma Teeteto secondo te è così oppure è in quest’altro modo?” chiaramente sono tutte domande pilotate ad arte “In quest’altro modo ovviamente” risponde Teeteto, “bene, allora se è così ne segue questo, ne convieni?” “Sì” “Ma allora da questo, a questo punto, segue che o questo o quest’altro, cosa dici Teeteto? Questo o quest’altro?” “Questo naturalmente perché quest’altro contraddice…”. Ecco, questo è il primo codice binario inventato da Platone. Poteva costruire un computer e fare concorrenza alla Microsoft.