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20-11-97

 

 

Allora incominciamo a dire delle cose intorno ai giochi linguistici, prima metto un esergo tratto da Sofocle l’Edipo Tiranno:

 

Chiedo solo probità e giustizia e fede nella legge morale che gli dei crearono sulle antiche vette di Olimpo, la montagna sacra.

Nessun uomo creò questi precetti, né mai essi si smarriscono nell’oblio o decadono con il tempo, così come l’uomo afferma intorno alle cause prime, da sorgenti naturali generati come una pura ed eterna fonte, al di sopra dei precetti regole eterne, dominio assoluto, il tiranno divora denaro e uomini, brama potere assoluto e in un ora fatale sopravanza se stesso e finisce nel fango.

Un uomo ambizioso si mostra devoto agli dei, lo guida il suo demone nel risolvere l’enigma, ha in dispregio la legge morale, lo amano gli dei e il suo popolo prospera, ma che uomo è quello che si fa beffe della giustizia, arraffa ciò che vuole non si cura  con parole e azioni dell’onestà e della verità e  saccheggia i sacri altari? Può egli sperare di sfuggire alle conseguenze della sua violenza? Quando l’uomo crudele fugge impunito, si dilegua con il bottino e l’assassino diventa re, perché dovrei affidarmi alla vecchia saggezza e moralità o onorare con il canto il segreto rifugio? Perché dovrei in pellegrinaggio recarmi a Delfi, ad Olimpia o in qualche altro luogo sacro se tali manifeste verità non sono evidenti  a tutti gli uomini e gli avvertimenti divini provocano il riso, senza che il pensiero scorga ciò che verrà? O Zeus universale, se odi i nostri canti mostraci ancora il tuo potere immortale e in questa ora nefasta in cui i mentitori dominano e spargono il loro orrido verbo scaglia la tua saetta ammonitrice.

 

