INDIETRO 

 

 

20-2-2013

 

Intervento: io vorrei tornare alla questione dell’esercizio di potere che deriva dal funzionamento del linguaggio, ieri sera si parlava del discorso paranoico e di come solo lo psicanalista, se è tale, possa elaborare la questione paranoica per affrancarsene, questa mi pare una questione centrale proprio legata al funzionamento del linguaggio e a come il linguaggio “costringe” tra virgolette i discorsi a cercare la prevaricazione, a cercare il potere e di imporlo nei modi stabiliti, nei modi consoni, in tutte le varie configurazioni, elaborare una questione di questo genere, stiamo parlando sempre del funzionamento del linguaggio e quindi delle affermazioni che gli umani si trovano a fare continuamente per esempio in una teoria psicanalitica, dicevamo proprio nell’ultimo incontro, cercare di parlare agli psicanalisti per cercare di cambiare modo di pensare comporta comunque dover fare delle affermazioni e allora quello che mi interroga è come fare a, visto che ciascuno è costretto dalla struttura del linguaggio ad affermare e una teoria è fatta di affermazioni, come fare per non avere più la necessità quindi di ritrovarsi a esercitare del potere

Questa è una bella questione e ne parlerò anche nella conferenza di questo aspetto. L’idea è partire dall’illustrare per quale motivo mi occupo di linguaggio, perché ho idea che nessuno abbia la più pallida idea del motivo per cui io mi occupi di linguaggio se non per un ghiribizzo intellettuale. La questione da cui si può partire è la questione della talking cure che ha inventato Anna O, e cioè la cura con le parole e Freud, a questo, ha aggiunto che questo curare con le parole si rivolge a qualche cosa che a sua volta è stato costruito dalla parola, i vari sintomi, i vari acciacchi, e a questo punto si può definire che cosa intendo con linguaggio e dire che con linguaggio intendo una sequenza di dati che vengono elaborati attraverso delle istruzioni. Vengono elaborati, vengono combinati questi dati in modo tale da potere da una parte ricevere altri dati, e dall’altra parte produrre altri dati, cioè nuovi dati, nuove informazioni. Tutto questo avviene attraverso una trasmissione, e in effetti sarebbe più corretto forse dire che anziché imparare a parlare, il linguaggio avviene attraverso una trasmissione, una trasmissione proprio come avviene tra una macchina e una macchina, allo stesso modo, o tra un uomo e una macchina. Vengono trasmessi dei dati, delle istruzioni per elaborarli e quindi per connetterli attraverso regole abbastanza rigide: per esempio la congiunzione non può essere una negazione. Quindi è una definizione di linguaggio che è abbastanza vicina a quella proposta dall’informatica. A questo punto il linguaggio come sistema, ma occorrerà precisare che intendo sistema nell’accezione di De Saussure; questo sistema produce delle parole, produce delle sequenze, poi le parole si connettono in proposizioni, in sequenze sempre più complesse fino a costruire racconti, discorsi, storie eccetera. La cosa importante in tutto ciò è che tutto questo si svolge nell’ambito di parole, di sequenze che costruiscono parole, che costruiscono scene, costruiscono fantasie. Una delle domande importanti a questo punto è se possa darsi un qualche cosa, un quid che invece sia fuori da queste parole. La questione è delicata, perché si può dire che io veda Cesare, occorre che io intanto sappia che c’è un qualche cosa, che questo qualche cosa è Cesare, e che quindi Cesare significhi qualche cosa, in caso contrario avverrebbe come per una telecamera, anche una telecamera riprende Cesare, però per la telecamera Cesare significa qualcosa? Significa niente, sono soltanto variazioni cromatiche che registra, immagazzina, oppure variazioni di movimento, recepisce queste variazioni perché è fatta per recepirle ma Cesare in quanto tale non significa assolutamente niente, non ha un significato per la cinepresa. Per la macchina da presa Cesare non significa niente, per noi sì, per noi significa qualcosa, significare qualcosa vuole dire che fa segno letteralmente, fa segno e quindi rinvia a qualche altra cosa: Cesare significa qualcosa perché rinvia a qualche altra cosa, se non rinviasse a nulla non significherebbe nulla. Esattamente come avviene per una cinepresa, non rinvia a niente, queste variazioni cromatiche, queste variazioni di movimento, di stato, non rinviano a niente, vengono immagazzinate in attesa di farsene qualcosa e quindi perché qualcosa significhi, cioè perché qualcosa esista per qualcuno è necessario che sia all’interno di un sistema di segni e cioè possa rinviare a qualche cosa, almeno al suo significato, il significato è già un rinvio. Perché qualche cosa sia qualche cosa per gli umani occorre che sia all’interno di un sistema di segni, cioè all’interno di un linguaggio, il linguaggio è anche un sistema di segni nel senso che è fatto in modo tale per cui ciascun elemento per potere esistere, per potere dire di sé di esistere, deve essere connesso con altri elementi, deve rinviare necessariamente ad altri elementi, se non altro appunto al significato. Tutto questo porta a una questione che è ancora più importante: la considerazione che nulla è fuori dalla parola, e cioè che qualunque cosa accada per gli umani, non sto parlando di una videocamera, ma per gli umani, qualunque cosa accada è all’interno di un sistema linguistico. Questo ha delle implicazioni, e queste implicazioni ci conducono a considerare che ogni cosa che viene detta, viene pensata, elaborata, considerata eccetera ha come riferimento, come rinvio, non qualcosa che è fuori dal linguaggio, perché non può esserci qualcosa fuori dal linguaggio, perché non avrebbe nessun rinvio e quindi non sarebbe niente, tutto ciò che si dice, si pensa e si fa avviene all’interno di questo sistema e quindi rinvia soltanto e semplicemente e inesorabilmente e necessariamente all’interno del sistema linguistico quindi non può riferirsi ad altro se non ad altre parole. A questo punto, tutto ciò che viene costruito, non avendo nessun riferimento, nessun referente, tutto questo che cos’è, a questo punto, se può agganciarsi, ha come rinvii soltanto altre parole? È un gioco, è un gioco perché non può dire di sé di riferirsi ad altro se non altre parole, non si aggancia a nient’altro se non ad altre parole, quindi tutto questo ci porta a considerare che qualunque cosa gli umani hanno pensato, detto, fatto eccetera e continueranno a dire e a fare sono giochi linguistici. Ovviamente tutto ciò che sto dicendo in questo momento è un altro gioco linguistico, dal momento che ho considerato che non c’è uscita dal gioco linguistico, tutto ciò che stiamo dicendo è un gioco linguistico che non ha nessun referente all’infuori del gioco in cui si trova, in cui lavora, per così dire. Gli umani si muovono in questa maniera, si muovono attraverso giochi linguistici che pongono in atto ininterrottamente, ingannati dal fatto che immaginano che le cose che dicono, fanno, non siano dei giochi linguistici ma abbiano come riferimento qualcosa che è fuori del linguaggio e quindi identico a sé, immobile, eterno, fermo lì da sempre. Se fosse così in effetti questa cosa, questo quid fuori dal linguaggio, sarebbe, proprio perché fuori dal linguaggio, privo di qualunque connessione e quindi privo di qualunque significato, perché il significato è un rinvio, dunque se volessimo pensare che ci sia qualche cosa fuori dal linguaggio, saremmo costretti a pensare che questo qualcosa non significa niente. Dicevo che anche tutto ciò che sto dicendo ovviamente è un gioco linguistico, un gioco linguistico costruito da una regola del linguaggio e da altre considerazioni che procedono da altri giochi linguistici, se consideriamo che per avere una nevrosi, una paura, una fobia, un accidente qualunque è necessario che io creda che ciò che penso non sia un gioco linguistico, ma sia qualche cosa che si riferisce a un quid che è fuori dal linguaggio, perché se no non c’è nessuna nevrosi perché non posso credere più a nulla, allora porre le questioni in questi termini, e cioè considerando con attenzione il funzionamento del linguaggio e praticando il linguaggio, non soltanto qualunque tipo di fobia, di nevrosi eccetera non ha più motivo di esistere perché non è più supportato da niente, ma si perde anche la possibilità di trovarsi un giorno a costruire un’altra nevrosi, perché non ha più, come dicevo prima, nessuna possibilità di essere supportata da alcunché. Questa è l’unica questione clinica che abbia qualche interesse, cioè che conduca chi pratica il linguaggio, nel senso che lo agisce anziché subirlo, a trovarsi nella condizione di non avere più la necessità di credere che qualcosa esista fuori dal linguaggio, quindi non può non sapere che tutto ciò che ha costruito, che sta costruendo appartiene al gioco che sta facendo in quel momento, e che non ha nessun riferimento, nessun referente se non altri giochi linguistici.

