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19-10-2004

 

Intervento:…

È una questione che abbiamo toccata varie volte quella dell’esistenza e abbiamo risposto che non esisterebbe senza il linguaggio poiché l’esistenza riguarda un concetto che appartiene al discorso, se questo discorso non c’è più allora neanche questo concetto non c’è più, e pertanto non c’è alcuna esistenza né del corpo né di qualunque altra cosa

Intervento: nei corsi del 2003 ho trovato cose interessanti: tutta l’elaborazione intorno al corpo… la questione dell’io sarebbe interessante…

Cesare, Lei quando dice io “io” a che cosa si riferisce esattamente? Si riferisce a qualcosa o si riferisce a nulla? C’è un dettaglio che è curioso, e cioè il fatto che soltanto io posso dire io, e questo che cosa comporta? Cosa significa? Che dicendo io attribuisco a qualcosa di specifico tutto ciò che segue, a qualcosa che posso distinguere da qualunque altra cosa, ma dicendo io, che è la questione che ponevo prima a Cesare, di che cosa parlo esattamente? Di nuovo, potremmo dire di quella cosa che attribuisce a sé tutto ciò che sta facendo, i pensieri, tutto ciò che viene pensato, detto, fatto da me posso dire che lo penso io, lo faccio io e quindi do una sorta di collocazione a tutta una serie di cose, di operazioni. Detto questo, cioè che attribuisco o meglio, localizzo, individuo una serie di operazioni e di pensieri, questo mi serve unicamente per potere distinguere queste cose che penso e che faccio da ciò che altri fanno e pensano, perché in realtà a che cosa serve esattamente l’io? A che cosa serve potere dire io? Ha qualche utilizzo? Sì certo, nel nostro discorso sì, appunto come diceva localizza un discorso, lo distinguo da altri e cioè a quali condizioni posso dire io? Devo sapere che ciò che sto pensando, facendo, mi appartiene, ma per potere fare questo occorre che ci sia già questo io, tant’è che grammaticalmente utilizzo proprio questo pronome per individuare il discorso, in questo caso mi appartiene quindi l’io sembra indicare un’appartenenza di qualcosa a un’altra cosa o propriamente di qualcosa a se stesso, quindi potremmo dire che è un discorso che si riconosce. Mi sembra la cosa migliore che si possa dire per adesso, il discorso per riconoscere se stesso utilizza questo pronome che si chiama io, se non esistesse avrebbe qualche problema a riconoscersi e quindi a distinguerlo dagli altri. Un discorso, questo forse è l’aspetto più importante perché in questo io ci sono pensieri, c’è la possibilità di costruire pensieri, di formulare pensieri, c’è anche la possibilità di avvertire delle sensazioni che provengono dal mio corpo, anche quello lo attribuisco all’io, tant’è che nel luogo comune anche il corpo appartiene all’io: “l’io è fatto di mente e corpo” dice il luogo comune, come dire che questo discorso offre anche questa possibilità di percepire delle sensazioni e quindi tutto ciò che ascrive a sé lo pone come dominio, per così dire, del pronome che si chiama io. Ora da dove viene questa possibilità? Chi ce l’ha offerta? Certo lo acquisiamo da piccolini ma che cosa offre questa possibilità di dire io con tutto ciò che ne segue ovviamente? È la stessa cosa che offre un’altra possibilità, e cioè quella di costruire pensieri, per esempio il pensiero che dice che io esisto. È ciò che offre tutte queste meraviglie, è quella stessa cosa che ci consente di pensare cioè di costruire pensieri, da un elemento giungerne a un altro, poi concludere per esempio che io esisto. E sappiamo anche che questa struttura è il linguaggio, dunque la possibilità di dire io con tutto ciò che ne segue è offerta dal linguaggio, gentilmente offerta dal linguaggio, in assenza di linguaggio potrei dire io? Se sì come? Se no non ci rimane che accertare che l’unica possibilità di potere dire io, la condizione per poterlo fare è l’esistenza del linguaggio, a quel punto posso dire io e cioè avviene quella cosa miracolosa che mi individua rispetto ad altri, per esempio, e questa individuazione