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19-2-2014

 

C’è un aspetto che potrebbe essere interessante per quanto riguarda la scienza, è la questione della dimostrazione. Il discorso di Feyerabend giunge a considerare che la scienza non è altro che uno strumento di potere, non ha la possibilità di dire come stanno le cose in modo definitivo. La questione della dimostrazione nella scienza è importante perché solo ciò che è dimostrabile può essere utilizzato: nel discorso scientifico se una qualche cosa non è dimostrata non può essere utilizzata per costituire la premessa, per proseguire in altre direzioni anzi, si considera che se una cosa non è dimostrabile non vale niente, non è scientifica. La dimostrabilità è il perno su cui si regge tutto il discorso scientifico, e anche tutta la ideologia scientifica naturalmente, nel discorso comune come sapete non è la dimostrabilità l’elemento che consente al discorso di proseguire, a nessuno importa assolutamente nulla se ciò che dice è dimostrabile, perché immagina che sia vero e che quindi se glielo si chiede suppone che in qualche modo sia stato dimostrato, ma per lo più non è un problema di nessuno, per la scienza sì, fino a un certo punto, cos’è la dimostrazione? Intanto occorre un criterio, un criterio che consenta di stabilire se una certa affermazione è vera oppure no, e questo criterio da dove lo traiamo? Nella scienza qual è il criterio fondamentale? È l’osservabilità, qualcosa deve potere essere osservata e potere essere riprodotta in qualunque circostanza, però la scienza, almeno ciò che si intende comunemente con scienza e cioè appunto un metodo per derivare delle leggi da dei fatti, la scienza comunemente è questo, queste leggi devono essere verificate e qui torniamo alla questione di prima, e cioè della dimostrazione: come facciamo a verificarle? Che cosa intendiamo dire quando ci chiediamo questo? Verificarle come sapete, significa farle vere, ma come? Si costruisce un sistema, un sistema semplice, si stabilisce che se io e anche altri vediamo una certa cosa verificarsi in un certo modo e possiamo osservare che ogni volta che si verifica un certo evento si verifica sempre un altro specifico evento, allora, in base a questo criterio stabiliamo che questa osservazione ha un carattere di scientificità, perché se una cosa accade una volta e non accadrà mai più è difficile costruire una legge, ché la legge indica sempre un andamento, un andamento di un certo numero di eventi che si comporta sempre in un certo modo, pensi al sorgere del sole la mattina, questo fatto si è sempre verificato diciamo così: non c’è motivo di pensare che non si verificherà anche domani, è scientifico? Sì e no, è scientifico il fatto che la fisica abbia rilevato un certo movimento della terra intorno al sole, questa così detta rivoluzione che avviene secondo certe leggi appunto, nel senso che si è trovato un’affermazione universale che stabilisce quali sono i principi di questo movimento, la forza centrifuga e la forza centripeta, la terra gira intorno al sole, se non ci fosse la forza centripeta la terra sarebbe scagliata via come un pallino, quindi non sarebbe mai esistita ovviamente. Queste cose sono state stabilite dal discorso che si chiama “fisica”, e sono state dimostrate, sono state dimostrate in questo modo cioè si è osservato che certi eventi quando si verificano comportano sempre un altro evento stabilito, perché questa connessione sia stabile occorre che ci sia un calcolo numerico e cioè un sistema numerico che renda conto per esempio della relazione tra la forza centrifuga e quella centripeta, e attraverso il calcolo è possibile stabilire perché la terra continua a girare intorno al sole anziché schizzare via come un proiettile. Ma queste considerazioni, queste dimostrazioni hanno una caratteristica singolare, e cioè si fondano su altre cose le quali altre cose non hanno una garanzia; la fisica si basa prevalentemente sull’osservazione, ma l’osservazione che garanzia ha? È come se fosse un dato naturale, un dato certo e acquisito e nessuno, se non in rarissimi casi ha messo in discussione l’osservazione, perché mettere in discussione l’osservazione significa mettere in discussione tutto, nel senso che dopo nulla è più come prima, perché non c’è più la possibilità di stabilire, di fermare alcunché, ma è con l’osservazione che si stabiliscono le cose, vedo che questa cosa è così faccio un calcolo che mi dice qual è la relazione con quell’altra cosa e stabilisco un concetto, una proposizione che afferma che le cose stanno così, ma sempre a partire dall’osservazione, ma chi dice che l’osservazione è un criterio così stabile, così sicuro? Il problema è che non c’è un modo per poterlo stabilire, da nessuna parte. Qualunque criterio, qualunque teoria, qualunque discorso scientifico si fonda sull’osservazione che di per sé non è fondabile in nessun modo, è presa, come direbbe Peano, come un’idea primitiva non ulteriormente scomponibile, non ulteriormente indagabile, cioè non