Per riassumere: la psicoanalisi come talking cure, una cura che avviene attraverso le parole, Freud ha considerato che questa cura che avviene attraverso le parole “cura”, cose che sono state costruite dalle parole quindi tutto quanto si svolge nell’ambito di parole. Questo ha mosso una curiosità intorno alle parole, e quindi un’attenzione a quella cosa che chiamiamo linguaggio. Quindi una definizione di linguaggio, una definizione più prossima a quella stabilita dagli informatici di quanto lo sia quella fornita dai linguisti. La definizione data dagli informatici è quella che consente di dire che più che imparare il linguaggio lo si trasmette, lo si trasmette parlando, e quindi a questo punto abbiamo detto che il linguaggio si trasmette e fornisce quella serie di dati e di istruzioni che consentono la costruzione di parole. Potrei anche dire che alcuni immaginano che le parole vengono dal nulla, magicamente, ma c’è l’eventualità che non sia proprio così, quindi a questo punto possiamo anche dire che cosa intendiamo con “parola”: l’atto attraverso il quale gli umani costruiscono delle sequenze che permettono loro di costruire scene, argomentazioni, discorsi, permettono di trarre conclusioni, di prendere decisioni. La parola quindi come un’esecuzione di quelle istruzioni di cui dicevamo prima. In effetti la parola agisce, agisce costruendo qualche cosa che prima non c’era, quindi a questo punto la domanda che si poneva era “se sia mai possibile il darsi qualche cosa, un quid che sia fuori dal linguaggio?” e cioè quel qualche cosa che comunemente si chiama realtà. Uno dei modi di verifica di una costruzione sarebbe l’adaequatio rei et intellectus, e cioè il verificare una proposizione osservando la realtà. Potrei tornare alla metafora informatica, cioè a una macchina che sa valutare se una certa sequenza è vera o falsa senza nessun riferimento a nessuna realtà, per esempio semplicemente in base alle istruzioni che sono state messe dentro, gli si dice “guarda che se dici questo è vero, se dici quest’altro è falso”, e lei si comporta di conseguenza, non ha mai visto né l’una cosa né l’altra, cionondimeno sa esattamente quale sequenza è vera e quale è falsa. Intervento: la cosa funziona in quanto viene riconosciuta…

