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20-8-2014

 

Jan Łukasiewicz nel suo scritto Del principio di contraddizione in Aristotele (1910) – Quodlibet 2003 - si è posto un quesito che pochi si sono posti intorno al principio di contraddizione. Parte da una considerazione molto semplice e cioè dice che questo principio che è a fondamento di tutto il pensiero da sempre, su cui si è fondata la scienza, la tecnica e tutto quanto, appunto il pensiero stesso, questo principio non ha nessuna dimostrazione e su questo lavora per vedere quali tipi di dimostrazioni ha cercato di dare Aristotele a questo principio al quale Aristotele teneva moltissimo, scagliandosi contro tutti coloro che non lo accoglievano per qualche motivo, per esempio la Scuola di Megara o Eraclito e infatti dice: Nella storia della filosofia vi sono stati due momenti in cui la discussione sul principio di contraddizione ha particolarmente infervorato gli animi. Al primo momento si lega il nome di Aristotele al secondo quello di Hegel. Aristotele formulò il principio di contraddizione quale legge suprema del pensiero e dell’ente. Nell’aspra polemica talvolta colma di rabbia e disprezzo egli attaccava chiunque rifiutasse di riconoscerlo come tale, Antistene e la sua Scuola, gli Eristici di Megara, i sostenitori di Eraclito, i seguaci di Protagora, Aristotele uscì vittorioso da questa disputa e la forza delle sue argomentazioni fu tanto grande che per molti secoli nessuno osò opporsi a questo principio primo. Soltanto Hegel diede nuova vita a quelle idee che Aristotele aveva sepolto e ci fece credere che la realtà fosse razionale e al tempo stesso contraddittoria, restituì così dignità ai sofisti greci eccetera /…/ Mentre le scienze particolari si sono enormemente sviluppate la scienza generale che Aristotele chiamò “filosofia prima” è rimasta molto arretrata, essa non doveva studiare gli enti particolari bensì l’ente in generale (la metafisica) e i suoi caratteri essenziali, doveva anche indagare il mondo come totalità, il suo passato e il suo futuro, la sua origine e il suo destino. Bisogna onestamente ammettere che questa “filosofia prima” successivamente chiamata “metafisica” non conobbe nessun progresso significativo al di là delle fondamenta poste dallo stagirita e così da Kant in poi si continua a dire che le questioni metafisiche superano la capacità conoscitiva della ragione umana. È un altro modo per dire che ciò che ha fatto Aristotele è rimasto tale e quale, nessuno si è più occupato del principio di non contraddizione, utilizzato ovviamente, ma nessuno ci ha più lavorato. Łukasiewicz si pone delle questioni e dice: è necessario accertare con la massima precisione quale sia il significato di quei principi, come dovrebbero essere formulati, che cosa ne garantisce la certezza, quali siano le loro reciproche relazioni, quali conseguenze derivino da ognuno di essi, se sia possibile ometterne uno o sostituirlo con un altro, se possano essere utili per l’esame dei fatti eccetera, è il lavoro che Hegel non fece, negava il principio di contraddizione in modo infondato (sul fatto che Hegel negasse il principio di non contraddizione non sono tutti d’accordo, per esempio Severino non è affatto d’accordo. Andiamo avanti, dice che a un certo punto si è arrivati ad un terzo momento nella storia del principio di non contraddizione: nello sviluppo della logica questo momento fu tanto necessario quanto fu necessario per lo sviluppo della geometria la revisione dell’assioma delle parallele, Aristotele creò i rudimenti della logica e qualsiasi inizio risulta imperfetto, ciò non toglie valore alla sua opera geniale, potremmo piuttosto rammaricarci del fatto che le dottrine lasciateci dallo stagirita siano così avanzate da essere molto difficili da migliorare, passavano i secoli e la logica si consolidava nelle forme tradizionali e lo stesso Kant sosteneva ancora che il sistema logico creato da Aristotele costituiva una totalità talmente compiuta da non poter progredire di un passo. Ma già Leibniz per primo e successivamente gli inglesi nella seconda metà del diciannovesimo secolo approfondirono e ampliarono notevolmente la tradizione logica formale: Boole, De Morgan, Givons, Peirce, Gödel; Russel, Peano, sono tra i più eminenti fondatori della nuova logica. Che però tuttavia rimane quella stabilita da Aristotele, infatti già Aristotele diceva a coloro che cercavano una ragione, una dimostrazione del principio di non contraddizione: cercano una ragione di quelle cose di cui non c’è ragione. Ora a questo punto Łukasiewicz incomincia ad analizzare nel dettaglio il principio di non contraddizione, vi ricordate che nelle logiche non classiche, paraconsistenti, esiste anziché il principio di non contraddizione il principio