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20- 2- 2008

 

La filosofia da sempre si è occupata di questo: della verità. La questione che potrebbe essere curiosa è perché da 2500 gli umani si interrogano sulla verità, quindi sull’essere, perché l’essere è necessariamente vero, non può essere falso se fosse falso non sarebbe più essere, sarebbe nulla, se neghiamo l’essere ci troviamo di fronte il nulla. Che cos’è l’essere per la filosofia, da sempre? Ciò che sussiste sempre, permanendo se stesso in se stesso…

Intervento: allora potrebbe essere la definizione di altre cose… anche solo della verità…

Infatti l’essere viene fatto coincidere con la verità, una verità sub specie æternitate cioè sempre identica a sé…

Intervento: anche il concetto può essere definito così…

No, il concetto può mutare…

Intervento: però… sì anche il concetto di verità però il concetto…

Il concetto di verità può mutare ma la verità per definizione non dovrebbe né potrebbe mutare, anche se io do un concetto errato di verità, ma la verità…

Intervento:…

Sì, come è intesa dalla filosofia certo, in effetti il modo in cui la poneva Marconi in questo libricino verso la fine è proprio in questi termini, cioè come qualche cosa che comunque indipendentemente da come la descrive, indipendentemente dal fatto che io la conosca oppure no comunque è quello che è, indipendentemente dall’idea che me ne faccio, dal modo in cui la descrivo, dal fatto di poterla sapere oppure no comunque la verità non cambia, e quindi la proposizione che la afferma è vera perché corrisponde alla realtà dei fatti e nella tradizione l’essere e la verità sono quasi sinonimi in effetti perché se è  allora è anche la verità, non ci sono vie di mezzo, e come dicevo deve essere immutabile tant’è che la definizione alla quale si approssima Marconi fornisce un’idea di verità che è quella che è necessariamente, non può essere un’altra. Non è neanche così lontana dall’idea che ne avevano i medievali come adæquatio rei et intellectus, cioè l’adeguamento del pensiero o della proposizione alla cosa stessa, il mio pensiero dice la cosa così come è naturalmente. Come sapete questa nozione di verità deve essere identica a sé, immutabile, e deve sempre corrispondere in quel momento a ciò che è. Tuttavia questo modo di porre la verità è sì utilizzabile dal discorso certo ma non è quella che gli umani hanno sempre cercata perché una certa corrispondenza che è vera adesso può modificarsi e quindi se è vera questa affermazione adesso può non esserlo fra dieci minuti, allora risulterà falsa e quindi non è esattamente questa la nozione di verità che gli umani vanno cercando, perché deve essere qualche cosa che fornisca il riferimento ultimo e definitivo, non può cambiare mai per nessun motivo, è la verità assoluta, se può cambiare allora è una verità momentanea, temporanea e allora è più un vero simile: è vero che in questo momento questo tavolo si trova qui, è vero, corrisponde al fatto che tutti lo vedono ma questo rientra all’interno di un gioco che facciamo e che è comunemente accettato, ma la nozione di verità quella assoluta non ha a che fare con il fatto che il tavolo stia qui in questo momento perché può modificarsi, il tavolo può essere altrove tant’è che gli umani hanno inventato la nozione di dio per riferirsi a qualche cosa che doveva essere sempre e necessariamente identico a sé, però anche ponendo la questione in questi termini e cioè come qualcosa che è sempre e comunque identico a sé si pongono dei problemi perché abbiamo visto che è difficile stabilire che una cosa sia identica a sé senza un terzo elemento e l’essere, cioè la verità, non può avere bisogno di altro per sussistere se no dipende da qualche cos’altro non da se stesso come invece si vorrebbe che fosse. Le obiezioni che fanno sia i relativisti sia gli scettici alla questione della verità sono legittime, se si intende la verità come qualcosa che deve essere sempre identica a se stessa, ma utilizzando, per esempio, un’argomentazione tipo quella di Severino diremmo che per essere identica a sé deve essere formulabile questa identità, e per essere formulabile occorre un terzo elemento, un tertium comparationis, dicevano i medioevali, e se c’è bisogno di un terzo elemento allora questa identità dipende da altro e non da sé e quindi già sorgono dei problemi, oppure si possono muovere ancora altre obiezioni ma in ogni caso avrete rilevato che al momento stesso in cui un qualunque elemento come per esempio la verità o l’essere o qualunque cosa vogliate è posta fuori dal linguaggio incominciano a sorgere problemi perché per dirne comunque mi serve sempre il linguaggio, anche per stabilire la loro esistenza, la loro sussistenza, la loro verità, e dire per esempio che la verità consiste nel fatto che in questo momento Stefania beve che questa affermazione è vera se e soltanto se Stefania sta bevendo, è un modo abbastanza ingenuo di porre la questione della verità perché è ingenuo? L’ingenuità consiste nel fatto che si definisce la verità in base a qualche cosa che di per sé non è necessario, cioè io stabilisco che la verità sia una certa cosa, un certo tipo di corrispondenza, ma che io stabilisca questo è una mia decisione, occorrerebbe un criterio che fosse assolutamente necessario, io posso decidere che la verità è l’essere stesso, posso decidere che la verità è identica a sé, posso decidere che è parziale, che è soggettiva, che è quella che diceva mia nonna, posso decidere quello che mi pare, occorrerà che io abbia un criterio assoluto se no andiamo poco lontani…