che cosa fa? Perché in realtà a cosa mi serve individuarmi? Una volta che mi sono individuato che faccio? A meno che non serva a quella stessa cosa che consente a me di dire io, per potere funzionare, e allora questa cosa che chiamiamo linguaggio sappiamo che per potere funzionare occorre che possa distinguere un elemento da un altro, se non lo potesse fare crollerebbe tutto, la possibilità di distinguere un discorso da un altro diventa la possibilità stessa del linguaggio e quindi del discorso che in questo caso è il mio, di potere proseguire, distinguendosi da altro. Ma la cosa fondamentale è che ciascuno, nel momento stesso in cui ha acquisto il linguaggio, ha acquisito anche la possibilità di dire io, quindi di distinguersi e quindi di individuarsi, cioè farsi individuo, individuo rispetto ad altro, individuare è isolare un elemento da altri e questa è una delle prerogative del linguaggio, se non ci fosse linguaggio non sapremmo neppure che cos’è individuare, isolare qualcosa né avremmo occasione né la necessità di farlo. Questo rende conto del fatto che soltanto io posso dire io, per una questione grammaticale, è una necessità del funzionamento di quell’apparato stesso che mi consente di dire io, se no violo una delle regole che fanno funzionare questo apparato che mi sta consentendo di dire io. E se violo una di queste regole allora il linguaggio cessa di funzionare, cioè di potere produrre altre proposizioni. Quando dico “il mio corpo” sto facendo una considerazione, e cioè il discorso che sta affermando io, attribuisce a sé delle sensazioni che provengono dal cosiddetto corpo, il quale corpo ha la possibilità, attraverso il discorso, di potere dirsi, ché se non avesse questa possibilità di potere dirsi, o se preferite di manifestare delle cose attraverso il discorso (cosa che ha indotto i più a considerare che il linguaggio fosse uno strumento del corpo per potere dirsi) dunque se il corpo non avesse nessuna possibilità di dirsi e quindi di dire se stesso e quindi di auto riferirsi qualunque cosa compresa la possibilità di affermare che esiste allora, se il corpo non avesse più la possibilità di affermare di se stesso che esiste, esisterebbe lo stesso? Questione che abbiamo toccata varie volte e abbiamo risposto che non esisterebbe lo stesso poiché l’esistenza riguarda un concetto che appartiene al discorso, se questo discorso non c’è più allora neanche questo concetto non c’è più, e pertanto non c’è alcuna esistenza né del corpo né di qualunque altra cosa. Ciò che vi sto dicendo comporta che l’esistenza non sia nient’altro che un concetto, anziché qualcosa che esiste di per sé, che è esattamente ciò che noi andiamo affermando e cioè che l’esistenza esista solo in quanto concetto e cioè in quanto atto linguistico, perché se esistesse al di fuori del linguaggio, facciamo questa ipotesi, allora questa esistenza non potrebbe esistere perché l’esistere appartiene al linguaggio, è un verbo, dovrebbe dunque configurarsi altrimenti, ma altrimenti come? Per configurarsi in un qualche modo occorre che questa forma che assume sia individuabile, percepibile da qualcuno, il quale qualcuno o qualcosa deve essere in condizioni di stabilire che se ha quella forma allora è esistente, compiendo in tal senso una inferenza che è esattamente ciò di cui è fatto il linguaggio, se non può compiere questa inferenza allora quella forma non significa niente per nessuno, e allora affermare che esiste è una stupidaggine al pari di affermare che dio esiste, né più né meno. Muovendo dalla questione che ci siamo posti inizialmente, cioè il fatto che solo io posso dire io, questo è già un vincolo, e cioè un discorso che può dire io, un discorso cioè che riferisce le cose che fa e che pensa a se stesso ma è un discorso che fa tutte queste operazioni, quando dico io non è altro che il mio discorso che sta procedendo, sta producendo proposizioni quindi pensieri, sensazioni, le sensazioni le sente ma per sentirle deve costruirle se non le costruisce non le sente…