di non identità, e cioè che la formula “A, se e soltanto se non A” è un teorema, cioè è vera, mentre per la logica classica è falsa. Dunque dice di tre formulazioni: Aristotele formula il principio di contraddizione in senso ontologico, logico e psicologico. Benché in nessun luogo affermi esplicitamente queste distinzioni. Egli definisce il principio ontologico di contraddizione nella proposizione: (Metafisica)È impossibile che la stessa cosa ad un tempo appartenga e non appartenga ad una medesima cosa secondo lo stesso rispetto. È impossibile essere e non essere a un tempo. Aristotele utilizza le espressioni “qualcosa appartiene a qualcosa” e “qualcosa non appartiene a qualcosa” per indicare nella proposizione logica una non ben precisa relazione tra predicato e soggetto, credo che si possa chiamarla relazione di “inerenza” e i suoi membri si possano chiamare “oggetto” e “attributo”, intendo per oggetto qualsiasi cosa che sia qualcosa e non un niente, intendo per attributo tutto ciò che si può dire di un oggetto. Tra un dato oggetto e un dato attributo si instaura la relazione di inerenza se l’oggetto possiede l’attributo e cioè se quest’ultimo afferma qualcosa dell’oggetto, se esso non lo possiede allora non esiste la relazione di inerenza, usando questi termini formulo così il principio ontologico di non contraddizione “nessun oggetto può possedere e non possedere uno stesso attributo nello stesso tempo”. Questo è il modo in cui Łukasiewicz svolge le affermazioni di Aristotele nel modo che serve a lui: Dunque chiamo ontologico il principio appena descritto perché riguarda tutti quanti gli enti “to on” ovvero tutto ciò che è qualcosa e non è un niente. Aristotele definisce principio logico di contraddizione con le seguenti parole (Metafisica): La nozione più salda di tutte “bebaiotate” sia questa che le affermazioni contraddittorie non possono essere vere insieme. Dunque Aristotele intende per affermazioni contraddittorie l’affermazione e la negazione sullo stesso oggetto e sotto lo stesso rispetto. Fa una precisazione rispetto a coloro che obiettavano, perché non può dirsi di una cosa che ha una certa proprietà e non ce l’ha nello stesso momento, cosa che rende le cose un po’ più complicate però per esempio le obiezioni di Eraclito vertevano proprio su questo, il famoso detto eracliteo “panta rei” tutto scorre, cioè non è mai possibile individuare un elemento perché è già altro, come il fiume che scorre appunto. La seconda formulazione del principio di non contraddizione, la prima riguarda gli enti cioè quella ontologica, quella logica invece riguarda i giudizi: pertanto due giudizi sono contraddittori se uno assegna a un oggetto proprio quell’attributo che l’altro gli nega (quindi si parla di affermazioni e negazioni, mentre nella prova ontologica si parlava di proprietà, una cosa ha o non ha una certa proprietà, qui si parla di giudizio, assegna un certo giudizio oppure glielo nega) quindi possiamo definire principio logico di contraddizione in questo modo: non possono essere veri nello stesso tempo due giudizi dei quali uno assegna all’oggetto proprio quell’attributo e dall’altro gli viene negato. Questo principio si chiama logico perché riguarda la veridicità dei giudizi e cioè dei fatti logici. Ogni qual volta abbiamo un’opinione siamo convinti di qualcosa (ecco qui si introduce la “convinzione” e cioè il “principio psicologico” di non contraddizione) giacché nel credere crediamo sempre che qualcosa sia o non sia, che qualcosa sia tale o diverso, in breve che un oggetto possieda un attributo oppure no, chiamo “proposizione logica” ovvero “giudizio” un insieme di parole o di altri segni affermanti che un oggetto possiede o non possiede un certo attributo. Ad ogni convinzione intesa come stato psichico corrisponde dunque qualche giudizio affermativo o negativo, ossia un fatto logico espresso in parole o in altri segni. Il principio di Aristotele “è impossibile a chiunque di credere che una stessa cosa sia e credere nello stesso tempo che la stessa cosa non sia” è possibile formularlo anche in questo modo  “due convinzioni cui corrispondono due giudizi contraddittori non possono sussistere nello stesso tempo e nella stessa mente”. Adesso considera il rapporto tra il principio ontologico di contraddizione cioè quello che riguarda l’ente, le proprietà dell’ente che ha o non ha, e il principio logico di contraddizione cioè il giudizio che attribuisce a una certa cosa una certa proprietà. Dice: Nel principio ontologico di contraddizione si parla degli oggetti, in quello logico dei giudizi e in quello psicologico delle convinzioni (ora nota Łukasiewicz che) la parola “oggetto” “giudizio” “convinzione” significano oggetti diversi, dunque le tre formulazioni non rappresentano un unico