Intervento: come dire che io “so” che la neve è bianca e quindi la bianchezza della neve deve essere implicita… il proprio di Aristotele?

Questo non è altro che l’adeguamento della proposizione a ciò che io riscontro, ma perché dovrebbe essere questo la verità? È una decisione...

Intervento: perché la neve è bianca… io ho imparato che la neve è bianca quindi è neve se e solo se è bianca se no è un’altra cosa…

Prendiamo la questione in un modo ancora più complesso, supponiamo che io affermi che in questo momento sono su Marte, questo va contro tutti i criteri e contro ogni buon senso, questa affermazione che afferma che io sono su Marte è una proposizione falsa, perché è falsa? Qualcuno saprebbe rispondere?

Intervento: se sei qui non sei su Marte…

Per potere dire tutte queste cose che hai appena dette tu devi adeguarti a una serie di giochi linguistici che hai imparato, certo, ma i quali giochi linguistici per potere mostrare o esibire la verità devono prima mostrare essi stessi di essere veri, questo può portare a dei problemi, l’affermazione che dice che io sono su Marte in questo momento è falsa a condizione di accettare una serie di giochi linguistici che affermano che per essere su Marte occorre che il mio corpo si trovi in una certa posizione su una cosa che si chiama pianeta che è situato a una certa distanza dalla terra ecc. ma tutti questi giochi che appaiono istintivamente veri, ma istintivamente nel senso che ciascuno li ha appresi fin dai primi vagiti per così dire e quindi sembrano necessariamente veri, di fatto non hanno nessuna necessità, sono giochi, giochi linguistici sorretti da regole arbitrarie ed è per questo motivo che gli umani in realtà non hanno mai saputo provare che la loro definizione di verità sia necessaria, non hanno mai potuto farlo, hanno fornito delle definizioni più o meno interessanti, più o meno suggestive ma provare che fosse vera necessariamente questo non è stato possibile perché per farlo occorrerebbe, come sappiamo già, porre la definizione fuori dal linguaggio perché se no ha sempre bisogno di qualche cosa, di qualche cos’altro che lo definisca e cioè non può esibirsi da sé, mentre la verità dovrebbe esibirsi da sé, se ha bisogno di qualche cos’altro occorre che questo qualche cos’altro sia vero naturalmente ma come dicevamo posta fuori dal linguaggio non può rispondere se non in modo paradossale, sempre e comunque, questo conduce a pensare che la nozione di verità non possa trovarsi se non all’interno del linguaggio. Heidegger giunse a considerare che il linguaggio è la dimora dell’essere perché è attraverso il linguaggio che si scopre l’essere e di conseguenza la verità però dicendo questo, pur essendosi avvicinato, mercoledì prossimo parleremo di Heidegger, di fatto continua a considerare il linguaggio uno strumento per raggiungere qualche cosa e questo lo porta irrimediabilmente fuori strada perché nessuno si è accorto che è il linguaggio che consente la costruzione, per esempio, di una teoria che immagina il linguaggio come strumento, è il linguaggio che consente di costruire questa teoria non è che si costruisce da sé e tutto questo ancora una volta ci porta a considerare che non può darsi nulla che non sia costruito dal linguaggio. Nel pensare comune invece si suppone generalmente che la più parte delle cose non lo sia, ma il fatto che non lo siano io posso crederlo ma non lo posso provare e in ambito teoretico ci si aspetta che una affermazione fatta in questo ambito sia provabile attraverso argomentazioni naturalmente, non c’è altro modo per affermare che ciò che si afferma è vero se non con argomentazioni, sequenze di argomentazioni, in che altro modo? Non c’è alcuna possibilità di stabilire che qualcosa sia fuori dal linguaggio, eppure gli umani anche quelli più attenti, più accorti, quelli che in ogni caso hanno passato tutta la vita a fare queste considerazioni anche se di per sé non è una garanzia non hanno inteso la cosa più semplice, più ovvia: se per dimostrare che una cosa è vera io devo argomentare ed è da questa argomentazione che viene fuori la verità, che si manifesta la verità, in