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20 settembre 2023

 

Aristotele De interpretatione

 

Dunque, il Περί ἑρμηνείας. A pag. 209. Innanzitutto bisogna stabilire che cosa è il nome e che cosa è il verbo, poi che cosa sono negazione, affermazione, enunciazione e discorso. Pertanto i suoni sono i simboli delle affezioni dell’anima e i segni scritti i simboli dei suoni, e come le lettere scritte non sono le stesse per tutti, neanche i suoni sono gli stessi;… Le lettere devono essere differenti. Anche in questo caso la differenza è fondamentale, cioè, la possibilità di discernere, di dividere. …così come è possibile che nell’anima ci sia il pensiero senza l’essere vero o falso,… Può accadere: viene in mente un’immagine e non ci si chiede se sia un’immagine vera o falsa, è quella. …mentre talvolta è necessario che siano già presenti in esso l’uno o l’altro dei due, così accade anche ai suoni: il falso e il vero infatti hanno a che fare con la connessione e la divisione. Cioè, con la relazione. Solo attraverso la relazione è possibile stabilire il vero e il falso. Potremmo dire, quindi, che ogni affermazione è una relazione e che la negazione nega che ci sia questa relazione tra un elemento e un altro; ma per poterla negare deve preesistere, quindi, c’è già comunque la relazione. Pertanto i nomi e i verbi in se stessi sono simili al pensiero senza connessione e divisione, per esempio “uomo” o “bianco”, qualora non si aggiunga qualcosa: infatti non è falso e neanche vero. C’è una prova di questo: infatti “ircocervo” significa qualcosa, ma non è ancora vero o falso, se non si aggiunge l’essere o il non essere in senso assoluto o in un tempo determinato. Il nome. Dunque, il nome è un suono dotato di significato per convenzione, che non ha tempo; una sua parte separata non è dotata di significato: infatti nel nome Kallippos la parte ippos per se stessa non significa nulla, come invece nel discorso significa kalos ippos “bel cavallo”. Ma ciò che si verifica per i nomi semplici, non si verifica per i composti: infatti, nei primi la parte non è assolutamente dotata di significato, nei secondi, invece, tende a significare, ma separata non significa nulla; per esempio, nel nome epaktrokeles “nave pirata”, la parte keles “nave”. Non significa nulla se separata dal nome composto, perché il nome composto è un tutto. Ciò che a lui interessa è vedere come queste, chiamiamole, parti del discorso (nome, verbo, ecc.) si connettono tra loro. Questo modo in cui si connettono tra loro è per i greci è la taxis, quella che i latini chiamavano dispositio, la disposizione delle cose. Ad Aristotele interessa sapere come l’affermazione e la negazione si connettono tra loro, cioè il dire ciò che è e il dire ciò che non è. Infatti, tra poco parlerà del quadrato logico. Lui non parlava propriamente di quadrato logico, però ha posto la questione, che è stata poi ripresa molti secoli dopo da Pietro Ispano: un quadrato ai cui vertici c’era A, E, O, I, seguendo un andamento destrorso. Dunque, A = universale affermativa, E= universale negativa, O = particolare negativa e I = particolare affermativa. Tutte le A sono B, universale affermativa; nessuna A è B, universale negativa; qualche A non è B, particolare negativa, che è la contraddittoria, perché le prime due sono contrarie; mentre la particolare non afferma il contrario. Gabriele dice tutte le A sono B, io dico che no, c’è questa A che non è B; che sarebbe il quantificatore esistenziale, cioè esiste una A che non è B. E questa sarebbe la diagonale tra l’universale affermativa e la particolare negativa: tu affermi il tutto e io, invece, ti contraddico dicendo che c’è un elemento che non è come dici tu. Lo stesso vale per l’universale negativa: nessuna A è B; no, non è vero, questa A è B, e questa è la particolare affermativa. Ora, se