Indietro

 

 

19-10-2011

 

Abbiamo detto la volta scorsa di incominciare a elaborare la scienza della parola, dove “scienza” ha un’accezione più forte di quella che per esempio si utilizza nell’ambito della fisica, della botanica, o che usa un entomologo. Muovere i primi passi per la costruzione di una scienza della parola non è semplice, ciò che abbiamo fatto fino adesso però ci dà una direzione abbastanza precisa; dopo avere scartata tutta la tradizione metafisica e cioè quella che muove dalla supposizione che esista un qualche cosa di per sé, che possa o debba rendere conto di sé, ci siamo rivolti alla questione più semplice, riflettendo su come si impara a parlare e abbiamo costatato che si impara a parlare attraverso la trasmissione di informazioni, che negli umani avviene prevalentemente verbalmente, visivamente, acusticamente, sono i modi in cui gli umani acquisiscono le informazioni per lo più. Istruzioni dunque che consentono l’organizzazione anche delle proposizioni che si costruiranno, ciò che comunemente si chiama sapere, queste proposizioni vengono organizzate in modo specifico, fornito dalle istruzioni, e questo modo è grosso modo quello che indica la logica stessa e cioè l’utilizzo di alcune invarianti che servono per la costruzione di quelle sequenze che si chiamano proposizioni, e cioè i connettivi: la “e” il “non” il “se … allora” “oppure” e il “se e soltanto se”. Così si acquisiscono le prime informazioni, cioè questo è questo, oppure c’è questo oppure quest’altro, se c’è questo allora c’è quest’altro, c’è questo soltanto se quest’altro. Questo è il modo in cui si acquisisce, la tecnica che consente la costruzione di quelle sequenze note come proposizioni, che costituiscono poi il sapere e che sono in buona parte condivise, anzi sono condivise perché ciascuno le apprende attraverso questi modi, non ce ne sono altri. Questo rende conto del modo in cui si costruiscono delle proposizioni, queste proposizioni, abbiamo anche detto, e questo è molto importante all’interno di quel sistema, di quella struttura che chiamiamo linguaggio, che di fatto rappresenta quelle istruzioni all’interno di questo hanno un obiettivo che è quello del linguaggio, non soltanto riprodurre se stesso, ma per riprodurre se stesso deve giungere ad affermazioni che siano ritenute all’interno di un sistema vere. Questo perché il linguaggio per procedere deve partire da qualche cosa che sia attestato, sia stabilito. Tempo fa facevamo l’esempio del “questo è questo”, qualche cosa che consente di incominciare, ciò che consente di incominciare e di proseguire è la possibilità di attestarsi su un qualche cosa che sia considerato vero all’interno del sistema, che cosa vuole dire che sia considerato vero? Vuole dire semplicemente che questo elemento non contraddice se stesso e non contraddice la premessa da cui è partito, se può continuare in quella direzione chiama quella direzione vera, se non può continuare la chiama falsa, e non può continuare se questo elemento è autocontraddittorio, cioè dice di se stesso che è falso oppure se nega la premessa che lo sostiene. Questo è grosso modo lo schema del funzionamento che abbiamo tratto anche in parte dal modo in cui si è costruita l’intelligenza artificiale, cioè le macchine: dovendo costruire una macchina si è dovuto vedere come funziona il pensiero, a partire da quali cose è possibile il pensiero e da qui tutto il discorso intorno ai circuiti logici, prossimi ai circuiti neurali. Oggi molte persone lavorano intorno alle cosiddette neuroscienze, immaginando di trovare nel funzionamento neurale le risposte alle emozioni, alle sensazioni eccetera, ma c’è un problema: i neuroni di fatto non sono nient’altro che interruttori che fanno passare oppure non fanno passare corrente, hanno due estremi, input-output, la corrente passa o non passa a seconda dell’intensità dello stimolo, cioè della corrente, ma a questo punto il domandarsi come funziona un’emozione per esempio, a partire dai neuroni è come andare a cercare l’emozione all’interno di un flusso di corrente elettrica, che è un lavoro che riguarda più, non dico gli elettricisti, ma un fisico che si interessa di elettricità, di elettromagnetismo, perché il neurone fa questo: trasmette o non trasmette corrente, come un transistor, ci sono emozioni dentro ai transistor? Ma non sono fatti per questo! Possono certo, assemblati in un certo modo, con un certo programma e con tutta una serie di altri aggeggi giungere a quella cosa che noi chiamiamo emozione, tecnicamente non è impossibile, ma non riguarda i transistor in quanto tali, riguarda ciò che il sistema operativo è in condizione di produrre con i suoi risultati, sarebbe come sperare di vedere un film al computer osservano attentamente il processore, e guardando attentamente tutti i milioni di transistor che ci sono dentro e sperare di vederci il film. Questo schema da un’idea del modo in cui il linguaggio funziona e di come il linguaggio costruisce