Intervento: una cosa estremamente difficile è quella di poter pensare il linguaggio come a una struttura, facile a dirsi ma difficilissima da giocarsi, è difficile non riferirsi “ad io” ma riferirsi al linguaggio…

Si può prendere la questione dalla parte del discorso, cioè considerare che tutti i miei pensieri, tutte le cose che in un umano si svolgono nella “mia mente” sono un discorso, un discorso che si va svolgendo, che incontra cose, che prende delle pieghe diverse, che prende delle vie, delle strade, che insegue certe cose e ne abbandona altre ma un discorso, un racconto se preferite che prosegue incessantemente, giorno e notte…

Intervento: molto forte è la tentazione di cogliere i propri pensieri e poi di poterli in qualche modo fermare… in questo senso dico che è difficile pensare al linguaggio come una struttura proprio nel momento stesso in cui si pensa, riuscire a cogliere ciò che si sta pensando non come ciò che sto pensando e questo sto presuppone un io che dice etc. ma cogliere i pensieri nella produzione cioè lasciando che si producano…

Questo accade quando uno pensa, corregge i propri pensieri se si accorge che vanno in una direzione poco interessante…

Intervento: però affrontare il proprio pensiero in modo così impersonale… non è una cosa semplice

Non abbiamo mai detto che lo fosse…

Intervento: ho verificato su me stesso nel senso che… mi sono accorto di una sorta di distanza che è sembrata molto produttiva… è come se ci fosse questo io che pensa e allora l’attenzione è più rivolta a questo io che ha funzione di soggetto piuttosto che alla struttura del linguaggio

Questa è una bella questione: a cosa è rivolta l’attenzione mentre si parla? È una bella domanda…

Intervento: di questa cosa mi sono accorto come se questa struttura del linguaggio in qualche modo invece di rappresentare parlare della struttura come se magari prima ci fosse qualcosa fuori dal linguaggio o dal mio discorso… la questione che avevo già iniziata e cioè praticare quello che andiamo dicendo che è estremamente difficile… pensare nei termini del funzionamento non adeguarsi ad una teoria…

Sto riflettendo sulla domanda di prima e cioè mentre si parla a che cosa è rivolta l’attenzione? Non è facile individuarla perché apparentemente sfugge, però la si può individuare anche abbastanza facilmente: l’attenzione mentre si parla è rivolta alla conclusione, è lì ed è questo che dirige ciò che si dice, l’attenzione va sempre lì per trovare una conclusione quanto meno soddisfacente, in modo di concludere con una proposizione vera e questo in alcuni casi è propriamente ciò che impedisce di accorgersi del funzionamento del linguaggio, costituisce la distrazione, per usare una frase di Lacan tuttavia in tutt’altra accezione di quella che intendeva lui, “la fretta di concludere” cioè giungere rapidamente alla conclusione vera che non è altro che il desiderio o la richiesta di guarire, stessa cosa, per poi stare male di nuovo e per potere guarire di nuovo e così trovare una conclusione vera e partire con un altro problema e via all’infinito…

Intervento: sì però non si può non concludere

Certo che no, il discorso non può non fare una cosa del genere, ha bisogno di una conclusione per potere costruire un’altra sequenza. Perché il linguaggio ha fretta di concludere, perché ha fretta e non può proseguire a lungo prima di concludere?

Intervento:…

Il linguaggio non ha paura di niente, la paura è solo una forma che prende una certa sequenza di proposizioni, il linguaggio in quanto tale non ha paura di niente, è un sistema operativo, può un sistema operativo avere paura di qualcosa?

Intervento: chi ce la mette la paura?

La paura è una sequenza di proposizioni che è chiamata così quando si aspetta una cosa una certa cosa e questa cosa che si aspetta va a minare un’altra proposizione, un’altra certezza, però in realtà non mina niente, è una configurazione particolare: “io ho paura dei topi” per esempio, allora questi topi sono diventati l’emblema, all’interno del mio discorso, di tutta una serie di eccitamenti, ma sono solo configurazioni che prende il linguaggio, il discorso, non significa assolutamente niente, un sistema operativo non ha paura…

Intervento: la fretta di concludere…

È implicito nel suo funzionamento, nel funzionamento del sistema inferenziale se A allora B, quindi se A ci deve essere una B e si dà da fare per reperirla, si tratta della struttura del linguaggio, in realtà non è una fretta è semplicemente il fatto che se c’è un antecedente allora c’è un conseguente…

Intervento: e lo individua immediatamente

Appena questo conseguente è coerente con la premessa da cui è partito, che sia implicito nella premessa, questo è sufficiente per dire che quella è una conclusione. Adesso l’ho detto in modo molto schematico, però il funzionamento è questo…

Intervento: uno che dice “ho fatto bene o ho fatto male una certa cosa?”, lì c’è una necessità di una conclusione, quello che segue è quello che risulta in termini assoluti perché è una giustezza di cui uno si piglia la responsabilità, può percepire che qualcosa sia giusto o sbagliato però è come se lo venisse a sapere dopo però ha deciso in questo senso stiamo dicendo della responsabilità… è come se qualcosa esistesse fuori

Questa è una fantasia certo, l’idea che ci sia una verità trascendente da qualche parte, come nel gioco del poker, faccio bene ad andare a vedere o rilancio? Soltanto dopo lo saprò perché è vincolato alle regole di quel gioco, per cui posso saperlo dopo, non prima.