voi prendete le due parallele esterne, vedete subito che dalla universale affermativa scendete alla particolare affermativa e dalla universale negativa alla particolare negativa, e queste sono come derivate e, infatti, si chiamano subalterne: dire che tutte le A sono B comporta di fatto che qualche A sia B, visto che lo sono tutte, e così per la negazione. La linea al fondo riguarda le subcontrarie, perché dire che qualche A non è B e qualche A è B non sono propriamente contrarie, perché qualche A è B e nello stesso tempo qualche A non è B. Questo è il quadrato logico in toto, così come lo ha voluto Pietro Ispano. Dunque, il fatto che abbia descritto – senza disegnarlo, cosa che ha fatto invece Pietro Ispano – il quadrato logico ci mostra la sua volontà di stabilire delle regole per pensare, perché sta qui la questione: dire come si dovrebbe pensare se si pensa correttamente. Ma chi ha stabilito che quello è il modo di pensare corretto? Aristotele. In base a che cosa? In base al principio di non contraddizione. È l’unico strumento, l’unica arma di cui può disporre. Principio di non contraddizione che, noi sappiamo bene – da Lukasiewicz fino a Severino, ma già da molto prima –, non ha nessuna argomentazione valida, nel senso che non può essere dimostrato. Il principio di non contraddizione non lo posso dimostrare, perché per dimostrarlo necessito già del principio di non contraddizione, cioè, per poterlo dimostrare devo dire che cosa è e che cosa non è, devo cioè compiere una sorta di esclusione. Dunque, stabilire le regole del pensiero: è stato questo, almeno in parte, il tentativo di Aristotele. Ma occorre dire che in Aristotele la cosa non era così fermamente stabilita – lo vedremo meglio negli Analitici – ma era come se dicesse che questo è il modo in cui si pensa comunemente e, quindi, è quello giusto, perché è quello che pensano tutti e, pertanto, va bene così. A pag. 211. L’espressione “non uomo” non è un nome; non si è stabilito un nome con il quale bisogna chiamarla, infatti non è né un discorso né una negazione, ma sia considerato un nome indeterminato. Lui si era accorto benissimo che per potere stabilire le cose occorre determinarle, ma sapeva anche che c‘era un problema: come determinarle? Escludendo qualche cosa, cioè, io determino escludendo qualche cosa, ma questo qualche cosa che escludo per potere affermare qualche cosa – era ancora vivo il ricordo di Eraclito, Aristotele lo conosceva bene – ciò che io escludo è ciò che fa esistere ciò che io affermo. Escludere qualcosa comporta sempre un problema che qui Aristotele naturalmente non affronta, però lo annuncia, nel senso che questo problema se lo porta appresso per tutti gli Analitici, e cioè che per determinare qualcosa devo escludere, devo separare. E qui ci si scontra con un altro problema, del quale, di nuovo, Aristotele non parla qui. Da una parte, per conoscere devo compiere una sintesi, cioè mettere insieme più cose e vedere che tutte hanno una certa proprietà – e questa è l’induzione; ma per determinare io devo di nuovo separare. Quindi, c’è l’unione, verso l’Uno, l’induzione punta all’Uno, all’unità, ma per determinare devo appunto de-terminare, quindi, separare. Come dicevano gli antichi: σύνθεσις e διαίρεσις, unione e separazione, l’uno e molti. L’uno e i molti sono simultanei, ed è questo che cercava in tutti i modi di dire Eraclito: ἒν πάντα εἰναι, l‘uno è tutte le cose, e non il tutto, come voleva Diels e che Heidegger rimprovera, perché πάντα non è il tutto ma tutte le cose; come in latino plurimum e plurima, plurimum è il tutto, plurima è tutte le cose, sono cose differenti. Dunque, questo problema, unione e separazione, che sono simultanee: per conoscere devo unire, ma per determinare devo separare; quindi, unisco e separo continuamente, perché se unisco soltanto non