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19-10-2016

 

Capitolo: La sentenza di Nietzsche: “Dio è morto”. In questo capitolo Heidegger riprende la questione della volontà di potenza in modo articolato e puntuale. Potremmo compendiarlo in questo enunciato: la volontà di potenza è volere che ciò che dico sia quello che dico, questa è la volontà di potenza, né più né meno. Heidegger: Col capovolgimento determinato da Nietzsche non resta più alla metafisica che il suo capovolgimento nel suo non essere. Il soprasensibile nonché l’inconsistente prodotto del sensibile (qui sta parlando di Nietzsche) ma con questo svilimento del suo opposto il sensibile rinnega il suo stesso essere, la destituzione del soprasensibile sopprime anche il puro sensibile e perciò la loro distinzione, la destituzione del sovra sensibile sfocia in un “né … né” rispetto alla distinzione di sensibile ασθητν e non sensibile νοητν, la destituzione si conclude nell’insensato Sin Loss, tuttavia essa rimane il presupposto inavvertito e indispensabile del cieco tentativo di sottrarsi all’insensato attraverso un mero conferimento di senso (sta dicendo soltanto che se, come ha voluto Nietzsche, togliamo valore al sovrasensibile, dall’idea, da ciò che da sempre ha dato l’essere al sensibile cioè alle cose, se togliamo quello, togliamo l’essere e scompare anche l’ente, se tolgo l’essere a questo punto non c’è più la possibilità di distinguere ente ed essere, è come se non ci fosse più niente, questo sarebbe il nichilismo in un certo senso. Perché dice che il sovrasensibile si pone come l’inconsistente prodotto del sensibile, cioè dell’ente, questo inconsistente vuol dire che non c’è, se non c’è l’essere non c’è nemmeno l’ente, non c’è più niente) In questo scritto la metafisica è sempre intesa come la verità dell’ente come tale nel suo insieme e non come la dottrina di un pensatore. (la metafisica “storicamente” come un percorso storico del pensiero umano, non il pensiero di qualcuno) Il pensatore ha di volta in volta la sua posizione filosofica fondamentale nella metafisica, ed è per questo che una metafisica può essere indicata col suo no, ma se teniamo ferma la nostra concezione della metafisica (cioè della metafisica come un percorso di pensiero) non sarà assolutamente possibile dedurne che le singole metafisiche sono il prodotto e il possesso di un pensatore, inteso come un personalità operante nel dominio pubblico dell’attività culturale. (continua a dire la stessa cosa cioè che la metafisica non è il prodotto di qualcuno di un pensatore né di Nietzsche né di altri, è un percorso culturale della società) In ogni caso della metafisica si rende di volta in volta visibile un tratto della via che il destino dell’essere si traccia nel seno dell’ente nelle brusche epoche della verità. (dire che la metafisica la si trova esattamente nel destino del pensiero, potremmo dire che il destino del pensiero è la metafisica) Nietzsche stesso spiega metafisicamente il corso della storia occidentale e precisamente come il sorgere e lo svilupparsi del nichilismo appunto. (e quindi il nichilismo come la storia del pensiero occidentale) L’esame della metafisica di Nietzsche diviene allora una levitazione sulla situazione e sullo stato dell’uomo contemporaneo, il cui destino rispetto alla propria verità è ancora ben scarsamente compreso. (il fatto che il nichilismo sia qualche cosa che riguarda il pensare stesso dell’uomo, questo dice Heidegger, non è ancora stato compreso, ma già Nietzsche se ne era accorto) Ogni riflessione di questo genere, quando almeno non voglia essere una vuota ripetizione di nozioni, deve andare al di là di ciò intorno a cui rifletta, questo andare al di là non è però un porsi al di sopra o un lasciare indietro ma un oltrepassamento, la nostra riflessione attuale sulla metafisica di Nietzsche non significa che, oltre alla sua etica, alla