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19-11-2008

 

La responsabilità è del linguaggio, è il linguaggio che risponde letteralmente a qualunque quesito, visto che è lui che lo crea. Per questo ieri si accennava alla questione della soluzione, della psicanalisi come soluzione, in effetti può rispondere a qualunque cosa tenendo conto del fatto che si occupa del modo in cui il pensiero crea altri pensieri e di questi altri pensieri è il pensiero stesso che risponde, e come li ha creati li può dissolvere perché una volta che li ha creati può all’occorrenza, se naturalmente si interroga, sapere perché li ha creati cioè a cosa servono, e una volta saputo a cosa servono e resosi conto eventualmente che non hanno tanta utilità eventualmente può abbandonarli. Una paura, per esempio, un’angoscia, qualunque accidente di sorta, e in effetti il motivo per cui si abbandonano questi cosiddetti sintomi non è che sia così miracoloso, magico, è che queste cose cessano di interessare la persona, per lo stesso motivo e per la stessa via per cui una persona cessa di giocare con i bambolotti, per esempio, qualche volta, e allora non interessano più e non interessando più scompaiono, così come tutte le cose che non interessano minimamente scompaiono, una persona non sa più cosa farsene di una paura, di un angoscia, di un timore di qualunque cosa e questo come dicevo prima offre il destro per parlare del linguaggio cioè il fatto che è il linguaggio, questa struttura che crea le cose, crea delle sequenze di proposizioni e alcune sequenze di proposizioni concludono in un certo modo e se questo modo viene ritenuto assolutamente vero quindi costrittivo la persona di conseguenza si comporterà e si muoverà. È così che funziona, i sintomi cessano di interessare, cessano di attrarre ma perché questo si verifichi occorre che la persona giunga a intendere perché ne è attratta, a cosa gli serve in definitiva qual è, come lo chiamava Freud, il tornaconto, a questo punto è possibile anche inserire qualche cosa circa il funzionamento del linguaggio e soprattutto il fatto che una conoscenza del linguaggio approfondita e dettagliata comporta inesorabilmente sapere che cosa accade quando penso qualcosa, e cioè il fatto che ho costruito sequenze di proposizioni che muovono da una premessa e giungono alla conclusione e quindi non sono in nessun modo esonerato dall’interrogare le premesse che hanno consentito tale conclusione, e se queste premesse sono necessarie allora la conclusione sarà necessaria quindi mi ci atterrò, ma se sono arbitrarie allora no, allora dipende da me, è una mia decisione che segue a un giudizio estetico, se lo faccio è perché mi piace non perché sono costretto e se mi piace allora appunto devo assumermi la responsabilità per cui lo faccio. Tutto ciò è molto discorsivo come occorre in una conferenza …

Intervento: quindi la verità diventa relativa …

Più che relativa direi che diventa particolare anziché universale, se si sostiene che le cose stanno in modo assolutamente differente da quello che lui pensa allora se ne infastidisce dice e allora cerca di difendere le cose che ha creduto sempre per evitare questa conclusione infausta. C’è un aspetto interessante e riguarda proprio il potere, il potere l’abbiamo fatto muovere come è inevitabile che sia dalla struttura del linguaggio, vale a dire dal fatto che una sequenza conclude con un’affermazione che deve essere vera all’interno del gioco in cui è inserita, questo necessariamente, se no non può essere accolta, ora chiaramente posta la questione in questi termini allora il linguaggio non può non esercitare il potere, il linguaggio badate bene che è altro dal volere imporre da parte di qualcuno la sua ragione su qualcun altro, questo avviene se non si intende da dove origina questa necessità per il linguaggio di instaurare un potere cioè una verità, perché anche in un discorso analitico non può non porsi una questione del genere, una sorta di potere, chiamiamolo così, però è il potere che il linguaggio esercita su se stesso vale a dire che vuole avere ragione di sé e quindi cerca la premessa necessaria, esattamente ciò che abbiamo fatto in questi ultimi vent’anni, quindi il potere viene esercitato ma unicamente al fine di trovare, di reperire sequenze che risultino necessarie vere. È chiaro che qui non c’è nessun interesse a esercitare il potere su altri, ma questo potere si esercita unicamente sulla struttura stessa del linguaggio, come dire che è il linguaggio che esercita il potere su se stesso costringendosi a reperire condizioni di verità assoluta cioè di necessità per se stesso, che è quello che abbiamo praticato da sempre, perché il linguaggio comunque deve concludere in modo vero e imporre questa verità su altre catene, su altre combinatorie ma rimane all’interno di una struttura linguistica …

