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20 agosto 1998

 

Vediamo se riusciamo a dire qualche cosa di più della percezione visto che ci sta interrogando. In questi casi l’utilizzo degli strumenti più tradizionali, quali i dizionari di vario genere, ecc., sono poco utili perché ciascuno termine rinvia ad un altro termine. Per esempio, la percezione generalmente rinvia all’esperienza, si cerca  allora il termine esperienza e si viene rinviati a quello di conoscenza; si cerca allora il termine conoscenza e si viene rinviati a quello di percezione, ecc. In genere il cerchio si chiude. È quindi un’altra la via che occorre percorrere e cioè cercare di dire che cosa non può non dirsi della percezione per continuare a poter utilizzare questo termine.

La percezione può essere una acquisizione? Direi di sì, occorre pure che acquisisca qualcosa. Naturalmente, questo rischia di spostarci non soltanto sull’acquisizione ma anche sul chi acquisisce, chi è il soggetto dell’acquisizione, questione che per noi può non essere del tutto marginale, perché se dico che io acquisisco il fatto che sia io, che io dica io, comporta una percezione di me per esempio, e quindi questo non lo possiamo affermare con tanta leggerezza. Ma torniamo all’acquisizione. Se dovessimo rispondere alla domanda “chi acquisisce qualcosa?” l’unica cosa che potremmo rispondere con qualche sensatezza è che è il linguaggio che acquisisce, che può cioè disporre di elementi. Cos’è acquisire se non potere, da un certo momento in poi, disporre di qualcosa? Il linguaggio ad un certo punto dispone di qualche elemento; di quale elementi può disporre il linguaggio? Dispone di elementi linguistici ovviamente e questi elementi sono linguistici proprio perché sono nel e del linguaggio. E allora non ci resta che affermare che il linguaggio può disporre soltanto di sé. Abbiamo detto che la percezione è un’acquisizione, fin qui nessuno può obiettarci nulla, e che chi acquisisce necessariamente è il linguaggio. Non si vedono altri soggetti in condizione di fare una cosa del genere senza che la cosa comporti problemi logici notevolissimi, e ciò che il linguaggio a questo punto acquisisce non è altro che se stesso. Allora dobbiamo dire che la percezione non è altro che il linguaggio che acquisisce se stesso? O che altro dovremmo dire, Cesare? Come direbbe Socrate, Teeteto, dobbiamo dire così o altrimenti? E cioè... (Sì, però il linguaggio, c’è sempre qualcuno che lo muove...) Proviamo a considerare questa sua affermazione: qualcuno muove il linguaggio. Supponiamo che sia così, possiamo dire chi? Così, orientativamente, supponiamo che lei affermi “Io muovo il linguaggio”. Bene, questo “io” di cui lei sta parlando percepisce se stesso, giusto? Come? (Ovviamente, tramite il linguaggio). E allora torniamo alla questione che ci ha mosso. (Però, come può essere che il linguaggio muova stesso?). Come può essere? Fino ad ora ci siamo fermati alla considerazione che può essere perché non può essere altrimenti, però non è escluso che ci venga in mente qualcosa di meglio, cioè non possiamo affermare nient’altro, nient’altro che sia non negabile, qualunque cosa io ponga come motore del linguaggio lo pongo fuori dal linguaggio e ricadiamo in tutte le aporie, che abbiamo visto in tutte le occasioni, da cui non veniamo più fuori e quindi lo affermiamo perché non possiamo affermare altrimenti, come se fossimo costretti dalla struttura stessa del linguaggio a compiere questa affermazione... Quindi, come abbiamo definito la percezione? (Il disporre di elementi da parte del linguaggio.) Mi sembrava più precisa questa: come il linguaggio che acquisisce se stesso. Adesso consideriamo questa affermazione che ho fatto, cioè che il linguaggio acquisisce se stesso, formulazione che può apparire strana così di primo acchito, cioè è soggetto, oggetto, agente e paziente simultaneamente. Affermare che il linguaggio acquisisce se stesso in effetti è attribuire a qualche cosa un carattere di assoluta necessità e negare che una qualunque altra cosa possa in qualche modo averci a che fare. Un altro modo per affermare la stessa cosa è che “nulla è fuori dal linguaggio”, solo che questo modo ci consente di dire qualcosa