quelle cose che chiamiamo parole, abbiamo detto che la parola non è altro che l’esecuzione di istruzioni, però c’è un passo da fare, e cioè intendere come queste sequenze di parole, e poi di discorsi, di storie che è la vita della persona, tutto ciò si produce e come si produce a partire da relazioni tra discorsi con altri discorsi. Tutto questo appare di una notevole complessità, che potrebbe così d’acchito scoraggiare, le variabili che intervengono sono sterminate, non solo, queste variabili variano in base a delle relazioni, è un sistema relazionale quello del discorso, adesso parliamo di discorso e non di linguaggio, visto che consideriamo il linguaggio soltanto come una sequenza di istruzioni, ma il discorso, i vari discorsi, le argomentazioni, sono all’interno di relazioni straordinariamente complesse, così complesse che si modificano le une con le altre e non a caso si è parlato di struttura, cos’è una struttura? È una relazione, una relazione di elementi, un intreccio di elementi tale per cui se un elemento viene modificato, oppure aggiunto, oppure sottratto, allora non è che tutti gli altri rimangono immobili e identici a sé, no, tutto il sistema di relazioni si riassetta in base a quella modificazione, cioè si modifica tutto quanto, questa è la nozione di struttura. È esattamente ciò che descrive Freud quando ci racconta come interviene un motto di spirito, un lapsus, un atto mancato, qualche cosa accade nel discorso e ciò che è accaduto lì modifica tutta la storia, tutto il racconto, per altro è questo il motivo per cui alcuni hanno accostato la meccanica dei quanti alla teoria di Freud. Nella meccanica dei quanti i fisici si sono trovati di fronte a una situazione singolare, e cioè un elemento, l’oggetto della loro indagine, nel caso specifico una particella subatomica, presentava una situazione molto particolare e cioè la possibilità di individuare un elemento, una particella subatomica, l’esistenza stessa di questa particella era strettamente legata alla struttura di relazioni entro la quale la particella esiste e anche l’osservatore entra a fare parte di questo sistema di relazioni, per cui se si varia un elemento, lo stesso strumento, la macchina che serve per l’indagine, tutto questo interviene come elemento di questa rete di connessioni, per cui l’elemento non esiste più da solo come nella fisica neutoniana nella quale c’è l’oggetto, che esiste e se io lo modifico il resto rimane quello che è, nella meccanica dei quanti no, se io modifico un elemento allora si modificano anche altri. Tutto ciò ha reso impossibile per esempio stabilire con certezza se la luce abbia un andamento ondulatorio o corpuscolare, o se una particella sia possibile individuarla nella sua posizione e simultaneamente individuarne la velocità, questo non è possibile, cioè l’elemento esiste in quanto relativo a tutti gli altri, in relazione a tutti gli altri, in modo tale che la verità nell’ambito della meccanica dei quanti è di fatto una rete di relazioni, nient’altro che questo, non c’è più l’oggetto in quanto tale determinato, da qui il principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo rende conto, come dicevo prima, della complessità e cioè del fatto che il significato di un elemento che interviene all’interno di un racconto non sia determinabile isolandolo  dal racconto in cui è inserito, ma il significato di quell’elemento è connesso con gli altri elementi di quel racconto. Facevo l’esempio del sogno di quel tizio che ricorda Freud nel Diniego “ho sognato una donna ma non era mia madre”, qual è il senso di questa parola “madre”? Non è solo il fatto che la madre sia identificata da colei che gli ha dato la vita in certe circostanze, ma da una quantità notevole di altri elementi che intervengono a costruire quel significante in un certo modo, con un certo significato tuttavia perché quel significante “madre” possa essere utilizzato occorre che ci sia un qualcosa che ne indichi e ne delimiti e ne determini l’uso, infatti ha detto “ho sognato una donna ma non era mia madre” non ha detto “ho sognato un transistor ma non era mia madre”. Qui torniamo alla questione del linguaggio e delle istruzioni, cioè occorre che un elemento sia determinato nel suo uso, il dizionario “mare”, possiamo indicare il mare come quella distesa di acqua salata che circonda tutte le terre emerse del pianeta, e questo è l’uso della parola “mare”, l’uso corrente, come abbiamo detto tante volte il dizionario è un libretto delle istruzioni, dice come si usano i vari termini, senza questo uso, senza la possibilità di usare un termine in un certo modo, non c’è nemmeno la possibilità che questo elemento possa agganciare, una volta usato, una volta nel suo uso, possa agganciare altri elementi, non c’è nessuna possibilità perché non significa niente. Supponiamo per esempio che io costruisca un dizionario usando una sola lettera, ci sono 160.000 mila parole in un dizionario, supponiamo che io indichi la prima