INDIETRO

 

 

20-4-2016

 

Pag. 93: (stiamo sempre leggendo Eraclito di Heidegger) Secondo Platone l’essenza delle cose ossia l’idea è difficile da vedere perché l’occhio dell’uomo è offuscato e non perché l’essenza delle cose si nasconda, l’essenza infatti non si cela affatto bensì è qualcosa di chiaramente luminoso e splendente (si riferisce all’essere ovviamente) si va quindi contro il modo corrente di pensare l’essenza della φύσις e persino l’essenza dell’idea, la quale è solo l’ultimo riflesso della φύσις iniziale, se si dice che la φύσις preferisce celarsi ma si intende agli occhi dell’uomo (questo può essere interessante, teniamo conto che la φύσις così come l’abbiamo posta sulla scorta un po’ di quello che dice Heidegger, la φύσις è ciò che non cessa di sorgere, ciò che non cessa di dirsi potremmo anche dire, ora a questo punto potremmo volgere la cosa in questo modo, cioè per gli umani è difficile vedere che le cose continuano a dirsi, gli umani preferiscono pensare che si esauriscano nel detto e che non ci sia altro da dire, cioè che cessi di sorgere questo dire, una volta che ha detto quello che doveva) Nella traduzione citata la presunta incomprensibilità della φύσις di cui in verità non si fa affatto menzione viene attribuita all’uomo e al suo essere “distratto” oppure a una disposizione e a una inclinazione della φύσις stessa e si pensa che questo tratto lo avrebbe evidenziato una volta per tutte un pensatore come Eraclito ma la φύσις non ha bisogno di celarsi perché come del resto dimostra l’esempio la mancanza di senno degli uomini provvede da sola a fare allontanare dal loro sguardo la vista del sorgere, che già da sempre dispiega la propria essenza (possiamo dirla, volgerla così, che le cose si dicono comunque anche se nessuno gli presta ascolto, ciascuno dicendo, dice molto di più di quanto pensa di dire perché le cose che dice sono l’avvio a un processo che il parlante non può fermare, non può fermare il linguaggio, può non ascoltarlo però, questo lo può fare e lo fa tranquillamente) Il detto di Eraclito dice quel che dice della φύσις non in vista (vi ricordo il detto, φύσις κρπτεσθαι φλει la traduzione “la natura ama nascondersi” è mutata da Heidegger in “ciò che non cessa di sorgere si concede al nascondimento” si concede, qui il concedersi è da intendere perché non è che si dà propriamente ma permette, consente potremmo anche dire che, evocando il segno di De Saussure, il significante concede al significato di dirsi e il significato concede al significante di dirsi, in questo senso “concede”) la φύσις non si nasconde davanti all’uomo bensì il sorgere proprio in quanto sorgere si mette al sicuro nel nascondersi, in quanto quest’ultimo costituisce la garanzia essenziale del sorgere stesso (se voi trasponete tutto questo nel segno linguistico diventa tutto molto chiaro perché lui dice “la φύσις non si nasconde davanti all’uomo” certo il dirsi del linguaggio non si nasconde “bensì il sorgere proprio in quanto sorgere si mette al sicuro nel nascondersi”. Nel segno il significante si mette al sicuro nel nascondersi, cos’è nascosto nel segno? cosa non è sensibile? Il significato l’ultrasensibile, il trascendente per usare termini filosofici, “in quanto quest’ultimo (il nascondersi cioè il significato) costituisce la garanzia essenziale del sorgere stesso” infatti è dal significato che sorgono le cose, dal significato cioè dall’essere per Heidegger, è lì che le cose sorgono, il significato, l’essere per Heidegger è quell’apertura che consente agli enti di apparire e il significato consente al significante di apparire. Come diceva De Saussure “la Langue” che consente alla “Parole” di eseguirsi, perché la Parole così come la poneva lui non è altro che una possibile esecuzione di tutto ciò che è contenuto nella Langue. Ora che il sorgere sia in questo modo anche il nascondersi, potete leggerlo così, con il fatto che