principio espresso con delle parole diverse ma sono tre principi diversi. Benché diversi questi principi possono essere equivalenti infatti è possibile dimostrare che, secondo Aristotele, il principio ontologico e il principio logico di contraddizione sono dei giudizi equivalenti, Aristotele non enunciò espressamente questa tesi (però dice che dal principio ontologico di contraddizione risulta il principio logico infatti leggiamo) (De Interpretazione): In realtà se è vero dire che un oggetto è bianco oppure che non è bianco, esso sarà necessariamente bianco o non bianco. Questa è la prova secondo Aristotele del fatto che dal principio ontologico di contraddizione risulti il principio logico. Cioè ripeto “se è vero dire che un oggetto è bianco oppure che non è bianco esso sarà necessariamente bianco o non bianco” pertanto se è vero il giudizio che assegna a un dato oggetto un attributo allora quell’oggetto lo possiede, se è vero il giudizio che nega a un oggetto un attributo allora quell’oggetto non lo possiede, quindi se i due giudizi contraddittori fossero veri entrambi, in tal caso un oggetto avrebbe un attributo e nello stesso tempo non lo avrebbe, questo però non è possibile in virtù del principio ontologico di contraddizione, quindi giudizi contraddittori non possono essere veri nello stesso tempo. Ovviamente tutto questo procede dal fatto che il principio ontologico di non contraddizione sia dato come indubbio, innegabile e assolutamente certo. Per cui effettivamente, come dice qui Łukasiewicz da queste definizioni risulta necessariamente l’equivalenza tra il principio ontologico e il principio logico. Poi passa ad analizzare la relazione tra il principio ontologico e logico e il principio invece psicologico. Dice che Aristotele non pone il principio psicologico di contraddizione sullo stesso piano del principio precedente, il principio psicologico, l’abbiamo visto prima, riguarda le convinzioni. Egli considera tacitamente equivalenti i principi ontologico e logico, insistendo che quali principi ultimi essi non sono dimostrabili. Egli cerca invece di dimostrare il principio psicologico in base al principio logico e ontologico, questa dimostrazione si divide in due parti. Dice Aristotele (Metafisica): se non è possibile che i contrari sussistano insieme in un identico oggetto (principio ontologico) e se un’opinione che è in contraddizione con un’altra e il contrario di questa, è evidente che impossibile a un tempo che la stessa persona creda veramente che una stessa cosa esista e anche che non esista, infatti chi si ingannasse su questo punto avrebbe ad un tempo opinioni contrarie. Al di là del fatto che in questo brano risulta particolarmente difficile interpretare il passo, (in greco antico) dalla logica formale sappiamo che “contrarietà” e antifrasis (contraddizione) sono concetti non solo diversi ma incompatibili, come è possibile conciliare in questo passo l’opposizione contraria con la contraddizione? Sta dicendo che contrario non è contraddittorio, non sono la stessa cosa queste due parole - troveremo la chiave per comprenderlo nel brano finale del De Interpretazione in cui Aristotele si pone la seguente domanda (De Interpretazione): si deve dire che l’affermazione è contraria alla negazione oppure che un’affermazione è contraria a una affermazione? Posti tre giudizi: Callia è giusto - Callia non è giusto - Callia è ingiusto. Come vedete subito ci sono due affermazioni e una negazione. Quali degli ultimi due - Callia non è giusto- Callia è ingiusto- sarà dunque contrario al primo? In realtà se le espressioni della voce derivano dagli oggetti della mente e se nella mente è contraria l’opinione che riferisce una determinazione contraria, sarà allora necessario che le cose stiano allo stesso modo anche a proposito delle affermazioni espresse con la voce, se però nella mente non risulta contraria l’opinione che riferisce la determinazione contraria, una affermazione non potrà certo essere contraria ad una affermazione ma a quest’ultima sarà piuttosto contraria la suddetta negazione. Sta dicendo che è possibile ammettere come contraria all’affermazione Callia è ingiusto, non Callia è ingiusto ma Callia non è giusto, perché la contraria esige la negazione, deve essere negata, mentre dire che Callia è ingiusto non è una negazione ma è un’affermazione. La questione dell’opposizione contraria del giudizio esaminata in questo brano risulta particolarmente ardua ad Aristotele, secondo lui sono in opposizione contraria specialmente gli attributi che stanno all’estremità opposte della serie degli attributi, appartenenti allo stesso genere ovviamente, per esempio bianco e nero, buono e cattivo, eppure i giudizi non sono attributi quindi è difficile parlare di opposizione contraria