lettera con una A, la prima parola che interviene è la A, una preposizione, poi prosegue, la seconda parola la indico con  AA, la terza parola con AAA, quindi l’ultima sarà una sequenza di 160.000 A messe in fila, anche questo è un criterio, difficilmente praticabile, per dire mare devo vedere qual è la posizione che questa parola occupa all’interno del dizionario, che numero rispetto alla sequenza e fare una sfilata di A, e allora quello vuol dire mare, potrei fare anche così, se non lo faccio, se nessuno ha costruito un dizionario a questa maniera è perché non ha nessun senso, nessuna praticabilità, ogni termine occorre che sia facilmente individuabile e utilizzabile, poi come faccio a dire una parola che è composta da 1827 A? come faccio, dicendola, a distinguerla da quella precedente? Da quella successiva? È complicatissimo. A questo punto dobbiamo indicare che un qualunque elemento deve intervenire determinato nel suo uso per potere essere utilizzato, e questo uso è quello che è soltanto in base a un’istruzione, è qui che noi ci discostiamo in modo radicale e definitivo dalla metafisica, perché questo elemento non è né vero né falso, non è niente, la stessa nozione di Essere appartiene a una cosa del genere, è soltanto un’istruzione. Dicendo una parola, o affermando una qualunque cosa, questa affermazione tende ad attestarsi, cioè a porsi come qualcosa di vero, fino a prova contraria, e gli umani hanno cercato per duemila e cinquecento anni di dare conto di una cosa del genere in modo che la cosa rispondesse da sé, ma la cosa non risponde da sé, non risponderà mai da sé, risponde soltanto dicendo altre cose, queste cose rispondono dicendo altre cose: se si vuole trovare il significato di un termine, un significato che non sia un significato stabilito da un comando, non lo si troverà mai perché non ce l’ha, non l’ha mai avuto, è mai esistito, quindi cosa trovo? Niente. Tutto questo ci mostra la semplicità e al tempo stesso la complessità di una struttura, semplice nel senso che sono comandi che costruiscono delle parole che si agganciano tra loro. Ma ciò che a noi interessa adesso è intendere come si agganciano fra loro e qui interviene la complessità, come si connettono queste cose? Potremmo anche chiederci perché si connettono, si connettono perché le istruzioni forniscono quegli elementi che consentono di agganciare un elemento a un altro attraverso i connettivi logici per dirla tutta, ma come si connettono? A questo punto la questione potrebbe essere straordinariamente complicata, è ciò che ha cercato di capire Freud, come si connettono queste cose? Perché in questo modo anziché in un altro? Freud non aveva naturalmente le informazioni sufficienti per elaborare in modo più preciso una questione del genere; ciò che il linguaggio deve fare per potere proseguire è costruire una sequenza che sia formata in un certo modo cioè sia, come direbbe la logica, una formula ben formata, cioè si attenga alle istruzioni sintattiche e grammaticali, dopodiché deve costruire una sequenza che concluda in un modo che sia riconosciuto dalla sequenza stessa e quindi dal sistema in cui è inserita come vera, e cioè non contraddittoria a se stessa né con la premessa che l’ha costruita, questo perché? Potremmo dire perché il linguaggio funziona così, sì certo, ma possiamo anche dire qualche cosa di più, e cioè che per potere dedurre, derivare, trarre delle cose occorre che ci sia un elemento che non neghi se stesso, se nega se stesso io non posso più dedurre niente, da qui il famoso principium firmissimum, il principio di non contraddizione, dunque deve concludere con una affermazione vera per potere utilizzare questa affermazione per costruire su questa affermazione altre sequenze, per potere quindi proseguire, che è l’unica cosa che sa fare. Il linguaggio deve concludere una sequenza con una proposizione vera, è questo il principio cui si attiene, è questo il principio base sul quale costruisce tutte le sequenze, le connessioni, le relazioni, le interrelazioni che arrivano fino alla costruzione di discorsi, di argomentazioni, di miti, di religioni, di scienze, di qualunque cosa, complicatissime ma se ci atteniamo al semplice funzionamento del linguaggio troviamo che il modo in cui si connettono queste cose segue sempre e necessariamente questa direzione, e cioè potere affermare una cosa vera. Proviamo per esempio a considerare l’esempio che fa Freud “ho sognato una donna, non era mia madre” perché deve dire una cosa del genere? Che fosse o non fosse sua madre potrebbe essere irrilevante ma invece appare non esserlo irrilevante, questa donna che ha sognato si connette con la madre, introdurre l’elemento “madre” serve a confermare qualche cosa, per esempio che la madre è buona, che la madre è cattiva, perché gli ha fatto una certa cosa, è un conflitto di giochi linguistici, la mamma deve essere buona, perché se non è buona allora cosa fa? Mi abbandona, però mi ha negato la marmellata, e