sua gnoseologia, alla sua estetica, prendiamo in esame anche o prima di tutto la metafisica ma significa semplicemente soltanto che noi cerchiamo per prima cosa di prendere sul serio Nietzsche come pensatore, ma pensare significa anche per Nietzsche rappresentare l’ente in quanto ente, ogni pensiero metafisico è ontologia e null’altro. (“rappresentare l’ente in quanto ente” che significa porsi di fronte all’ente, e per cogliere la sua enticità volgersi all’essere perché è l’essere che dà la sua enticità, l’essere in quanto significato, per questo dice: ogni pensiero metafisico è ontologia e null’altro, perché ogni pensiero metafisico, ma potremmo dire che ogni pensiero è ontologia, cioè è una riflessione intorno all’essere, cioè al significato del significante, pagina 194) Ciò che ora ci proponiamo è la riflessione sulla metafisica di Nietzsche, il suo pensiero vede se stesso sotto il segno del nichilismo. (dice che vede il proprio pensiero come nichilismo) Si tratta del nome di una corrente storica riconosciuta da Nietzsche che dopo aver dominato i secoli precedenti caratterizza ora il nostro secolo, Nietzsche ne riassume brevemente l’interpretazione con l’espressione “Dio è morto”. Pagina 197: il primo passo di questo libro si riferisce alla Gaia Scienza è intitolato “Ciò che ne è della nostra serenità” esso incomincia così: Il quinto canto degli eventi recenti che Dio è morto, ché la fede nel dio cristiano è divenuta inattendibile, comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa. Heidegger: da questo passo risulta chiaro la posizione di Nietzsche circa la morte di dio riguardo al dio cristiano ma altrettanto certo e da tener presente fin d’ora che le espressioni dio e dio cristiano sono usate nel pensiero di Nietzsche per indicare il mondo sovrasensibile in generale (che non è il dio cristiano, è il mondo sovrasensibile, il mondo delle idee, infatti dice:) questo mondo del sovrasensibile vale da Platone o meglio da una parte dell’interpretazione greca e da quella cristiana della filosofia platonica come il mondo vero, l’autenticamente reale. (di Platone, ciò che è autenticamente reale sono le idee, le cose sono irreali) in opposizione ad esso il mondo sensibile è semplicemente il mondo di qua, il mondo mutevole, apparente e irreale. Il mondo di qua è la valle di lacrime contrapposto all’eterna beatitudine ultraterrena, se intendiamo come ancora fa Kant, il mondo sensibile come il mondo fisico nel senso più ampio, il mondo sovrasensibile diverrà il mondo metafisico, (fisico-metafisico) così l’espressione “Dio è morto” significa che il mondo ultrasensibile è senza forza reale (se dio è il mondo ultrasensibile e Dio è morto non c’è più l’ultrasensibile e cioè il mondo ultrasensibile è senza forza reale) non dispensa vita alcuna. La metafisica per Nietzsche, la filosofia occidentale intesa come platonismo è alla fine, Nietzsche intende la sua filosofia come la controcorrente della metafisica cioè per lui del platonismo, ma in quanto semplice controcorrente essa resta necessariamente conforme come ogni “anti” alla natura contro ciò cui si rivolge (questa è l’obiezione che volge Heidegger a Nietzsche rispetto all’idea che aveva Nietzsche di avere oltrepassato la metafisica, no, non puoi se fai un “anti” metafisica continui a rimanere all’interno della struttura metafisica) l’“anti” metafisica di Nietzsche in quanto semplice capovolgimento della metafisica è un irretimento nella metafisica stessa, siffatto che questa divorziando nella sua stessa natura non è più in grado, in quanto metafisica, di pensare la propria essenza perciò, alla metafisica e in virtù sua, resta nascosto ciò che effettivamente succede in essa in quanto è se stessa. (dice Heidegger che Nietzsche a questo punto non è più in grado di fare in modo che la metafisica possa pensare se stessa, perché gli toglie il fondamento, quindi la metafisica