tra giudizi, volendo evitare questa difficoltà Aristotele sposta la questione sul terreno psicologico, ai giudizi espressi con la voce rispondono nel pensiero le opinioni che possiamo intendere come attributi della mente in cui essi esistono. Aristotele ha fatto un escamotage e Łukasiewicz se ne è accorto. Le opinioni in quanto attributi possono essere in opposizione contraria e di conseguenza anche i giudizi che corrispondono alle opinioni contrarie si possono chiamare contrari. Attraverso una ricca argomentazione Aristotele cerca di dimostrare che sono contrarie le opinioni cui corrisponde il giudizio affermativo e negativo sullo stesso oggetto “Callia è giusto” “Callia non è giusto” , pertanto leggiamo la conclusione: (De Interpretazione) Di conseguenza (dice Aristotele) se riguardo all’opinione le cose stanno proprio a questo modo e se d’altro canto le affermazioni e le negazioni espresse attraverso la voce sono simboli degli oggetti che si presentano nell’anima, evidentemente all’affermazione sarà allora contraria la negazione. Se questo avviene negli oggetti ovviamente avviene anche nel pensiero dal momento che le affermazioni sono simboli degli oggetti che si presentano nell’anima, questo è famoso in Aristotele. A questo punto Łukasiewicz precisa: I giudizi sono contraddittori e le convinzioni corrispondenti sono contrarie, possiamo ora riformulare il brano esaminato della Metafisica nel modo seguente: poiché nessun oggetto può possedere nello stesso tempo attributi contrari e poiché se un uomo credesse che una cosa ci sia e insieme che la stessa cosa non ci sia, avrebbe nello stesso tempo due convinzioni contrarie ovvero due attributi contrari, allora nessun uomo può credere che una cosa ci sia e credere insieme che la stessa cosa non ci sia, in altre parole due convinzioni cui corrispondono giudizi contraddittori non possono sussistere nella stessa mente nello stesso tempo. In quanto contrarie, questo lo aggiungo io, qui Łukasiewicz incomincia a fare una critica della prova aristotelica del principio psicologico di contraddizione perché non lo convince un granché: bisogna ammettere che nel dimostrare il principio psicologico di contraddizione Aristotele ragiona con molta cautela, con ogni evidenza si rende conto che la coesistenza contemporanea nella stessa mente di due convinzioni cui corrispondono giudizi contraddittori, non costituisce una contraddizione palese infatti ogni convinzione è un atto psichico positivo (uno è convinto di qualche cosa) di conseguenza non ci sarebbe mai una contraddizione palese se qualcuno fosse convinto che qualcosa c’è e nello stesso tempo fosse convinto che la stessa cosa non c’è, tale contraddizione l’avremmo solo quando nella stessa mente esistesse una convinzione e nello stesso tempo la stessa convinzione non esistesse, (questo per quando detto prima dice se sono giudizi affermativi, non sono contraddittori anche se sono completamente opposti, contrari o fra i più squinternati comunque non è una contraddizione, infatti dice): Aristotele dimostra solamente che due convinzioni cui corrispondono due giudizi contraddittori, qualora coesistessero ad un tempo nella medesima mente comporterebbero un’opposizione contraria, dunque una contraddizione celata. Łukasiewicz si chiede se questa dimostrazione è corretta: essa si basa sulla premessa che le convinzioni sono delle disposizioni della mente, (accettiamo questa premessa) se le convinzioni sono delle proprietà esse possono opporsi come contrarie (una proprietà può opporsi a un’altra proprietà) acconsentiamo anche a questo, supponiamo finalmente che le proprietà contrarie si escludono a vicenda, quali convinzioni sono allora contrarie? Volendo trovarle occorre ordinare tutte le convinzioni su un dato oggetto, secondo una regola e contrassegnare gli estremi di questa sequenza , questi ultimi essendo massimamente diversi saranno contrari l’uno rispetto all’altro secondo la definizione di Aristotele il quale dice che i contrari sono i termini massimamente distanti del medesimo genere. Poiché la classificazione relativa di un dato attributo viene formata quando sussiste qualche differenza di grado, lo stagirita deve ammettere che alcune convinzioni sono più vere delle altre, altre invece sono più false (cioè quelle più vicine all’estremo saranno quelle più vere, l’estremo è il vero, quelle più lontane più false) infatti Aristotele dice sempre nel De Interpretazione: riguardo ad un oggetto è più vera l’opinione che riferisce una determinazione per sé della opinione che afferma un’opinione accidentale (quindi è più vera quella che riferisce una determinazione per sé) ora queste opinioni portano alla conclusione che l’opposizione per contrarietà si ha tra le più vere e le più false convinzioni su un determinato oggetto.  