il significante presuppone il significato che presuppone il significante, dunque che il sorgere sia in questo modo anche il nascondersi non vuole dire che la φύσις si celi, ma che la sua essenza la dischiude nel sorgere proprio in quanto nascondersi, nel momento in cui il significante si dice proprio in quel momento il significante mostra il significato. Dicendosi il significante non può non apparire un significato, siccome significante/significato non possono essere la stessa cosa per cui se c’è il significante potremmo dire che l’apparire del significante “cela” il significato, e nel momento in cui appare il significato che è ciò che consente al significante di essere quello che è, se c’è il significato non c’è il significante ancora. Sembra che ci sia uno spazio temporale fra i due ma non è così, però tenete sempre conto che un significante non è mai un significato perché c’è la differenza, la barra per De Saussure, la differance per Derrida e la differenza ontologica per Heidegger, che dice che l’essere non è l’ente, non lo sarà mai, così come il significato non sarà mai un significante, quando appare il significante appare in quanto significante non in quanto significato ma è questo apparire che “concede”, per stare alle sue parole, al significato di intervenire. È il significato originariamente che si dà, cioè l’essere, perché è l’essere che concede all’ente di apparire. Anche De Saussure mette il significato di sopra e il significante di sotto, è Lacan che l’ha capovolto, ma per De Saussure c’è significato barra significante: il significato costituisce la possibilità di dire qualche cosa perché c’è già una rete di significati, come dire che è possibile l’intervento di un significante perché ciascun parlante è già nel linguaggio. Questa questione Heidegger l’ha incontrata con l’essere ovviamente, ma l’ente può darsi l’essere senza l’ente? L’essere si manifesta attraverso gli enti, attraverso il particolare, cioè l’universale l’essere si manifesta attraverso le cose particolari, infatti quando io parlo di ‘rosso’ mi riferisco sempre a un certo rosso, a questo rosso qui, non c’è “il rosso”, è un concetto generale, universale, che non è sensibile, nessuno vede “il rosso” in quanto tale, vede dei rossi. Come fa Heidegger a dire che comunque c’è l’essere che è prima e dopo c’è l’ente, è sempre problematico, l’ha risolta meglio De Saussure dicendo che c’è una simultaneità, che non può darsi l’uno senza l’altro, in una simultaneità, per cui il significante e il significato si danno simultaneamente. Però quando appare il significante, il sensibile, il suono, quello non è il significato, ha un significato ma non è un significato, è un'altra cosa. Appare il significante e il significato appare anche lui ovviamente ma in un differire, perché c’è la differenza, ed è questo differire tra significante e significato che rende il segno problematico) Proprio perché l’essenza della φύσις sta nel fatto che essa non si cela diventa possibile che l’intelletto comune si arresti di fronte a questa essenza e di fronte a questo fatto irritante si ostini nella propria opinione che risulta comprensibile unicamente perché esso stesso l’ha creata, poiché la φύσις non si cela ma è semplicemente sorgere e dell’aperto essa è ciò che vi è di più prossimo tra tutto quanto ci è prossimo (sta continuando a dire che la φύσις, cioè il sorgere non si cela, è impossibile fermarla, la parola continua e non c’è modo di arginarla, dice “per quanto non lo si voglia considerare è comunque ciò che è più vicino a tutti in ogni caso sempre” è un discorso che non è molto lontano da ciò che diceva Freud rispetto alle fantasie: le fantasie sono sempre lì, sono quelle che creano le situazioni, le scene, le immagini, tutto, e anche se si vogliono eliminare sono sempre presenti) In quanto il sorgere come tale dona il favore al nascondersi (cioè il significante che appare dona