non è più in grado di pensare, questo cosa comporta?) Se dio come causa ultrasensibile e come fine di ogni realtà è morto, se il mondo ultrasensibile dell’idea ha perdura la sua forza normativa e soprattutto la sua forza di risveglio e di elevazione, non resta più nulla a cui l’uomo possa attenersi e secondo cui possa regolarsi. (questo è ciò che accade quando si toglie la metafisica) È per questo che nel passo che abbiamo citato è scritto “non andiamo forse errando nel nulla infinito?” (questo è Nietzsche) (Heidegger:) L’espressione “Dio è morto” è constatazione che questo nulla dilaga, “Nulla” significa qui “assenza di un mondo ultrasensibile e vincolante” e il nichilismo il più inquietante degli ospiti batte alla porta. (abbiamo visto che togliendo l’ultrasensibile anche l’ente scompare e cosa rimane? Nulla. Ecco il nulla che batte alla porta) Il tentativo di interpretare il significato dell’espressione “Dio è morto” è equivalente alla delucidazione di ciò che Nietzsche intende per “nichilismo” e quindi alla determinazione dell’atteggiamento di Nietzsche di fronte al nichilismo. // In linea di massima occorre vedere se il termine “nichilismo” rigorosamente pensato nel senso conferito ad esso dalla filosofia di Nietzsche, abbia soltanto un significato nichilistico cioè negativo nel senso di un nulla radicale (come appariva qua) di fronte all’uso indeterminato e arbitrario del termine “nichilismo” si rende perciò necessario prima ancora di una esatta determinazione di ciò che Nietzsche affermò sul nichilismo, il raggiungimento di una prospettiva adeguata alla stessa posizione del problema. (come fa sempre Heidegger “vediamo di intendere bene di cosa stiamo parlando”) Il nichilismo è un movimento storico e non un modo di vedere o una dottrina qualsiasi sostenuta da qualcuno, il nichilismo muove la storia in seno al destino dei popoli occidentali e la muove come un processo fondamentale appena avvertito, il nichilismo non è dunque un fenomeno storico fra altri, non è solo una corrente spirituale che si presenti nella storia occidentale accanto ad altre, accanto al cristianesimo, all’umanesimo, all’illuminismo, il nichilismo pensato nella sua essenza è piuttosto il movimento fondamentale della storia dell’occidente, esso rivela un corso così profondamente sotterraneo che il suo sviluppo non potrà determinare che catastrofi mondiali. Il nichilismo è il movimento storico universale dei popoli della terra nella sfera di potenza del mondo moderno, non è quindi un fenomeno dell’epoca attuale e neppure un prodotto del secolo XIX, anche se in questo secolo si destò una consapevolezza più acuta nei riguardi di esso e il termine cominciò ad essere usato, né si può dire che il nichilismo sia soltanto il prodotto delle singole nazioni i cui pensatori e scrittori parlano espressamente di esso, quelli che se ne ritengono esenti ne determinano lo sviluppo forse in modo più radicale, fa parte dell’inquietudine che circonda questo ospite estremamente inquietane il fatto che esso non possa rivelare la sua provenienza. (il nichilismo è come se non potesse rivelare la sua provenienza, perché rivelare la sua provenienza significa renderlo più potente, significa mostrare, come ha fatto Nietzsche, che il nichilismo viene dalla metafisica, cioè viene da Platone, e che quindi tutto il pensiero occidentale è nichilista, nel senso che tutto il pensiero occidentale, il pensiero metafisico, si porta in sé, in nuce per così dire, la fine della metafisica: nel momento in cui Platone disgiunge l’ente dall’essere, dal momento in cui c’è questa divisione allora è come se già si ponesse il crollo del pensiero, perché una cosa per essere quella che è ha bisogno di un’altra cosa, l’ente per essere ente ha bisogno dell’essere, ma l’essere senza l’ente non c’è. Non dice così Heidegger, ma c’è come in nuce, in germe il nichilismo cioè la distruzione, è