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19-5-2010

 

Siamo partiti la volta scorsa dalla questione più radicale, più banale, più semplice, e cioè dal porre una domanda: che cosa è la logica? Qual è la logica nel dire, nel parlare. Ponendoci questa domanda ci siamo posti, di fianco a questa, un’altra questione vale a dire: che cosa faccio esattamente quando mi pongo una domanda? Ovviamente devo già sapere che cos’è una domanda e di fianco a questo devo anche sapere che cos’è una risposta, devo anche sapere, per esempio, riconoscere una risposta adeguata alla domanda, devo sapere costruire una domanda: come so tutte queste cose? Le ho imparate, non è che ci siano altri sistemi, e cioè qualcuno ha insegnato passo dopo passo a costruire una domanda, intanto a costruirla e poi anche a rispondere a una domanda e quindi a sapere che cos’è una risposta, e da qui abbiamo considerato che per costruire una domanda occorrono delle regole particolari perché se io voglio sapere qualcosa occorre che formuli la domanda in un certo modo e non in qualunque altro, e chi stabilisce queste regole? Rispondere a questo non è così difficile, queste regole sono stabilite da quella stessa cosa che mi sta consentendo di porre una domanda. Esiste una qualche cosa che mi consente di costruire una domanda e anche di costruire una risposta, e anche chiedermi se la risposta è adeguata alla domanda, per fare tutte queste cose è necessario un sistema, chiamiamolo così provvisoriamente, che permetta attraverso un sistema di esclusioni di stabilire quali sequenze, quali proposizioni sono adatte a una certa domanda e quali no, facevamo un esempio banalissimo se mi sto chiedendo “che cos’è la logica?” mi chiedo “che cos’è la logica?” anziché domandarmi “che ore sono?”, perché? È una cosa stupidissima ma se uno dovesse rispondere esattamente a questa domanda potrebbe trovare qualche difficoltà …

Intervento: è il significato …

E chi ha attribuito questo significato? È arbitrario?

Intervento: è arbitrario, non c’è nulla di naturale … l’attribuzione di un significato a una parola è arbitrario …

Sì, questo lo diceva anche De Saussure certo, però il fatto che io utilizzi una certa sequenza anziché un’altra procede dal fatto che ho imparato l’utilizzo di certi termini e imparando l’utilizzo di questi termini ho anche imparato che l’utilizzo di un certo termine esclude che sia usato un altro termine. Tutte queste regole che mano a mano io ho acquisite sono quelle regole che consentono a ciascuno di parlare e quindi di pensare e ci siamo detti che questo sistema di regole che consente di parlare è ciò che comunemente chiamiamo linguaggio. Se posso formulare una domanda è perché questa domanda è costruita così come la costruisce il linguaggio, cioè posso domandarmi qualcosa perché esiste il linguaggio, se non esistesse il linguaggio io non potrei domandarmi niente …