determino, per determinare devo separare. Di che cos’altro si accorge qui Aristotele? Del verbo. È importante il verbo, perché, lui dice, Il verbo è ciò che aggiunge il significato del tempo, la cui parte separata non significa nulla: è segno delle cose dette in relazione ad altro. Il verbo mette in relazione. La copula, per esempio, è mettere insieme. Il verbo ci dice del tempo, ci dice quando sta avvenendo qualcosa: – mangia, mangiava, mangiò, mangerà, avrebbe mangiato – ci indica in quale momento avviene questa cosa di cui si sta parlando. Con l’espressione aggiungere il significato del tempo, intendo che, per esempio il nome è “salute”, mente il verbo è “è sano”… E sempre il verbo è segno di ciò che è in relazione, per esempio di ciò che è in relazione ad un soggetto. Quindi, il verbo ci dice in quale momento avviene questa cosa, se è presente, futura o passata. Come potete vedere, di ogni cosa di cui parla è come se dicesse della relazione, perché anche il nome è tale se ha un significato, cioè se è in relazione con un significato. Il verbo è tale se mette in relazione le cose; il verbo stesso è in relazione, sia con il soggetto che con il predicato. L’espressione “non è sano” e “non è malato” invece non li chiamo verbi: infatti aggiungono il significato del tempo e sono sempre in relazione a qualcosa,… Queste forme sono quelle che poi Benveniste chiamerà frasi nominali: una frase che funziona come nome; “non è sano” non è un nome, ma nemmeno un verbo, è una frase nominale. Allo stesso modo anche il “fu sano” o “sarà sano” non sono verbi, ma forme verbali: la forma verbale differisce dal verbo, perché questo aggiunge il significato del tempo presente, mentre le forme verbali degli altri tempi. Pertanto, questi verbi detti per se stessi sono nomi e significano qualcosa – infatti colui che li pronuncia vi pone il pensiero e colui che ascolta vi si ferma – ma non indicano ancora se tale cosa è o non è:… Era questo che gli premeva. …infatti, l’essere o il non essere non sono segno della realtà, neanche qualora tu dica l’essere in se stesso. Infatti, in se stesso non significa nulla,… È interessante questo, che dica che l’essere in se stesso non significa nulla. Eppure, da ventisei secoli a questa parte si è sempre cercato di determinare l’essere. Addirittura Heidegger, con la differenza ontologica, dice proprio questo, che si è sempre parlato dell’essere come se fosse un ente, come se fosse qualcosa, si è sempre cercato di renderlo qualcosa per determinarlo; per sapere l’essere bisogna sapere che cosa l’essere non è. Ma qui Aristotele dice una cosa che già era presente nelle Categorie, e cioè l’essere, la sostanza è nulla senza le categorie, senza ciò che se ne dice l’essere non c’è, significa niente. Il discorso. Il discorso è un suono dotato di significato: qualcosa delle sue parti separate è dotata di significato come un’espressione, ma non come un’affermazione. Dico, per esempio, che uomo significa qualcosa, ma non che è o non è (ma sarà un’affermazione o una negazione qualora si aggiunga qualcosa);… Credete che linguistica sia andata oltre a queste considerazioni? No. Ogni discorso è dotato di significato, non come uno strumento naturale del significare, ma come si è detto per convenzione;… Sta dicendo che nel linguaggio non c’è niente di naturale, che il modo in cui si pensa non è naturale. Ciascuno in cuor suo crede che le cose che pensa, che il suo modo di pensare sia quello naturale, normale, quello a cui tutte le persone sane di mente si adattano, perché è questo il modo di pensare naturale. Ci sta dicendo che non c’è nulla di naturale nel pensiero: il pensiero è costruito artificialmente, cioè, costruito ad arte, per ottenere un certo scopo. …non ogni discorso, però, è enunciativo, ma quello in cui è presente il dire il vero o il dire il falso; non è