Ecco sembra scritto contro i sofisti. Cos’ha a che fare tutto questo con i giochi linguistici di Wittgenstein? Ha molto a che fare. Ciò che qui Sofocle in questi versi dice è in effetti una esaltazione della verità, della verità che viene rivelata, che viene data dagli dei necessariamente e della quale gli uomini non possono farsi beffe, se lo fanno incorrono in vari malanni. La verità dunque non è un gioco linguistico, o meglio ancora, necessariamente c’è qualcosa che non è  un gioco linguistico, questo se si vuole proseguire a parlare, a esistere, a pensare, a essere degli uomini, in definitiva sta dicendo questo. Occorre almeno un elemento che non sia un gioco linguistico o se preferite che sia fuori dal linguaggio. Anni fa, abbiamo iniziato a riprendere Wittgenstein in modo differente e avvalendoci di alcune tracce da lui segnate, abbiamo preso l’avvio per un pensiero che è poi quello che mano a mano stiamo svolgendo e abbiamo preso l’avvio proprio dalla nozione di gioco linguistico che lui avanza, considerando sulla sua scia, che ciascun atto di parola non è definibile altrimenti che come una qualunque cosa, qualunque cosa è un atto linguistico, un atto di parola, non c’è qualche cosa che non sia un atto linguistico. Gioco linguistico non è altro che  l’atto linguistico nel suo dirsi, nel suo farsi,  e cioè l’insieme di quelle, chiamiamole pure regole e procedure, attraverso cui l’atto linguistico può manifestarsi, può dirsi, può farsi. Dunque il gioco linguistico non è altro che l’atto linguistico preso nelle sue regole, nella sua grammatica dicevamo la volta scorsa. La grammatica di un atto linguistico è definita dalle regole, dalle sue regole. Che cos’ha di particolare tutto ciò? O meglio il considerare che ciascuna cosa, qualunque cosa è un atto linguistico? Può apparire un po’ bizzarra così di primo acchito e contro ogni senso, il che è anche possibile, in effetti che cosa dice il buon senso? Il buon senso è la religione, quella che afferma che necessariamente almeno un elemento è fuori dalla parola. Come può sostenere questo? Non può, ma lo fa, non può farlo logicamente, perché se si desse anche un solo elemento fuori dal linguaggio, questo sarebbe fuori dalla catena linguistica, non sarebbe nel linguaggio, come ne saprei di questo elemento? Attraverso che cosa? Se  ne so qualcosa è perché è preso nel linguaggio e dunque è nel linguaggio, posso pensare che un elemento è fuori dalla parola, ma questa affermazione che compio non ha, contrariamente a quanto, a tutto ciò che ha pensato il discorso occidentale, nessun referente, assolutamente nessuno, così come la proposizione che afferma che dio esiste, non ha nessun referente all’infuori di sé, dunque la proposizione che afferma che  qualcosa esiste fuori dalla parola non ha, né può avere nessun referente. E che cos’è una proposizione che non ha nessun referente all’infuori di sé? E’ una figura retorica, un modo di dire qualcosa, un modo in cui il discorso si fa, ma come una figura retorica non ha un aggancio con un elemento supposto fuori dalla parola, è semplicemente, una figura retorica, un modo in cui elementi, si connettono fra loro, elementi linguistici, come dei significanti si connettono fra loro, adesso che leggete  De Saussure questi termini sono familiari, ma quello che si è sempre pensato è che dalla particolare combinazione di significanti dovesse, non si sa bene per quale motivo, manifestarsi la realtà. E’ una ben bizzarra idea, come dire che disponendo i significati in una certa successione, questi manifestano una realtà che  è fuori da questi significanti, in effetti è questo che afferma tutto il discorso occidentale, nient’altro che questo, che logicamente potrebbe apparire una follia, eppure, eppure è ciò su cui si è costruito e si mantiene il discorso occidentale. Questo ha un certo rilievo se considerato un’intenzione, perché mostra immediatamente la non sostenibilità di tutto ciò che sostiene generalmente il discorso occidentale. In che modo posso sostenere che dalla particolare disposizione di un certo numero di significanti, affiori, emerga, si manifesti la realtà, per quale motivo? Una realtà che torno a dire, dovrebbe essere  extralinguistica, cioè ancora, dalla disposizione particolare di significanti, dovrebbe emergere un elemento che è fuori da questi significanti, in base a quale criterio possa pensarsi una cosa del genere, è difficile a stabilirsi, tuttavia è esattamente questo che si pensa da duemila anni. Wittgenstein ha dato, diciamola così, uno scossone a questo modo di pensare così rozzo, tutto sommato, riflettendo sul fatto che ciascuna proposizione, che cosa afferma esattamente? Ha cominciato ad accorgersi che non afferma qualcosa che è fuori da quella proposizione, ma costruisce qualcosa, cioè una proposizione e quindi una particolare disposizione dei significanti, che poi è questo, una proposizione costruisce un’altra proposizione, la quale non è migliore né peggiore della precedente, è un’altra che non definisce il mondo, ma potremmo dirla così, racconta una storia, a partire da un’altra storia, cioè l’idea del mondo è una storia, la definizione del mondo è un’altra storia...Wittgenstein non ha compiuto un passo che forse si sarebbe potuto compiere, e cioè quello di portare alle estreme conseguenze il suo discorso, ma si è fermato, per quali motivi non sappiamo, ma tutto sommato non ci interessa saperlo, fatto sta che non ha potuto considerare che