Intervento: una domanda è diversa da un’affermazione per esempio …

Ovviamente, la domanda si attende una risposta, un’affermazione non necessariamente, quindi è già una regola diversa. Se posso dunque farmi una domanda è perché esiste il linguaggio, abbiamo anche detto che mentre parliamo del linguaggio, e cioè in qualche modo lo definiamo e cerchiamo di intendere come funziona, lo stiamo anche utilizzando. Per definire, per parlare del linguaggio occorre il linguaggio, non solo ovviamente per costruire una domanda, siamo partiti da lì, ma per pensare a una questione, per cercare di definire qualche cosa comunque ho sempre la necessità che ci sia questa struttura, fatta in un certo modo, che mi consenta di fare queste cose. Ciò che occorre in questa struttura che chiamiamo linguaggio è che un elemento che gli appartiene sia distinguibile da ciascun altro, questo per quanto riguarda il funzionamento del linguaggio, e in effetti se così non fosse noi potremmo porci questa questione? No, se qualunque elemento non fosse distinguibile da un altro ciascun elemento cioè ciascuna parola, per esempio, potrebbe significare simultaneamente tutte le altre. Per potere pensare o parlare è necessario che ciascun elemento che viene utilizzato in una qualunque argomentazione sia differente da ciascun altro, e distinguibile anche da ciascun altro, ché se no non può pensare niente: se ho potuto domandarmi che cos’è la logica è stato per via del fatto che ciascuno degli elementi che sto utilizzando in questo momento per parlare è distinguibile da ciascun altro, è individuabile. Questa prima istruzione che chiamiamo identità appare necessaria per il funzionamento del linguaggio, abbiamo visto che se non esistesse questa istruzione questo sistema che chiamiamo linguaggio non potrebbe funzionare, e non funzionando non potremmo chiamarlo linguaggio né in nessun altro modo perché non potremmo chiamare niente. C’è un’altra istruzione necessaria perché questo sistema funzioni e cioè un sistema inferenziale, che tra l’altro è anche deducibile volendo da questa prima istruzione di identità, come un suo corollario, vale a dire che se un elemento è se stesso allora questo elemento è se stesso, se A allora A. Queste due istruzioni sono quelle che consentono a ciascuno di parlare e quindi di pensare, questo avevamo detto grosso modo, partendo dalla condizione stessa per cui sia possibile pensare queste cose. Dicevamo anche che per potere stabilire che qualcosa non appartiene a questo gioco che chiamiamo linguaggio occorre che ci sia il linguaggio per poterlo stabilire, come dire che per potere affermare che qualcosa non è un gioco occorre un gioco che costruisca un’argomentazione tale che possa affermare che quest’altra cosa non è un gioco o, più propriamente ancora, per potere affermare che esiste qualcosa che non è linguaggio devo avere il linguaggio per poterlo fare: soltanto attraverso il linguaggio o meglio solo se esiste il linguaggio posso affermare che qualcosa non è linguaggio, e abbiamo anche inteso che questa affermazione che “qualcosa non è linguaggio” non è propriamente sostenibile perché se una certa cosa non fosse linguaggio allora come potrei sapere questa cosa? Potrei saperlo o per ragionamento oppure per esperienza, come generalmente si fa per sapere le cose, però se lo so per ragionamento allora che qualcosa sia fuori da linguaggio interverrebbe come la conclusione di un’argomentazione, essendo la conclusione di un’argomentazione appartiene a quella argomentazione e un’argomentazione è fatta di inferenze e le inferenze appartengono al linguaggio oppure, dicevamo, lo so per esperienza, ma sapendolo per esperienza occorrerebbe che questo elemento, visto che l’abbiamo stabilito come qualcosa che è fuori dal linguaggio, non avesse, essendo fuori dal linguaggio, né un antecedente né un conseguente perché non è inserito in nessuna combinatoria, ora non avendo alcun antecedente e nessun conseguente è isolato ed essendo isolato come lo conosco? In che modo? Per questo dicevamo che affermare che una qualunque cosa è fuori dal linguaggio propriamente è un non senso, perché anche per esperienza se non ha nessun conseguente, per esempio, che indica una direzione, non ha propriamente un senso, non avendo senso non ha nessun interesse in ambito teorico. Questo ci porta anche a considerare che per definire, per esempio, ciascun elemento, occorre un altro elemento, proprio perché un elemento linguistico è tale se ha un antecedente e un conseguente cioè se