chiaro che per renderla evidente occorrerà pensarci, Nietzsche lo ha fatto, occorreva pensare che nella struttura stessa del pensare metafisico, proprio lì c’è il suo annientamento cioè il suo essere sempre e comunque in vista di qualche cos’altro) Finchè noi intendiamo l’espressione “dio è morto” /…/ L’espressione “dio è morto” il termine “dio” pensato fino in fondo, sta per il mondo ultrasensibile degli ideali che costituiscono il fine della vita terrena, concepito come sussistenza al di sopra della vita terrena stessa e come tale da determinarla dall’alto e quindi in un certo modo dal di fuori. (questo è fondamentale “dal di fuori”) qualcosa viene determinato non per sé ma dal di fuori cioè da qualche cos’altro) Al posto dell’autorità di dio dileguata e dall’ammaestramento della chiesa subentra l’autorità della coscienza, si impone l’autorità della ragione contro di questa si leva l’istinto sociale, l’evasione nel mondo sovrasensibile è surrogato dal progresso storico. Il fine ultraterreno della beatitudine eterna si trasforma nella felicità terrena universale e le cure del culto religioso sono sostituite dall’entusiasmo per le creazioni culturali e per la diffusione della civiltà, la creatività riservata un tempo al dio biblico caratterizza ora l’agire umano, il suo fare finisce per risolversi nell’affare. Tolto dio, sovrasensibile, che cosa va al suo posto? la fede nel progresso, la fede nella scienza, la fede nella ragione quindi il suo fare finisce per risolversi nell’affare, nel darsi da fare, indaffararsi per qualche cosa. Ciò che in tal modo vuol prendere il posto del mondo ultrasensibile non è che costituito da derivati dell’interpretazione del mondo cristiano chiesastica e teologica, la quale a sua volta ha desunto il suo schema dell’ordo, dell’ordinamento gerarchico dell’ente dal mondo ellenistico e ebraico, la struttura fondamentale venne stabilita da Platone agli albori della metafisica occidentale. (questa operazione che avviene oggi per cui non c’è dio ma c’è la fede nella scienza, nella ragione, nel progresso, nel sociale eccetera, tutte queste storie non spostano assolutamente niente, la struttura rimane esattamente la stessa, infatti dice che il mondo ultrasensibile non è costituito che da derivati dell’interpretazione del mondo cristiano) Il dominio in cui sono possibili così l’essenza come l’esistenza del nichilismo è la metafisica stessa, purché noi vediamo in essa non una dottrina o addirittura una particolare disciplina filosofica ma quell’ordinamento dell’ente nel suo insieme, in virtù del quale esso viene suddiviso in mondo sensibile e ultrasensibile, facendo dipendere quello da questo (questa è sempre la questione centrale, che poi è la questione linguistica, il fatto che il mondo sensibile dipenda da qualche cos’altro, d’altra parte questo qualche cos’altro, l’ultrasensibile, se non ci fosse il sensibile sarebbe “ultra” niente, se non c’è il sensibile è ultra che cosa?) Noi designiamo questa rovina essenziale del sovrasensibile come la sua dissoluzione. (questa è la rovina dell’ultrasensibile, quella operata da Nietzsche che ha tolto l’ultrasensibile, ha tolto dio) La miscredenza nel senso di allontanamento dalla dottrina cristiana della fede, non è perciò l’essenza e il fondamento del nichilismo ma semplicemente la sua conseguenza. È così possibile rendersi conto anche dell’estrema aberrazione a cui si va incontro nella sua interpretazione e nella presunta lotta contro il nichilismo, poiché non si comprende che il nichilismo è un movimento storico che dura da molto tempo e che ha il suo fondamento essenziale nella metafisica, si cede alla funesta tentazione di assumere come nichilismo alcune manifestazioni che sono già state conseguenze o di definire come sue cause originarie quelle che sono già suoi effetti e sue derivazioni. L’accettazione inconsapevole di questo modo di vedere ci ha