che modo posso pensare che non sia vincolata a questa struttura argomentativa che mi consente di giungere al vero? Sarei ingenuo se pensassi una cosa del genere e gli umani sono stati ingenui o hanno mostrato di esserlo parecchio, in ogni caso se io definisco una certa cosa assolutamente vera è perché c’è il linguaggio che me lo ha consentito e quindi affermare che questo è vero dipenderà dalla struttura stessa del linguaggio, se il linguaggio fosse strutturato altrimenti allora altro sarebbe vero necessariamente, per ipotesi assurda, se io per misurare una certa cosa uso un metro la mia misura sarà vincolata a questo sistema metrico, se uso i pollici o le iarde ecco che sarà vincolata a quest’altro tipo di misura, se usa il linguaggio sarà vincolata alla struttura del linguaggio, è una considerazione talmente banale da essere passata inosservata in questi ultimi 2500 anni, nessuno ci ha fatto caso tanto era sotto il naso di tutti, eppure così è, ora naturalmente si può spingere la considerazione oltre e cioè questo sistema che noi usiamo, cioè il linguaggio, può essere modificato? Variato? È una questione complessa perché per modificarlo o per variarlo devo comunque utilizzarlo cioè devo continuare a utilizzare quella stessa struttura di cui è fatto il linguaggio e questo renderebbe sicuramente la cosa complicata, ma sia come sia è quello che usiamo, una sorta di sistema operativo, che consente a ciascuno di pensare, di pensarsi o qualunque altra cosa ma questo pensare, questo pensarsi è comunque sempre vincolato alla struttura del linguaggio che è una struttura non è la natura delle cose come vogliono i logici, il modo naturale di pensare… cosa vuole dire naturale? O ce lo ha dato dio e allora bisogna credere in dio cosa che presenta altri problemi di altra sorta oppure non significa niente, e allora cercando la verità che cosa trovo esattamente? Uso il linguaggio e che cosa trovo? Altro linguaggio, nient’altro che questo, la definizione, l’utilizzo che io farò di questo concetto o di questo termine, di questo lessema, questa parola, sarà comunque necessariamente all’interno del linguaggio ovviamente cioè cercando la verità io non trovo la verità propriamente, trovo altre parole, come quando una persona cerca sul dizionario una parola, per esempio, cacciavite: strumento, utensile per avvitare le viti a taglio o a stella, cioè occorre trovare altre parole per definire una qualunque cosa, altre parole. Alcuni si sono interrogati sul fatto che questa serie di altre parole definiscano oppure no quella parola che vado cercando, cioè il cacciavite esattamente, naturalmente sono soltanto giochi linguistici, giochi, nient’altro che giochi fatti di regole e un gioco per essere tale ha bisogno di regole per giocare e le regole non sono nient’altro che dei comandi: questa cosa si può fare e questa no, molto semplicemente e quindi quando i filosofi cercano l’essere, la verità, non trovano altro che altre parole, altro linguaggio, poi per convenzione io stabilisco che con ‘orologio’ intendo questo aggeggio qui, sì certo ed è molto comodo questo sistema anziché usare appunto una perifrasi e questo che dicevo è un aspetto notevole, sapere che comunque ciò che si è trovato non è altro che linguaggio, altre parole, altri giochi linguistici e nient’altro che questo. A questo punto è ovvio che la nozione di verità, o quella di essere, essendo un elemento linguistico si attiene alle regole come qualunque altro elemento linguistico, alle regole del gioco che io sto facendo e allora può essere vero che io in questo momento sono qui, può essere vero invece che io sono a Tokio a seconda delle regole che stabilisco in quel momento di giocare, nessuno me lo vieta, ciascuna regola è sempre di per sé arbitraria: è necessario che ci siano regole ma quali regole di volta in volta è totalmente arbitrario, torno a dire che è necessario per giocare a carte che ci siano delle regole ma quali regole questo è arbitrario tant’è che ci sono delle regole diverse se gioco a canasta, a tre sette, a poker o a briscola ma è necessario che ci siano delle regole se voglio giocare…