questo non è bene, quindi è cattiva, e però è anche buona e allora bisogna trovare quella che Freud ha chiamato provvisoriamente formazione di compromesso, cioè ci si inventa l’uomo nero, così come gli umani si sono inventati i miti, le religioni e tutte queste storie per trovare una soluzione praticabile che li tolga da una contraddizione irresolubile, e quindi si tratta di trovare quella cosa che confermi che la mamma è buona, perché la mamma deve essere buona? Chi l’ha detto? Se la mamma è buona allora mi da retta, allora mi considera, allora io esisto, allora quello che dico è vero, perché se la mamma mi dice che sono cattivo, e cioè non mi riconosce più e mi abbandona, allora non riconoscendomi più non riconosce nemmeno quello che dico, e cioè non lo verifica, letteralmente, non lo rende vero, e quindi mi ritrovo con una sequenza di premesse che non servono più a niente, non posso più fare niente. Questo è il dramma di tutto il pensiero occidentale, non è rivolto alla mamma in quanto tale ma a qualcosa del genere, perché la necessità è di mantenere la mamma come buona, ma al tempo stesso non è possibile eliminare un altro elemento che si è imposto come vero, cioè la mamma mi ha tolto la marmellata dunque è cattiva, perché a questo punto già il sistema inferenziale funziona, se mi toglie la marmellata che per me è bene allora “sei il male, sei cattiva”, però urta contro una verità più importante, cosa significa verità più importante? Significa che è quella che gli consente la possibilità stessa di continuare a parlare, a esistere quindi, e allora una delle due deve essere eliminata, e viene eliminata la seconda, ma come? Creando quella che Freud chiamava la formazione di compromesso, uno spostamento, non è più la mamma cattiva ma è l’uomo nero, è l’uomo nero che incombe su di me, mi minaccia. Tutto questo per mantenere uno schema, di cui gli umani sono prevalentemente inconsapevoli, ma che funziona ininterrottamente, ventiquattrore su ventiquattro in tutte le loro attività, e cioè la necessità che il discorso mantenga quella direzione, quella direzione tale per cui il discorso procede di verità in verità, questo è lo schema che consente e che dirige, pilota tutte le cose straordinarie o terribili che hanno fatte. Tutte queste cose sono state pilotate da questo criterio, l’unico che fa funzionare il linguaggio, senza questo criterio il linguaggio cessa di funzionare. È un po’ come il principio di non contraddizione è un principio singolare che in effetti viene utilizzato continuamente però non può esibire la propria validità, è vero o è falso il principio di non contraddizione? Lasciamo stare la correttezza, ma almeno la validità, ma come faccio a saperlo? Per costruire un’argomentazione che lo convalidi, che lo confermi devo utilizzare il principio di non contraddizione, ed è un’operazione che argomentativamente si ritiene scorretta, cioè utilizzare ciò stesso che deve essere dimostrato all’interno della dimostrazione, perché questo inserisce surrettiziamente l’idea che ciò che deve essere dimostrato, utilizzandolo, sia di fatto, già stato dimostrato, cosa che invece non è, tuttavia questo principio di non contraddizione è quello che dice che un elemento non può negare se stesso perché se nega se stesso su questo elemento io non posso costruire niente, perché? Perché non ho una direzione o più propriamente ho due direzioni opposte, e come fa il discorso a seguire la via della verità se non ha una direzione? Non lo può fare, si arresta, si blocca tutto. Ma questo non dice ancora tutto riguardo alla complessità straordinaria del discorso, però ci dice qual è la direzione che necessariamente deve seguire, e cioè che in qualunque modo si connettano, si relazionino, si intersechino i discorsi, le storie seguiranno, avranno questo obiettivo: confermare continuamente la premessa da cui sono partiti. Questa è una questione sulla quale occorrerà riflettere ancora: se una certa cosa viene considerata vera, tutto ciò che è derivabile da questa cosa, da questo discorso, viene considerato vero in quanto lo conferma, e confermandolo è automaticamente vero, ma come si connette con altri discorsi? Freud ha fatto una lista di eventualità, di possibilità note già anche alla retorica: l’assonanza, la paronomasia, l’enumerazione, come accade che due cose soltanto perché hanno un suono simile siano considerate simili? Perché? Che senso ha? Eppure accade, perché se una certa cosa ha un certo suono ed è considerata vera è come se, adesso lo dico in un modo molto rozzo, anche quell’altra cosa che ha un suono simile diventasse simile, e se è vera la prima diventa vera anche la seconda, per contiguità. C’è una teoria medioevale della “scuola di Chartres” sul bello come vero, che allude o prelude comunque a un cosa del genere: una cosa che suona bene è più facilmente creduta vera di una cosa che suona malissimo, per una serie di motivi anche questi riconducibili al funzionamento di tutto il sistema.