quelle stesse proposizioni che lui andava formulando, e che in qualche modo è possibile ravvisare come una sua descrizione delle cose, di uno stato di fatto delle cose e cioè che per esempio la verità in quanto tale non esiste, non è una proposizione necessaria, è anche questa una figura retorica. Affermare che la verità assoluta non esiste o affermare che la verità, in quanto tale non esiste, è una proposizione che non è verificabile, non è né vera né falsa, è una figura retorica e come tale la utilizziamo quando la utilizziamo, cioè non affermiamo qualche cosa che è dimostrabile né qualcosa che è confutabile, oppure è tanto dimostrabile quanto confutabile, ma che la verità, in quanto significante non esista fuori dal linguaggio, questo sì non è  né dimostrabile né confutabile oppure entrambe le cose, ma non è negabile, che è diverso. Che per esempio qualche cosa esista,  adesso riprendiamo un po’ la questione posta da Cesare in chiusura la volta scorsa, per esempio che l’azione esista fuori dalla parola, lo si può pensare, lo si può dire, ma affermando questo, questa proposizione che afferma per esempio, che l’azione è fuori dalla parola, la precede o comunque è fuori, ha un referente oppure no? Il problema che sorge di fronte a una questione come questa, è quello del discorso scientifico o del discorso logico, e cioè una proposizione che si afferma, necessita di potere essere provata, come dire che occorre costruire un’altra serie di proposizioni, costruite in modo tale per cui questa proposizione, che afferma che l’azione precede la parola, sia l’ultima proposizione cioè il suo teorema, allora risulta dimostrata, ma è possibile dimostrare una cosa del genere? Cioè risulta dimostrata anche la tesi contraria, procedendo in termini logici, così nell’accezione logica corrente, cioè quella dei manuali delle scuole, questa nozione di logica ci è inutilizzabile, inutilizzabile perché ci consente di provare e confutare indifferentemente qualunque cosa, quindi la proposizione che afferma che l’azione precede la parola è dimostrabile ed è confutabile. Allora chiedersi se esiste qualcosa fuori dalla parola che senso ha esattamente? Perché è questa la questione, cioè che cosa dice una domanda come questa? (che si chiede per esempio se esiste qualcosa fuori dalla parola) Potremmo dire in prima istanza che fuori dalla parola non avrebbe nessun senso, né potrebbe porsi in alcun modo, quindi perché io possa dire, possa chiedermi se esiste qualcosa fuori dalla parola occorre che necessariamente io sia nella parola, perché soltanto attraverso questo io posso farmi questa domanda, in questo senso la risposta a questa domanda è già data, cioè la domanda è “esiste qualcosa fuori dalla parola?” la risposta è no, ed è già data nel momento stesso in cui formulo la domanda, perché io posso formularmela se e soltanto se sono nella parola. Allora cosa succede? Succede che nulla naturalmente, mi impedisce di credere che esista un elemento fuori dalla parola, così come nulla mi impedisce di credere qualunque cosa,  il problema che sorge e di cui abbiamo detto in molte occasioni, è che può risultare difficile credere vera una cosa quando la so essere simultaneamente vera e falsa, perde di credibilità, diciamo così, ancora di più  potremmo dire che la proposizione che afferma che esiste un elemento, non importa quale fuori dalla parola, è un non senso, proprio letteralmente cioè non dà nessuna direzione, arresta immediatamente il discorso perché se fosse effettivamente fuori dalla parola, non ci sarebbe nessun modo di saperlo, né nessuno strumento per saperlo, questo si potrebbe dire, non toglie che qualcosa sia fuori dalla parola, certo non toglie che lo si possa credere, ma come dicevamo prima è possibile dimostrare anche il contrario, che nessun elemento è fuori dalla parola. Come è possibile una cosa del genere e cioè dimostrare che esiste un elemento fuori dalla parola e dimostrare che non esiste? Ecco che qui interviene Wittgenstein dicendoci se voi dimostrate che un elemento esiste fuori dalla parola, lo fate attraverso un insieme di regole, che sono prevalentemente regole inferenziali, cioè utilizzate, adesso indichiamo quello deduttivo, che funziona così “se questo allora quest’altro”, se, per esempio,  io credo che un elemento esista fuori dalla parola e nessuno può confutarlo, allora esiste un elemento fuori dalla parola, io ho utilizzato un sistema deduttivo, un se ...allora. Ma dice lui, siete sicuri che questo sistema che avete utilizzato sia l’unico possibile, quello che consente di raggiungere la realtà? O è soltanto una regola del linguaggio che come tale consente unicamente il funzionamento del linguaggio e niente di più? Una notazione legittima. Un aspetto di quello che indichiamo la nobile menzogna di Platone consiste proprio in questo, nel considerare queste regole inferenziali, come la deduzione, l’induzione, non come regole di un gioco linguistico e cioè come quegli elementi che consentono al linguaggio di proseguire, ma come gli strumenti per descrivere, per conoscere, per individuare la realtà, che come tale è pensata fuori dal linguaggio. Lo stesso Kant pensava in questo modo e a tutt’oggi si pensa così, se il ragionamento muove da premesse vere e procede in modo corretto,  la conclusione sarà necessariamente vera, ma vera in che senso? Vera rispetto al gioco che sto facendo, così come è vero che se gioco a poker ed ho quattro assi, vinco quello che