abituati per decenni a considerare il predominio della tecnica e la rivolta delle masse come causa della situazione storica del nostro tempo e analizzare instancabilmente la situazione spirituale del nostro tempo da questo punto di vista (se non si tiene conto del fatto che il nichilismo procede dalla metafisica allora si cercano delle cause del nichilismo, dove? Nei disordini sociali, nella tecnica, senza rendersi conto che la tecnica è la metafisica, tolta la metafisica il nichilismo è come se non avesse più motivo e allora bisogna cercarlo in varie ragioni che sembrano essere la causa del nichilismo infatti dice:)Ma tutte queste analisi raffinate e onniscienti dell’uomo e della sua situazione nell’ente, sono prive di forza di pensiero e non provano che la superficialità di una riflessione che non pone il problema del luogo dell’essenza dell’uomo e del suo situarsi nella verità dell’essere. (Tutti questi pensieri in effetti, non tengono conto dell’essenza dell’uomo, qual è l’essenza dell’uomo? L’essere. “È del suo situarsi nella verità dell’essere, del fatto che l’uomo è un progetto gettato. Gettato perché il progetto in cui l’uomo si trova è sempre ciascuna volta un volere fare qualcosa, è come dire che ci si trova “parlati” dal linguaggio, che tra l’altro è una formulazione di Heidegger) In una nota dell’1887 “La volontà di potenza – aforisma due”, Nietzsche si domanda: Che cosa significa nichilismo? E risponde che i valori supremi perdono ogni valore. (il che è uguale a dire “Dio è morto”) La risposta è sottolineata e corredata dalla seguente aggiunta: Manca il fine, manca la risposta al “perché?” (Nietzsche si pone la domanda “perché?”. È soltanto un’analisi del funzionamento del linguaggio che può dare una risposta soddisfacente, se no rimane lì che vagheggia ma senza potersi appigliare a nulla) Questa definizione di Nietzsche (che i valori supremi perdono ogni valore) presenta il nichilismo come un processo storico, processo che egli interpreta come la perdita di valori di quelli che erano fino allora i valori supremi, dio, il mondo ultrasensibile quale mondo veramente essente e tutto determinante, gli ideali e le idee, i fini e le ragioni che determinano e reggono ogni ente e particolarmente la vita umana, tutto ciò fa parte dei valori supremi. Secondo un modo ancor oggi in uso si intendono per valori supremi: il vero, il bene, il bello. Il vero ossia ciò che è realmente, il bene ossia ciò che in ogni caso conta (il valore), il bello ossia l’ordine e l’unità dell’ente nel suo insieme. (cosa che aveva mostrata anche rispetto all’opera d’arte) I valori supremi perdono valore già quando si diffonde la convinzione che il mondo ideale non è mai realizzabile nel mondo reale. L’obbligatorietà dei supremi valori comincia a vacillare. Sorge la questione: a che servono i valori supremi se non garantiscono con certezza la via e i mezzi di realizzazione dei fini che portano con sé? Se pretendessimo assumere questa descrizione di Nietzsche dell’essenza del nichilismo come perdita dei valori dei supremi valori nel suo semplice significato verbale, cadremmo in quella concezione dell’essenza del nichilismo divenuta poi abituale e cioè di una abitualità favorita già dalla designazione di nichilismo secondo cui la perdita di ogni valore, da parte dei valori supremi equivarrebbe alla decadenza generale. (la decadenza dei valori: non ci sono più i valori, la gente non crede più in niente eccetera) Ma per Nietzsche il nichilismo non è affatto un fenomeno di questo genere, esso è invece il processo fondamentale della storia occidentale e in primo luogo la legge di questa storia. (quindi ciò che governa questa storia, ciò che la pilota, ciò che la dirige) Perciò Nietzsche nelle sue riflessioni sul nichilismo è meno incline a descrivere storiograficamente l’andamento del processo della perdita di valori, dei valori supremi, e a