intorno alla percezione che fino ad oggi non avevamo ancora detto e che ci serve per risolvere quel problemino della volta scorsa che non senza una certa inquietudine ci siamo trovati di fronte, e cioè all’eventualità di ritrovarci a costruire un qualcosa che era stato costruito tremila anni fa, noto come ontologia. Si ricorda il quesito della volta scorsa? (Del riconoscere). Del riconoscere, certo! Eravamo partiti dalla domanda se io la riconosco, se posso affermare il contrario. (...) Sì, perché se non la riconosco allora io violo una regola di un gioco linguistico che non posso violare perché se comincio a violarla allora accade come diceva Wittgenstein “quando comincio a dubitare che questa sia la mia mano” se vado avanti in questa direzione accade che mi trovi in un punto in cui non ci sia più nulla di cui dubitare. Ma si diceva allora “è necessario che io riconosca ciò che c’è?”. Qui c’era l’intoppo ontologico, le cose esistono in se stesse, questo è l’enunciato fondamentale dell’ontologia, esistono di per sé, mentre avevamo sempre sostenuto che un’affermazione del genere è arbitraria. Ci siamo trovati di fronte all’inghippo come se la percezione risultasse assolutamente necessaria al funzionamento del linguaggio e quindi all’eventualità che la percezione fosse fuori dal linguaggio, cioè ne fosse la sua condizione, questione mica da poco, perché avrebbe vanificato in un sol colpo tutto quello che abbiamo fatto in questi anni, e sarebbe stato molto seccante.... Diciamola tutta, con questo ennesimo e ulteriore sofisma ce la caviamo perché noi riconduciamo la percezione tranquillamente e in modo inoppugnabile all’interno del linguaggio da cui temevamo che fosse espunta ... e invece no...(...) (Però trovare qualcosa fuori dal linguaggio non sarebbe mica una cosa da poco...) Sì, occorre che sia una proposizione sostenibile, cioè non negabile salvo autocontraddirsi. Possiamo autocontraddirci? (...) Sicura? In ambito retorico possiamo fare qualunque cosa e il suo contrario ma logicamente non è possibile, il linguaggio non lo consente. Se potesse farlo il linguaggio si dissolverebbe perché varrebbe a questo punto l’affermazione che un elemento linguistico è se stesso e qualunque altro. Lei provi a utilizzare il linguaggio a questo punto, come farà? È impossibile, perché non può affermare niente... Dunque, la percezione è il linguaggio che acquisisce se stesso. Può acquisire se stesso? Se sì, come? Potremmo dire che acquisisce se stesso attraverso le procedure e le regole di cui è fatto, le quali regole e procedure hanno quasi esclusivamente questa funzione di acquisire incessantemente se stesse ed è per questo che non si arresta, è anche per questo che non può darsi l’ultima parola, l’ultima acquisizione. Cosa vuol dire che acquisisce  se stesso? Ancora non lo abbiamo detto, lo abbiamo affermato ma non abbiamo precisato cosa vogliamo dire. Secondo lei Cesare cosa diciamo dicendo che il linguaggio acquisisce se stesso? (...) Sì, però ci stiamo chiedendo come il linguaggio fa questa operazione...(Usandone) Sì, questa è una risposta sensata, usandone,  cioè facendo funzionare la sua struttura, esattamente, certo! Sì, proprio così. Chi ricorda qual era il passo da cui ha preso origine questa interrogazione qui ne La Seconda Sofistica? Adesso potrebbe rileggersi in altro modo. A questo punto possiamo azzardare una definizione altrettanto robusta di esperienza? Perché c’è l’eventualità che potrà servirci, cos’è l’esperienza di primo acchito? (…) Può essere la conoscenza fornita da un dato sensoriale, così di primo acchito, conoscenza che poi può essere ripetuta. Se è conoscenza per definizione può essere ripetuta, però occorre la conoscenza di un dato sensibile, solo a questo punto può parlarsi di esperienza... Sì, però adesso ci siamo attenuti alla definizione del dizionario, diciamola così. ...ancora una bella definizione non è stata fornita... altra cosa che dobbiamo considerare e svolgere è appunto il dato sensibile.... Cesare poneva un quesito interessante: potrei affermare che sento qualcosa se non percepisco nulla? Posso affermare che sto male o sto bene se non ho nessuna percezione? Questo è il quesito che poneva Cesare. (…) Sì, questo