Sono questioni appena abbozzate, e si tratterà di lavoraci parecchio perché sono tutt’altro che semplici da svolgere e da elaborare, però la direzione appare questa. Intanto una direzione sicura è questa: il discorso deve procedere attraverso affermazioni vere, e questa è la direzione che necessariamente segue nella costruzione di tutta la rete di relazioni che costruirà, e il suo obiettivo è sempre comunque questo: affermare, concludere con qualche cosa di vero, che possa essere stabilito, sulla quale cosa sia possibile attestarsi per potere proseguire, per potere fare in modo che il discorso continui e cioè che il linguaggio continui a costruire cose …

Intervento: su due questioni sceglierà quella …

Perché è vera, perché è utile per il raggiungimento della verità …

Intervento: comunque scarta l’altra per …

Sì, bisogna vedere come la scarta, perché può scartarla ma permane, perché anche questa è una verità, se si è posta, se è stata posta è perché è vera, anche se poi va in conflitto con l’altra …

Intervento: se lui sceglie la seconda a questo punto non ha più la verifica …

No, non sceglie la seconda, è sempre la prima nel senso che per lui funziona come la prima cioè quella che gli consente di raggiungere la verità, cioè di concludere che le cose stanno così, che è la verità metafisica per eccellenza la verità come orthotes, come correttezza dell’enunciato. Era quello che diceva Tarski: l’enunciato “la neve è bianca” tra virgolette quindi è il nome di un enunciato, è vera se la neve è bianca, senza le virgolette, come il dato di fatto, quindi se l’enunciato è coerente con il dato di fatto allora è vero, se no è falso.