dedurne la previsione del tramonto dell’occidente che a pensare il nichilismo come la logica interna della storia occidentale. (quindi non come un qualche cosa che sarà la causa di tutti i mali ma come la logica interna di tutto il pensiero, questo per Nietzsche è il nichilismo, quindi non una catastrofe ma una logica che dirige, che indirizza tutto il pensiero. Pag. 207: L’esame delle diverse forme, dei diversi gradi di nichilismo, mostra che il nichilismo quale Nietzsche lo intese è prima di tutto una storia in cui ne va dei valori, della loro assunzione, del loro venir meno, del loro rovesciamento, della loro riproposizione e in ultima analisi e soprattutto di una diversa concezione del principio della posizione stessa dei valori. I fini supremi, le cause e i principi dell’ente, gli ideali e il sovrasensibile, dio e gli dei tutto ciò è assunto senz’altro come valore, pertanto è possibile comprendere adeguatamente l’interpretazione niciana del nichilismo solo se è chiaro ciò che Nietzsche intende per valore. (qui incominciamo ad arrivare alla questione centrale, il valore ci porterà direttamente e immediatamente alla volontà di potenza) Perciò potremmo stabilire il senso genuino dell’espressione “Dio è morto”. La determinazione rigorosa di ciò che Nietzsche intende col termine “valore” è dunque la chiave della comprensione della sua metafisica. È nel secolo XIX che parlare di valori viene abituale pensare per valori normale, (quindi è un’invenzione relativamente recente quella dei valori) ma con la diffusione delle opere di Nietzsche il fenomeno è divenuto addirittura popolare, si parla di valori vitali, di valori culturali, di valori eternitari, di valori spirituali pretendendo di trovarli magari anche presso gli antichi, attraverso l’esercizio erudito della filosofia e la rielaborazione del neokantismo nasce la filosofia dei valori. Si costituiscono sistemi di valori e l’etica studia la stratificazione dei valori, anche la teologia cristiana definisce dio il summum ens qua summum bonum – dio somme ente in quanto sommo bene – cioè come supremo valore. Si dichiara la scienza estranea al valore e si collegano i valori alle visioni del mondo, il valore e di ciò che ha valore divengono un surrogato positivistico del metafisico. (cioè in questa operazione, dice Heidegger, il valore si mette al posto dell’ultrasensibile, come valore assoluto questo porterà poi alla volontà di volere ma ci arriveremo) Al di cui impiego della nozione di valore fa riscontro l’indeterminatezza del suo significato (come spesso accade, tanto più la parola è di uso corrente e tanto meno se ne conosce il significato, la sua determinazione, e tanto meno si sa di che cosa si sta parlando, succede spesso) La nozione di valore da parte sua si connette all’oscurità della provenienza essenziale del valore dall’essere, posto infatti che il valore a cui tanto ci si richiama in queste concezioni non sia un nulla deve pure avere la sua essenza nell’essere (deve pur essere qualche cosa, se non è un nulla è qualcosa) Cosa intende Nietzsche per valori? In che si fonda secondo lui l’essenza del valore? Perché la metafisica di Nietzsche è la metafisica dei valori? In una annotazione del 1887/88 Nietzsche ci informa su ciò che intende con valore “Volontà di potenza aforisma 715”: Il punto di vista del valore è il punto di vista delle condizioni di conservazione, accrescimento in ordine alle formazioni complesse di relativa durata della vita in seno al divenire. (il valore è il punto di vista, cioè il luogo in cui ci si pone per vedere che cosa è funzionale all’accrescimento, al super potenziamento, quindi già sta dicendo che vale ciò che è funzionale al super potenziamento, questo è un valore, e solo questo) l’essenza del valore consiste nell’essere un punto di vista (cioè del luogo in cui mi metto interrogo le cose e a questo punto vedo che cosa mi è utile, vedo