presente in tutti i discorsi, per esempio la preghiera è un discorso, ma non è né vero né falso. A lui interessa il discorso enunciativo, quello che decide del vero e del falso. A pag. 221. Affermazione, negazione e contraddizione. L’affermazione è un’enunciazione di qualcosa in relazione a qualcosa, la negazione è un’enunciazione di qualcosa separato da qualcosa. Come dicevo prima, σύνθεσις e διαίρεσις, unione e separazione. Dal momento che è possibile anche enunciare ciò che è in relazione come se no lo fosse; ciò che non è in relazione come se lo fosse e ciò che è in relazione come se lo fosse e ciò che non è in relazione come se non lo fosse, e lo stesso vale anche per i tempi al di fuori del presente, si potrebbe in ogni caso sia negare ciò che qualcuno abbia affermato sia affermare ciò che qualcuno abbia negato. Sembra possibile farlo. Qui, come avrete inteso, incomincia ad accennare al quadrato logico, perché se io affermo qualcosa, qualcun altro può sempre negare quello che io ho affermato. Di conseguenza, è chiaro che ad ogni affermazione è opposta una negazione e a ogni negazione un’affermazione. E questa è la contraddizione (άντικείμεναι): l’affermazione e la negazione contrapposte; intendo come contrapposte l’affermazione e la negazione delle cose stesse in relazione alle stesse cose, non per omonimia e secondo tutte le altre condizioni che definiamo a causa delle seccanti difficoltà poste dai sofisti. Non se ne poteva più dei sofisti, che vengono sempre a rompere le uova nel paniere. I sofisti, sulla scia di Eraclito, dicevano che l’uno è i molti, è tutte le cose, che questo uno e i molti non si possono separare, e come separo per determinare? Era questo che seccava, i sofisti erano una seccatura insopportabile. Ora, qui introduce gli universali e i particolari. Li introduce, senza perderci moto tempo; ce lo perderanno, invece, molti secoli dopo, nel basso Medioevo, personaggi come Guglielmo di Champeaux, Boezio, Roscellino, Tommaso, Guglielmo di Ockham. Tutti questi personaggi, invece, avevano fatto di questa questione un grossissimo problema: gli universali sono qualcosa, sono reali o sono un flatus vocis? Di questi due estremi uno era Guglielmo di Champeaux, per il quale gli universali sono reali, sono qualcosa, l’altro era Guglielmo di Ockham, che diceva che gli universali sono flatus vocis. Tutto questo ha impegnato a lungo i filosofi medioevali, determinando quel momento storico noto come “disputa sugli universali”. Per il momento le abbiamo accantonate, ma delle categorie dovremo occuparci alla fine di questo volume quando ci occuperemo di Plotino e di Porfirio. Porfirio ha fatto un lungo lavoro sulle categorie, perché per i neoplatonici – Plotino fino a un certo punto, ma soprattutto Porfirio – era invece importantissimo stabilire la sostanzialità dell’ούσία, della sostanza, la prima categoria. Questo valeva a sottolineare quello che voleva Plotino, e cioè l’Uno, che per Plotino non è una categoria ma un’ipostasi. Una categoria è in relazione ad altro e questo non poteva essere: l’Uno doveva essere assolutamente irrelato, identico a sé, inconoscibile, indicibile, ineluttabile, perché poi da lì, attraverso la sua infinita intelligenza si espande, deborda e crea, produce tutti gli enti, che quindi a piramide scendono dall’Uno. Plotino prende tutto ciò da Platone e, difatti, si chiamano neoplatonici, perché rileggono in un certo modo Platone: l’idea di Platone come idea assoluta, immobile nell’Iperuranio e che garantisce dell’esistenza di tutte le cose, che noi vediamo e conosciamo per reminiscenza di queste idee, che sono lassù nell’Iperuranio e che sono intoccabili e pure. È da lì che è venuto in mente a Plotino questa idea di mettere un Uno come l’idea di Platone, ma come idea unica, dalla quale procedono per processione tutte le altre cose.