Costruire la scienza della parola, abbiamo detto, significa dare alla psicanalisi uno statuto scientifico, e qui la nozione di scienza, come ho detto all’inizio, è molto più forte, molto più potente di quella che utilizza la fisica, qual è la nozione di scienza che utilizza la fisica per esempio? La scienza come un insieme di saperi che stabiliscono delle leggi che rendono conto del mutamento, della trasformazione, del divenire degli enti, questo fa la scienza, ecco questa definizione di scienza che è la più comune non è sufficientemente forte, perché queste leggi che stabilisce sono assolutamente arbitrarie, infatti vengono decise, anche se per molti queste leggi vengono scoperte, oppure vengono inventate a seconda del modo in cui ci si pone, e lascia la cosa piuttosto nell’incerto, una legge che è stabilita non si sa se rende conto di qualche cosa che esiste realmente oppure se si inventa quella cosa, così come i neutrini. Parlare di esistenza dei neutrini ha un senso, ma può anche non averne a seconda dei modi in cui si pone la questione, mentre una definizione di scienza molto più potente è quella che indica il sapere che procede non da leggi ma da asserti necessari e svolge questi asserti necessari derivando da questi asserti necessari altri asserti necessari. Occorre porre un asserto necessario ovviamente, era stato il sogno di Aristotele. Questo è un po’ il progetto di lavoro nei prossimi mesi, cioè rendere conto di tutto ciò che ha trovato Freud, ammesso che abbia un senso quello che ha trovato Freud, cosa che dovremo considerare, e dare a tutto questo uno statuto scientifico. Dopo tutto, ciò che ho indicato come rete di connessioni che rendono tale un certo elemento, lo rendono tale, cioè dicono qual è il significato in quel momento, quella rete di connessioni è ciò che Freud ha chiamato inconscio, in modo molto sommario, ma a questo punto ha già una dignità argomentativa e anche scientifica differente, non è più un entità che sta lì, che non si sa da dove venga e che cosa ci rappresenti, ma ha una necessità, e cioè un elemento è necessariamente connesso con tutti gli altri perché non esiste una parola isolata, messa lì nel nulla assoluto, non è una parola, non è niente, è una parola se esiste in relazione, come direbbe De Saussure, e cioè il significato è tale in quanto è in una situazione differenziale relativa a tutti gli altri significati. Dunque la parola è tale perché inserita all’interno di un sistema di parole, cosa che abbiamo detto da sempre: un elemento linguistico è tale perché inserito all’interno di una combinatoria, non esiste isolato, e questo già la linguistica e ancor più la semiotica lo ha detto in modo molto chiaro …

Intervento: è vero che l’ha detto anche la psicanalisi l’ha detto però per quale motivo …

No, la psicanalisi non l’ha mai detto perché non l’ha mai saputo, e allora ha dovuto inventarsi la nozione di pulsione per rendere conto di una cosa del genere, di qualcosa che spinge, ciò che in fisica si chiama il momento, quello che muove la particella, però da dove arrivi questa pulsione nessuno lo sa, è un concetto che si è inventato per rendere conto del fatto che le cose sono in divenire, si muovono, non restano immobili, fisse e ferme, ma cambiano, si articolano fra loro, si modificano. La nozione di “pulsione” non ha più nessun interesse perché anche questa procede dal modo in cui il linguaggio funziona, se ciascun elemento linguistico, ciascuna parola è tale perché è connessa con altre, è ovvio che sarà connessa con un'altra parola e quindi ci sarà “tensione” chiamiamola così provvisoriamente verso un’altra parola, da qui la pulsione, da cui si possono intendere anche quelle nozioni definite come domanda, come desiderio. La terminologia psicanalitica lascia il tempo che trova, anche perché non sa sostenere una cosa del genere aldilà del dire che c’è la pulsione perché c’è, perché la verifico. No, quello che tu verifichi è soltanto quello che vuoi verificare, se io credo in dio verificherò continuamente la presenza di dio all’interno del creato, ininterrottamente, in ciascun atto, in ciascun gesto, in ciascuna foglia d’autunno che cada …

Intervento: anche un depresso e uno che sia sempre felice verificherà continuamente …

In base alle cose in cui crede, e le cose in cui crede costituiscono quella verità che deve essere, come il mito che si costruisce per dare una verità a delle cose, per rendere conto di certi eventi, di certi fatti con la speranza di poterli controllare, gestire come ci diceva Nietzsche, sui quali potere avere potere.