Intervento: la stessa questione della responsabilità ché se no non ha nessun senso parlare di responsabilità …

È il linguaggio che risponde di sé, di ciò che ha costruito e ne risponde a sé ovviamente …

Intervento: quando si conclude si prova soddisfazione, lei diceva, una persona che parla conclude in modo coerente, logico provocando una sensazione di compiacimento di quello che si è elaborato. È l’unico piacere da intendersi come tale, ché gli umani provano il piacere che procede dal raggiungere una conclusione corretta, vera, qualunque altro piacere è un surrogato, una sorta di sovrastruttura. In effetti praticare questo è ciò che dovrebbe dare maggiore piacere …

Intervento: perché la conclusione avviene anche in quel discorso che conclude alla martellata sul dito anche questa è una conclusione, questa è una proposizione felice, conclusa, questa persona può andare avanti all’infinito a darsi delle martellate …

Come fanno gli umani perlopiù, anche se non prendono il martello però usano altri sistemi. Qualunque conclusione che appare corretta produce piacere quella che è effettivamente corretta e indubitabile, innegabile appunto dovrebbe produrre un piacere ancora maggiore, almeno dovrebbe…

Intervento: perché in una psicanalisi può capitare di avere a che fare con delle persone che portano avanti queste conclusioni che soddisfano il discorso ma in quel caso la persona dice che non è soddisfatta in linea di massima, perché si intraprende un’analisi? Per trovare delle premesse necessarie …

Se si parte dalla premessa che dice che Eleonora è un nemico poi mi attengo al criterio che il nemico è ciò che ostacola la mia felicità, eliminando l’ostacolo raggiungo la felicità quindi correttamente concludo che se elimino Eleonora allora sono felice, per esempio, il ragionamento è corretto, è la premessa che è discutibile e invece la premessa non viene mai discussa se non appunto in occasioni speciali come l’analisi, se no la premessa è reale, è così, chi può dubitare che Eleonora sia un nemico? Nessuno!

Intervento: il potere del linguaggio può procedere da un punto x qualsiasi e questo è un primo passo … scardinare nelle persone le premesse …

