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20-5-99

 

l’utilizzo –  la responsabilità

i valori e la comparazione

 

Intervento: i due desideri del gelato al cioccolato  e dell’uccidere l’altro

Pertanto la direzione in cui dobbiamo muovere è porre le cose in modo tale per cui  non possa di fatto farsi nessun altro gioco. Come interviene questo? Avviene al momento in cui ci si accorge che ciascun altro gioco cessa di interessare,  perché, possiamo anche dirla così, la posta in gioco è troppo bassa. Come dicevo martedì ma anche in altre occasioni, per lo stesso motivo per cui ho cessato di giocare con i birilli, è che il gioco non interessa più, per lo stesso motivo non è che un altro gioco valga meno o valga di più,  è che non mi interessa, cioè non ha nulla da offrire, annoia. Se io decidessi di dedicarmi alla magia, la cosa mi annoierebbe a morte, perché non offre nulla cioè è un gioco religioso,  è come se allo stesso modo decidessi di dedicarmi  “anima e core” al cattolicesimo, e diventassi un fedelissimo di  “comunione e liberazione” perché non avviene questa cosa? perché non mi interessa,  non perché valga di più o di meno, ma perché la posta in gioco in un discorso religioso è nulla e quindi non muove nessun interrogazione, nessuna elaborazione. Un gioco è interessante se muove un’elaborazione, cioè se provoca, se provoca a pensare, se provoca a riflettere a considerare, a elaborare, in caso contrario è un discorso religioso, quello che afferma che è così e bell’é  fatto, quindi direi che un punto di forza nel discorso in cui ci troviamo è che muove e promuove una continua elaborazione e pertanto rilancia continuamente la questione, la rilancia ma questo tra virgolette “paradossalmente” perché usa che una mossa… (…) era che questo discorso proprio per la sua struttura impedisse una ulteriore elaborazione cioè come  fosse giunto a una sorta di colonne d’Ercole, oltre il quale punto non fosse possibile andare. Si tratta di precisare che le cose non stanno affatto così, dal momento che è l’unico discorso che consente di affrontare una qualunque cosa ed elaborarla, qualunque cosa possa venire in mente,  qualunque intoppo, qualunque problema, qualunque questione che si incontra,  lungo  questo discorso è l’oggetto di una considerazione e cioè la domanda che ci si pone di fronte ad un elemento è questa  “che cosa ha ancora da dire questo elemento, che cosa ha ancora da muovere?”. Ciò che costituisce l’arresto è sempre inesorabilmente il discorso religioso, è solo questo che può arrestarsi, nello stabilire,  nell’affermare che le cose stanno così, stanno così e in nessun altro modo. Quindi detto questo,  dobbiamo trovare il modo e, in parte lo abbiamo trovato, perché il discorso che andiamo facendo si ponga come l’unico possibile. Quando durante la riunione, l’assemblea dell’associazione,  posi questa questione del porre il discorso sul pianeta è perché mi rendevo conto perfettamente che l’unica chance che ha questo discorso è di imporsi attraverso la logica, non può imporsi attraverso questioni di valori “vale di più”  di comparazione “è meglio questo, è meglio quest’altro” ma può porsi soltanto in questi termini cioè le cose stanno in questo modo perché non è possibile considerare altrimenti , questo è l’unico punto di forza, e molto potente,  del discorso che andiamo facendo e cioè non può essere altrimenti, non può essere altrimenti perché qualunque cosa che si ponga altrimenti risulta negabile, risulta confutabile. Ora come praticare  tutto ciò che andiamo dicendo per altro da molto tempo? (vista la difficoltà di molti di praticare un discorso come quello che facciamo) Da una parte è vero è molto difficile,  dall’altra invece potrebbe essere molto semplice. Perché molto semplice? Perché molto difficile, ciascuno trova molti motivi; perché molto semplice, anche nel praticare,  taluni già praticano, tal altri lo faranno, dicevo semplice anche