ha quattro sette. E’ vero all’interno del gioco del poker, fuori del gioco del poker non significa niente. Allora dunque delle regole, delle regole che ovviamente possono variare, l’altra volta facevamo un esempio,  rispetto alla nevrosi, il cui intoppo sorge in molti casi laddove utilizza o non si accorge che per giocare due giochi differenti occorrono regole differenti, mentre utilizza la stessa regola per entrambi, e quindi ha qualche smarrimento, e in effetti questi sistemi deduttivi, induttivi, e quindi inferenziali variano e non sono sempre gli stessi. Che cosa invece non varia? E qui Wittgenstein si è fermato di fronte alla considerazione che ciascun elemento è un gioco linguistico, si è trovato lui stesso preso in una sorta di smarrimento,  andando a cercare a questo punto qualcosa di fermo, di sicuro, eppure qualche cosa di fermo e di sicuro c’è,  ma non sono le regole del linguaggio dei giochi linguistici, sono le procedure del linguaggio. Una deduzione è in prima istanza una connessione di elementi, ora la connessione fra gli elementi è necessaria, è necessaria per questo motivo, che ciascun elemento essendo un elemento linguistico, proprio perché tale è inserito all’interno di una combinatoria linguistica e cioè è legato ad altri elementi in modo tale da formare una catena linguistica. In questo senso è necessario che ciascun elemento linguistico sia connesso ad altri elementi, se non lo fosse connesso, non sarebbe in una catena linguistica, cioè sarebbe fuori dal linguaggio, cioè non esisterebbe. Ora risulta necessario che ciascun elemento linguistico sia connesso con un altro elemento linguistico, ora una deduzione può intendersi in due modi, sia come procedura che come regola, come procedura è necessaria, come regola no, cioè è necessario che se c’è un elemento allora ce n’è un altro e questa è una procedura,  non è necessario che se c’è un elemento allora ci sia quell’altro elemento, è necessario che ce ne sia uno, ma quale no, questo è dettato dalle regole del gioco che si sta facendo. Per riprendere una questione posta tempo fa “che io dica” implica necessariamente che stia  dicendo qualcosa, per il semplice fatto che ho pronunciato che io dica, sto dicendo qualcosa, quindi implica necessariamente che sto dicendo qualcosa. E questo è l’aspetto necessario cioè ciò che indichiamo come procedure linguistiche o più propriamente l’aspetto logico, l’aspetto logico è soltanto, come abbiamo detto in varie occasioni, in modo un po’ umoristico, come l’hardware, ciò che consente al linguaggio di funzionare è la struttura, quella che  dice che ciascun elemento è necessariamente un elemento linguistico, la logica dice in definitiva solo questo, dice bada che se  è  un elemento è un elemento linguistico, poi come questo elemento si combina, come si modifica, come si propone, questo non attiene più alla logica, alla logica non gliene importa niente di cosa avviene di questi elementi, dice soltanto che questi elementi ci sono e ci sono perché il linguaggio è in atto e quindi sta funzionando in un certo modo e funziona perché ci sono degli elementi che lo fanno funzionare, nient’altro che questo. Il gioco linguistico, dicevamo di come ciascun atto linguistico presuppone una logica, presuppone delle procedure linguistiche, che è come dire che presuppone il linguaggio tout-court, il linguaggio è fatto di procedure linguistiche e di regole che lo fanno girare. Considerare ciascun atto linguistico come un gioco linguistico, come un elemento all’interno di un gioco linguistico, e già Wittgenstein l’aveva notato, comporta che il senso di questo elemento sia strettamente dipendente dalle regole del gioco in cui è inserito, anche De Saussure l’aveva inteso, anche se non in modo così esplicito come in Wittgenstein, ma l’aveva colto, rendendosi conto che un elemento, un qualunque significante è tale, da qui poi la questione della struttura, proprio perché inserito in una struttura ed è  da questa struttura che trae il senso, fuori da questa struttura non è niente. Ecco allora che “gioco linguistico” è la nozione che ci consente di approcciare ciascun atto, propriamente qualunque cosa, da un discorso, ad una persona, ad un oggetto, a un pensiero ad un accadimento, qualunque cosa, di approcciarlo come un elemento che è tale, cioè come lo vedo, come lo penso, come lo immagino, unicamente perché è inserito all’interno di una combinatoria linguistica in cui mi trovo, che è fatto di molti aspetti, mentre io parlo per esempio, intervengono molte regole molti giochi linguistici. Sapere, cioè potere tenere conto che qualunque atto linguistico è tale, qualunque cosa è tale, è una cosa perché è inserito in un gioco linguistico, è ciò che consente di non cadere in ingenuità teoriche, logiche, linguistiche. Quali sono le ingenuità logiche e linguistiche? Quelle di supporre che ciò che vedo, ciò che dico, sia un qualche cosa che è esente dal linguaggio e quindi esista di per sé e quindi costituisca la verità, la verità non è altro, così come è intesa comunemente  questo, come la realtà delle cose. Le cose come sono, il loro essere, questa è la verità. Ma come si diceva è un’ingenuità pensare una cosa del genere, non soltanto un’ingenuità, ma una affermazione che va contro ogni raziocinio, chiamiamola così. E’ curioso come il discorso occidentale pur piccandosi di essere il più raziocinante... di avere raggiunto un livello di raziocinio notevole, invece si muova utilizzando