Intervento: Nei manuali di filosofia, per esempio, mettono l’uno di Parmenide come una sfera…

In quel caso non è tanto l’Uno quanto l’essere. È la dea ‘Aλήθεια che parla della sfera come sfera perfetta, cioè, l’essere è qualcosa di compiuto in sé, che non ammette qualcosa fuori di sé. È per questo che avevamo accostato l’essere al linguaggio; in effetti, il non essere è non pensiero, tenendo conto del fatto che diceva che essere è pensare. A pag. 221. Il vero e il falso nei rapporti di contraddizione, contraddittorietà e contrarietà tra universali e particolari. Dal momento che, tra le realtà,… Questa volta “realtà” nel testo greco c’è: πραγμάτων. Per il greco πρᾶγμα è la cosa e non la realtà, quindi, potremmo dire “tra le cose”. Dal momento che, tra le realtà (tra le cose), alcune sono universali, altre particolari… Parlare di realtà universali è un’altra cosa rispetto a cose universali. Alcune cose, che poi di fatto sono parole, sono universali, cioè le usiamo come universali, mentre altre le usiamo come particolari. Parlare qui di realtà universali pone la questione in un altro modo e sarebbe questo il realismo di Guglielmo di Champeaux. …intendo per universale ciò che per natura può essere predicato di più cose… Perché qui il testo greco mette πλειόνων, cioè “per lo più”? Perché qui lo traducono “per natura”? La parola “natura” qui non compare. …per particolare ciò che non lo può essere, per esempio, uomo è tra gli universali e Callia tra i particolari – è necessario enunciare che qualcosa sia in relazione o meno, talvolta a qualcuno tra gli universali, talvolta invece tra i particolari. Se pertanto viene fatta una enunciazione in modo universale su un universale… Per esempio, tutte le A sono B. …che è in relazione o non è in relazione, si daranno enunciazioni contrarie. Qui distingue modo universale da universale. Enunciare in modo universale un universale: “uomo” è universale, “tutti gli uomini” è enunciare un universale di un universale. Con l‘espressione enunciare in modo universale a proposito dell’universale intendo, per esempio, “ogni uomo è bianco” –“nessun uomo è bianco”… “Ogni” è un universale. Quindi, c’è “uomo”, che è un universale, e “ogni”, che è, a sua volta, un universale su un universale. …qualora, invece, sugli universali non si enunci in modo universale, non ci sono enunciazioni contrarie, tuttavia è possibile che siano contrarie le cose espresse. Con l’espressione enunciare in modo non universale su ciò che è universale, intendo, per esempio, “un uomo è bianco” – “un umo non è bianco”: infatti, pur essendo “uomo” un universale, l’enunciazione non viene usata in modo universale; infatti, “ogni” non significa l’universale, ma che è inteso in modo universale. È inteso come universale, non è un ente di natura. Qui vedete come sempre più si avvicina al quadrato logico. Per quanto riguarda ciò che viene predicato, non dà verità predicare in modo universale l’universale: non ci sarà infatti nessuna affermazione nella quale l’universale di ciò che viene predicato sarà predicato in modo universale, per esempio “ogni uomo è ogni animale”. Non posso predicare l’universale in modo universale. Dice “ogni uomo è ogni animale”: “ogni uomo” è un universale, anche “ogni animale” è un universale, ma c’è l’“ogni” che prima non c’era. Intende dire che non si può predicare in modo universale un’altra affermazione predicata in modo universale. Pertanto dico che si oppongono in modo contraddittorio l’affermazione alla negazione quando l’una significa l’universale e si contrappone allo stesso universale che viene usato in modo non universale, per esempio, “ogni uomo è bianco” (universale affermativa) – “non ogni uomo è bianco” (particolare negativa)… Nel quadrato logico è la diagonale, che unisce l’universale affermativa e la particolare negativa: “tutti gli uomini sono bianchi”, no, ne ho trovato uno che è blu, quindi, non tutti gli uomini sono bianchi. …invece, in modo contrario, per esempio “ogni uomo è giusto” – “nessun uomo è giusto”… Questa è la contraria: tutte le A sono B – nessuna A è B. …perciò non è possibile che siano vere allo stesso tempo,…Questo perciò non è possibile non viene argomentato da Aristotele. Perché non è possibile? Si può affermare che non è possibile a condizione di pre-supporre il principio di non contraddizione. Solo a questa condizione si può affermare