rispetto alla pratica,  perché innanzi tutto sbarazza della necessità di doversi appellare a qualche cosa, a una teoria superiore,  a un codice, evita la necessità di dovere confrontare ciò che si ascolta con qualche altra cosa, come avviene generalmente in qualunque teoria psicanalitica, ma consente di ascoltare  un discorso e consente anche e soprattutto di porre la questione che già Freud aveva intravista quella del tornaconto in modo molto più radicale, cioè a che cosa mi serve questo, a che cosa serve una cosa del genere, io affermo che tutti quanti ce l’hanno con me, a cosa serve una cosa del genere? In prima istanza se si tratta del mio discorso a cosa mi serve? Cioè porre sempre in prima istanza l’utilizzo di una proposizione, non tanto il perché  sto dicendo questo, ma a cosa mi sta servendo, cosa me ne faccio? E questo porta immediatamente alla considerazione circa la funzione di una certa proposizione, qualunque essa sia, se io, dicevo, sostengo che tutti ce l’hanno con me, mi chiedo a che cosa mi serve questo e immediatamente di fronte a una proposizione del genere sorge quell’altra proposizione che dice che se tutti ce l’hanno con me allora io sono, intanto, al centro dell’attenzione, per esempio, e quindi a cosa serve? A pensarmi, intanto al centro dell’attenzione di molti, e poi posso proseguire che cosa mi serve pensarmi al centro dell’attenzione di molti? A non sentirmi abbandonato, per esempio, e ad accorgersi anche come anche  lungo una analisi che la fantasia di persecuzione può non essere altro che un modo per non  sentirsi soli e in alcuni casi sentirsi soli comporta dei problemi, proseguendo questo esempio, sentirsi soli non è altro che sentirsi responsabili in toto delle proprie azioni e quindi del proprio discorso, perché l’altra questione su cui occorre puntare sempre, sia nel discorso altrui che nel proprio, perché è sempre la stessa questione, è la responsabilità. Il discorso occidentale è fondato sull’assenza di responsabilità, rispetto al proprio discorso, come si diceva rispetto alla comparazione tra le cose, è meglio questo o meglio quest’altro, una volta che io ho stabilito che cosa è meglio, ecco che allora io  mi muoverò in quella direzione, mosso da una necessità superiore, in questo caso è il meglio, può essere il meglio per me, per la società, per qualunque cosa non ha importanza, essendo mosso da questa necessità superiore tutto ciò che faccio non richiede che io ne sia responsabile nell’immediato perché io mi muovo per un interesse superiore, è lui che mi muove e comanda, ma se io immagino di essere mosso da un interesse superiore,  e comunque mi chiedo, mi pongo la domanda di prima e cioè “a cosa mi serve una cosa del genere?” ecco che posso trovare con relativa facilità ciò che effettivamente mi sta muovendo e non è che mi muova per l’interesse superiore ma l’interesse superiore mi serve come giustificazione per fare ciò che sto facendo adesso, quindi direi due cose sulle quali sto ponendo l’accento questa sera e cioè l’utilizzo, l’utilizzo,  una cosa che avevamo visto quando leggevamo Wittgenstein, l’importanza dell’utilizzo di una proposizione. Una proposizione è tale in quanto è utilizzabile, ha un utilizzo, sapere individuare quale, ecco questo è fondamentale. Un modo per radicalizzare alcune delle tesi di Wittgenstein, anche interessanti, per altro suggerisco sempre la lettura, perché pone delle questioni che a tutt’oggi meritano di essere considerate, nonostante che rispetto a molte questioni siamo andati avanti; dunque dicevo due cose, l’utilizzo di una proposizione, questo vale tanto per il proprio quanto per il discorso altrui,  perché il modo in cui lo si ascolta è assolutamente lo stesso, lo si ascolta in quanto proposizione, poi che lo dica io e che lo dica un'altra  persona, non cambia niente, quindi l’utilizzo e la responsabilità, perché l’utilizzo e la responsabilità sono come due facce della stessa medaglia, se