il favore al significato) anche il nascondersi si inserisce nel sorgere in modo che quest’ultimo può sorgere dal nascondersi e può restare da parte sua al sicuro nel nascondersi ossia può rimanere in esso inserito (le due cose si presuppongono reciprocamente, cioè il sorgere come tale dona il favore al nascondersi, ma anche il nascondersi si inserisce nel sorgere, in modo che a questo punto può sorgere il nascondersi e può restare da parte sua al sicuro nel nascondersi. Ma cosa vuole dire che resta al sicuro nel nascondersi? Qui Heidegger chiaramente pone la questione rispetto all’essere però anche per quanto riguarda il segno di De Saussure in effetti se ci pensiate bene nel segno desoussuriano cos’è che resta al sicuro nel nascondersi? Abbiamo significato e significante e una barra che li differenzia inesorabilmente, ora “ciò che sorge” dice Heidegger cioè il dire resta al sicuro nel nascondersi, ciò che sorge cioè il dire. Lo mette al sicuro in quanto ciò che lo mette al sicuro è il significato, nel senso che dà al significante la sua enticità, cioè fa essere il significante quello che è, in questo senso lo mette al sicuro) La φύσις stessa che si dà a vedere nel dispiegamento essenziale nominato. Aρμονία è l’accordo in cui il sorgere si accorda al nascondersi e quest’ultimo col sorgere (sta dicendo che in questo frammento non si nota questo accordarsi, “accordarsi” vale a dire che entrambi lavorano per una stessa cosa) la parola greca per “accordo” è ρμονία con questa parola pensiamo subito all’accordo dei suoni e comprendiamo l’armonia nel senso dell’unisono, (cioè fanno uno, il segno in effetti fa uno, è uno perché significante e significato muovendosi all’unisono valgono uno) ma il tratto essenziale dell’armonia non va cercato nella sfera del suono e del timbro sonoro bensì nello ρμÒj nella connessione per cui una cosa si adatta a un’altra ed entrambe le cose si connettono in modo che vi è accordo (cioè rispondenza) poiché però il nascondersi non è qualcosa al di fuori del sorgere è accanto al sorgere, non è qualcosa che si offre successivamente in appoggio al sorgere e ad esso si adatta ma è ciò che la φύσις accorda da se stessa come ciò in cui essa stessa rimane fondata proprio per questo cui domina la φύσις stessa in quanto accordo armonia della connessione, in questa connessione sorgere e nascondersi si scambiano l’un l’altro reciprocamente in concessione della loro essenza (se si vede la cosa in termini linguistici c’è un accordarsi di significante e significato, una armonia, un accordarsi che consente a entrambe le cose di presupporsi reciprocamente, come dire che non c’è l’uno senza l’altro, si accordano i due, si accordano, direbbe De Saussure, per formare il segno dell’armonia che è il φeiν della φύσις stessa) Il sorgere in quanto è ciò che in generale accorda l’apertura luminosa affinché accada il manifestare (qui c’è la filosofia di Heidegger, il sorgere, l’essere “l’essere in quanto accorda l’apertura luminosa affinché accada il manifestare” affinché accada il significante. È come se dicesse che il significato, a un certo punto, si apre per concedere al significante di manifestarsi) quindi il sorgere si ritira però sullo sfondo quando si dispiega il manifestare ogni cosa che si manifesta ed esso non è mai qualche cosa che si manifesta tra le cose (in altri termini ancora sta dicendo che il sorgere, che abbiamo visto prima che cos’è, si ritira sullo sfondo quando si dispiega il manifestare, il sorgere in questo caso è il sorgere del significato che si ritira davanti al significante, c’è accordo tra i due, c’è presupposizione ma torno a dire, non sono mai la stessa cosa) La φύσις (che è il sorgere) non appare all’interno di ciò che sorge e di ciò che è sorto come se fosse una cosa che si manifesta bensì in tutto ciò che si manifesta rimane l’inappariscente che però non è affatto l’invisibile come traducono falsamente