Intervento: ma chi le stabilisce queste regole?

Se lei per esempio vuole inventare un gioco di carte nuovo, lei stabilisce delle regole, un gioco che si chiama “Stefania” dopodiché chiunque vorrà giocare a “Stefania” dovrà attenersi alle regole che ha inventate, se vuole giocare a quel gioco, se no gioca ad un altro. Come dicevo le regole sono sempre arbitrarie non è necessario che siano quelle, occorre però che ci siano per giocare se no non si gioca…

Intervento: sì ma io magari voglio giocare un gioco e un’altra persona ne vuole giocare un altro…

Allora fate giochi diversi…

Intervento: il gioco chi lo decide?

Chi vuole giocare naturalmente, chi decide se io voglio giocare a poker? Io lo decido in genere a meno che qualcuno non mi obblighi, se no decido io ma una volta che ho deciso di giocare a poker devo attenermi alle regole del poker se no gioco un’altra cosa. Torno a ribadire una cosa fondamentale: cercando la verità comunque quando trovo qualcosa trovo altri elementi linguistici, nient’altro che questo, che poi posso utilizzare naturalmente all’interno di un certo gioco che è il gioco della verità che mi dice che se avviene una certa cosa allora ci sarà quell’altra. In tutti questi millenni trascorsi nessuno ha mai considerato una cosa così semplice, così ovvia…

Intervento: come mai?

Questa è una bella domanda, potrei rivolgerla a lei, perché lei non ha mai considerato? Avrebbe potuto farlo se lo avesse voluto…

Intervento:…

Se avesse potuto anche certo. Eppure sono sempre domande intorno alla verità, se è vera una certa cosa, se fare questo o fare quest’altro, se è bene e se è male, si è sempre pensato della verità che costituisse il punto di arrivo di un percorso, percorso che deve scoprire la verità, ora sappiamo che il punto di arrivo di questo percorso conduce a nient’altro che ad altri elementi linguistici però questi elementi linguistici combinati con i precedenti formano un percorso, formano una catena composta da un punto di partenza noto come premessa, dei passaggi e poi la conclusione che deve essere vera ché se non è vera non la si accoglie ma la si abbandona e questa conclusione è necessaria per proseguire a parlare e il linguaggio ha bisogno di proseguire a costruire proposizioni, se non trova qualche cosa che risulti vero all’interno di un certo gioco non può proseguire e questo è il motivo per cui gli umani cercano la verità, quella assoluta, vale a dire quella verità che costituisce, dovrebbe costituire di fatto il fine ultimo di ogni cosa cioè la verità estrema, quella incondizionata, trovata questa si trova il punto di arrivo di tutto, esattamente ciò che è stato inteso appunto con dio.