strumenti e strutture di una ingenuità sconcertante, sia quando riflette intorno a questioni scientifiche, sia quando muove intorno a questioni dogmatiche o religiose è ingenuo allo stesso modo, è ingenuo perché crede, per fare questo occorre una buona dose di creduloneria, che qualcosa esista fuori dalla parola e da qui costruisce tutta una serie di cose colossali, ma lo afferma con tanta convinzione quanto poca è la possibilità di provarlo, per questo dicevo paradossalmente del discorso occidentale che si picca di essere il più raziocinante e cioè che per potere dire qualche cosa deve provarlo, e quando mai? E in effetti Wittgenstein ha colto, rispetto ai giochi linguistici, la questione chiedendosi  chi dimostrerà la dimostrazione. Anche questa è un’altra questione legittima, mettendo immediatamente il dito, per così dire, sul punto debole di tutto il discorso occidentale, il quale deve dimostrare tutto, e la dimostrazione come la dimostra? O questa non deve essere dimostrata? E se no perché? Perché è auto...si dimostra da sé? E quando mai? E’ come affermare che dio esiste e che questo è autoevidente, potremmo avere qualche obiezione per un’affermazione del genere. Ora una psicanalisi per esempio, è un gioco linguistico, nel senso che utilizza ovviamente le regole, ma più di altri giochi linguistici, punta la sua attenzione proprio su queste regole che lo fanno funzionare, mostra al parlante, quali sono le regole che sta utilizzando a sua insaputa in ciò che sta dicendo, e quindi che cosa sostiene il suo discorso, cosa lo fa muovere, perché si trova a dire quello che dice, a pensare quello che pensa, non perché fa bene o perché fa male, è una questione senza senso, ma da che cosa muove. Io mi trovo a dire una certa cosa, perché? Potrebbe essere una domanda oziosa, in parte magari lo è pure, ma non è casuale che io mi trovi a pensare, a dire una certa cosa, ma non tanto per questioni psicologistiche, quanto perché il discorso muovendo da un certo numero di assiomi, di principi giunge a formulare delle proposizioni che sono quelle, in altri termini individuare ciascuna volta o meglio ancora avere la possibilità di individuare in ciascun caso da che cosa il discorso che sto facendo prende avvio o che cosa lo rende possibile, meglio ancora, ciò che sto dicendo è possibile a quali condizioni? Faccio un esempio, che io con quattro assi vinca uno con quattro sette è possibile a quali condizioni? Che stia giocando a poker. E la stessa cosa rispetto a un discorso, un discorso posso farlo a quali condizioni? Che io accetti queste regole naturalmente. E sono quelle che sfuggono per lo più, se avessi l’opportunità di saperlo allora saprei che sto facendo quel gioco e con quelle regole, e questo comporterebbe sicuramente una maggiore libertà di movimento, di pensiero...intervenite perché è una discussione così...la verità, qui, in effetti è posta in termini terroristici, qui da Sofocle, perché dovrei recarmi in pellegrinaggio in qualche luogo se tali manifeste verità non sono evidenti a tutti gli uomini?  La condizione che la verità sia evidente a tutti gli uomini è che sia fuori dal linguaggio, non c’è altro modo, se no non è evidente a nessuno e quindi ha un aspetto terroristico perché se la verità è questa e tu non la vedi allora sei nell’errore, sei nel peccato, sei incapace, sei ...tutta una serie di cose, che seguono inesorabilmente, appunto dicevo che è terroristica, perché instaura il terrore: oddio ho sbagliato ciò che dico non è la verità; se accogliamo questo gioco in cui questo aggeggio qui si chiama orologio, allora se facciamo questo gioco, io necessariamente devo dire che questo è un orologio, cioè è  all’interno di questo gioco, che questo è un orologio. Ma i giochi linguistici sono fondamentali, non solo perché consentono al linguaggio di esistere, il linguaggio è fatto tanto di procedure, quanto di regole ovviamente, le procedure sono le carte per giocare, le regole sono le regole dei giochi, farne qualcosa di queste carte se no...solo che in questo caso senza l’una o senza l’altra non esisterebbe nulla, mentre un gioco di carte può esistere anche senza gioco, uno vede le carte e dice va be...ma il linguaggio no, senza regole o senza procedure non potrebbe darsi, non esisterebbe. Dicevo le regole sono fondamentali, sono quelle che danno al linguaggio una direzione, danno quindi il senso delle cose, che senso ha questo aggeggio qui? Ha un senso perché è un pezzo fatto in un certo modo che mi serve perché ora sono le dieci meno un quarto e quindi...tutta una serie di cose, cioè queste regole servono unicamente al linguaggio per proseguire e quindi per costruire altri giochi poi in definitiva, in una incessante costruzione sempre di altri giochi e invenzione di altre regole, la scienza si è resa conto più o meno che il progredire della scienza non è altro che l’invenzione di altre regole per giocare, cioè di altri giochi, mentre come sapete Popper continua, continuava adesso è morto, a pensare che la scienza sia un continuo progresso verso la verità, una follia pensare una cosa del genere, o quanto meno una ingenuità, è l’invenzione continua di altri giochi, così come ciascuno può fare rispetto al proprio discorso, se io ho paura dei topi, allora è come se mi trovasi preso in un gioco che non consente di giocare altri giochi in presenza di topi, io non posso non avere paura, l’itinerario analitico consente di potere giocare altri giochi...