io mi domando qual è l’utilizzo che sta facendo una certa proposizione, a cosa mi serve? Accolgo anche la responsabilità di ciò che sto dicendo, ovviamente e viceversa, se accolgo la responsabilità di ciò che sto dicendo, mi domando a cosa mi serve cosa sto dicendo, questo, dicevo, anche nella pratica e cioè nell’ascolto di una persona che può rivolgersi a voi per i motivi più disparati, generalmente sta male, ma può anche stare benissimo, Cesare sta benissimo, mai stato meglio, però ecco se c’è per esempio una domanda mossa da curiosità intellettuale tanto più,  tanto più occorre insistere su questo aspetto e cioè l’utilizzo della proposizione, a cosa servono? Una persona dice una certa cosa, afferma una certa cosa, a cosa mi serve affermare questo? E non c’è l’eventualità che non gli serva a niente, perché se afferma una qualunque  cosa c’è un motivo, i motivi non sono altro che le proposizioni che precedono anche non dette che hanno costruito quello che si trova  a dire in quella circostanza, chiedersi a cosa serve una proposizione è richiamare altre proposizioni e cioè produrre e provocare un rinvio come l’esempio che facevo prima “tutti ce l’hanno con me”, se dico questo è perché ho un motivo e il motivo è esattamente il suo utilizzo, nient’altro, quindi il motivo per cui si dice una certa cosa, è il suo utilizzo, a che cosa mi serve? Procedendo in questo modo è possibile, probabilmente anche abbreviare i tempi di un’analisi, c’è questa eventualità, certo si tratta ciascuna volta in ciascun caso di trovare il modo per porre le questioni  in questi termini e cioè poter domandare qual è l’utilizzo di quello che si sta facendo. Se voi ponete una questione del genere a una persona che sta facendo la prima seduta probabilmente non intenderà ciò che gli state chiedendo, ma forse dicevamo la volta scorsa o quell’altra non ricordo più, occorre che quando un’analisi inizia, chi si pone nella condizione di analista,  ponga le condizione perché possa esserci analisi, perché possa darsi questo percorso, ché non è così automatico. Porre le condizioni perché ci sia analisi è porre le condizioni perché questa domanda non solo possa farsi,  ma sia la persona stessa a porsi in modo radicale e cioè non possa non porsela che è esattamente ciò  che fa un analista, che è colui che non può non porsi questa domanda, “a che cosa mi serve ciò che sto dicendo, qual è il suo utilizzo?”, dal momento che non c’è nessuna cosa che si dica che vada da sé, cioè che vada senza un motivo, vale a dire senza un utilizzo, e il motivo è questo che se si dice qualcosa è perché ha un utilizzo. Utilizzo è ciò che muove, occorre certo dire ancora di più rispetto a questo dell’utilizzo delle proposizioni, cosa distingue una proposizione da una preposizione? (le preposizioni sono di /a /da/in / con /) i logici distinguono fra proposizione e frase, la proposizione è una stringa di significanti che è sottoponibile a un criterio vero/funzionale, la frase no. Perché la frase non è né vera né falsa. Per esempio una esclamazione è una frase, “dio che botta che ho preso” urtando contro uno spigolo,  è una frase facevo tempo fa l’esempio, della frase musicale che non è né vera né falsa,  così  tutte le interiezioni, le imprecazioni, le esclamazioni ecc. ma anche altre non sono sottoponibili a un criterio verofunzionale, per i logici invece la proposizione è quella stringa di significanti che ha questa prerogativa di affermare qualche cosa di vero e quindi affermando che una certa cosa è vera afferma immediatamente che la contraria è falsa, ma è sottoponibile a un criterio verofunzionale. Per esempio tutti gli accendisigari sono neri, sto affermando una verità, ora è provabile? posso provare che tutti gli accendini sono neri? qualcuno può provare invece che questa affermazione è falsa cioè che non tutti gli accendini sono neri, questa è una proposizione perché afferma qualcosa, qualcosa che è sottoponibile