che cosa è funzionale al mio superpotenziamento) il valore indica qualcosa che è preso di mira, il valore è l’angolo visuale di un vedere che mira a qualcosa o come diciamo che conta su qualcosa e deve quindi fare i conti con qualche cos’altro questa operazione è “in vista di”, il valore è in un rapporto intrinseco col “tanto” col “quantum” col “numero” (quindi è qualche cosa che è numerabile, calcolabile) i valori sono perciò rapportati a scala numerativa e misurativa. La designazione del valore come un punto di vista fa emergere l’aspetto essenziale del concetto di “valore” in Nietzsche, in quanto “punto di vista” il valore è posto via, via da un determinato vedere e per esso, questo vedere è tale da vedere in quanto ha già visto, ed ha aver visto, in quanto si è rappresentato ciò che ha visto come tale e l’ha così posto. (sta dicendo che questo vedere dice che è tale in quanto ha visto ciò che si è rappresentato, ciò che ha posto, lo ha visto e lo ha posto come un qualche cosa di utile per il super potenziamento, ma per potere super potenziarsi, deve porre qualcosa, deve fermarlo, fissarlo, deve stabilirlo potremmo dire, tenendo conto delle cose dette ultimamente, deve porlo come un oggetto metafisico) E solo attraverso questo porre rappresentativo che a quel punto è necessario mirare a qualcosa che guida quindi il processo della visione diviene punto di vista, diviene cioè ciò da cui dipende il vedere ed ogni azione guidata dalla visione, i valori non sono quindi dapprima qualcosa di in sé suscettibile di essere assunto da punto di vista in un secondo momento e occasionalmente, questo vuol dire che ciò che io vedo è tale ed è quello che io vedo così come lo vedo, in vista del super potenziamento, in vista di un valore da raggiungere e da aggiungere. Il valore è valore in quanto vale e vale in quanto è posto come ciò che conta, esso è posto attraverso un mirare e un appuntare lo sguardo a qualcosa con cui si devono fare i conti, punto di vista, riguardo, ambito visivo implicano qui vista e vedere in un senso che deriva dai greci ma passando attraverso la trasformazione dell’idea, da εδος a perceptio (questo è il passaggio dall’idea, come immagine, εδος, alla percezione, la nozione di percezione è recente, nasce con Leibniz, con Cartesio, con il soggetto praticamente. Non c’è per il greco antico la percezione così come la intendiamo noi, cioè come un prendere un qualche cosa, perché comporta il soggetto e l’oggetto, se non ci sono soggetto e oggetto, l’idea è ciò che dà forma a ciò che appare, all’λήθεια, a ciò che si manifesta, a ciò che esce dal nascondimento. Ciò che dà forma è l’idea, l’immagine. Per il greco antico l’oggetto non è l’oggetto di cui parliamo oggi, ma l’oggetto è πργμα, il pragma, nulla a che fare con ciò che è gettato né contro) Il vedere è qui quel rappresentare che è esplicitamente concepito da Leibniz in poi all’insegna del tendere, dell’appetitus, del tendere verso qualche cosa, (cioè il vedere è un rappresentare “io vedo questa cosa” ma questo rappresentare non è altro che un tendere verso qualcosa, il mio vedere è un tendere verso qualcosa. Qui è già abbastanza esplicito il fatto che ciò che fanno gli umani, questo tendere verso qualcosa, è un tendere verso la volontà di potenza, cioè è la volontà di potenza questo tendere verso qualcosa) Ogni ente è rappresentante perché all’essere dell’ente appartiene il nisus latino e cioè l’impulso al sorgere (per Freud sarebbe il Trieb, cioè la pulsione) nisus che impone alla cosa di farsi innanzi, apparire, determinando in tal modo la presentazione. (perché dice che ogni ente è rappresentante? Rappresenta qualche cosa dice lui perché all’essere dell’ente, cioè ciò che dà all’ente la sua enticità, appartiene l’impulso al sorgere, come dire che l’essere dell’ente ha questa sorta di impulso ad apparire, a sorgere. Quando Heidegger parlava della φύσις “ciò che sorge da sé” parlava di qualcosa del genere, ciò che non cessa di prodursi, questo è il sorgere continuo) comunque impone a qualcosa di farsi innanzi determinandone in tal modo la presentazione. L’essenza di ogni ente in quanto determinata dal nisus (da questo impulso) irraggia un angolo visuale questo offre la prospettiva che deve essere seguita l’angolo visuale è il valore. (sta dicendo che l’essenza di ogni ente, ciò che appartiene necessariamente a ogni ente, ciò che fa dell’ente quello che è, è determinato da questo impulso a sorgere, qui dice “impulso” ma ovviamente è un termine un po’ problematico, questo impulso a sorgere non si sa bene da dove venga ma se intendiamo la questione come l’impossibilità di arrestarsi del dire, del linguaggio, allora diventa più chiaro questo impulso a sorgere, e cioè a dirsi: l’impulso è la struttura stessa del linguaggio che obbliga per così dire a costruire sempre nuovi elementi, sempre nuove sequenze. Dunque deve essere seguita questa prospettiva, quella che mostra questo ente che sorge, che appare, è questa la direzione dice Nietzsche l’uomo deve seguire, deve seguire ciò che gli appare, deve seguire ciò che non può non apparirgli, deve seguire ciò che non può non dire nel senso che non può smettere di parlare, è in questo dire continuo che c’è la direzione, c’è il senso) Coi valori quali punti di vista sono posti secondo Nietzsche le condizioni di conservazione, accrescimento. (dicendo che il valore è il punto di vista, sta dicendo che vale qualche cosa per me, a seconda del modo in cui mi pongo di fronte alle cose, del modo in cui io esisto, della mia storicità) Il valore come punto di vista è la mia posizione nei confronti delle cose. (tenendo conto del progetto in cui mi trovo mettiamola così) /…/ Pag. 210: Conservazione, accrescimento designano l’unità reciproca dei tratti fondamentali della vita. (cioè la vita è fatta di questo, di conservazione e accrescimento, che è la volontà di potenza) All’essenza della vita appartiene il voler crescere, l’accrescimento ogni conservazione della vita è in funzione dell’accrescimento della vita, ogni vivere che si limiti a essere mera conservazione è già una diminuzione, l’assicurazione dello spazio vitale ad esempio, non costituisce mai il fine per il vivente ma soltanto un mezzo per l’accrescimento della vita, e al rovescio la vita accresciuta aumenta di nuovo il bisogno iniziale di ampliamento dello spazio, ma l’accrescimento non è possibile dove non venga conservato qualcosa di persistente, (occorre qualcosa su cui appoggiare il piede, per dirla in modo molto rozzo) di garantito e quindi capace di accrescimento, il vivente è perciò sempre una connessione di accrescimento e conservazione e perciò una formazione complessa della vita. Questa visione è sempre la visione di uno sguardo vitale che domina ogni vivente in quanto prospetta gli angoli visuali per il vivente la vita rivela la sua essenza come ponente valori. (dice che la vita rivela la sua essenza come “ponente valori”, il vivere per Nietzsche è questo porre valori, come pongo un valore? Lo pongo dal mio punto di vista, che è un altro modo di dire che non ci sono valori assoluti, valori supremi, un valore è un punto di vista, quindi non c’è il punto di vista, ci sono vari punti di vista a seconda di ciò che la persona è. Prendete tutto questo per una specie di introduzione alla questione della volontà di potenza, e dice che la volontà di potenza è la vita, è l’uomo. L’uomo è questo, non è nient’altro che questo, e non c’è nient’altro che questo. La realtà è volontà di potenza, per questo dicevo all’inizio, quasi come esergo, che la volontà di potenza è che le cose siano così come io voglio che siano, e cioè che il volere sia quello che è, io impongo a ciò che dico di essere quello che è, lo impongo, è questo il valore che gli do, ovviamente dal mio punto di vista.