Intanto occorre individuare quali siano e fare in modo che la persona incominci ad accorgersi che il suo discorso è retto da quelle cose, dopodiché si può incominciare effettivamente a interrogare in modo che il discorso non si chiuda mai. C’è una questione interessante da considerare: la questione della realtà e del delirio. L’avevamo considerato qualche tempo fa ma si può riconsiderare e riprendere, che cos’è un delirio? Un delirio è una costruzione che muove da una premessa che è considerata assolutamente certa, intoccabile e inviolabile la quale premessa tuttavia non può essere mostrata né tanto meno dimostrata, prima dicevo così per gioco che Eleonora è il nemico, ora tutto ciò che accade in un delirio non fa che confermare questa premessa, per esempio, Eleonora la settimana scorsa non c’era, non è venuta perché ce l’ha con me, due settimane fa non è venuta al corso, perché? Perché ce l’ha con me, oggi è venuta perché vuole tenermi d’occhio, vuole controllarmi e vuole farlo perché ce l’ha con me, prima mi hai chiesto una sigaretta, perché? Puoi fumare una delle tue ma è perché ce l’hai con me, perché vuoi sottrarmi qualcosa etc. Non c’è cosa che non venga interpretata come conferma della premessa generale, qualunque cosa o il suo contrario naturalmente, per cui potete considerare che una persona mi guarda è perché ce l’ha con me, non mi guarda ed è perché ce l’ha con me, è distratta da altro, è perché ce l’ha con me. Tutto questo che può apparire abbastanza folcloristico ma si può considerare la cosa in termini più radicali per quanto riguarda ciò che gli umani considerano essere la realtà, che è qualcosa che in quanto tale non può essere provato però costituisce comunque la base certa, assoluta e indubitabile su cui commisurare qualunque cosa e qualunque cosa accada non fa che confermare che la realtà è questa quella che io osservo, quella che io considero, quella che io credo che sia e in questo non si discosta dalla struttura delirante. La realtà, come è comunemente intesa, è tutto ciò che cade sotto i sensi o può cadere sotto i sensi, i sensi naturalmente anche espansi, per esempio un microscopio elettronico, un microscopio è un prolungamento dei nostri sensi ovviamente, ecco questa definizione di realtà che è la più accreditata mostra il fianco a un’obiezione e cioè che questa definizione di realtà non può essere dimostrata, vale a dire che la realtà posta in questi termini necessita dei sensi, ma come so che i miei sensi non mi ingannino? Supponiamo pure che ci sia una realtà da qualche parte, come so che i miei sensi non mi ingannano e mi facciamo vedere cose totalmente differenti da quelle che sono? Avevamo accennato a una cosa del genere prendendo un articolo di Diego Marconi, come so che le cose stanno come i sensi mi mostrano? E se fossero in tutt’altro modo? Quindi in realtà i miei sensi non sono un criterio così affidabile anche perché non posso sapere se la realtà è in un altro modo visto che ho soltanto i sensi e la mia percezione per mettermi in rapporto con questa realtà, non ho nessun altro strumento quindi non saprò mai se le cose stanno così oppure no, mai in nessun modo quindi non essendoci nulla che mi garantisce che la realtà sia quella che i miei sensi mi forniscono non c’è neanche nulla che mi costringa a pensare che la realtà sia proprio questa, e quindi posso pensare che sia quella che mi pare. Tuttavia la realtà che cos’è? Partiamo dall’etimo, viene dal latino la res, la cosa, quindi la realtà non sarebbe nient’altro che la “cosità” o più propriamente l’essere qualcosa quello che è, e più propriamente ancora l’essere qualcosa, qualcosa, questa è la realtà ora se la realtà posta in questi termini non fosse nient’altro che il linguaggio? C’è questa possibilità: il linguaggio, ciò che fa di qualche cosa qualcosa, non solo la fa apparire ma la può considerare, la può affermare, la può verificare, e naturalmente la verifica attraverso criteri che il linguaggio ha stabiliti. L’unica realtà con cui gli umani hanno a che fare legittimamente non è qualcosa che si offre ai loro sensi, come abbiamo detto può essere totalmente ingannevole, può anche non esserlo ma potrebbe anche esserlo, quindi non ci rimane che quella cosa che ci consente di reperire quella che noi chiamiamo realtà, di stabilirla, di considerarla di apprezzarla, denigrarla fare tutto quello che vogliamo vale a dire il linguaggio, e in più possiamo anche aggiungere che è la condizione perché qualche cosa possa apparirci qualche cosa, se no non è niente, perché qualche cosa possa apparire qualche cosa occorre che ci sia un sistema che lo faccia apparire tale, in altri termini stiamo affermando che la realtà e il linguaggio sono la stessa cosa, non è che la realtà come abbiamo spesso detto sia una produzione del linguaggio, la realtà è il linguaggio, ponendola come una produzione del linguaggio non soltanto ci troviamo a dire una cosa imprecisa ma qualche cosa che poi molto facilmente ci viene ritorto. Questa argomentazione non ha soltanto un valore logico ma anche retorico: la realtà c’è certo è sotto gli occhi di tutti, tutti la praticano ininterrottamente, è il linguaggio, il linguaggio che consente a ciascuno di avere un’immagine delle cose, saperle utilizzare, saperle raffrontare. Anche se le cose ci fossero indipendentemente dal linguaggio senza il linguaggio non potremmo dire che ci sono, supponiamo anche che ci siano, in ogni caso senza il linguaggio non avremmo nessuno modo per considerarle quindi per noi non esisterebbero, se non esistono per noi per chi esistono? Esistono per se stesse? Come può una cosa esistere per sé? Perché una cosa possa esistere per qualcuno occorre che costituisca un segno per qualche cos’altro, che ci sia un sistema inferenziale. È un po’ come la percezione rispetto alla realtà, anche ammettendo che la nostra percezione ci mostri la realtà così com’è non ne abbiamo in nessun modo la certezza, quindi possiamo legittimamente pensare che la realtà sia tutt’altra oppure quella stessa ma è una decisione, una decisione estetica pensare che la nostra percezione ci mostri la realtà così com’è, se mi piace pensare che invece ci deformi totalmente la realtà sono autorizzato a pensarlo perché non c’è nulla che me lo possa negare …