lo avevamo risolto certo, che cosa ci rimane da risolvere, ormai stiamo andando avanti come treni. Vediamo un po’ con quale altra questione possiamo rafforzarla... Sì, qui affrontavo ne La Seconda Sofistica affrontavo proprio di striscio la questione: “se il linguaggio riproduce se stesso potremmo dire che ciascun è parlato dal linguaggio. Affermazione che rischia di porre il linguaggio come una sorta di identità extralinguistica messa al posto di dio o di qualunque altra causa prima piaccia pensare. Affermare  che ciascuno è parlato dal linguaggio non significa nulla, sarebbe come affermare che questo ciascuno è fuori dal linguaggio che lo parla oppure ciascuno è un’espressione del linguaggio e allora dire che ciascuno è parlato dal linguaggio è una ridondanza, è parlato dal linguaggio come ciascun altra cosa.” Cioè, non significa niente. Il Ça parle di lacaniana memoria ... (Nella proposizione in cui lei citava De Saussure dicendo che variando il significato di un termine varia il significato di ciascun  altro termine ...) Questa era la definizione di struttura come una relazione di elementi tale per cui variando un elemento varia tutto il sistema. Questa fu una invenzione di De Saussure. Qual era il problema a questo riguardo? (Si diceva come il linguaggio acquisisce se stesso usandone di questo linguaggio.) Certo, potremmo dire che la funzione del linguaggio è quella di acquisire se stesso, quindi tutto ciò che è noto come esperienza, come conoscenza, è acquisire se stesso, non è nient’altro che porre in atto ciò di cui è fatto, cioè le sue regole e le sue procedure, nient’altro che questo. Variando un elemento varia la struttura, dice De Saussure, questo può avvenire, certo, ma soltanto in ambito retorico, in ambito logico non può variare niente, anzi abbiamo definito come invariante tutto ciò che è logico, per quanto riguarda le procedure cioè tutto ciò che necessariamente occorre che sia perché il linguaggio funzioni, e questo non può variare. Se variasse il linguaggio cesserebbe di funzionare... (Distinzione fra la percezione e  l’allucinazione.) Percezione senza oggetto… (Si può parlare di percezione o di allucinazione solo se si stabilisce qual è la realtà.) Supponiamo di costruire un programma, questo programma è fatto in modo tale per cui se il discorso in cui mi trovo “vede” Cesare, una certa persona fatta in un certo modo, allora lui afferma che “lui è Cesare” e quindi tutte le volte in cui avrò questo imput, dirò che vedo Cesare. (In questo modo affermando queste regole escludo altre regole.) Supponiamo, invece, di costruire un programma dove non c’è questa opzione che mi dice che se vedo Cesare allora dico che vedo Cesare, soltanto il mio discorso ha un certo riscontro, allora posso affermare che vedo Cesare anche quando ne parlo per esempio, senza vederlo, e questo avrebbe lo stesso valore rispetto a quel programma. (Però questo programma che ha questa opzione è sempre un  programma con una logica.) Sì, cioè che percepisce Cesare anche se non lo vede ma se per esempio lo pensa… (La percezione può essere fisica...) Sì, anche se pensa esiste, esiste in un modo differente ma questa differenza sembra essere fornita da una regola del gioco che dice che in questo caso è una cosa che si chiama realtà; nell’altro no, dice che è una fantasia o un sogno, un’allucinazione o qualunque altra cosa. Un problema ancora da risolvere... Io vedo Cesare, ho affermato prima che è il discorso che lo “vede” mettendo fra virgolette questo vedere perché è da precisare, cosa vuol dire una cosa del genere? (Che è il discorso che vede non io, i miei occhi, i miei occhi possono anche non vedere…) In effetti, posso anche riconoscere Cesare anche senza vederlo, ma in tutti i casi se affermiamo che è il discorso che lo vede e quindi lo percepisce, dobbiamo dire come fa a compiere questa operazione, basandoci unicamente su delle proposizioni. Noi possiamo dire che una proposizione che afferma che se una certa cosa ha una certa sagoma sì, ma se una certa cosa ha una certa sagoma è perché la vedo, direbbe Cesare, poi la riconosco ma se non la vedo ... E’ un po’ la questione che si poneva prima, che cosa riconosco se prima non ho conosciuto. E