Sì, ma questo riconoscimento non è naturale, è stato inserito: “ogni volta che vedi questo fai quest’altro” e la macchina esegue, cioè “vede”, potrebbe vedere se provvista di videocamera, se no, semplicemente c’è una stringa che è fatta in un certo modo; gli si dice che questa stringa deve essere accolta perché questa stringa significa quest’altro, lui l’accoglie: ogni volta che c’è questa stringa significa questo, la macchina “comprende”, non ha bisogno di un riferimento esterno. Neanche gli uomini tecnicamente avrebbero bisogno di un riferimento esterno, anche se ha delle virtù, può essere piacevole, divertente eccetera ma non è necessario…

Intervento: quindi perché l’istruzione sia possibile…

Occorre che qualcuno gliela metta dentro, solo questo. Prendi le istruzioni che vengono fornite a un computer per funzionare per esempio, c’è un linguaggio, che si stabilisce qual è, e si stabilisce che ogni volta che si costruisce una certa stringa, quella stringa significa quella parola, cioè rinvia a quella cosa, non si insegna così agli umani? L’esistenza stessa per una macchina è una costruzione, cioè gli si insegna che se ci sono certe cose, cioè rileva certe sequenze, questa cosa la chiama “esistenza”, dopodiché, a questo punto, le cose esistono, perché sa che questa cosa si chiama “esistenza” quindi la chiama “esistenza”. Tutto questo avviene all’interno di un sistema fatto di dati e di istruzioni che li elaborano, non c’è bisogno di nient’altro, esegue le istruzioni che gli sono state messe dentro…

Intervento: ciò che noi sappiamo è che la natura è quella è reale…

Dici qualche cosa di “reale” che serve da parametro, comunque è qualche cosa su cui ci si basa per esempio per incominciare a parlare…

Intervento: il sistema di riferimento deve essere reale, necessario…

C’è un sistema di riferimento, è ovvio, e sono le istruzioni che vengono immesse. Se tu affermi che occorre qualcosa di reale, la domanda “perché?” è inevitabile, oltre naturalmente a illustrare cosa intendi con “reale”. Quando si evocano questi concetti, di reale, di realtà, si rischia di cacciarsi nei guai anche perché poi devi illustrare quello che dici. Dire che cos’è la realtà, definire che cos’è la realtà o è un atto arbitrario, cioè io decido che la realtà è quello che piace a me, ciò che decido io cioè per esempio ciò che cade sotto i miei sensi io lo chiamo realtà. Va bene, è una decisione, però non ho detto nulla di che cosa sia la realtà, ho soltanto detto qual è il criterio che utilizzo per indicarla, nient’altro che questo. Dovremmo chiederci che cos’è un qualche cosa, e cioè l’Essere dell’ente? A quel punto puoi dire qualunque cosa o il suo contrario, quindi domandarsi che cos’è la realtà è già un modo di partire quanto meno bizzarro, anche perché bisognerebbe sapere già prima che cos’è “il che cos’è”? Dire che cos’è la realtà comporta per lo meno dei problemi che a tutt’oggi non sono stati risolti, e che non hanno nessuna possibilità di essere risolti, né adesso né mai, e allora non resta che considerare che qualunque definizione venga data di realtà è arbitraria, è personale, perché non c’è un modo di stabilire che cosa sia la realtà, a meno che immaginiamo che la realtà sia un qualche cosa fuori dal linguaggio, ma allora, se è fuori dal linguaggio ovviamente non rinvia a niente, perché non c’è nessun rinvio, se non rinvia a niente non rinvia nemmeno a un significato, quindi non può significare niente, quindi la realtà in questo caso non significa niente, quindi dire che esiste anche questo non può significare assolutamente niente. La questione dei giochi comporta immediatamente la fine di ogni ideologia, nel senso che qualunque metafisica viene immediatamente dissolta perché non c’è nessuna causa prima che muova il tutto, e alla quale il tutto debba riferirsi, come tende a fare l’ideologia, e cioè ricondurre tutto a un’idea, fissa, stabile, certa e sicura, se non c’è questa idea l’ideologia non ha più né da fare né da dire, scompare nel nulla, si dissolve come neve al sole.