le così dette traduzioni filologiche, la φύσις non è invisibile essa è al contrario ciò che si scorge all’inizio che sebbene si dia a vedere innanzi tutto e per lo più non è mai in assoluto e propriamente in vista (sta dicendo che il rosso, l’essenza del colore rosso, l’essere del rosso è inappariscente, ma non è invisibile propriamente, perché è lì sempre in tutte le cose rosse, è sempre lì, è sempre sotto gli occhi anche se rimane inappariscente, cioè non si riesce a coglierlo. Trasposta rispetto a ciò che dicevamo prima del segno è ciò che rimane da dire in ciò che si dice, è sempre lì presente, non si vede, non si coglie ma è sempre lì, per coglierlo occorre ascoltare, cioè lasciare che qualche cosa possa dirsi ancora, solo a questa condizione allora ciò che non è detto ha l’occasione di dirsi. Il dire è ciò che continuamente sorge, in ciò che si dice qualche cosa rimane non detto, c’è anche quest’altra possibilità, in effetti ciò che non è detto, lo diceva prima, è il fatto che continua a sorgere, cioè non cessa di sorgere. Qui per Heidegger non sembra tanto che il non detto coincida con il dire, perché nella posizione di Heidegger rispetto all’essere, l’essere è ciò che a un certo punto si manifesta, si manifesta attraverso l’ente che non è l’essere ovviamente, e quindi ciò che rimane inappariscente in qualche modo nell’ente che si manifesta è l’essere. Non è che l’essere scompaia propriamente, può non manifestarsi, può nascondersi e può disvelarsi, questo è quello che fa continuamente, nel momento in cui appare come ente si vela, nel momento in cui si appare c’è un’apertura che si dispiega, per dirla in altri termini ancora, nel momento in cui c’è un progetto, c’è l’idea di fare qualche cosa, in cui si è gettati in questo progetto ecco che allora c’è l’eventualità che altri enti possano apparire, possano darsi. Nella filosofia di Heidegger l’essere non è un quid, cioè non è l’ente, l’essere è un progetto come dice esplicitamente, un progetto gettato, e in questo progetto, che è storico, cioè è qualche cosa che interviene per l’uomo, che definisce l’uomo in quel momento preciso, in questo progetto in cui l’uomo vuole fare qualche cosa, vuole modificare qualche cosa, vuole agire nel mondo, questo volere agire nel mondo, questo progetto è l’essere, quindi occorre sempre tenere conto di questo aspetto quando lui parla di essere, perché Heidegger con essere intende un progetto sempre. L’essere che si manifesta, cioè il progetto che si pone in essere, si pone, in atto è per Heidegger ciò che consente alle cose di apparire. Le cose appaiono sempre all’interno di questo progetto per cui qualunque cosa io faccia, può essere un ente, qualunque cosa, qualunque cosa io faccia è sempre all’interno di un progetto, non può darsi fuori da un progetto e il progetto è il suo significato. Perché uno vuole costruire una medicina che salva il mondo? Soltanto per buon cuore e magnanimità? No dice Heidegger, Nietzsche peggio ancora, ma dice che questa cosa qui fa perché preso all’interno di un progetto che riguarda tutte le cose che pensa, tutte le cose che desidera, che fa, il fatto che facendo questa cosa diventa più bravo dei suoi colleghi, il fatto che avanza di grado. Qualunque cosa si faccia, l’uomo è sempre preso in un progetto. È questa l’invenzione di Heidegger: ha spostato la nozione di essere, perché prima di Heidegger l’essere era un quid, era cioè quello che lui ha sempre detto, un ente, è stato scambiato per un ente, per un qualche cosa, ma non è un qualche cosa, un quid, è quel progetto in cui ciascuna cosa si fa, cioè quella φύσις all’interno della quale qualunque ente appare, ma appare all’interno di questa φύσις, all’interno del sorgere di quelle cose di cui l’uomo è fatto, i suoi pensieri, le sue fantasie, le sue paure, angosce, desideri eccetera tutte queste cose che intervengono e che lo rendono “storico”, cioè delimitato