viene da qualche cosa e va verso qualche cosa, ora definire un qualche cosa significa accostare a un certo elemento altri elementi che aggiungono per esempio una conoscenza, per dirla in modo molto semplice, cioè questa definizione sarà costruita da elementi linguistici ma ciò che è definito, questo quid che è definito, anche lui appartiene necessariamente al linguaggio oppure no? Può cioè il linguaggio definire qualcosa che linguaggio non è? Dovremmo incominciare a porre la questione in termini più precisi e cioè domandandoci che cos’è esattamente ciò che è fuori da linguaggio, visto che abbiamo considerato che non lo posso conoscere in nessun modo, posso pensare che ci sia, posso cioè avvalendomi di un sistema sensoriale percettorio e stabilire che ciò che i miei occhi vedono sia qualcosa che è fuori da linguaggio, posso stabilirlo certo, posso affermarlo, ma affermando questo che cosa affermo esattamente? Che ho stabilito io un criterio, un criterio tale per cui tutto ciò che mi accade di vedere per esempio, chiamo questo, decido che questo sia fuori dal linguaggio, è una decisione, appunto ho stabilito un criterio, posso anche stabilire che le cose esistono perché dio lo vuole, è un altro criterio, però tutto questo non ci conduce da nessuna parte nel senso che una volta stabilito questo e cioè che ciò che cade sotto i miei sensi esiste di per sé ho affermato qualche cosa che non posso provare se non attraverso una petizione di principio, e cioè una volta stabilito che la realtà è ciò che cade sotto i sensi non posso più a questo punto utilizzare ciò stesso che ho deciso io come argomento di una dimostrazione, posso soltanto continuare a dire che io ho deciso di chiamare realtà ciò che cade sotto i miei sensi, ma il fatto che abbia deciso una cosa del genere non è indifferente: come faccio a decidere qualcosa? Torno a porre la questione, in assenza di linguaggio potrei decidere qualche cosa? Come? Che cos’è una decisione? Vogliamo usare l’etimo? De/cidere, tagliare via da qualche cosa, ritagliare letteralmente da un insieme di cose ne ritaglio una per fra una gamma di possibilità, ne scelgo una, ne ritaglio una, questa è una decisione. Però perché questa cosa possa avvenire, questa cosa che chiamo decisione, deve esserci una valutazione perché non è che ritaglio un elemento da altri così a caso, c’è una considerazione, una valutazione, un’argomentazione, questo è opportuno questo no, questo è bene e questo è male, questo è giusto e questo è sbagliato e tutte queste argomentazioni non possono farsi se non c’è una struttura, uno strumento che mi consente di farle. Se io mi domando se una certa sia bene o male, mi sto ponendo una domanda e per fare una domanda, come abbiamo già visto occorrono delle condizioni, delle regole di una struttura se no non posso chiedermi niente e dunque per decidere una qualunque cosa, anche per esempio che la realtà è fuori dal linguaggio necessito del linguaggio, non ho nessun altra possibilità: qualunque riflessione si faccia intorno al linguaggio questa riconduce inesorabilmente alla sua struttura cioè al suo funzionamento, perché qualunque considerazione è fatta di linguaggio. Questo che ci ha condotti poi ad affermare che gli umani non sono nient’altro che ciò che dicono, sono il discorso di cui sono fatti, non c’è nient’altro che questo, cosa che ha delle implicazioni notevoli, notevolissime se portate alle estreme conseguenze, visto che appare che qualunque cosa sia stata costruita attraverso il linguaggio e che affermare che qualcosa è fuori da linguaggio è soltanto una decisione ma non può essere provata in nessun modo e anche se lo fosse per assurdo comunque lo sarebbe attraverso il linguaggio, perché non c’è altra prova. Allora tutto ciò con cui gli umani hanno a che fare da quando nascono a quando cessano di esistere è fatto di linguaggio, gli umani sono fatti di linguaggio, parlano e non possono non parlare, e perché parlano? Certo la domanda su che cosa o meglio qual è l’obiettivo, il fine del linguaggio, in fondo sta già nella domanda stessa: continuare a dire, cioè a domandare, cioè a parlare, cioè affermare, il linguaggio non ha nessun altro obiettivo se non proseguire se stesso, costruire proposizioni non per qualcosa naturalmente ma per niente: costruisce come il DNA, costruisce proteine quindi corpi umani o di qualunque altra cosa per niente, non ha un obiettivo il DNA in quanto tale, le sue istruzioni non hanno nessun altra finalità. La semplicità di una tale costruzione è dovuta