Ad esempio “il bene è bene” e il “bene non è bene” che sarebbero i due estremi) sono queste le convinzioni cui corrispondono il giudizio affermativo e il giudizio negativo di un medesimo oggetto (ora dice Łukasiewicz): non è possibile essere d’accordo con un simile ragionamento dato che (come voi stessi avrete considerato) non si può ammettere l’esistenza di differenze di grado nel vero e nel falso, se mai si potesse parlare di verità delle convinzioni, quella sarebbe “vera” corrispondente a un giudizio “vero”, tale giudizio affermativo è vero se attribuisce a un oggetto l’attributo che questo oggetto possiede, indipendentemente dal fatto che quell’attributo sia essenziale oppure accidentale o che sia posseduto dall’oggetto in modo duraturo o temporaneo, non conosciamo differenze graduali nelle relazioni di inerenza (sta dicendo che una cosa o inerisce o non inerisce, non che inerisce un po’, inerisce o non inerisce, cioè o gli appartiene o non gli appartiene) per cui volendo ammettere l’esistenza dei giudizi più o meno veri bisognerebbe forse cambiare la definizione di giudizio vero. Quindi rileva un problema nella Metafisica di Aristotele. Se dunque non esistono differenze di grado nella verità o nella falsità non esistono neppure le convinzioni contrarie, ovvero estremamente diverse in relazione alla verità o alla falsità, per cui l’affermazione di Aristotele secondo cui le convinzioni cui corrispondono i giudizi contrari sono contrarie non è fondata. /…/ Volendo risolvere il problema dell’opposizione contraria dei giudizi cioè la questione logica, Aristotele esamina il problema dell’opposizione contraria delle convinzioni, (quindi per risolvere il problema dell’opposizione contraria dei giudizi passa alle convinzioni che è una questione psicologica) in questo modo egli assume tacitamente il presupposto generalmente errato secondo cui tra i giudizi si formano le stesse relazioni che si formano tra le convinzioni. Infatti se lui riuscisse a dire che c’è una relazione diretta tra i giudizi e le convinzioni il problema sarebbe risolto però questa errata premessa non gli crea nessun problema infatti non sapendole analizzare psicologicamente, Aristotele tratta le convinzioni come dei giudizi e del suo ragionamento intenzionalmente psicologico fa un’analisi logica. Egli sottolinea tra l’altro (Aristotele) De Interpretazione: l’opinione secondo cui “il bene è male” risulta un’opinione composta poiché chi la possiede dovrà forse altresì pensare che “il bene non è bene”. Ma dice Łukasiewicz: questa proposizione apparentemente corretta è errata, è vero solo che il giudizi “il bene è male” e “il bene non è bene” sono legati l’uno all’altro cioè che il primo giudizio è la ragione del secondo, non ne consegue comunque che anche le relative convinzioni, se mai qualcuno potesse avere simili convinzioni, siano legate fra loro, si può essere convinti che il bene è cattivo senza mai pensare che il bene non è bene. Dunque alle convinzioni attribuisce Aristotele dei caratteri che in senso proprio spettano solo ai giudizi e cioè i caratteri di verità o falsità (mentre Aristotele aveva tentato di attribuire questi caratteri di verità o di falsità alle convinzioni) I giudizi significano che qualcosa c’è o non c’è, che un oggetto possiede un attributo o non lo possiede, i giudizi sono concordanti o discordanti rispetto al fatto che un oggetto possieda o meno un attributo, essi infatti sono delle sequenze di parole o di altri segni che riproducono questi fatti (che riguarderebbero l’ente, per questo i giudizi possono essere veri o falsi, perché per Aristotele comunque si riferiscono al fatto che l’ente possiede o non possiede una proprietà). Le convinzioni in quanto fenomeni psichici non significano che qualcosa c’è o non c’è, esse sono solo delle sensazioni che non si possono definire ma che bisogna sperimentare. Sto ad esempio seduto al tavolo e sto scrivendo, nella stanza attigua c’è mia madre, non la vedo ma ho la sensazione che mia madre sia lì nella stanza, sono pronto a dirle qualcosa attraverso la porta socchiusa oppure alzarmi per andare a trovarla pensando di poterla vedere seduta sulla poltrona, questa sensazione è una convinzione della presenza di mia madre nella stanza, essa però non significa che mia madre sta nella stanza, non si può dire che concordi o discordi con quel fatto, si deve invece dire che è in una relazione intenzionale con questo stato di cose, ogni convinzione riguarda qualcosa, si relaziona a qualcosa, ha un’intenzione, un elemento di questa relazione intenzionale è costituito da un atto di convinzione, l’altro, da uno stato di cose reale o immaginario in base a cui qualcosa c’è o non c’è, in breve che un oggetto possiede o no un determinato attributo, se