in un certo ambito. Tutte queste cose costituiscono il progetto, quelle cose che lo fanno muovere in una direzione anziché un’altra. E qual è il progetto, quello autentico, quello per cui vale la pena vivere? Quel progetto che intanto conosce la sua finitudine, per tutti i progetti che l’uomo può fare qual è quella cosa che sicuramente appartiene all’uomo, cioè gli è peculiare assolutamente e di cui non può non tenere conto? La morte, è l’unica cosa che appartiene agli umani con certezza, nella tradizione appare così, quindi di questo tiene conto il progetto, per questo dice che il progetto comporta una finitudine, comporta un fare i conti con questo. Lui parla di essere per la morte, che non è soltanto la morte così come si intende generalmente ma come un qualche cosa che in ogni caso vedrà il progetto terminato, concluso. Un progetto che non ha fine non è un progetto perché non si compirà mai. Perché un progetto sia tale occorre che abbia una fine, un compimento, cioè si compia. Poi ci sono tante interpretazioni sulla questione della morte in Heidegger, ognuno ha detto la sua e anche lo stesso Heidegger non è che sia stato mai così esplicito, mai così chiaro a questo riguardo. Lui si è posta la questione domandandosi che cosa è più peculiare, perché tutte le altre cose possono essere facoltative, l’unica cosa che secondo lui non è facoltativa è la morte. Da quando Aristotele ha deciso che gli umani sono mortali non c’è più stato verso. Quindi l’essere è il progetto, quando Heidegger parla di essere ne parla sempre in quanto progetto gettato, e la φύσις, il λόγος, l’λήθεια sono modi di questo progetto, sono modi dell’essere. In questo senso dicevo prima che l’essere è il significato ed è effettivamente così come lo pone Heidegger, il significato dell’agire, perché il mio agire è mosso da ciò che voglio fare, perché ci sono intorno una quantità di altri elementi che sono andati in quella direzione, elementi di cui sono fatto. Ciò che io faccio, l’immediato, il contingente, sarebbe l’ente, questo ente ha come significato l’essere, cioè il progetto entro cui e per cui esiste. Questa è in due parole la filosofia di Heidegger. Anziché “Essere” lui preferisce parlare di “Dasein” cioè “Esserci”, che non è l’essere come era pensato prima, un quid, identico a sé, inamovibile, immobile, messo magari nell’empireo no, ma è l’esserci qui e adesso, cioè storicamente determinato, per questo “Sein und Zeit” cioè Essere e Tempo perché è la temporalità che dà la specificità all’esserci in quanto tale, cioè dà al progetto la sua specificità perché è il mio progetto adesso. Perché è nell’adesso che io progetto) L’etimologia diventa un gioco di parole senza senso se non si esperisce lo spirito del linguaggio, vale a dire se non si fa esperienza dell’essenza dell’essere e della verità a partire dai quali il linguaggio parla, l’aspetto pericoloso dell’etimologia non sta tanto nell’etimologia stessa quanto piuttosto nell’insulsaggine di coloro che la praticano oppure il che è la stessa cosa nell’insulsaggine di coloro che la combattono, così un filologo può tranquillamente passare tutta la vita occupandosi diligentemente della lingua greca e arrivare a dominarla senza però essere mai sfiorato dallo spirito del linguaggio ma anzi lasciando stare onestamente e rettamente, al posto dello spirito del linguaggio, il proprio mondo quotidiano, è il modo di rappresentare comune sebbene mutato dal punto di vista storiografico /…/ Pag. 102 Se il non tramontare mai (il non cessare di sorgere) non concedesse più il favore al nascondersi, non avremmo più ciò da cui il sorgere in quanto tale possa sorgere non potremmo più avere ciò in cui quest’ultimo possa essenzialmente dispiegarsi in quanto non tramontare mai, il non tramontare mai non scompare ma anzi si dispiega essenzialmente nel nascondersi poiché quest’ultimo dispiega necessariamente la propria essenza nel