al fatto che continua a tenere conto sempre e incessantemente mentre argomenta intorno al linguaggio che è il linguaggio, cioè il suo funzionamento che sta consentendo queste argomentazioni, e quindi di fatto è semplice perché basta intendere che cosa sta funzionando mentre parlo, che cosa necessariamente funziona mentre parlo e che cosa viene escluso mentre parlo per sapere come funziona il linguaggio. Una cosa che abbiamo tratta dal modo in cui le persone parlano è l’importanza della verità e cioè del concludere una sequenza con un’affermazione che possa essere considerata vera. Questo nel parlare comune si incontra ininterrottamente, ciascuno vuole affermare delle verità, vuole avere ragione sull’altro, si adombra se qualcuno gli da torto, soprattutto se dimostra che ha torto e cerca la verità per potere andare avanti cioè vuole stabilire che una certa cosa che ha detta, che ha pensata, che ha fatta è vera oppure no, perché? È questa considerazione, apparentemente così di poco conto perché rappresenta solo il modo comune per cui le persone si muovono, parlano, pensano, che ci ha indotti a riflettere in modo più preciso, più rigoroso e a domandarci se una cosa del genere non appartenesse al funzionamento del linguaggio, e che se il linguaggio potesse costruire una proposizione che afferma che una certa cosa è vera ma anche falsa simultaneamente si troverebbe in una condizione molto difficile. Perché vedi Eleonora, il vero e il falso non sono concetti stabiliti da qualche pensiero, da qualche ghiribizzo di qualcuno ma semplicemente il linguaggio considera vera una sequenza che può proseguire, la chiama falsa se non può proseguire, e a quali condizioni può proseguire? Che non neghi se stessa, e cioè che la conclusione non contraddica, cioè non neghi la premessa da cui è partita. Questo è di straordinario interesse perché mostra che il linguaggio non può affermare un elemento e simultaneamente negarlo cioè affermare per esempio che la proposizione A è vera e la proposizione A è falsa, non lo può fare, perché affermando che una certa cosa è una proposizione afferma anche che appartiene al linguaggio ovviamente, e quindi che è un elemento linguistico; portate la questione alle estreme conseguenze, supponiamo che un elemento linguistico affermi di sé di non essere un elemento linguistico, una proposizione che afferma di sé di essere vera, cioè è vero che è una proposizione linguistica ma è anche vero che non è una proposizione linguistica: una delle due deve essere esclusa necessariamente, cioè quella che nega di sé di appartenere al linguaggio, questa deve essere esclusa necessariamente perché per potere affermare che non appartiene al linguaggio deve utilizzare il linguaggio. A questo punto torniamo alla questione da cui siamo partiti, io devo già trovarmi nel linguaggio quindi affermo una condizione che è paradossale, come dire che una certa proposizione non appartiene al linguaggio e quindi posso affermare che A non appartiene al linguaggio se e soltanto se appartiene al linguaggio. Per questo nel linguaggio non può darsi contraddizione, non ci possono essere paradossi, i paradossi sono nei discorsi, cioè retoricamente sì, ma il linguaggio non può contemplare un paradosso perché nel momento in cui stabilisce che qualcosa non gli appartiene, lo stabilirlo stesso è ciò che stabilisce anche che gli appartiene. Vedete che in tutto ciò si stabiliscono alcuni criteri molto semplici e molto rigorosi, molto precisi, e anche di straordinaria importanza perché inducono a considerare che non soltanto gli umani sono fatti di linguaggio ma che essendo fatti di linguaggio si muovono, pensano, concludono, stabiliscono cose che sono permesse dal linguaggio, cioè non possono fare nient’altro che muoversi come la struttura di cui sono fatti e cioè il linguaggio consente loro, non possono pensare in nessun altro modo che non sia il linguaggio, con tutto ciò che questo comporta ovviamente. E allora Daniela, ponendo la questione in questi termini si giunge al fondamento e cioè a sapere come gli umani necessariamente pensano e non possono non pensare e che la costruzione, per esempio, di tutte quelle cose ritenute importanti dagli umani non sono altro che delle sovrastrutture, e cioè costruzioni retoriche. Dicevamo qualche volta fa che tutte le teorie che non sono costruite a partire dal fondamento non sono teorie logiche ma retoriche, qualunque discorso possa farsi è un discorso retorico, quella che Freud chiamava nevrosi è un discorso retorico …