 Intervento

Sì tornando all’esempio del gioco, una nevrosi, così come la descrive Freud, è un po’ come se uno con le carte da gioco in mano non potesse giocare nient’altro che a poker. Uno dice guarda che puoi giocare anche altri giochi volendo, no non posso fare nient’altro che questo, perché le carte servono soltanto per questo...non è così necessario, così come la paura dei topi, una qualunque paura funziona esattamente allo stesso modo, cioè non può giocare un altro gioco in presenza di topi, ma ritiene questo un fatto quasi naturale, anche se si accorge che magari è strano, ma funziona così a partire da certi assiomi che sono dati come certi, come necessari, come acquisiti, segue necessariamente che il topo fa paura e potremmo anche giungere a dire che dati questi assiomi le sue conclusioni possono anche non essere scorrette. Se uno ci pensa bene potrebbe anche averne paura. Si dice che i topi sono in numero tale per cui se si mettessero d’accordo tutti insieme farebbero fuori tutta l’umanità rapidamente, questo è un buon motivo per avere paura dei topi, poi sono portatori di infinite malattie, poi...può avere dei buoni motivi per avere paura dei topi e perché in genere non si ha? Adesso la paura dei topi è una cosa molto cretina, ma pensate alla morte visto che martedì si è fatto un accenno, uno generalmente ha paura di morire, se ci sono delle condizioni tali per cui...avviene un incidente...  qualcosa, eppure sa perfettamente che prima o poi succederà come Aristotele ci ha predetto: Tutti gli animali sono mortali, l’uomo è un animale quindi l’uomo è mortale. Da quel momento tutti hanno incominciato a morire. Come avviene invece che nessuno la teme? La teme, nel senso che non ci pensa affatto, non organizza le sue giornate in relazione a questo, di cui tutto sommato può avere, almeno per induzione, una buona sicurezza, nel senso che fino ad oggi non si è mai verificato che un umano fosse sopravvissuto oltre un certo limite, questa è l’induzione, non è la deduzione, deduttivamente non ha nessun senso perché non può provarsi, occorrerebbe che tutti gli umani in assoluto, quelli che furono, quelli che sono e quelli che saranno... moriranno. Quelli che saranno, non possiamo saperlo e quindi deduttivamente non è provabile, induttivamente sì...si è sempre verificato, ci sono buoni motivi per pensare, buonissimi, per pensare che si verificherà. Eppure dicevo nessuno organizza la propria giornata in relazione a questo, al fatto cioè che morirà, se lo fa viene preso per matto CAMBIO CASSETTA

in relazione a questo viene considerato matto, perché? Eppure prende molto sul serio la questione, e come avviene che alcune cose che si sanno perfettamente, non sono tenute in nessun conto? Il motivo può anche essere semplice, la questione è che la morte come ciascuna altra cosa, è un fatto linguistico, non esiste fuori dal linguaggio, nemmeno lei, e quindi come tale segue le vicissitudini di ciascun elemento linguistico, si connette, esiste in una certa combinatoria, si disconnette con altri e si formula altrimenti, per cui a seconda della combinatoria in cui mi trovo in quel momento, posso avere paura della morte o posso non averne paura. Dire che la morte non esiste fuori dalla parola può sembrare bizzarro, eppure non possiamo dire altrimenti...