sorgere proprio per questo, dunque non si può affatto dire che il sorgere tramonta la sua essenza dovrebbe dispiegarsi nell’inesistente, il non tramontare mai non potrebbe mai diventare un mero tramontare ed essere assorbito da esso, anche se ora non fosse innanzi tutto in grado di concedere l’essenza (ecco qui dice se il non tramontare mai, cioè il non cessare mai di sorgere, non concedesse il favore al nascondersi, se, mettiamola così, se dal segno linguistico togliamo la differenza tra significante e significato e incolliamo il significante al significato ecco allora si verificherebbero quelle cose che lui sta dicendo, a questo punto non c’è più il sorgere continuo, a questo punto non c’è più produzione di segni perché è dalla differenza del segno che si producono altri segni. Questo “non tramontare mai si dispiega essenzialmente nel nascondersi”, cioè questo continuare a dirsi si dispiega nel fatto che qualche cosa dicendosi, apparendo, cioè il fatto che il significante pur differendo dal significato ciò nonostante è presupposto dal significato, cioè non può darsi senza il significato, è il significato che propriamente è come se lo custodisse. E in effetti lo fa perché dà al significante la possibilità di essere significante, se non ci fosse il significato il significante non significherebbe niente, quindi sarebbe niente) Se il sorgere e il tramontare sono in un certo senso la medesima cosa perché il pensatore quando pensa questa cosa pensa comunque sempre alla φύσις? Perché non dice τ δνον (nascondersi) visto che nell’essenza della φύσις il nascondersi ha gli stessi diritti del sorgere? (perché ha fatto tutto questo giro Eraclito per dire il suo detto?) Perché al posto del termine τ δνον si ricorre all’espressione opposta τ μή δνον πότε? La φύσις ha quindi un primato, questo primato è soltanto apparente e sussiste finché intendiamo la φύσις guardandola a partire da ciò che forma la sua essenza, a partire dall’armonia (l’armonia è quella connessione, quel connettersi della φύσις, di ciò che sorge, con ciò che si nasconde) poiché la φύσις è ρμονία in essa è nominato in modo ugualmente essenziale il nascondersi (c’è il sorgere e il nascondersi, allora perché, si chiede Heidegger, Eraclito pone l’accento sulla φύσις cioè sul sorgere?) proprio per questo al posto di φύσις potremmo anche dire τ δνον e fare attenzione al fatto che questo tramontare in quanto è un entrare nel nascondimento e però al tempo stesso è già da sempre un sorgere (dopo tutto sembrano due facce della stessa cosa) soltanto il sole che sorge e che si allontana dal sorgere spiegando la propria essenza può anche tramontare (cioè solo se il sole sorge può tramontare, cosa che non ci dice nulla fra l’altro, ma è un esempio, e gli esempi sono sempre molto pericolosi: dire che il sole soltanto se sorge può tramontare è un fatto linguistico, “sorgere/tramontare” non sono entità che stanno da qualche parte, non sono fatti identici a sé, immutabili, sono qualche cosa che è stato costruito. Che il sole sorga è qualche cosa che esiste per i parlanti, cioè esiste per il linguaggio, per un leone il sole né sorge né tramonta, non c’è nulla di tutto ciò, infatti dice “certamente” ecco su questo certamente …) al sole appartiene sia il sorgere che il tramontare e perciò quando parliamo del sole non lo intendiamo unicamente come sole che sorge ma lo intendiamo anche come sole che tramonta. Il sole viene messo in relazione col tramontare solo a partire dal riferimento al sorgere dicendo φύσις, però il “sorgere” ha il primato e ciò che questo termine indica è essenzialmente uguale al “tramontare” e potrebbe anche essere chiamato con questo termine, se però vediamo che la parola “φύσις” ha un primato questo deve avere i suoi motivi, per spiegare il primato della φύσις rispetto al κρπτεσθαι (cioè al nascondimento, δνον sarebbe il tramontare letteralmente, κρπτεσθαι invece è il