Intervento: è un discorso retorico però essendo fatta di linguaggio soggiace a tutti i conflitti che vengono creati dalle proposizioni anzi dai giochi che vanno in conflitto perché quando in un discorso ci sono due verità queste non possono coesistere insieme, per esempio …

La questione è più sottile, consideri una figura retorica, per esempio l’ossimoro, per esempio la frase “affrettati lentamente”, ora se la persona considera questo comando, questa istruzione in termini logici si paralizza, si arresta come una macchina che è programmata per arrestarsi nel momento in cui si trova di fronte a due comandi simultanei che vanno in direzioni opposte, la macchina si arresta, come dire che si è creato una sorta di conflitto, nel caso dei computer un conflitto di file, nel caso della persona lo stesso, però sono pensieri cioè se scambia una questione retorica per una questione logica la macchina si arresta perché non è più in condizioni di decidere la direzione e quindi si ferma. Una macchina si arresta in attesa di istruzioni, per esempio che il sistema venga resettato a seconda del danno che lei ha fatto, invece nel modo in cui funziona il pensiero degli umani la reazione è differente e cioè può intervenire la paralisi per un verso e cioè l’impossibilità di muoversi a seconda dell’importanza che altri giochi linguistici hanno attribuito, per esempio, ai due corni del dilemma, se sono di importanza vitale per la persona l’arresto è totale, fino alla catatonia …

Intervento: infatti io ho ripreso la questione perché alla Circoscrizione la signora mi aveva fatto delle domande proprio su questa questione del sintomo, si ricorda? Il compromesso che il pensiero deve costruire per non essere chiuso fra due corni, non può il pensiero fermarsi e a quel punto allora, ricorda il bambino?

Più che un paradosso è un blocco del sistema, nell’umano le istruzioni sono molte di più e allora accade questo, che mentre la macchina se scambia una questione retorica per una questione logica si ferma perché muove soltanto in termini logici, non riconosce quelli retorici, nell’umano potremmo dire che scambia una questione retorica per una questione reale, per l’umano funziona così rispetto alle sue superstizioni, ai suoi pregiudizi e quindi scambia, un paradosso, un’antinomia o meglio ancora un ossimoro per una contraddizione reale, con tutto il dramma e la lacerazione che questo comporta perché non può accorgersi che si tratta di una questione retorica cioè linguistica e finché questo non si verifica da lì non si muove. Naturalmente si possono dare psicofarmaci, gli si può fare anche l’elettrochoc e la lobotomia, gli si può anche sparare in testa ma non si muoverà perché il sistema è bloccato, semplicemente, e un sistema bloccato non riparte, non riparte se non trova un’altra istruzione che gli consenta di spostare la questione dalla realtà che lui suppone essere tale al gioco linguistico, e allora tutto il marchingegno riparte senza nessun problema …