a un criterio verofunzionale, cioè afferma che una certa cosa X è vera, questa è la proposizione, la frase no, non afferma che una certa cosa sia vera (intervento 21.1.1999 - la frase nominale e gli avverbi-) sì per altro già allora posi questa questione e cioè che le cose che andiamo dicendo hanno la struttura di frase ancorché di proposizione, perché non sono sottoponibili a un criterio verofunzionale, perché non affermano una verità sottoponibile a un criterio verofunzionale, sono affermazioni che sono al di qua di qualunque criterio verofunzionale, per esempio la frase che afferma che nulla è fuori dalla parola, questa volta uso frase, non può essere a rigore di termini, di logica anche così come abbiamo posta, dichiarata una proposizione, perché qualunque criterio verofunzionale utilizzerà il linguaggio e quindi sarà al di là di ciò che noi andiamo affermando, se io affermo che nulla è fuori dal linguaggio, per potere costruire una proposizione cioè porla come una stringa di significanti che afferma la verità di un elemento x, cioè qualcosa è fuori dalla parola, occorre una struttura che è appunto il linguaggio, e quindi ciò che andiamo dicendo non può essere dichiarato una proposizione  perché ciò che afferma è al di qua ancora di qualunque possibile proposizione, cioè di qualunque possibile criterio verofunzionale quindi a rigore di termini ciò che andiamo affermando sono frasi e non proposizioni….la frase di per sé non è negabile non ha nessun senso negarla così come  di fatto, la frase che abbiamo stabilito e cioè che non c’è un elemento che possa essere fuori dal linguaggio, non può negarsi in nessun modo, così come non può negarsi una frase musicale non ha nessun senso, e questo è uno dei punti di forza, di tutto il discorso che andiamo facendo, il fatto di costituirsi come frase necessaria e non come proposizione, potremmo dirla così, (…) non è sottoponibile perché è al di qua di qualunque criterio di verità pensabile, per costruire un criterio di verità occorre costruire una struttura che è il linguaggio, chiusa questa parentesi torniamo alla questione dell’utilizzo, dicevamo qualunque elemento ha un utilizzo, se si dice è perché ha un utilizzo, se no non potrebbe dirsi, io dico adesso una parola che non ha nessun senso, se io dico per esempio ”bum bara bum” questo elemento linguistico che significato ha, che senso ha? Non ha nessun utilizzo! No? E allora perché l’ho detto? Se non perché volevo dimostrare che è un elemento e quindi  ha un utilizzo e pertanto, e pertanto è un elemento linguistico, e un elemento linguistico è tale proprio perché ha un utilizzo, se non avesse di fatto un utilizzo non sarebbe un elemento linguistico, poiché eravamo giunti a considerare che ciò che non ha nessuna possibilità di essere utilizzato è ciò che afferma che qualcosa è fuori dal linguaggio, questo non ha nessun utilizzo perché non ha nessun rinvio, ché dovrebbe rinviare a qualcosa che è fuori dal linguaggio e quindi non può rinviare a niente. Chiaro il concetto! (…) il discorso dei valori è sempre religioso non si può mai uscire, sì perché il discorso dei valori comporterebbe per la struttura del discorso in cui ci troviamo, supponiamo che io affermi che come diceva lei ammazzare qualcuno è peggio che buttare via una caramella, allora stabilisco una categoria di valori ma una categoria di valori non può essere necessaria ed è inevitabilmente arbitraria, poi uno può accettare chiaramente delle regole, così come è arbitrario stabilire che quattro assi battono due sette, allora se voglio fare quel gioco devo accogliere quelle regole se no, no. Se no ammazzare qualcuno o buttare via la carta delle caramelle è esattamente la stessa cosa, così come accade in alcune circostanze, dove anzi buttare via la caramella è molto più grave (…) qual è la connessione Cesare fra ciò che andiamo dicendo  dell’utilizzo e il discorso sui valori, capisaldi del discorso occidentale?