 

n    Intervento: allora questa realtà immaginata dal discorso occidentale non è altro che un gioco che il discorso segue, inventa questa con la sua immaginazione, cioè inventa una realtà al di fuori e costruisce tutto questo gioco. (Esattamente!) Mi chiedo che conseguenze ha il fatto che sia un gioco sempre combinato così, cioè che ci siano sempre degli elementi considerati fuori dalla parola...

 

Sì un modo c’è, quello di sapere continuamente ciò che si sta facendo. Che cosa ne direste voi di una

persona  che dipinge un quadro, raffigura un tizio, e poi incomincia ad adorarlo immaginando che questo sia il signore e padrone di tutte le cose. Esattamente è questo che fa il discorso occidentale...(come bisogna fare?)  potere disporre in qualche modo di un sapere che è quello che riguarda il ciò che si sta facendo in ciascun momento...

 

n    Intervento: gli elementi che si incontrano possono essere confutabili....sapendo forse alla fine del discorso che forse non ha senso

 

Ha un senso rispetto a quel gioco, così come quando lei gioca a poker con gli amici sa benissimo ciò che sta facendo, ma quando smette di giocare fa un altro gioco, pur sapendo che in quel momento sta facendo quel gioco con quelle regole, le accetta chiaramente per giocare, se no non può giocare. Così come il linguaggio se non si accolgono le regole del gioco, non si può giocare. Se io questo anziché chiamarlo orologio, lo chiamassi Pippo, e questo dicessi che è una nave, una petroliera e questo dicessi che è invece un motore a scoppio, non riusciremmo più a fare niente. Se non accetto delle regole che sono quelle che avete accettate anche voi, non possiamo giocare, così come non possiamo giocare a poker, se non accettiamo le regole del poker...

 

n    Intervento: la cosa tragica è dire, dire e poi arrivare al punto finale che tutto ha un valore effimero...tutto ciò che ritieni valido può essere confutabile, tutto ciò che ritieni valido è confutabile, di conseguenza parliamo del nulla

 

Cioè che giochiamo continuamente...la cosa può essere meno drammatica se consideriamo che giochiamo continuamente...sì è quello che fa il depresso almeno fino ad un certo punto, proprio considera in termini drammatici una cosa del genere, dice nulla ha senso e quindi se nulla ha senso che cosa vale vivere, fare, ecc ...ma senza considerare, ho detto mille volte, perché mai le cose dovrebbero averne uno e poi che cos’è esattamente il senso? Il senso è dato dalla regola del gioco e dalla direzione

 

n    Intervento: però le emozioni che rimangono dentro a questo discorso? Io da questo discorso ricavo emozioni indipendentemente che sia vero o falso, e questa emozione

 

non è sottoponibile ad un criterio verofunzionale, così come quando ascolta un bel brano di musica, non si chiede “ma è vero o è falso?”, questa domanda non è prevista dalle regole del gioco, quindi non può farsi, non ha nessun senso. Prova delle sensazioni, delle emozioni certo. Queste emozioni, queste sensazioni sono connesse con dei discorsi che sono stati fatti, che avvengono e che pertanto concludono in un certo modo. Una certa musica le evoca un particolare paesaggio dolce...un’altra le ricorda una persona cara, cioè è generalmente connessa con delle immagini, quindi con elementi connessi con altri elementi linguistici. Per cui prova queste sensazioni che non sono altro che l’effetto di un discorso che può produrre come si sa una quantità enorme di effetti. Diverso un discorso che produce l’effetto che  dice che lei ha vinto un miliardo al totocalcio da quello che dice che ha un tumore al cervello e ha quindici minuti di vita. Sono cose diverse, producono effetti diversi, che sono discorsi differenti, così come quando ascolta, come dicevo prima, un brano musicale o ha un ricordo, anche soltanto delle sensazioni. Le sensazioni sono sempre delle connessioni con altri elementi e quindi come un discorso producono degli effetti, retoricamente. La retorica è fatta per produrre effetti su chi ascolta

 

n    Intervento: Bisogna rendersi consapevoli che il discorso inventa però non bisogna credere vero quello che inventa

 