nascondimento) si potrebbe addurre questo motivo: il sorgere è il positivo, il tramontare è il negativo, da per tutto il positivo precede il negativo questo non soltanto nell’ordine dell’affermazione e della negazione bensì in ogni porre in assoluto, infatti non si capisce come potrebbe esserci una negazione se prima non ci fosse qualche cosa di posto, un positum, qualcosa di positivo che la negazione toglie e cancella con il cancellare non si da alcun inizio, il togliere e il cancellare lascia intravedere fin troppo chiaramente che il negare rimanda a qualcosa di già posto e dipende da esso, non solo nel singolo caso bensì in modo essenziale, ad “andar via” e “tramontare” può essere solo qualcosa che si è fatto avanti e che è sorto poiché il cancellare è un elemento secondario ciò che si pone inizialmente, il porre in generale, la posizione e il positivo conservano un primato insuperabile (qui sta dicendo una cosa che potrebbe sembrare banale ma non lo è, lui pone l’accento dunque sulla φύσις anziché il δνον, il sorgere anziché tramontare, perché il sorgere è il positivo è ciò che pone, ciò che afferma, ciò che afferma cioè ciò che è necessario che ci sia perché ci sia una differenza, perché ci sia un proseguimento, perché ci sia una qualunque cosa occorre partire da qualcosa che c’è, qualche cosa che c’è, solo a questo punto gli si può far fare tutto quello che si vuole, la differenza, tutto quello che ci pare, ma si parte da qualche cosa che c’è, cioè da un comando, perché altrimenti non c’è modo di illustrare questa cosa se non utilizzando la metafisica e cioè dicendo che è qualcosa che è necessariamente. Dunque è necessario che ci sia un elemento, è necessario cioè che ci sia un’affermazione. Non è molto lontano da ciò che diceva Nietzsche, Nietzsche parlando della verità cosa dice che è un’illusione anche questa cosa che si pone, che poniamo è un’illusione, perché non possiamo né provarla, né certificarla, non possiamo fare nulla, ma se non ci fosse non potremmo andare avanti, non potremmo fare niente. Diceva così della verità, che è un’illusione necessaria a partire dalla quale poi si fa tutta una serie di operazioni, ma questa illusione necessaria è l’affermazione, l’idea che l’affermazione fermi qualche cosa lo stabilizzi, si potrebbe anche andare oltre qui però è complicato, ve la dico così, poi avremo modo di pensarci negli anni futuri. Dicevo l’illusione, ma di qualche cosa che è posto, che è stabilito, che è affermato, che è salvato? È questa? Anche questa è un’illusione, il fatto che il significato “salvi” nell’accezione che indicavo prima, cioè dia al significante la sua essenza, anche questa è un’illusione? Oppure no, e se no perché? Avremo modo nei prossimi anni di lavorarci su perché è tutto da vedere, da pensare, anche il fatto che l’essere sia ciò che dà all’ente la sua enticità. Se pensiamo in un certo modo allora sicuramente sì, se c’è un ente occorre qualche cosa che dia a quell’ente la possibilità di essere quello che è, se si pensa in un certo modo, cioè se si pensa in modo metafisico, è possibile uscire dal pensare in modo metafisico? Se con “metafisica” si intende il rinvio da un elemento a un altro, cioè che per dire qualche cosa ne dobbiamo dire un’altra, che ciò che appare si dissolve sempre in un’altra cosa? Difficile a dirsi, tanto più difficile quanto più è difficile uscire da questo modo di pensare, ammesso che sia possibile uscirne, ancora non saprei dirvi, quello che mi sembra di potere dire con relativa certezza è che sicuramente appare impossibile, mantenendo quel sistema di pensiero, per il quale per dire una cosa ne serve un’altra. Occorre riflettere molto bene, cogliendo anche le indicazioni di Heidegger sul modo di interrogare: cosa diciamo quando diciamo che per dire una cosa dobbiamo dirne un’altra? Cosa stiamo dicendo esattamente? Cosa stiamo facendo? Soltanto riproducendo un modo di pensare?