Gli umani hanno spesso messo dio al posto di questa verità assoluta certo, immutabile, che non ha origine naturalmente perché se ha origine c’è qualche cosa che è al di sopra di lui chiaramente che l’ha originato, quindi l’essere ingenerato, l’incorruttibile che non può né nascere né morire ma sempre identico a sé, appunto ciò che sussiste permanendo. Tutte queste cose sono argomentazioni quindi sequenze di linguaggio, il problema fondamentale è che queste sequenze linguistiche non hanno altro referente se non altre sequenze linguistiche necessariamente, per questo dicevo che dopo tutto un argomentare per reperire la nozione di verità ciò che si è trovato di fatto sono altri elementi linguistici, nient’altro che questo, questi elementi linguistici inseriti all’interno di giochi che diventano poi i discorsi di ciascuno, quei discorsi che ciascuno fa ininterrottamente per cui affermare che la verità non è altro che la corrispondenza tra una certa proposizione che afferma che i capelli di Stefania sono tre milioni e il fatto che siano effettivamente tre milioni, questa affermazione non significa niente, è soltanto la costruzione di un gioco linguistico a meno che chi l’afferma dimostri in modo irrefutabile e necessario che la sua definizione non può essere altrimenti che quella e cioè che necessariamente è così, oppure se non è così è un gioco linguistico e nient’altro che questo, un gioco linguistico al pari di qualunque altro, può essere più o meno utile ma questo è un altro discorso, tant’è che ad un certo punto avevamo indicata la verità come uno shifter che non è altro che un operatore deittico. La verità dunque come shifter, come un indicatore della direzione che il discorso può prendere, se il discorso prosegue nella direzione che è quella che non contraddice le premesse da cui è partito allora chiama quella direzione vera, in caso contrario la chiama falsa. In questo modo, e questo è un discorso che abbiamo già fatto altre volte ma può essere utile ribadirlo, la verità non è più qualcosa da raggiungere, la meta ultima della ricerca ma è semplicemente qualche cosa che a posteriori si deduce dal fatto che il discorso è proseguito, se è proseguito allora quella direzione è considerata vera, altrimenti se non è proseguito è falsa. Naturalmente ciò che andiamo dicendo da tempo e cioè che queste affermazioni che formuliamo hanno il carattere della necessità, richiedono quantomeno la definizione di necessità che abbiamo fornita e che dovreste sapere tutti ormai a memoria, e cioè con necessario intendiamo ciò che è e non può non essere perché se non fosse non sarebbe né questa cosa né nessun altra, e l’unica cosa che risponde a questo requisito è il linguaggio che è la condizione per qualunque cosa. Se il linguaggio non fosse mai esistito nessuno di noi sarebbe mai esistito, il linguaggio è ciò che poniamo come condizione, ciò che è necessario, infatti non parliamo di verità a proposito del linguaggio, il linguaggio utilizza la nozione di verità semplicemente per indicare le direzioni in cui può proseguire e lo indichiamo come qualche cosa di necessario, come qualche cosa che non può non essere perché se non ci fosse il linguaggio non ci sarebbe allora né lui né nessun altra cosa. Perché non potrebbe esserci in nessun modo? Perché per esserci una qualunque cosa occorre che sia in una concatenazione di elementi e questa concatenazione è data dal linguaggio, se è fuori dal linguaggio allora non è connesso con nessun elemento linguistico quindi non è dicibile né pensabile, è nulla, quindi non può essere inserito in nessuna catena argomentativa, per esempio, che argomenti di quell’elemento che è fuori dal linguaggio, per esempio, posso dirlo, posso pensarlo, posso crederci che sia qualcosa fuori dal linguaggio ma non posso pensarlo perché se lo penso di fatto uso il linguaggio quindi lo penso in modo menzognero ma non solo, ma una volta che lo immagino fuori dal linguaggio non posso provare che lo sia effettivamente, posso crederci ma non ho nessun modo per provarlo e quindi affermare che un qualsiasi elemento x è fuori dal linguaggio è un non senso, non significa niente, è come affermare che esiste la madonna di Lourdes. Mercoledì prossimo accenneremo a qualche cosa di differente, qualcuno che ha posto la nozione di verità in modo differente da tutti gli altri e che per qualche verso si è avvicinato alla questione centrale di cui andiamo dicendo e cioè del linguaggio, mancandola tuttavia e vedremo perché l’ha mancata, vi dirò rapidamente che cosa dice Heidegger. Lui ha intuito che il linguaggio è la condizione per raggiungere l’essere senza accorgersi che è esattamente il contrario, cioè che il linguaggio non è lo strumento per raggiungere l’essere ma il linguaggio lo costruisce letteralmente, lo fa esistere e questo lui non ha potuto intenderlo, ha cercato di pensare l’essere prima come qualcosa fuori dal linguaggio, poi si è accorto che l’unico strumento era il linguaggio, il linguaggio che serve per definire l’essere, sì certo lo definisce ma una volta che è definito non è nient’altro che un gioco linguistico, nient’altro che questo, però ha detto delle cose che meritano di essere accennate. Questo percorso che momentaneamente stiamo facendo vale a intendere come la ricerca della verità sia fallita, per intendere come poi di fatto in ciascuno si pone la questione, nel discorso di ciascuno, ciascuno cerca la verità là dove non la troverà mai…