questo, per cui lui può dire perciò non è possibile che siano vere allo stesso tempo. Come dire che la logica, così come la conosciamo, si è potuta impiantare, si è potuta pensare e costruire sulla negazione degli eleati, in particolare di Eraclito di Efeso, quindi, non eleate ma comunque un presocratico di un certo spessore. Eraclito diceva ἒν πάντα εἰναι, l’uno è tutte le cose, simultaneamente, e quindi anche il suo contrario. Bisognava aspettare duemila anni, fino a Hegel per potere riprendere la cosa – Hegel era un grande lettore e ammiratore di Eraclito. Non si possono separare le due cose; su questa separazione è stata costruita, si è impiantata tutta la civiltà, cioè sul discorso religioso: bene e male, buoni e cattivi. Pertanto tra le contraddizioni degli universali usati in modo universale, è necessario che l’una delle due sia vera o falsa e altrettanto per quanto riguarda le particolari, come “Socrate è bianco” – “Socrate non è bianco”; tra le contraddittorietà che riguardano gli universali usati in modo non universale, non sempre o sono vere o sono false. Infatti, allo stesso tempo è vero dire che un uomo è bianco e che un uomo non è bianco… Sarebbero le subcontrarie, la linea alla base del quadrato logico, e cioè: qualche A è B, qualche A non è B; sono sì contrarie, ma subcontrarie, non si oppongono propriamente. Qui riprende il principio di non contraddizione. Questo potrebbe sembrare assurdo per il fatto che pare che l’enunciazione “un uomo non è bianco” significhi allo stesso tempo anche che “nessun uomo è bianco”, ma non significa la stessa cosa né necessariamente allo stesso tempo. Infatti, perché ci sia contraddizione occorre che avvenga allo stesso tempo, cioè che ci sia un verbo che determini questa cosa nello stesso momento. È evidente anche che una sola negazione si oppone a una sola affermazione;… Un’affermazione ha una sola negazione. Anche questo, sì, certo, è utile alla logica, che cioè un’affermazione ha una sola negazione, a condizione che l’affermazione sia determinata. Ma qui si pone una questione, perché in effetti un’affermazione è determinata a condizione di negare ciò che questa affermazione non afferma. E quante cose non è questa cosa che afferma? Io posso dire “Cesare è Cesare” e posso dire “Cesare non è Cesare”, ma in questo “non è Cesare” apparentemente a un’affermazione contrappongo un’unica negazione, ma apparentemente: dire “non è Cesare” significa dire che non è un’infinità di cose. Qui c’è una questione che si tratterebbe di affrontare, lo faremo probabilmente leggendo gli Analitici, e cioè che a un’affermazione corrisponde solo una negazione. Intanto, è fondamentale per potere dominare le cose, perché se corrispondessero, come poi di fatto accade, molte negazioni, diventerebbe difficile stabilire con precisione che cosa questa affermazione sta affermando; anche perché, come dicevamo prima, ogni affermazione è di fatto una relazione, mette cioè in connessione una cosa con un’altra, ma questa altra è quella che è perché è connessa con altre. Questa è la modalità per potere costruire la logica così come la pensiamo oggi, e cioè un marchingegno che va avanti per esclusioni, presupponendo che ciascuna cosa sia quella che è, necessariamente. Questa presupposizione, che ciascun elemento sia quello che è e non altro, è quella che consente la logica e il suo esercizio. Qui fa proprio il quadrato logico. Dico, per esempio, “Socrate è bianco” – “Socrate non è bianco” (ma se viene negato qualcos’altro o la stessa cosa viene negata da altro, la negazione non si opporrà, ma sarà diversa da quella)… Mentre la logica ha bisogno che non sia diversa da quella, ma che sia la stessa. …ad ”ogni uomo è bianco” (universale affermativa) si oppone “non ogni uomo è bianco (particolare negativa), a “qualche uomo è bianco” (particolare affermativa), “nessun uomo è bianco” (universale negativa)… Pertanto, è stato detto che una sola affermazione si oppone a una sola negazione in modo contraddittorio e quali sono queste e che le enunciazioni contrarie sono diverse e quali sono e che ogni contraddittorietà è vera o falsa e per quale ragione e quando è vera o falsa. Cioè, non ogni contraddittorietà è vera o falsa; difatti, nel caso delle subcontrarie, le une dalle altre non si escludono. Per potere dire che non ogni contraddittorietà è vera o falsa è necessaria una