si può indagare l’osservazione, anche perché qualunque tentativo di indagare l’osservazione per lo più prevede l’osservazione. E allora l’osservazione è diventata il criterio fondamentale, unico, imprescindibile, ogni dimostrazione della fisica rinvia all’osservazione e al calcolo numerico, perché io osservo il risultato, un certo calcolo, lo osservo, lo vedo. Si potrebbe dire che una macchina non lo vede, non lo vede a meno che intendiamo con “vedere” ciò che intendiamo noi e cioè il considerare o inserire certi elementi all’interno di un sistema, per vedere occorre fare così, e questo anche la macchina lo fa quindi anche la macchina “vede” come gli umani. Dicevo che mettere in discussione l’osservazione è un grosso problema perché sembra non si possa fare se non utilizzando la stessa osservazione, un po’ come dicevamo tempo fa del linguaggio, non si può mettere in discussione il linguaggio, la sua esistenza senza usare il linguaggio, però qui la cosa è un po’ differente perché l’osservazione è un criterio, un criterio di valutazione, un criterio di verifica anche, ma il linguaggio no, non è un criterio ma ciò che consente la costruzione di un criterio, perché io posso decidere che anziché l’osservazione utilizzo un altro criterio, come è stato fatto un sacco di volte, ma non posso togliere di mezzo il linguaggio per costruire dei criteri o per fare qualunque cosa, questo non lo posso fare; l’osservazione non è sempre stata il criterio fondamentale, per i greci non lo era e anche per tutto il medioevo, almeno in parte, non era l’osservazione il criterio di verità ma la parola di dio. La questione della dimostrazione è importante perché rappresenta il fulcro, l’efficacia di tutto il pensiero scientifico, che è incominciato proprio quando è incominciata la dimostrazione, cioè si è incominciato a pensare a dimostrare che le cose stanno così e non altrimenti. Però la dimostrazione che come sappiamo si fonda sul criterio dell’osservazione e del calcolo numerico, a sua volta non è fondata, la dimostrazione, problema che lo stesso Wittgenstein aveva colto, costituisce un problema, cioè quell’elemento che è necessario per la costruzione di qualunque teoria scientifica è un problema. Si può rilevare, come ha fatto Feyerabend, che non c’è una dimostrazione definitiva, si può fare, dicevo, che se si mette in dubbio la validità del processo dimostrativo è ovvio che si può mettere in dubbio qualunque cosa, qualunque affermazione, qualunque stabilità che procede generalmente dal potere affermare, come dicevamo, la volta scorsa un’affermazione universale, è qui si gioca la questione centrale, proprio rispetto alla affermazione universale: se io affermo che per esempio che qualunque affermazione, come facevano gli scettici, che non c’è nessuna possibilità di stabilire nessuna verità è ovvio che espongo il fianco alla stessa obiezione, quindi si tratta di una questione più sottile, e cioè stabilire che qualunque affermazione è fatta in termini universali è possibile all’interno di un certo gioco. Ma “universale” non ha più l’accezione dell’universo, cioè di tutti i mondi possibili, ma semplicemente dice che all’interno di questo gioco tutte le mosse fatte in un certo modo seguono o producono una certa cosa, cosa ovvia, perché sono le regole che lo hanno stabilito, quindi un’affermazione universale non dice nient’altro che questo: date certe regole, ogni volta che ci sarà una cosa ci sarà quest’altra che è stabilita dalla regola, quindi non stabilisce qualcosa che è universale al di fuori di un certo gioco, ma stabilisce soltanto la necessità di un gioco di attenersi a quelle regole di cui è composto, di cui è fatto. Nel gioco del poker una regola è un’affermazione universale, cioè ogni volta che si gioca a poker ci sono quelle condizioni e questo sarà il risultato, non è che una volta uno fa un risultato e una volta un altro, cioè se ha quattro assi una volta batte due jack e un’altra volta invece viene battuto da due jack, non è possibile. La dimostrazione dimostra effettivamente quello che vuole dimostrare, la dimostrazione è possibile e assolutamente rigorosa, ma all’interno del gioco: dimostro una certa cosa all’interno di un certo gioco, con certe regole. A questo punto posso dimostrare tutto quello che voglio, così come posso confutare, quindi non è corretto propriamente dire che non c’è nulla di dimostrabile anzi, potremmo dire che qualunque cosa tecnicamente è dimostrabile, così come è confutabile, basta modificare il gioco, o delle regole all’interno di un gioco, e la stessa cosa da dimostrabile diventa confutabile, ma se le regole del gioco non vengono mutate quella certa cosa è assolutamente dimostrabile, cosa vuole dire dimostrabile? Quello che ha detto Wittgenstein e cioè attenersi alle regole, al criterio che è stato stabilito: se ci si attiene rigorosamente alle regole stabilite dal gioco si dimostra ciò che si deve dimostrare, ha valore al di fuori del gioco questa dimostrazione? Certo che no, così come le regole del