esprimiamo con parole o altri segni questa seconda componente della relazione intenzionale si forma allora un giudizio che è vero o falso perché produce uno stato di cose reale oppure fittizio, invece la convinzione ovvero la prima componente della relazione intenzionale non essendo in quanto fenomeno una riproduzione di nessun fatto, non è in una precisa accezione né vera né falsa. La continua confusione tra convinzioni e giudizi fa sì che nel campo della psicologia cognitiva si effettuino prevalentemente della analisi logiche basate su premesse a priori e non sull’esperienza … e qui abbiamo visto che non è affatto d’accordo con il fatto che sia possibile dimostrare il principio psicologico di non contraddizione a partire dal principio logico. Ora critica il principio psicologico di contraddizione: La scorrettezza di una argomentazione non prova la falsità di una tesi, anche se la dimostrazione di Aristotele non è sufficiente dobbiamo vedere se esistono altri argomenti per dimostrare il principio psicologico di contraddizione, a tale scopo non c’è bisogno di provare, come cercava di fare Aristotele, che le convinzioni cui corrispondono giudizi contraddittori sono contrarie, basterebbe dimostrare che esse si escludono a vicenda, il concetto di “caratteri incompatibili” è più ampio della nozione di “caratteri contrari”, i caratteri che si escludono a vicenda sono caratteri che non possono essere assegnati contemporaneamente ad oggetti della stessa classe e quindi non è necessario che siano gli estremi opposti di una sequenza come bianco – nero, possono pure essere elementi intermedi come bianco - grigio, bianco – rosso, l’incompatibilità di due caratteri può essere dimostrata o a priori cioè in base alle premesse e definizioni precedentemente accettate oppure empiricamente ovvero in base all’esperienza. Si può dimostrare a priori rispetto alla classe dei triangoli, caratteri “equilatero” e “rettangolo” che si escludono reciprocamente, che nessun triangolo equilatero possa essere rettangolo consegue dalle premesse delle definizioni ammesse della geometria. Ecco, a un certo punto dice: il principio psicologico di contraddizione può essere al massimo una legge empirica. Simili leggi non sono mai sicure ma solo probabili, giungiamo ad esse tramite l’induzione e cercando il motivo che verrà espresso in un giudizio generale per cui certi fenomeni si comportano costantemente senza eccezione nello stesso modo, è però possibile considerare il suddetto principio con una legge empirica accertata? Ecco quello che dice Husserl a proposito: (Ricerche logiche) Il medesimo individuo o meglio ancora nella medesima coscienza, non possono permanere per un tratto di tempo, per quanto possa essere breve, atti di credenza contraddittori, ma questa è realmente una legge? Possiamo realmente esprimerla come fornita di una generalità illimitata? perché questo si richiede a una legge. Dove sono le induzioni psicologiche che giustificano la sua asserzione? Non possono forse esistere o non sono mai esistiti uomini che talora hanno ritenute vere allo stesso tempo due cose opposte ad esempio, perché ingannati da false argomentazioni, sono state avviate indagini scientifiche per accertare se qualcosa di simile non accada tra i dementi o forse anche nel caso delle contraddizioni esplicite, che ne è degli stati di ipnosi, del delirio da febbre? Tale legge sarebbe valida anche per gli animali? A queste domande non ci sono risposte esaustive. Però è lecito dubitare che le ricerche confermeranno questo principio, attualmente è possibile richiamare dei fatti che ritengo inconciliabili con questo principio a meno di ipotesi supplementari, molti filosofi hanno sostenuto la possibilità che la medesima cosa, nello stesso tempo, ci sia e non ci sia. Aristotele cita Eraclito eppure nei frammenti della sua opera non si è conservata nessuna affermazione esplicita sulla contraddizione, in compenso Hegel quale seguace moderno di Eraclito, si esprime in modo chiaro e inequivocabile , i difensori del principio psicologico di contraddizione assieme allo stagirita potrebbero ribattere che non deve il parlante credere in ciò che sta dicendo, si dovrebbe allora supporre che Hegel dicesse e scrivesse una cosa mentre ne scriveva un’altra oppure che non si rendesse conto di quel che diceva e scriveva? in ambedue i casi si dovrebbe dunque adottare un’ipotesi supplementare e sussidiaria che, complicando la teoria, ne diminuirebbe il valore e la probabilità, non sarebbe dunque più semplice supporre che Hegel credesse davvero in quello che scriveva? È ciò che dicevamo anche tempo fa rispetto al principio di non contraddizione, in effetti negando il principio di non contraddizione, almeno così appare, si nega la possibilità stessa di negare