qui torniamo alla questione della percezione, vedete è ostica, come in questo caso, possiamo far funzionare la proposizione che afferma che il linguaggio acquisisce se stesso? E questa è l’unica possibile definizione di percezione, cosa acquisisce il linguaggio se io non vedo? Dobbiamo chiederci che cos’è il vedere o il sentire o qualunque altro dei cinque sensi, di cui sono provvisti gli umani? (…) Però c’è un intoppo perché ogni volta potrebbe obiettarsi “sì, certo, la fantasia può costruire delle cose ma a partire da cose che ha visto, per esempio può costruire anche un animale fantastico, un centauro prende la capoccia di un uomo e ci mette il corpo di un cavallo ma tutte queste cose le ha già viste, se non le avesse mai viste lei non le può pensare, dunque la vista precede il linguaggio....” (Però, potrebbe anche essere che il linguaggio precede la vista nel senso che io posso immaginarmeli...) Dovremmo giungere a fare ciò che i sofisti non sono mai riusciti a fare, cioè costruire tutto senza la vista, un’assoluta assenza di vista, come è possibile? (Tutto o alcune cose?) Va bene, incominciamo da alcune cose poi proseguiamo... (Il fatto che io dica che la vita è bella non necessita di figure)  Certo, perché è un significante astratto ...  (....) Sì, anche questo è legittimo, è bello, bello perché?.... Perché  Cesare dice di una cosa che è bella, in generale? (La sensazione di benessere che dà la cosa bella) Sì, perché partire dalle cose difficili? Partiamo dalle cose più semplici, per esempio se afferma che una montagna è bella, questo per potere affermarla occorre che la veda, anche se me la immagino la vedo con la fantasia, che ha costruito in un certo modo, ecc., ecc... Ciascuno ha una sua immagine della montagna che si è costruita nel tempo e parrebbe che questa affermazione non possa farsi in nessun modo se non si è vista una montagna, almeno una volta nella vita. Parrebbe così....( E la vita?) Ma la vita è un concetto astratto che non richiede la vista, anche il bello, come idea, o il bene o la giustizia o la verità, non può vederla la verità in nessun modo, ma una montagna sì, bella, solida....(...) Quindi, una quantità sterminata di proposizioni sembrano avere questa condizione che io abbia visto qualcosa, se no non potrebbero farsi. E’ che sembra una questione banale ma offre notevoli difficoltà perché pensiamo ad un nostro eventuale obiettore che ci muove obiezione, lui dice “ma se non hai visto qualche cosa come fai a parlarne? Se non avessi visto niente?” Come un cieco dalla nascita che non ha visto nulla, quindi non potrebbe parlare in teoria. (Lui però potrebbe dire che la vita è bella) C’è qualcosa che sfugge in tutto ciò, che cosa Cesare? Perché se diciamo che il linguaggio utilizza una qualche altra cosa o questa cosa la poniamo all’interno del linguaggio e quindi abbiamo la possibilità di reperirla comunque all’interno del linguaggio oppure è fuori? Queste sono tutte obiezioni che ci possono venire mosse, dobbiamo essere tetragoni ai colpi di ventura, diceva Dante, e finché non risolviamo questi quesiti non saremo tetragoni ... (Però se io affermo che ho visto un centauro necessariamente si tratta di allucinazione) Qui il discorso è ancora diverso. Il centauro si riconosce perché ha visto come è fatta la testa di un uomo e ha visto come è fatto il corpo di un cavallo, essendo le due cose un centauro, ma ci sono esempi più divertenti come il cerchio quadrato, si può vedere? Può essere solo un’allucinazione, cioè il fatto che gli angoli sono talmente fitti o il cerchio come poligono, sì certo, ci può essere un’illusione ottica, il poligono quando ha decine di migliaia di lati sembra un cerchio ovviamente, però non lo è logicamente non lo è. Un rosso verdastro oppure un blu verde o un rosso bianco, posso immaginarlo? Cosa vuol dire che io posso immaginare un cerchio quadrato, cosa sto dicendo con questo? Siamo in pieno Wittgenstein, cosa sto dicendo con questo? (....) Cambiando tutto sì ma io non posso vedere il bianco e il nero simultaneamente, senza vedere grigio, così come non posso neanche vedere il cubo di Escher simultaneamente da due lati, anche questo non posso farlo o vedo un lato o vedo quell’altro... eppure