Vede sono tutte questioni che il linguaggio teoricamente vieterebbe, appunto il domandarsi se una cosa è vera o falsa, esattamente come Wittgenstein diceva “come so che questa è la mia mano?”. Io non lo posso sapere perché qualunque risposta mi dia, non sarà più fondabile di qualunque altra, sarà sempre un rinvio ad altre cose, io non posso rispondere a questa domanda cioè è vietata in un certo senso dal linguaggio, perché, perché è come  se cercasse di giungere ad un certo punto a quel elemento che dà la risposta ultima finale ma per poterlo fare deve essere fuori dalla parola perché fintanto rimane all’interno, essendo un elemento della combinatoria linguistica, rinvia ad altri elementi linguistici all’infinito e quindi chiedersi se una cosa è vera o è falsa teoricamente dovrebbe essere vietato dal linguaggio come non senso, vietato in questo senso ché non conduce da nessuna parte. Chiaramente lo si può fare all’interno di un gioco con delle regole allora sì,  che se io stabilisco che due + due è uguale a quattro, questo è vero, allora accetto questa regola e quando vedo che due + due è uguale a quattro allora è vero. Ma niente più di questo. Questa mitologia in buona parte all’inizio del 900 intorno alla matematica ma che è nata con Galilei tutto sommato, il quale diceva che l’universo è scritto in caratteri matematici, e quindi occorreva decifrarlo come se i numeri, questa è una mitologia molto diffusa, fosse una sorta di linguaggio universale e che rende conto di tutto. E’ soltanto un gioco,  fra infiniti e possibili altri che non mostra la realtà, proprio per nulla..

 

n    Intervento: Io non mi posso innamorare delle parole, così come non mi posso innamorare di un uomo nel gioco linguistico della vita, so che il gioco della vita è un gioco ma il verbo innamorare è un verbo ad una sola funzione...io sto usando questo verbo in uno stesso modo

 

Come se fosse fuori del gioco. Perché se si dicesse una cosa del genere: voglio innamorarmi delle mie parole o non voglio innamorarmi delle mie parole...la questione va posta in termini più radicali chiedendomi a quali condizioni io posso dirmi una cosa del genere? (che non devo innamorarmi delle mie parole, qualunque sia l’accezione di innamoramento poi non ha importanza, a quali condizioni io posso pensare una cosa del genere?) Devo avere tutta una serie elementi intorno all’innamoramento cioè qual è la nozione che io fornisco di innamoramento, perché concludo una serie di cose come questa? Che cosa lo sostiene? Altrimenti è come se il gioco linguistico lo significasse, dire questo non è all’interno di un gioco linguistico, questo come diceva giustamente quasi in un lapsus, questa è una procedura, cioè ciò che consente un gioco linguistico ma non è un gioco linguistico, è invece il risultato di un’altra serie infinita di giochi linguistici. Questa proposizione fuori dal gioco in cui è inserita, quella che afferma che non devo innamorarmi delle mie parole, fuori dal gioco e dalla regola in cui è inserita, non significa assolutamente niente...questo è ciò che fa il discorso occidentale, scambia delle regole per procedure....

 

n    Intervento: si potrebbe anche dire che l’emozione è un discorso

 

C’è un appunto nella Seconda Sofistica dove affronto la questione delle sensazioni. Perché spesso si è portati a supporre  che siano fuori dal linguaggio, perché indescrivibile, perché inesprimibili. Però fuori dal linguaggio non esisterebbe niente, non ci sarebbero. Del  linguaggio abbiamo dato l’unica definizione saggia che possa darsi cioè “cos’è il linguaggio?” E’ quello che mi consente di farmi questa domanda nient’altro che questa. Qualunque altra definizione risulta problematica, discutibile, questa no, ed è la definizione più ampia possibile ed in effetti è inevitabile, posta in questi termini è innegabile e quindi comprende qualunque cosa, per questo dicevo all’inizio qualunque cosa è un atto linguistico, non c’è cosa che possa non esserlo, in nessun modo

 

n    Intervento: Come mai quello che abbiamo detto questa sera crea una libertà pur avendo dimostrato che tutto è discutibile che non c’è nessuna cosa cui aggrappassi

 

Una sì, (il linguaggio!) non può uscirne, che non è poco

 

n    Intervento: questo mondo si apre e si trova questo spazio enorme....è una cosa che accade a tutti a coloro che si affacciano a questa analisi?

 

E’ questo che chiamo portare il discorso alle estreme conseguenze cioè non arrestarsi a nulla, che non è facile perché molto spesso indotti a pensare di avere trovato qualche cosa che necessariamente è , qui invece abbiamo soltanto constatato che per fare queste considerazioni necessariamente siamo nel linguaggio, solo questo, ma questo che stiamo facendo non è né più vero né più falso di qualunque altra cosa è soltanto non negabile. Tutto qui è un gioco, forse magari più potente di altri, più aperto, ma è un gioco anche questo..(ok già trasferito)