Intervento: tempo fa avevamo … la materia il linguaggio la può modificare, cambiare …

C’è un’obiezione molto più forte che si può fare a un’argomentazione del genere: supponiamo che il linguaggio sia soltanto una combinatoria di proposizioni, quindi parole e che ciascuna parola abbia come referente soltanto un’altra parola, queste parole di cosa parlano, cosa dicono? Cosa affermano? Cosa descrivono? Semplicemente altre parole? Oppure è necessario che le parole parlino di qualcosa?

Intervento: sembrerebbe …

Sì, eppure che cosa obiettare a una notazione del genere? Cioè se parlano solo di parole sono segni, non significano niente se non c’è un riferimento a qualche cosa …

Intervento: il riferimento è a un altro segno … è sempre un altro segno cui rinviano)…

Sì ma rinviando infinitamente non è altro che una catena di segni o di suoni, non produce niente e quindi come la mettiamo? Perché questo opporrebbe il nostro obiettore teorico: sono le cose a cui si agganciano delle parole, oppure sono le parole che agganciano le cose, perché nel primo caso l’esistenza delle cose è indispensabile nel secondo no in quanto effettivamente a una parola potrebbe agganciarsi un’altra parola, potrebbe essere totalmente irrilevante il fatto che si aggancino a un aggeggio comunque, e allora? È l’antica disputa sugli universali …

Intervento: avevamo detto che la semantica deriva da una sintassi e non viceversa …

Esatto proprio così, sì e ogni volta che la sintassi stabilisce una connessione vera in base alle regole di cui è provvista allora quella cosa esiste e non ha nessun altro grado di esistenza …

Intervento: i discorsi, le persone non sono altro che figure retoriche che utilizzano la loro struttura per costruire proposizioni vere quindi per creare quella “realtà” di cui vivono e quindi questi discorsi partono dalla premessa che ha dato l’avvio al discorso da un “questo è questo” che ha funzionato …

Sì, cioè l’identificazione fra la parola e se stessa, esattamente, la sintassi logica. Ti ricordi che avevamo detto che la semantica segue la sintassi non la precede se no non si capirebbe da dove arriva?

Intervento: quindi le parole a cosa si riferiscono?

Relazioni con altre parole. Nel caso di un computer non si aggancia niente, non ci sono cose, all’interno del computer ci sono solo relazioni fra stringhe, che poi queste stringhe si combinino tra loro questo è un fatto voluto da un programma, si combinino per dare un film, per esempio, con le immagini e tutto il resto, apposta si chiama digitale …

Intervento: a questo punto sono proposizioni non parole…

La parola è inserita all’interno della proposizione. Il significato viene dato da che cosa? Dagli assiomi, ci sono gli assiomi di base cioè stabilisci che è vero, allora se stabilisci che se p allora q, allora se p è vero q è vero e allora l’implicazione è vera, però il fatto di stabilire che p è vero è dato da un’istruzione di base che afferma che p è p semplicemente, cioè questo è questo, e questa è una regola per giocare, non devi pensare all’assunzione di verità di una variabile come un fatto ontologico, è semplicemente una regola. Il linguaggio ha bisogno di stabilire che p sia p e una volta stabilito questo costruisce, costruisce in base a una sintassi e sarà la sintassi a stabilire quali di queste combinazioni saranno vere o false, quindi quali esisteranno e quali no, in questo senso la realtà appartiene al linguaggio cioè è la semantica prodotta dalla sintassi del linguaggio. Potremmo dire così.