poker valgono per il poker e non per il tre sette per esempio, questo è importante, e la questione, e in questo Feyerabend non ha torto, ha a che fare con il criterio che viene utilizzato, cioè con il gioco che si sta facendo, e non c’è un gioco che sia meglio di un altro, che sia più vero di un altro. Qui però Freud ci dà una mano, perché in effetti a questo punto se portassimo alle estreme conseguenze il discorso di Feyerabend potrebbe accadere per esempio di fare un certo gioco perché non è meglio né peggio di qualunque altro, quindi nessun gioco ha la possibilità, diciamola così, di accampare diritti su qualunque altro. Ma c’è un criterio che possiamo utilizzare, ed è quello che si utilizza anche in un’analisi e che potrebbe essere una direzione precisa, e cioè si segue, attenendosi alla struttura del linguaggio, quel gioco che consente una maggiore apertura, diciamola così, una maggiore possibilità di rilanciare il discorso stesso, questo potrebbe indurre a un altro accostamento ancora con l’analisi e cioè non è che qualunque cosa vada bene propriamente, o possiamo anche dire che qualunque cosa va bene ma questo non ci porta molto lontani, e allora, così come avviene in un’analisi, l’ascolto si sofferma e pone le condizioni perché il discorso possa proseguire costruendo altre cose che avranno la possibilità di costruire ancora altre cose. Allo stesso modo forse è possibile scegliere fra i vari, infiniti giochi possibili quel gioco che consente di, adesso la dico così, di giocare in modo più interessante, e vale a dire di avere la possibilità di potere continuare a giocare. Adesso vi faccio l’esempio estremo: la religione, anche quella è un gioco linguistico al pari di qualunque altro, tecnicamente potrebbe essere né meglio né peggio della scienza della parola, sono entrambi giochi linguistici. C’è un motivo per cui che anziché seguire papa Francesco seguiamo la scienza della parola? Perché non ci interessa il discorso religioso? Perché ha un unico obiettivo che è quello di condurre il discorso a un elemento che deve costituire la fine del discorso, il significato di quel discorso, e al di fuori e al di là di questo significato non c’è niente, è la fine, in questo caso quel discorso, questo gioco linguistico della religione, non ci interessa perché non offre la possibilità di interrogare ancora e ancora e ancora. Se vogliamo dirla tutta, è l’unico criterio che possiamo utilizzare, perché in effetti non c’è la possibilità di dimostrare, per i motivi detti prima, che il discorso che fa la scienza della parola sia meglio o peggio del discorso del papa.

Tecnicamente, ciò cui ci conduce tutto ciò che stiamo facendo da tempo è non c’è la possibilità di stabilire che un gioco sia migliore o abbia maggiore validità di un altro, e questo porta alla domanda: perché proseguiamo un discorso anziché un qualunque altro? Entrambi sono giochi linguistici, entrambi sono fatti dal linguaggio, procedono da premesse, passaggi, conclusioni, la struttura è la stessa, la differenza sta in questo: che dicevo essere uno degli aspetti forse più interessanti di Freud, e cioè rilevare qual è il gioco linguistico che possiede maggiori opportunità di essere ulteriormente interrogato, che cioè non chiude il discorso utilizzando un’affermazione universale come se fosse universale al di fuori del gioco all’interno del quale è inserita, e questo direi che è fondamentale, cioè seguiamo quel gioco che consente ciascuna volta di “posizionare” tra virgolette un’affermazione universale all’interno del gioco. Dopo tutto un’analisi fa anche questo, prende le affermazioni universali della persona, e cioè della sua visione del mondo e la riconduce all’interno del gioco in cui è inserita. Occorre anche aggiungere che a questo punto ogni affermazione universale si volge in un’affermazione particolare. L’altra volta parlavo di “finzione”, fa come se fosse realmente vero che quattro assi battono due jack pur sapendo benissimo che è vero nel gioco del poker, quindi potremmo dire che rispetto alla dimostrazione, sì tutto va bene, cioè qualunque cosa è dimostrabile e confutabile a piacere, però se noi la inseriamo all’interno di quel gioco con quelle regole allora è dimostrabile oppure è confutabile ma non dimostrabile e confutabile simultaneamente. Questo è importante all’interno del gioco, e cioè che un’affermazione non sia possibile che sia affermabile universalmente e non affermabile universalmente, per il principio del terzo escluso, cioè è come se dicessi che tutte le volte che c’è una congiunzione questa congiunzione opera in un certo modo, cioè accosta due elementi e basta, non posso dire che “esiste almeno una volta” in cui questa congiunzione non fa questo, creerebbe grossi problemi non solo perché a questo punto ci sarebbe la contraddizione, perché un quantificatore esistenziale che nega il quantificatore universale crea una contraddizione, se dico che per tutte le x (fx) e poi dico che c’è una sola x, almeno una, che nega (fx) avviene una contraddizione.