qualche cosa. Perché se io nego il principio di non contraddizione allora qualunque cosa stia affermando questa cosa equivale alla sua contraria, vale la sua contraria, quindi a questo punto è come dire che se nego il principio di non contraddizione allora affermo il principio di non contraddizione, che è la contraria, che a questo punto è legittimata dal fatto che non c’è nulla che mi impedisca, affermando qualcosa, nell’affermarla affermare anche il suo contrario. Mi rendo conto che non è facilissimo perché quando si affrontano in termini precisi le questioni possono apparire complesse. Ecco qui dice Łukasiewicz: infine riporterò una prova che deriva dalla mia esperienza interiore, personalmente infatti ho provato degli stati d’animo in cui credevo che qualcosa ci fosse e nello stesso tempo che la stessa cosa non ci fosse, se stati d’animo simili non possono essere suscitati su altri, questo argomento non può certo avere una valenza scientifica proverò quindi a suscitarli. Ero abbandonato alla lettura delle parole semplici ma potenti del Simbolo di Sant’Atanasio, il suo meraviglioso inno alla Trinità, nelle sue parole non vi è nessuna contraddizione esplicita e se le interpretiamo conformemente alla teologia non ve ne è nemmeno una nascosta, tuttavia chiunque si abbandoni all’azione religiosa ed estetica delle strofe, dimentico delle questioni teologiche crederà per un momento in due giudizi che sembrano contraddirsi. Vi leggo i versi: Infatti altra è la persona del padre, altra è quella del figlio e altra quella dello spirito santo, ma unica è la divinità del padre, del figlio e dello spirito santo, uguale è la gloria e coeterna la maestà. Quale è il padre tale è il figlio, tale lo spirito santo. Increato è il padre, increato è il figlio, increato lo spirito santo. Infinito è il padre, infinito è il figlio, infinito lo spirito santo. Eterno è il padre, eterno il figlio, eterno lo spirito santo e tuttavia non ci sono tre eterni, uno solo e così non ci sono tre increati né tre infiniti ma un unico increato ed uno solo infinito. Come il padre è onnipotente così è il figlio e lo spirito santo e tuttavia non ci sono tre onnipotenti ma un unico onnipotente. Come il padre è dio, così il figlio, così lo spirito santo e tuttavia non ci sono tre dei ma un solo dio, come il padre è signore così è il figlio e così lo spirito santo e tuttavia non ci sono tre signori ma c’è un solo signore. Cito questo esempio (dice Łukasiewicz) affinché il lettore leggendo le parole del Simbolo possa anche solo per un attimo avvertire in se stesso uno stato d’animo simile a quello che ho provato io, chi sentirà questo stato d’animo riterrà decisiva la prova, chi non lo sentirà potrà lasciarla. /…/ allora esclusa la formulazione psicologica del principio di contraddizione dobbiamo ora occuparci dei principi ontologico e logico (il titolo di questo capitoletto è l’“indimostrabilità del principio ontologico e del principio logico di contraddizione” cosa che tutto sommato Aristotele ha sempre sostenuto, lui diceva che non è dimostrabile, però Łukasiewicz vuole ribadire che è indimostrabile: ricordo la definizione del principio ontologico di contraddizione “nessun oggetto può nello stesso tempo possedere e non possedere lo stesso attributo”, il principio logico invece stabilisce “due giudizi, dei quali uno attribuisca a un oggetto un attributo che dall’altro gli viene negato, non possono essere contemporaneamente veri”. Per potere accettare un principio occorrono le prove della sua veridicità, quali sono le prove del principio ontologico o del principio logico di contraddizione? È evidente che questa domanda infastidisce Aristotele, lo turba e gli fa dire parole che testimoniano irritazione. Parafraso questi brani per sottolineare lo stato d’animo che vi intuisco, noi abbiamo appena stabilito che è impossibile che una cosa ci sia e non ci sia allo stesso tempo, e in base a tale impossibilità abbiamo dimostrato! Qui c’è un punto esclamativo di Łukasiewicz perché in realtà Aristotele non ha dimostrato niente. Che questo è il più saldo di tutti i principi, volete le prove? non ce ne sono (che è curioso perché ha appena detto “abbiamo dimostrato!” e poi dice: volete le prove? Non ce ne sono. Ci si potrebbe domandare: ma allora cosa sta dicendo? Se l’ha dimostrato ci sono delle prove, e invece dice “le prove non ci sono”)  È infatti un segno di ignoranza il non sapere distinguere che cosa esige la dimostrazione cosa non la esige, infatti è impossibile che sia dimostrazione, che vi si dia dimostrazione di tutte quante le cose altrimenti si andrebbe all’infinito e così non si produrrebbe alcuna dimostrazione, tuttavia se ci tenete tanto alle prove (qui è sempre Aristotele parafrasato da Łukasiewicz) allora sì che ne abbiamo