contraddizione non esclusiva. Nella linguistica c’è una modalità di intendere tutto ciò rispetto alla opposizione. In latino ci sono due forme di negazione: il vel e l’aut aut. Il vel sarebbe la disgiunzione non esclusiva, graficamente si scrive e/o, per cui potrebbero essere entrambe le cose; l’aut aut, invece, è esclusivo, o uno o l’altro, tertium non datur. A pag. 237. Il vero e il falso nelle enunciazioni particolari e future. Qui c’è il celeberrimo esempio: domani ci sarà o non ci sarà una battaglia navale? Una delle due deve essere vera; quindi, chi afferma questo oggi, domani, se avrà detto che ci sarebbe stata una battaglia navale e la battaglia ci sarà stata, allora avrà avuto ragione, ecc. Pertanto è necessario che l‘affermazione e la negazione sulle realtà che sono… Il testo greco dice τῶν ὂντων, sugli esseri, non parla di realtà. Non viene mai usata la parola realtà; non sono neanche sicuro che esistesse presso i greci la parola realtà, così come la intendiamo noi oggi. Se, infatti, ogni affermazione o negazione è vera o falsa, è anche necessario che ogni cosa si dia o non si dia:… Qui pone una questione interessante, perché dice che l’affermazione e la negazione in realtà sono una relazione; quindi, affermo una relazione o nego una relazione. …se infatti uno dirà che qualcosa sarà, mentre un altro negherà questa stessa cosa, è chiaro che necessariamente uno di questi dice il vero, se ogni affermazione è vera o falsa. Curiosa questa aggiunta che fa lui, che è l’inventore del principio di non contraddizione. Dice: se ogni affermazione è vera o falsa. Dice se è, non che è, se lo diciamo noi è e non che è. Infatti, lui parla sempre di λόγος, di discorsi. Non è così sicuro, categorico, così come il Medioevo ha voluto tramandarcelo, e questo perché il Medioevo lo ha letto attraverso Platone. Infatti, rispetto a queste cose, entrambe le affermazioni non si danno allo stesso tempo. Se, infatti, è vero dire che qualche cosa è bianco o non bianco, è necessario che sia bianco o non bianco; e se è bianco o non bianco, era vero affermare o negare; e se il bianco non c’è, si dice il falso, e se si dice il falso, non c’è; di conseguenza, è necessario che sia vera l’affermazione o la negazione. Qui dice: se si dice il falso non c’è. Cos’è il falso? Ciò che non è, ciò che non c’è. Che cosa non c’è?

Intervento: La relazione…

La relazione c’è sempre. Anche se io la nego, nego qualcosa che comunque nego perché dico che non è in relazione a quest’altra cosa. Se non è in relazione non c’è. Il falso, che è appunto il non essere in relazione di questa cosa. Se questa cosa non è in relazione… lui direbbe con un’altra, ma noi potremmo anche estendere la cosa, per cui se una certa cosa non è in relazione semplicemente non è. È un po’ tirare Aristotele per i capelli, mi rendo conto, però verrebbe da pensare qualche cosa del genere, perché lui è preciso dicendo qui se si dice il falso, non c’è, non che si sbaglia, si erra, si mente, un sacco di cose poteva dire. Dire il falso significa affermare qualcosa che non è nella relazione. Qui poi dice una cosa, che va letta tenendo conto di quello che dice nella Fisica rispetto al movimento. Quindi, nulla è o viene ad essere per caso né indifferentemente in uno dei due modi in cui potrebbe essere, né sarà o non sarà, piuttosto tutte le cose esistono necessariamente e non c’è indifferenza rispetto ai due modi in cui potrebbero essere (infatti, dice il vero colui che afferma o colui che nega). Dice nulla è o viene ad essere per caso né indifferentementené sarà o non sarà, cioè, se qualche cosa si pone allora si pone; vuol dire che è in relazione, quindi, c’è. Non ha tutti i torti, non è del tutto indifferente. Dice: in uno dei due modi in cui potrebbero essere… Sì, certo, può essere, ma se può essere vuol dire che è. Per Aristotele δύναμις e ἐνέργεια sono due momenti dello stesso, non c’è la potenza senza l’atto, non c’è qualche cosa se non in relazione a qualche cos’altro. È una questione comunque da riprendere. A pag. 237. Qui fa proprio il quadrato logico: un uomo è – un uomo non è; un non uomo è – un non uomo non è; ogni uomo è – ogni uomo non è; ogni non uomo è – ogni non uomo non è. Il quadrato logico interessava ad Aristotele fino a un certo punto; anche negli Analitici se ne avvale fino a un certo punto, mentre è stato ripreso nel pensiero medioevale.