Ponendo il valore io pongo un elemento superiore, e quindi se una cosa ha un valore supremo allora io mi muoverò o meglio ancora sarà questo valore supremo a muovere e a dirigere le mie azioni e io sarò assolutamente privo di responsabilità, che è lo stesso discorso che facevano gli ufficiali tedeschi al processo di Norimberga “non sono io che ho ammazzato, ho ricevuto degli ordini” e siccome il codice militare prevede che un ufficiale obbedisca necessariamente agli ordini degli ufficiali superiori, se quelli ordinano di uccidere lui deve uccidere, rispetto a un codice militare non erano sicuramente condannabili ma siccome hanno vinto gli americani, li hanno condannati, però a rigori di termini e di leggi i  militari non erano punibili, perché hanno obbedito a degli ordini superiori quindi per un valore superiore (che in quel caso erano gli ordini degli ufficiali superiori) e quindi toglie ogni responsabilità, se io credo nei valori questi valori sono ciò che mi muovono non sono io che li uccido allora la domanda non si pone nemmeno “qual è l’utilizzo di ciò che sto dicendo” l’utilizzo di ciò che sto dicendo, che sto facendo non è altro che il raggiungimento o l’ottemperamento di un certo valore, ma non sono più io l’artefice, io sono soltanto il tramite, l’esecutore di un valore supremo. Sì. (però non ho inteso la connessione tra i valori e…) perché se c’è questa domanda, questa domanda che l’analista della parola non può non porsi, cioè qual è l’utilizzo di ciò che sto facendo, ovviamente questo viene posto rispetto anche a un qualunque valore, “io credo che sia bene fare così” che utilizzo ha questa proposizione? Non si pone se questo è vero o falso, bene o male, ma qual è il suo utilizzo. L’analista della parola non si pone mai domande se è bene o male, né se è vero o falso, ma qual è l'utilizzo di una domanda, di una proposizione, solo questo. Nient’altro che questo e muovendo da questa interrogazione procede, sempre lungo questa via “qual è l’utilizzo” “cosa mi serve, cosa serve al mio discorso?” cosa che poi lo porta anche ad intendere l’economia del proprio discorso, cioè come si muove questo discorso, in quale direzione sta andando….e questo anche lungo un’elaborazione teorica non è che procede differentemente procede esattamente allo stesso modo, io compio una affermazione e l’unica questione che si pone è qual è il suo utilizzo all’interno per esempio del gioco che stiamo facendo nella “Seconda Sofistica” qual è l’utilizzo di una certa proposizione? È utilizzabile? Se sì, in che modo? (…) se sono affermazioni sono tali perché hanno un utilizzo e quindi mi chiedo per esempio qual è l’utilizzo di ciò che sto dicendo in questo momento e trovo che l’utilizzo in questo caso è potere aggiungere degli elementi tali che consentano di rendere ciò che andiamo facendo più solido e più persuasivo anche, poi ovviamente anche questo ha un utilizzo, questione che ci siamo già posti infinite altre volte, l’utilizzo è poi quello strutturale a ciascuna stringa di significante a ciascun atto linguistico, potremmo dire, quello di proseguire il linguaggio, continuare a dire, a parlare…

Intervento: Peirce sosteneva che l’utilizzo è quello di mantenere una credenza affermarla… il fissarsi della credenza… per quale motivo gli umani non vogliono essere responsabili…