Intervento: una persona può reagire violentemente …

Questa è un’altra questione ancora, queste sono le reazioni che una persona che si trova di fronte a un blocco del sistema può mettere in atto, può fare qualunque cosa e il suo contrario, questo poi dipende da tanti altri elementi e anche questi dipendono da altri giochi linguistici che sono intervenuti negli anni precedenti per esempio, e allora può diventare violento, può diventare invece un vegetale, può diventare una persona mistica, può fare qualunque cosa. Il tipo di reazione che ha in una situazione del genere può essere irrilevante per un certo verso, uno reagisce così l’altro reagisce colà ma la questione centrale è che una persona vive un dramma, un dilemma che per lui non ha soluzione, e effettivamente posta in questi termini non ha soluzione perché se si prende come reale un ossimoro effettivamente non c’è soluzione, se uno gli dice di affrettarsi lentamente cosa fa? Non ha istruzioni per risolvere questo problema e fa come una macchina, si ferma in attesa di altre istruzioni cioè cerca di capire che cosa l’altro abbia voluto dirgli, immagina, per una serie di cose che ha imparate, che se il messaggio non ha nessun utilizzo forse manca un pezzo e allora cerca di sapere se la persona che gli invia un messaggio del genere è completamente fuori di testa oppure se c’è qualche cosa che gli è sfuggito, magari un messaggio cifrato che vuole dire tutt’altra cosa. Però posta in questi termini non ha nessuna risposta possibile, un esempio che facciamo sempre: se uno dovesse chiedere “per Milano da che parte vado?” la risposta (allargando le braccia e indicando le due direzioni opposte) “di là”. È per questo che l’unico sbocco, l’unica via che ha la macchina ma possiamo dire anche l’umano, perché funziona alla stessa maniera, cioè per sbloccare la situazione e intendere che non si tratta della realtà dei fatti ma di una questione linguistica e cioè di un gioco linguistico che sta mettendo in atto senza accorgersene, ed è per questo motivo che la psicanalisi che abbiamo costruita a partire dal fondamento e cioè dal linguaggio effettivamente è l’unica che può porre, può mostrare l’unica via di uscita, e cioè ricondurre ciò che appare essere la realtà delle cose e cioè qualcosa fuori dal linguaggio, ricondurlo al linguaggio e allora lì immediatamente il meccanismo si sblocca. Ma finché non si accorge che è un gioco linguistico non ha possibilità di uscita, finché continua a considerarlo una cosa reale e cioè fuori dal linguaggio non c’è nessuna possibilità, assolutamente nessuna, così come non c’è per le macchine, una volta che sono bloccate se non si resetta il sistema non se ne viene fuori, cioè il sistema deve essere resettato quindi deve tornare a impadronirsi di quelle informazioni che consentono di procedere nel funzionamento, finché non ha queste informazioni non si muove …

Intervento: mentre l’ossimoro è linguaggio il pensiero …

La struttura è esattamente la stessa: una persona può pensare per esempio che la vita non abbia più nessun interesse e che tutto il mondo che lo circonda sia fatto di persone malvagie, delinquenti, criminali, assassini e che non ci sia nessuna possibilità che il mondo possa migliorare, supponiamo che la persona creda fermamente a una cosa del genere, ora può trovare argomentazioni a favore di questo? Quante ne vuole, e allora o le prende realisticamente e allora effettivamente come dargli torto? Ha assolutamente ragione, solo che se prendiamo la cosa realisticamente cioè come la descrizione di dati di fatto quindi al di fuori del linguaggio allora non c’è nessuna soluzione, oppure riconduce tutto quanto là da dove arriva e cioè al linguaggio che gli ha consentito di pensare queste cose e allora sono solo sequenze di proposizioni, e allora il sistema si sblocca, perché è possibile che sia così, ma in base a che cosa? In base al mio criterio, e questo criterio da dove arriva? Bene, male, sono termini che non significano niente, a questo punto ecco che il sistema riparte, come fosse resettato in un certo senso e allora tutto ricomincia a funzionare, tutto cioè il linguaggio incomincia a costruire proposizioni. Ricomincia a funzionare perché non è più bloccato da un pensiero perché è questo pensiero che lo blocca perché lì c’è qualche cosa che linguaggio non è, a questo punto il linguaggio è bloccato così come accade per esempio in una religione, dove c’è un limite, qualche cosa che è fuori dal linguaggio, per esempio dio all’occorrenza, se dio è fuori dal linguaggio è ovvio che c’è un arresto e infatti non posso andare oltre questo punto, devo soltanto attenermi con tutte le conseguenze che questo comporta naturalmente, per esempio tagliare la gola a chi è di un’altra religione, non sempre fortunatamente ma capita, sta capitando anche adesso.