Intervento: quindi non esiste nessuna verità…

Questa è un’affermazione impegnativa che merita di essere discussa a fondo, anche perché parlare di esistenza rispetto alla verità già pone dei problemi, nel senso che l’esistenza necessità della verità per esistere in quanto tale o viceversa? Anche questa è una questione in che senso si parla di esistenza della verità? Come se l’esistenza precedesse la verità mentre, per esempio, per qualcuno in quanto essere non precede l’esistenza, coesiste con l’esistenza…

Intervento: io volevo aggiungere che gli umani non si sono mai accorti del linguaggio o meglio hanno sempre considerato il linguaggio un mezzo per descrivere delle cose, per cercare la verità e non hanno fatto quel passaggio che invece è stato fatto da uno psicanalista perché quando uno psicanalista si trova a parlare di queste cose si dice che sono questioni filosofiche ma sono questioni che in quanto struttura interrogano…

Lo psicanalista si confronta con il discorso, e la filosofia è un discorso al pari di qualunque altro…

Intervento: ecco proprio per questo perché lo psicanalista si confronta con un discorso mentre la filosofia si confronta su che cosa dice non un discorso ma quella persona il tal filosofo…

Quella è la storia della filosofia, la filosofia dovrebbe essere un’altra cosa e cioè la meditazione sull’essere…

Intervento: quello che voglio rendere esplicito di come si possa solo considerando le questioni e quindi le domande che intervengono in un percorso analitico c’è la possibilità di accorgersi anche a che cosa serve tutto quello che noi andiamo dicendo quando parliamo di linguaggio proprio nel percorso analitico che se no se non ci fosse la possibilità di considerare quello che io mi trovo a dire in un percorso analitico il discorso di cui sono fatta e tutto ciò che accade, accade perché sono aggrappata a delle cose che credo essere vere senza assolutamente avere la possibilità di confutarle perché le credo così beh se non ci fosse appunto la possibilità di considerare il linguaggio e come funziona non ci sarebbe nient’altro che la malattia… ciò che, per esempio, la psicologia fa è costruire continuamente malattie, costruire storie senza accorgersi di quello che invece il linguaggio fa laddove pone delle questioni fuori dal linguaggio e che quindi non può risolvere perché è la verità del fatto è la realtà e la realtà non è considerata per quello che è regole, regole di giochi linguistici, costruite dal linguaggio per dare delle limitazioni per poter giocare ancora partendo e proseguendo su quella via il linguaggio deve soltanto produrre se stesso e quindi tutte le misure che sono date dal linguaggio sono date per produrre altro linguaggio… una persona soffre infinitamente senza accorgersi di essere lei l’artefice di quello che va costruendo, perché? Perché esiste la verità fuori dal linguaggio, fuori dal proprio discorso e quindi da modo soltanto di riprodurre linguaggio ed è estremamente difficile compiere l’operazione di attenersi al linguaggio cioè al proprio discorso perché il proprio discorso è un discorso e quindi funziona come tutti i discorsi e quindi “tenendo conto” di quelle verità sulle quali si fonda dalle premesse da cui parte ciascuna volta per concludere, il discorso tiene conto la persona no dipende dal momento in cui si trova…

La persona è il discorso.