vedo tutto, eppure non riesco a vederlo simultaneamente dal basso e dall’alto, cioè attribuire a questa impossibilità una procedura del linguaggio... Continua a sfuggire qualcosa che poi risolveremo giovedì prossimo ché sempre di giovedì in giovedì risolviamo... Nel frattempo la settimana porta consiglio, si dipana la matassa.... In effetti, la domanda di Wittgenstein “che cosa ci stiamo chiedendo con questo?”, a questo punto ci rispondiamo se necessariamente qualcosa esiste fuori dal linguaggio, cioè se il linguaggio deve ammettere l’esistenza di qualcosa fuori di sé per potere funzionare e questo potrebbe anche essere, adesso che lei Cesare mi ci fa pensare, non che esista, badi bene, non è una questione ontologica, solo logica, senza l’onto, è necessario che costruisca qualcosa, che immagini, che pensi qualcosa fuori e cioè che per potere funzionare debba costruire qualche cosa, costruire una proposizione fuori di sé, un elemento fuori di sé. Questo potrebbe essere e, se così fosse, questo renderebbe conto esattamente del funzionamento del discorso occidentale, se fosse si spiegherebbe immediatamente perché esistono le religioni, che gli umani credono qualunque cosa che passi loro per la mente...(La questione del fuori e del dentro) No, o sì e no, nel senso che tutto ciò che abbiamo detto rimarrebbe intatto perché comunque è una costruzione del linguaggio, non ne è fuori, ma il linguaggio costruisce proposizioni....(C’è  bisogno di questa fantasia del fuori e del dentro) E non so se è una fantasia  o proprio una costruzione, è lì che adesso ci questiona la cosa, se è necessario che ci sia questo elemento ...

(CAMBIO CASSETTA)

... pare che perché funzioni tutto questo programma, noto come linguaggio, occorra una libreria, se c’è funziona, se non c’è c’è sì tutto l’apparato ma non funziona assolutamente niente, come ciascuno di noi sa (....) Le procedure ci sono (Inserire la spina ...) Sì, qualcosa del genere, manca quel elemento che consenta al tutto di avviarsi. Adesso detta in un modo molto rozzo, ovviamente... (....) E’ un’ipotesi che stiamo facendo, adesso non prendetela come certezza assoluta, è una ipotesi di lavoro cioè qualcosa che su cui occorre che lavoriamo. Intanto, ho detto che se fosse così, se fosse,  congiuntivo ipotetico, allora ci renderebbe conto di una infinità di cose che continuano a interrogarci senza trovare nessuna risposta e non sarebbe niente male (...) Senza questo elemento no (...) E’ come se girassimo intorno a qualche cosa che non è che ci sfugge per mancanza di abilità o elementi ... sembra che ci sfugga proprio strutturalmente, ci manca la libreria... Sì, questa è una bella questione su cui elaborare, l’eventualità che il linguaggio per funzionare occorre che costruisca una proposizione che affermi di sé di essere fuori dal linguaggio, se no non funziona. È una questione di proporzioni bibliche..., sì, da tanto che ci giro intorno però sempre con questa sensazione che qualcosa sfugga non per mancanza di elementi ma proprio per una questione strutturale, cioè manca qualche cosa che pure fa avvertire in modo incombente la sua presenza in modo massiccio, la domanda perché gli umani credono, a che scopo? Sì, poi tutte le storie che si raccontano, hanno bisogno di questo, di quest’altro occorre che ci sia qualcosa di ben più solido che muova cosa del genere, perché qualunque altra cosa rinvia ad un’altra domanda, perché l’uomo non vuole sentirsi solo. Perché non vuole sentirsi solo? Perché soffre di solitudine. Perché soffre di solitudine? Non andiamo da nessuna parte rispondendo, e invece così sì, ma se non lo è allora siamo daccapo... sì, però forse abbiamo trovato il codice di accesso ai programmi..., partendo da un inghippo e poi quando avremmo stabilito che necessariamente è così, dovremmo poi risolvere un altro problemino,  perché? (Perché è necessariamente così?) Abbiamo da fare per i prossimi dieci anni sicuramente. Adesso stiamo andando avanti molto rapidamente e non vorrei precorrere i tempi. Bene, direi che possiamo fermarci qui per il momento, abbiamo posto le fondamenta per qualcosa di straordinario. Bene, a giovedì prossimo. Nel frattempo, nessuno di voi perda di vista la questione.