Ma  potremmo dirla così, essere responsabili di ciò che si dice, in accezione che andiamo indicando non è altro che avere appreso la struttura del linguaggio, e quindi non potere non considerare che ciascun atto, di qualunque tipo sia, è un atto linguistico. Apprendere la struttura del linguaggio comporta anche che cosa? che ciascun atto linguistico è strutturalmente una frase poi può diventare anche una proposizione, all’interno di un gioco particolare, un gioco particolare stabilisce delle regole che sono quelle che stabiliranno poi il criterio vero funzionale. Ma l’idea, si faceva questa ipotesi tempo fa, ancora da discutere, da elaborare è che il timore fondamentale sia quello che di fronte a una struttura o una proposizione in questo caso,  se provabile questa proposizione tanto vera quanto falsa, il discorso si arresti. Questo comporta la scivolata verso la struttura religiosa, cioè quella che risolve, toglie di mezzo questo pericolo, indicando come il bene da una parte e il male dall’altra, il vero da una parte e il falso da quell’altra, quindi una vera è l’altra è falsa, che è legittimo ma è legittimo soltanto all’interno soltanto della struttura del linguaggio, non delle proposizioni, cioè delle frasi, legittimo perché di fatto l’unica affermazione che può porsi in questi termini è quella che afferma che nulla è fuori dal linguaggio, in effetti la contraria non è sostenibile, perché dovrebbe appoggiarsi su qualcosa fuori dal linguaggio e non lo può trovare,  visto che per trovarlo dovrebbe uscire dal linguaggio, e quindi ecco che sorge la religiosità, il modo per sbarazzarsi di questo pericolo che il linguaggio si fermi, e cioè la morte, la morte è sempre stata immaginata come l’impossibilità  a parlare, a fare, a comunicare, e quindi il pericolo mortale è che il discorso si arresti. assumersi la responsabilità del proprio discorso è riproporre, reintrodurre la questione che il discorso religioso ha tentato di eliminare definitivamente, e in buona parte c’è riuscito, cioè reintroduce la paura che la proposizione possa essere ad un tempo vera e falsa, simultaneamente e quindi che il discorso si arresti, per cui se non c’è addestramento alla struttura del linguaggio, non c’è uscita dal discorso religioso, perché la paura è tale che impedirà comunque di uscirne dal discorso religioso, ci si tornerà inesorabilmente. Tutti i timori della perdita delle sensazioni, delle emozioni alludono alla morte, un discorso così freddo, arido è mortale ma la morte è la paura che si enuncia di fronte all’eventualità che il discorso si arresti, cioè se è così una cosa allora effettivamente, per alcuni, parecchi è simultaneamente vera e falsa, quindi sono bloccato, è la morte, ma stiamo considerando come consentire alle persone di pensare che la questione non solo non è in questi termini ma è esattamente il contrario, cioè che il discorso religioso è il discorso della morte, si costruisce su questa paura della morte, e si alimenta la paura della morte da sé, fino alle sue rappresentazioni, cioè toglie la morte perché chi è fedele cattolico quando morirà non morirà del tutto ma rimarrà finalmente in contemplazione di dio, catatonico per l’eternità, dicevamo tempo fa che invece il paradiso degli islamici è più interessante perché una volta morto lui, se muore facendo un atto eroico,  settanta vergini sono a sua disposizione che è meglio  che rimanere catatonici in contemplazione di una luce e invece le donne non sono menzionate nel paradiso di Allah, si vede che non hanno accesso… (c’è sempre comunque lo stupro da qualche parte) sì sempre l’antica questione. Una volta leggemmo quel mito antico delle Danaidi, (Detienne) queste fanciulle, le Danaidi, che in seguito a qualche evento vengono razziate da dei predatori i quali abusano di loro, secondo la migliore tradizione, le Danaidi cosa fanno? Nottetempo per vendicarsi dell’onta subita sgozzano gli stupratori, ora però narrano, questi erano i primi uomini e le prime donne, che una si commosse, si commosse e risparmiò l’uomo e da qui nacque la progenie.