ma non sono le solite bensì sono prove elenctiche (le confutazioni” prove per confutazioni) provi qualcuno a dire una sola parola, se però non dicesse nulla allora sarebbe ridicolo discutere con lui, sarebbe come parlare a un albero (Aristotele dice “provi qualcuno a dire una sola parola” se la dice la afferma, cioè sta dicendo che è così) chi proclama un’opinione con tale enfasi e sicurezza non offrendo però prova alcuna e invece di argomentare si offende (Łukasiewicz) probabilmente non dispone di argomenti sufficienti e forse intuisce che sta perdendo la sua causa, fa buon viso a cattivo gioco per non tradirsi. È questo l’impressione che suscita in me (Łukasiewicz) il frammento appena citato della Metafisica ma proviamo ora a farne l’analisi logica. Prescindo per il momento dalla contraddizione reale o apparente in cui Aristotele incorre sostenendo all’inizio l’indimostrabilità del principio di contraddizione per poi ammettere qualche riga più avanti l’impossibilità di provarlo /…/ Aristotele quando sostiene che non è possibile dimostrare tutto, non ha in mente giudizi individuali su fatti concreti bensì principi ovvero giudizi generali, volendo provare un principio bisogna dimostrare la verità di un altro giudizio che sia la ragione di questo principio (qui incominciate a vedere la complicazione del dimostrare il principio di non contraddizione) la verità di questa ragione a sua volta va provata in base a un’altra ragione e così via, questa sequenza di conseguenze di premesse deve terminare con un principio definitivo, che non sia più una conseguenza di nessuna premessa ma che sia vero di per sé, se ammettessimo infatti che la sequenza delle ragioni prosegue all’infinito non otterremmo che dei giudizi la cui verità è solo ipotetica cioè il giudizio S1 è vero se è vero il giudizio S2, il giudizio S2 è vero se è vero il giudizio S3, il giudizio Sn è vero eccetera . Bisogna affermare almeno una volta categoricamente che in questa sequenza un giudizio Sn è vero di per sé indipendentemente da altri giudizi, un tale giudizio costituisce un principio ultimo, Protè Archè, è indimostrabile, anapodeitticos (indimostrabile) (leggiamo anche negli Analitici Posteriori: Quanto a noi affermiamo anzitutto che la determinazione dimostrativa non appartiene ad ogni scienza e che per contro la scienza riguardante le premesse immediate prescinde dalla dimostrazione. (che è un bel problema) I principi ultimi vengono chiamati da Aristotele “amesa” perché tra soggetto e predicato non c’è nessun termine intermedio. Łukasiewicz aggiunge una complicazione: Possiamo accettare questo tipo di ragionamento a una condizione (perché qui quando fa l’esempio del termine medio dice) supponiamo che in un principio ultimo a e b, tra a e b esiste un termine intermedio c, il quale permetterebbe la formulazione dei giudizi a e c, c e b e quindi a e c, ma in tal caso di conseguenza, lui dice: sarebbe possibile provare questo principio in base alle premesse a e c, e c e b e di conseguenza esso non sarebbe ultimo se qualcosa necessita di altro per essere dimostrato. Possiamo accettare questo tipo di ragionamento ad una condizione, il cui significato capiremo più avanti, possiamo quindi ammettere l’esistenza di principi ultimi ossia di giudizi che non sono dimostrabili in base a degli altri giudizi ma che sono veri per sé stessi, si tratta ora di trovarli, secondo Aristotele tra questi principi il principio di contraddizione è il più sicuro Bebaiotate, il più accessibile alla coscienza e quello intorno al quale è impossibile cadere in errore, ma come dimostrarlo? Lo stagirita infatti non fornisce nessuna prova, accontentandosi solamente delle seguenti parole “se dunque di alcune cose non si deve ricercare la dimostrazioni, essi (cioè coloro che esigono le prove del principio di non contraddizione) non potrebbero certo indicare un altro principio che più di questo non abbia bisogno di dimostrazione, ossia un principio che rispetto al principio di contraddizione potrebbe a maggior ragione, risultare indimostrabile. Ma e se invece tale principio esistesse? E se potessimo non solo affermare ma anche provare che questo principio, che ancora ignoriamo, è vero di per sé e indimostrabile ovvero ultimo, pur non essendo il principio di contraddizione? Come dire che sta cercando un principio che è al di là del principio di non contraddizione: Aristotele ritiene che non è necessario dimostrare la tesi secondo cui il principio di contraddizione è ultimo, ammette dunque sin dall’inizio l’esistenza di due principi ultimi e indimostrabili: il principio di contraddizione e il principio secondo il quale il principio di contraddizione è ultimo. La sua posizione è debole tra poco vedremo che non resisterà agli attacchi della critica logica.